Juan José Saer Research Papers (original) (raw)
Il nucleo tematico del romanzo El entenado dello scrittore argentino Juan José Saer è costituito dalla riflessione sulla scrittura come possibilità e desiderio di realizzazione dell'incontro con l'altro, a partire dalla sua problematica... more
Il nucleo tematico del romanzo El entenado dello scrittore argentino Juan José Saer è costituito dalla riflessione sulla scrittura come possibilità e desiderio di realizzazione dell'incontro con l'altro, a partire dalla sua problematica assenza, dalla sua angosciosa inaccessibilità -in quanto lontano, diverso, passato e quindi morto. L'opera si presenta apparentemente come un romanzo storico: si basa infatti sulla storia di una spedizione spagnola in America Latina, condotta da Juan Díaz de Solís che nel 1516 approda sulle coste del Río de la Plata. Tutti i membri dell'equipaggio, raggiunto il delta del Río Paraná, vengono uccisi e mangiati da una tribù antropofaga, si salva solo Francisco del Puerto, un mozzo, che verrà ritrovato solo dieci anni più tardi dalla spedizione di Sebastián Gaboto . Rispetto a questi dati storici, però, Saer propone una deviazione: ciò che gli interessa non è infatti ricostruire l'epopea della conquista, ma riempire le zone d'ombra, quello che dalle cronache è stato tralasciato. Il romanzo si costruisce, quindi, sugli spazi di silenzio della storia: non soltanto la vita del superstite, ma anche e soprattutto gli indios colastiné del Río de la Plata. Questo intento, però, si pone fin dall'inizio in modo problematico, mettendo in discussione lo statuto di genere (romanzo storico) e il ruolo stesso della scrittura letteraria. L'autore decostruisce e delegittima la storiografia attraverso un dialogo con le fonti che è essenzialmente una parodia: le cronache producono esistenza, ma anche oblio. Il romanzo si apre con l'immagine delle coste vuote e il cielo immenso di un luogo lontano, evocata da un anziano che scrive le sue memorie al lume di una candela: ripercorre le tappe della sua esperienza di orfano, vissuto di espedienti e poi imbarcatosi come mozzo per le Indie. Un viaggio verso luoghi immaginati attraverso un mare sempre uguale, tanto da sembrare più un viaggio nel tempo che nello spazio. Questa percezione sembra confermata quando finalmente l'equipaggio sbarca in un luogo incontaminato, in cui fiumi hanno «un olor a origen, a formación húmeda y trabajosa, a crecimiento. Salir del mar monótono y penetrar en ellos fue como bajar del limbo a la tierra» (SAER J.J. 1995(SAER J.J. [1983: 27). Le nozioni di tempo e spazio sono invertite, secondo una mentalità tipicamente colonialista per la quale il viaggio dall'Europa verso il nuovo continente è un viaggio a ritroso nel tempo. Evidente parodia, che mentre rinvia al canone letterario, ne mette in crisi la validità. I luoghi trovati ovviamente sono deserti da conquistare. Ma proprio mentre afferma che il luogo è disabitato, il capitano viene colpito da una freccia, e con lui muore tutto l'equipaggio, tranne il mozzo di quindici anni. Il ragazzo viene portato al villaggio indigeno dopo due giorni di cammino e viene trattato con rispetto e simpatia mentre gli indigeni si accingono ad arrostire i cadaveri. Il banchetto cannibale è seguito dall'assunzione di una bevanda inebriante e da un'orgia sessuale. Dopo eccessi alimentari, alcolici e sessuali, che provocano numerose vittime, gli indigeni si ricompongono lentamente e ricominciano la loro vita quotidiana, scandita da un ritmo rapido, da una precisa e tacita ripartizione di compiti, da una cura costante delle cose e delle persone. Sono sobri, gentili, eccessivamente ordinati e puliti, e si rivolgono allo straniero chiamandolo def-ghi. Gli indigeni ripongono una speranza nell'uomo che hanno lasciato vivo: ogni volta che lo vedono gli si rivolgono in un modo eccessivo, teatrale, come per imprimere la loro immagine nella memoria dello straniero. Il ragazzo resta con loro dieci anni, e ogni anno, d'estate, si ripete il rito cannibale. Ogni volta viene lasciato un solo superstite, un def-ghi, verso il quale gli indigeni hanno lo stesso atteggiamento cordiale, e dopo qualche tempo lo rimandano indietro su una canoa. Il mozzo invece viene rilasciato solo quando arriva una nuova spedizione spagnola, dopo dieci anni: gli indigeni lo fanno salire su una canoa e lo salutano affidandogli un compito preciso, che il giovane non riesce a capire, rimanendo in uno stato di angosciosa incertezza. Accolto con molta diffidenza dagli spagnoli, non riesce neanche a parlare la loro lingua: «tuve la impresión que hasta yo le parecía sospechoso, como si mi larga permanencia en esa tierra me hubiese contaminado de alguna fuerza negativa» (p.118). La spedizione risale il fiume e fa strage degli indigeni, i cui cadaveri el entenado vede galleggiare sulle acque del fiume. Viene riportato in Spagna, ma non riesce a integrarsi nella società, viene affidato al padre Quesada che lo sostiene e dopo avergli insegnato a leggere e scrivere, lo