Leoš Janáček Research Papers - Academia.edu (original) (raw)

Musica e Potere. Breve riflessione sulla Sonata per pianoforte "1.X.1905" di Leoš Janáček, un Inno alla Libertà. di Giulio Andreetta Mentre lascio volentieri ad altri la trattazione dell'aspetto formale e strutturale di questa Sonata... more

Musica e Potere. Breve riflessione sulla Sonata per pianoforte "1.X.1905" di Leoš Janáček, un Inno alla Libertà. di Giulio Andreetta Mentre lascio volentieri ad altri la trattazione dell'aspetto formale e strutturale di questa Sonata pianistica, vorrei in questa sede concentrarmi sul movente dell'ispirazione musicale, senza ulteriori approfondimenti tecnico-esecutivi. La musica, ancora una volta, parla sempre al nostro cuore. Si tratta di una Sonata scritta sull'onda emotiva che i fatti avvenuti a Brno il 1° Ottobre 1905-come riporta il titolo stesso della composizione-avevano suscitato nell'opinione pubblica. Il giovane František Pavlík, che manifestava assieme ad altri affinché nella propria città fosse costituita una Università, fu infatti ferito mortalmente da una baionetta. L'episodio ebbe un certo scalpore tanto che al suo funerale, il 5 Ottobre, furono presenti circa 80.000 uomini. (Si ricorda che all'epoca la Moravia, di cui era capitale Brno, era sotto il controllo dell'Impero austroungarico). Cosa aveva nella testa il compositore Janáček mentre componeva questa Sonata? Di certo si può supporre che la forte emozione per l'atto di efferata uccisione dell'operaio František Pavlík abbia comprensibilmente sconvolto l'animo del musicista. E allora mi viene da pensare che parlare di tonalità, di struttura formale, e così via, per la creazione di un animo umano in rivolta contro l'ingiustizia sarebbe qualcosa di sostanzialmente superfluo. A volte nella storia del sapere e dell'intelletto c'è una volontà catalogatoria, enciclopedica che appiattisce, sfuma, fa perdere lo slancio di un colore, di un affetto, di un movimento-sia pure di sofferenza-ma pur sempre di anelito verso l'esistente, verso la volontà di "cambiare le cose", almeno idealmente, almeno nell'immaginazione. L'arte purtroppo non le ha mai cambiate più di tanto. Ma nella testa di Janáček qualcosa dovette sicuramente essere cambiato dopo aver appreso dell'uccisione di colui che era sceso in piazza mosso da quella stessa tensione, da quello stesso movimento di affetti che non si trova in libri polverosi, o nella storia dei manuali. La rabbia per il fatto che a morire di morte violenta siano sempre i soliti, quelli che pur mossi dalle migliori intenzioni non possiedono cognomi importanti, deve aver scosso Janáček. E allora la sintassi musicale della tradizione si infrange per far emergere la rabbia, il dolore, la rassegnazione piena di risentimento, e la poesia della musica finalmente può manifestarsi contro qualunque canone che vorrebbe incanalarla entro rigidi schemi formali. In questo caso poi il rifiuto delle "regole" classiche della composizione si può notare da un solo dato formale evidentissimo: è una Sonata che si articola in soli due movimenti, invece che nei tre o quattro tipici della tradizione classica. Non so dire che cosa mi comunichi di preciso questa Sonata. Anche perché ogni ascolto è diverso. Eraclito avrebbe detto: "Non ci si bagna mai due volte nello stesso fiume". Ad ogni nuovo ascolto mi riscopro cambiato, sono più vecchio, ho altri percorsi che si sono aggiunti alla mia indefinita storia nel mondo. Ma so che ogni volta sorge in me quella stessa indignazione che provo per tutto l'immobilismo e i paludamenti di una società ancora fortemente gerarchica. Non è cambiato molto da quel 1905, purtroppo. E allora, se proprio si vogliono a forza reprimere le proprie emozioni laceranti all'ascolto di questa musica sublime, cosa del resto impossibile a qualunque ascoltatore attento e concentrato, e mediamente ricettivo all'ascolto della musica cosiddetta "classica", bisognerà ammettere che il vero artista, nel corso dei secoli ha sempre rappresentato una sorta di funzione catartica di libertà in un mondo il più delle volte chiuso e bloccato dalle catene del dispotismo e del totalitarismo. Attenzione però! Sto parlando dei pochi veri artisti il cui nome continua a splendere e splenderà immortale nel firmamento dell'umanità. E allora mi viene in mente quanto poche siano queste persone libere che non piegano la testa, e mettono in luce-magari in modo dissimulato, per evitare fastidiose censure, o anche peggio-le contraddizioni del loro tempo, le lacerazioni che il potere smisurato dell'uomo sull'uomo inevitabilmente produce, e la tendenza ad annullare la dignità individuale per bieco calcolo di interesse.