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Rembrandt: una vita allo specchio. Dagli autoritratti al selfie (Leida, 15 luglio1606 – Amsterdam, 4 ottobre 1669) di MULIERE Alessia Rembrandt è un pittore che affascina per una infinità di temi e motivi, uno dei quali certamente è... more

Rembrandt: una vita allo specchio.
Dagli autoritratti al selfie
(Leida, 15 luglio1606 – Amsterdam, 4 ottobre 1669)
di MULIERE Alessia

Rembrandt è un pittore che affascina per una infinità di temi e motivi, uno dei quali
certamente è l'insistenza con la quale ritorna al tema dell'autoritratto. Per Rembrandt
l'autoritratto sarà una attività costante: dall'età di 20 anni fino alla sua morte all'età di 63
anni nel 1669, il pittore dipinge, disegna e incide il proprio viso quasi un centinaio di volte;
una serie di opere, giunte fino a noi, che testimoniano in modo inesorabile il passare del
tempo sul suo volto, dalla gioventù alla vecchiaia. Solo l’avvento della fotografia ha potuto
diffondere in tutta la società un simile processo di documentazione.
L’autoritratto si afferma soprattutto a partire dal Rinascimento: l'artista si raffigura da solo,
in primo piano o al lavoro nello studio; oppure inserito in un gruppo, in modo simbolico,
con elementi che lo contraddistinguono come personaggio storico o sacro; o ancora,
dissimulato ambiguamente nella scena dipinta. Infatti, sin dai suoi primi quadri tra il 1625 e
il '26 Rembrandt si rappresenta in scene religiose (La crocifissione, 1633, Pinacoteca di
Monaco) o in scene di genere (Figlio al prodigo, 1635 Gemäldegalerie, Dresda),
con impliciti significati o allusioni.

La contemplazione del proprio viso è in Rembrandt una meditazione sulle emozioni, sui
simulacri e la vanità della carne e, in questo modo, ci ha fornito un eccezionale documento
del suo aspetto fisico, ma soprattutto dei suoi stati d’animo: infatti, ritraendo il suo volto
man mano che invecchia, l’artista ci racconta la sua autobiografia, non solo delle qualità
fisiche ma anche psicologiche della propria persona, i lutti, le vittorie e le sconfitte, le forze
che vengono a mancare, e testimonia così, inesorabile e senza orpelli, il tempo che passa
per tutti. È un Rembrandt che ama rappresentarsi in una varietà di costumi stravaganti,
sotto mentite spoglie di personaggi più disparati, passando da ricchi costumi e pose
trionfanti, alla resa cupa e malinconica di un uomo ormai stanco e disilluso.
Ma che cosa ha spinto - e tutt'ora spinge - l'uomo a duplicare la sua immagine?
Narcisimo? Egocentrismo? Vanità? Affermazione di sé? Sono tante le
motivazioni che spingono l'uomo a lasciare traccia di sé, in tanti modi che invadono ilnostro mondo quotidiano (si pensi all'ormai celeberrimo selfie). L’autoritratto pittorico, così
come la firma, rivela l’inesorabile allontanamento dell’artista dal suo status di artigiano, la
rivendicazione del suo ruolo creativo. Un'orgogliosa affermazione di sé: io ho fatto questo.
L'autoritratto è un genere che affascina proprio per la sua capacità di sostituirsi alla
persona di cui è copia, non tanto, o non solo, in riferimento ai tratti somatici, quanto al
pensiero, alla psicologia della persona, che risponde al bisogno di affermazione del sé.
La serie degli autoritratti di Rembrandt, dipinti o incisi, singoli o iN gruppo, ci costringono
ad affrontare il tema dell’autorappresentazione dell’artista e al suo eventuale rapporto con
il dilagare contemporaneo del selfie, l’“autoscatto” destinato alla pubblicazione sui social
network.