Liturgical History Research Papers - Academia.edu (original) (raw)

L’idea che sottende a questo scritto è contribuire alla presa di consapevolezza di un ritardo nella comprensione pastorale del linguaggio musicale come pragmatica epistemologica fondamentale per l’efficacia sacramentale del momento... more

L’idea che sottende a questo scritto è contribuire alla presa di consapevolezza di un ritardo nella comprensione pastorale del linguaggio musicale come pragmatica epistemologica fondamentale per l’efficacia sacramentale del momento celebrativo, nel tessuto delle dinamiche dialogiche tra l’uomo e Dio che il rito dischiude. Tra i linguaggi estetici, sin dall’antichità quello musicale è quello ritenuto come il più connaturale al comunicarsi del divino, per l’intrinseca qualità liminale delle sue dinamiche e dei rapporti che lo costituiscono come linguaggio dell’eccedenza e, per questo, come forma espressiva privilegiata per aprire l’accesso a ciò che trascende l’essere umano. Tuttavia, nelle nostre comunità come nelle commissioni di musica sacra, si discute ancora troppo su quali canti fare, più che su quali dinamiche una certa musica mette in campo nella celebrazione liturgica. Il disorientamento nasce dalla difficoltà di individuare uno statuto definitivo per l’arte musicale del rito, che rispetti gli equilibri fra tradizione e adattamento, contenuto teologico e cultura, oggettività della rivelazione e soggettività della percezione (dell’oggetto della rivelazione), mediazione e immediatezza nel sentimento del sacro. Il Concilio Vaticano II apre una strada che incide fortemente sulla necessità di rivedere le forme dell’annuncio, soprattutto rituali, della fede, e dunque i linguaggi e le coordinate di una espressione del rapporto col divino quanto mai ricca e variegata, quanto ricca è la tavolozza dei colori dell’esperienza umana. Così dagli anni ‘70 nel contesto ordinario delle nostre celebrazioni si può trovare di tutto nello stesso tempo, dal brano classico alla canzoncina pop, dal canto gregoriano a cappella alla musica con accompagnamento elettronico, all’assenza del musicale, avvertito come accessorio. Se la varietà delle scelte è opportuna e giustificata dalla necessità di venire incontro alle esigenze di un’assemblea liturgica sempre differente (talvolta disgregata in specifici gruppi e fasce di età di fanciulli, di giovani, di anziani, di famiglie, di scout...), e dunque dal compito della regia celebrativa di tenere presente la concretezza del popolo di Dio, occorre tuttavia ricercare (e una volta trovate salvaguardare) quelle che sono le conditiones sine qua non di una autentica efficacia (espressiva e quindi sacramentale) rituale. La presente ricerca si propone di mostrare come la musica sia parte integrante del rito al punto tale da essere identificata attraverso l’esperienza del ritmo (esperienza connaturale sia alla musica che al rito). Essa non è un elemento secondario della celebrazione che si possa tralasciare, ma la sua presenza imprescindibile nel rito è legata alla sua efficacia teologale, per la sua capacità di incidere, con le sue dinamiche, nel profondo del sentimento originario del sacro, rendendo il rito gioioso e desiderabile, vitale ed efficace. L’ambito di questo studio è la musica del rito e per il rito, per indagare quale musica sia quella realmente liturgica. Una volta precisata la musica nel contesto performativo del rito delineando alcuni tratti per una essenziale fenomenologia del rito in riferimento alla musica, verranno delineati gli scenari aperti dalla musica rituale per il suo decisivo valore simbolico. Fondamentale è riconoscere le condizioni imprescindibili della musica come rito. Essa mette infatti in campo un tipo di comunicazione che è quella di cui vive l’azione rituale, dal momento che chiama in causa il sacro, per rispettarne lo statuto non può essere tradotta in parole e concetti. La dinamica di rivelazione si gioca sempre all’interno dello spazio personale di chi partecipa al rito, in maniera mai anticipabile. La dia-logica del rito non è la logica dell’utile e del calcolo, ma lo spazio in cui può farsi strada la luce dell’inatteso. Proprio questa capacità, che il musicale custodisce, di condurre l’uomo a una sorta di ‘svuotamento’ contenutistico che lascia spazio all’emozione, permette l’apertura a una dimensione liminale e fa sì che la musica possa essere una modalità dell’accadere dell’esperienza originaria del sacro. È qui che diventa possibile parlare dell’efficacia sacramentale della musica per il rito.