Orality and Literacy Research Papers (original) (raw)

Nel passaggio dal mythos al logos è un intero polimorfo universo a eclissarsi, popolato da divinità, culti, epifanie, riti, preghiere e canti, che lasciano il posto al muto e silenzioso rigore della ragione, motore di un sapere laico e... more

Nel passaggio dal mythos al logos è un intero polimorfo universo a eclissarsi, popolato da divinità, culti, epifanie, riti, preghiere e canti, che lasciano il posto al muto e silenzioso rigore della ragione, motore di un sapere laico e secolarizzato. Questo passaggio di consegne -con cui il sacro si ritira da un'ampia parte della sfera pubblica sempre più colonizzata da una cultura e da una logica profane -prende avvio in un'epoca e in una regione determinate. Il pensiero razionale, come noto, sorge in Grecia circa due millenni e mezzo fa. Nasce con la filosofia, che scalza l'antica sapienza mitologica, per poi svilupparsi nei secoli attraverso la scienza e la tecnica, sino a diffondersi su scala planetaria. Là dove il logos si fa strada, miti e riti scompaiono oppure sopravvivono nel ristretto ambito della «religione». A cosa è dovuta questa profonda trasformazione culturale che fa tutt'uno con la perdita del sacro? Per comprendere le ragioni della secolarizzazione, processo che si muove di pari passo con la diffusione e lo sviluppo della logica e della cultura occidentali, conviene prendere le mosse dall'originario senso sacrale che permea la vita e la cultura delle civiltà più arcaiche. Se risaliamo all'esperienza dei primordi ogni cosa è un'epifania divina, una manifestazione del sacro, e non c'è attività umana che non ne sia coinvolta. Agli albori della civiltà non esiste dunque la «religione», come insieme di precetti, dogmi e credenze, né come sfera del culto distinta da attività profane. Nel mondo dei primordi tutto è originariamente una ierofania, una «rivelazione» dell'ordine cosmologico-sacrale insito nelle cose. Qualche breve esempio può essere utile a rievocare l'esperienza primordiale del sacro, così come era vissuta dall'uomo arcaico. Il cielo e la terra sono sacri. Sacra, dunque, è anche la città, concepita come punto di contatto tra il mondo celeste degli dei e quello terreno degli uomini mortali (uno dei tanti nomi dell'antica città di Babilonia significa appunto «legame tra cielo e terra»). La città è una imago mundi, una rappresentazione in piccolo del mondo, un microcosmo che ripete al proprio interno le leggi del macrocosmo. Perciò, fondare una città non consiste semplicemente nell'erigere case e palazzi, ma richiede un insieme di formule e rituali caratteristici, a partire dal sulcus primigenius con cui vengono tracciate le prime fondamenta. Grazie a Plutarco sappiamo che nella fondazione di Roma fu probabilmente tracciato, come modello primitivo, un quadrato iscritto in un cerchio: si tratta di figure concentriche di valore cosmico-sacrale che troviamo non solo alla base delle città dell'Italia antica, ma anche in quelle dell'Africa settentrionale e occidentale e dei monasteri del buddhismo tibetano. Le figure vengono tracciate attraverso un cerimoniale che, nel caso della popolazione africana Mande, ad esempio, prevede il sacrificio di un toro e l'erezione di un altare. Poiché la città è un'immagine del mondo, la sua fondazione richiama la creazione del cosmo e il centro a partire da cui la si erige è simbolicamente il centro dell'universo. Come ha osservato Mircea Eliade, «la cosmogonia è il modello tipologico di tutte le costruzioni, e ogni città, ogni nuova casa che si costruisce, imita ancora una volta, e in un certo senso ripete,