Ryoji Ikeda Research Papers - Academia.edu (original) (raw)

Nel volume Il trucco e l’anima, ormai un classico di Angelo Maria Ripellino, l’autore indaga le prime regie del teatro d’Arte di Mosca ponendo l’accento sul “puntinismo sonoro” e sull’intensità delle “invenzioni acustiche” di... more

Nel volume Il trucco e l’anima, ormai un classico di Angelo Maria Ripellino, l’autore indaga le prime regie del teatro d’Arte di Mosca ponendo l’accento sul “puntinismo sonoro” e sull’intensità delle “invenzioni acustiche” di Stanislavskij. Le progressioni sonore quindi non paiono trascurabili durante il crepuscolo del teatro di regia, poi nel corso del secolo, attraverso percorsi a volte inusitati, la materia sonora dello spettacolo (voci, rumori, musiche, suoni e anche silenzio) ha sostenuto, a volte, altre contrappuntato l’aspetto visivo dell’opera.
Negli ultimi decenni, quelli di un XXI secolo in cui il paesaggio sonoro quotidiano (per dirla con riferimento a Murray Schafer) è indubbiamente mutato, la manipolazione dei materiali sonori e il progresso tecnologico-digitale ha permesso la costruzione di imponenti architetture sonore della scena.
Vogliamo analizzare quei lavori in cui il suono non si limita ad accompagnare le immagini, ma inaugura un percorso alternativo attraverso cui costruire e ri-costruire l’opera.
Le pratiche sceniche contemporanee diventano il terreno in cui molti artisti, sound designer, registi usano il suono come strumento che attiva la sensibilità estetica dello spettatore, riflettendo insieme sulla natura fenomenologica del suono stesso. Nel campo della filosofia delle percezione, ad esempio Casati e Dokic hanno riflettuto sull’esperienza uditiva in relazione allo spazio, evidenziando tre gruppi di teorie: quelle distali per cui il suono è la vibrazione stessa dell’oggetto che lo ha prodotto; le teorie mediali che localizzano il suono come onda sonora e lo collocano nell'aria (o in un altro mezzo di propagazione); le teorie prossimali per cui il suono è nel sistema uditivo di colui ascolta, o meglio è considerato come manifestazione interna e prossimale che avviene negli organi di senso (apparato uditivo) e nel nostro cervello. Attraverso alcune di queste suggestioni possiamo dunque riflettere su alcuni lavori che prenderemo come case studies: pensiamo ad esempio al neo-primitivismo digitale di cui parla Black Fanfare (Demetrio Castellucci, compositore di Dewey Dell) che in uno degli ultimi spettacoli, I’m within (2017), ha lavorato sulla materialità del suono a partire dal mondo acquatico, in particolar modo quello cetaceo, usando basse frequenze ben oltre la soglia del percettibile uditivo.
Altro caso è quello del compositore e artista giapponese Ryoji Ikeda che in Music for percussions (2018) abbandona l’energia acustica dei suoi lavori precedenti e invita lo spettatore a prendere parte a una liturgia in cui si passa dal silenzio a un magma acustico e sorprendentemente mobile, creato da quattro percussionisti in scena.
Attraverso alcuni di questi case studies proveremo a analizzare il ruolo della tessitura sonora come pratica attiva e creatrice del disegno registico del XXI secolo, facendo riferimento a un orizzonte di studi che negli ultimi anni sta conquistando una propria solidità.