Roman politics Research Papers - Academia.edu (original) (raw)

I fenomeni posti al centro dell’analisi corrispondono alle vicende del “falso Gracco” e del “falso Mario” e in certa misura, a quella del giovane Ottaviano. Di questi fenomeni, caratterizzati da un contestato richiamo onomastico e da una... more

I fenomeni posti al centro dell’analisi corrispondono alle vicende del “falso Gracco” e del “falso Mario” e in certa misura, a quella del giovane Ottaviano. Di questi fenomeni, caratterizzati da un contestato richiamo onomastico e da una intensa partecipazione popolare, la storiografia moderna ha genericamente offerto una valutazione ricalcata sulla rappresentazione offertane dalle tradizioni antiche, le quali in età imperiale (in particolare augustea) finirono per elaborare una vera e propria fenomenologia della “frode onomastica”: una lettura incentrata sulla condanna morale dell’inganno, inteso come illecito tentativo di arrampicamento sociale o come fraudolento accaparramento ereditario del patrimonio materiale o morale del presunto antenato. Nella nostra analisi invece l’osservazione è slittata dalla ricerca delle motivazioni psicologiche o sociali del supposto truffatore allo studio delle ragioni che indussero settori della collettività a lasciarsi “ingannare” ed anzi a supportare vigorosamente la presunta impostura. Un approccio simile a quello sviluppato a partire da Y.M. Bercé negli studi di storia medievale e moderna; ma con le dovute differenze, dettate non solamente dalla diversità di documentazione. Le vicende dei “falsi” Gracco e Mario risultano infatti solo in parte abbinabili a quelle dei classici usurpatori al trono, moderni ma anche antichi: diversamente dai re scomparsi o dagli imperatori rimpianti, Tiberio Gracco e Gaio Mario junior (e in parte persino Giulio Cesare, al momento dell’assunzione del suo nome da parte del giovanissimo Gaio Ottavio) non sono sovrani di cui raccogliere l’eredità patrimoniale e il carisma regale, ma leader politici vinti, sconfitti, con le proprietà confiscate e la memoria ufficialmente condannata. Il lavoro è strutturato in due sezioni: la prima sostanzialmente teorica e metodologica, la seconda di ricostruzione storica. Nel primo capitolo, destinato a illustrare il dibattito storiografico relativo alla partecipazione popolare alla vita politica romana in età tardo repubblicana, si sottolinea come la polarizzazione fra sostenitori e negatori del carattere democratico della costituzione repubblicana possa essere superata a partire dall’osservazione delle mutate condizioni della vita politica contemporanea, che inducono a evidenziare il peso di alcuni elementi generalmente trascurati nella ricostruzione delle dinamiche della lotta politica antica. Uno di questi elementi è costituito dal senso di identità, inteso come fattore aggregante: una identità costruita non sui programmi né sulle ideologie ma sostanzialmente sulla condivisione della memoria di alcuni eventi traumatici percepiti come ingiusti e necessari di riparazione. Per ragionare su queste identità si è fatto ricorso anzitutto all’armamentario, ormai consueto fra gli storici, della sociologia della memoria. Tuttavia rispetto all’approccio abituale negli ormai cospicui studi sulla Roma repubblicana, sostanzialmente riservati all’analisi della relazione fra istituzioni, memoria e collettività, e che sembrano presupporre l’esistenza di una cultura politica unitaria, condivisa universalmente e senza riserve da tutta la cittadinanza, si è partiti dalla ipotesi dell’esistenza di una pluralità di memorie collettive: memorie “di parte” (testimoniate ad esempio dalle antitetiche tradizioni relative alla morte di Scipione Emiliano) e sommerse, di cui gli episodi analizzati testimonierebbero sintomaticamente un forte radicamento. Il ricorso alla categoria di “identità” ha consentito inoltre l’utilizzazione della griglia interpretativa dei fenomeni di partecipazione politica elaborata dalla politologia novecentesca in cui una parte significativa del valore dell’impegno politico viene spiegata in termini di “espressività”, “affettività”: in poche parole la partecipazione come atto di semplice autoaffermazione di un gruppo rispetto ad altri gruppi rivali o alla collettività, indipendentemente dalla efficacia e dalla natura dei risultati ottenuti. Un altro aspetto innovativo di questo approccio risiede nell’idea di poter pensare queste identità nei termini elaborati dalla psicologia politica contemporanea, cioè come identità al tempo stesso “volatili” e “latenti”, cioè come identità conviventi con altre identità (anche con esse conflittuali) e non sempre predominanti, ma particolarmente sollecitabili in determinanti frangenti di fibrillazione politica. La salienza, cioè la prevalenza di una particolare identità sulle altre, è di conseguenza da leggere come espressione di uno specifico contesto e non solo come risultato di logiche manipolatorie messe in atto dai leader politici. In questo quadro si è adottata la possibilità che l’efficacia politica dei richiami onomastici analizzati (cioè il richiamo al nome di Gracco, quello a Mario e parzialmente quello a Cesare) sia da valutare in termini di sollecitazione identitaria. Si è ipotizzato cioè che in casi come questi, in cui l’onomastica evocasse personaggi assurti al rango di figure di ricordo della memoria collettiva di almeno alcuni settori della popolazione, il nome potesse svolgere una funzione di storytelling, un sorta di micro-racconto, di autorappresentazione attraverso il richiamo alla storia di quel personaggio associato, nella memoria collettiva, al nome stesso. In questo modo l’onomastica, almeno in questi specifici casi, si è potuta presentare come una sorta di scorciatoia cognitiva, in grado di risvegliare un feedback emotivo nella collettività. Ampio spazio è stato poi riservato alla illustrazione della duttilità del sistema onomastico romano, sulla cui funzione comunicativa si è insistito a fondo, segnalando in particolare la capacità di autorappresentazione pubblica espressa dall’assunzione di determinati nomi. Si è chiarito poi che l’impatto di una onomastica caricata di significato storico e politico (i “nomi pesanti”) gravasse non solo sul suo portatore (indotto ad attenersi ai paradigmi comportamentali inscritti nel nome stesso della sua famiglia, come nel ben noto caso di Bruto) ma anche sul resto della cittadinanza, almeno nei casi in cui il nome si collegasse a personaggi la cui storia rivestisse un ruolo significativo nel ricordo collettivo. Naturalmente si è rilevato come non tutte le assunzioni di “nomi pesanti” comportassero l’attivazione di un richiamo forte all’identità connessa nella memoria collettiva al nome stesso: affinché questo succedesse risultava infatti necessario dar vita a un complesso coerente di atteggiamenti e comportamenti pubblici espressamente ed evidentemente indirizzati a marcare la continuità col personaggio evocato nella propria onomastica; occorreva insomma “indossare il nome”. La seconda parte del lavoro presenta l’esplorazione delle identità politiche cresciute sul ricordo di esperienze traumatiche epocali (nella fattispecie la repressione antrigraccana degli ultimi anni Venti del II sec. e poi la guerra italica con l’annessa guerra civile degli anni Ottanta) e dei personaggi che ne avrebbero incarnato la memoria: Tiberio Gracco e Gaio Mario. Si tratta di uno degli contributi più originali di questa ricerca. Anzitutto si è ripercorso il processo di “semantizzazione” dei nomi di Tiberio Gracco e di Gaio Mario sr, per ricostruire il modo e i tempi con cui nella memoria collettiva di alcuni settori della società romana il ricordo e la percezione di questi personaggi, e delle loro vicende, abbia man mano riadattato i propri connotati a quello che è sembrato poter essere identificato come uno specifico modello, un frame, una cornice interpretativa particolare: quella cioè del campione popolare ucciso e umiliato dalla nobilitas arrogante, e rimasto invendicato. Un ruolo particolare nella genesi di questi processi è stato individuato nella rappresentazione di se stessi offerta rispettivamente da Gaio Gracco e Gaio Mario jr, i quali sembrano essersi adoperati da un lato a “martirizzare” le figure dei loro omonimi predecessori (Tiberio Gracco, Gaio Mario sr), dall’altro a farsene doppioni, creando una vera e propria sovrapposizione di immagini. ¬Dal punto di vista della comunicazione politica questo snodo costituisce il momento di nascita, o per meglio dire di attivazione delle identità: la mobilitazione emotiva delle folle sollecitata attraverso il racconto della tragica storia del predecessore evocato tramite la semplice identità onomastica. È questo il significato che si può attribuire alla diffusione del contenuto del famoso sogno premonitore di Gaio Gracco, attorno al 125 a.C.; e ugualmente alla leva di massa sponsorizzata da Mario jr nell’82 a.C. Fondamentale per la valutazione dei meccanismi di aggregazione identitaria risulta a questo proposito la negazione, per i primi decenni del I sec. a.C., del carattere di affiliazione clientelare fra gli imperatores e i loro soldati e veterani, affiliazione supposta da alcuni moderni sulla scorta di testimonianze letterarie cronologicamente posteriori, il cui giudizio appare orientato dall’esperienza delle più tarde guerre civili. Infine si è cercato di ricostruire lo sviluppo evenemenziale delle vicende dei due supposti truffatori. In definitiva il risultato più significativo della ricerca può essere considerato il riconoscimento dell’esistenza di processi di mobilitazione a carattere identitario, distinti (anche se talvolta intrecciati) da altri meccanismi di partecipazione, in particolare da quelli legati direttamente o indirettamente alla irregimentazione clientelare (su cui ha tanto insistito la storiografia “prosopografica” e in genere quella meno incline a valorizzare gli aspetti “democratici” della vita politica romana). Queste mobilitazioni non sembrano peraltro trovare sfogo esclusivo nei momenti istituzionalizzati di partecipazione politica ma tendono a manifestarsi anche in forma “espressiva”.