The Nagorno Karabakh Conflict Research Papers (original) (raw)

Alla fine della Seconda guerra mondiale la geopolitica entrò in una fase di profonda crisi: lo stigma derivante dalla sua associazione ai regimi nazi-fascisti e il consolidamento di letture del sistema internazionale sempre più dominate... more

Alla fine della Seconda guerra mondiale la geopolitica entrò in una fase di profonda crisi: lo stigma derivante dalla sua associazione ai regimi nazi-fascisti e il consolidamento di letture del sistema internazionale sempre più dominate da piattaforme ideologiche contrapposte ne segnarono la sostanziale espulsione dal dibattito pubblico per decenni. In un contesto sempre più dominato dall’avvento di sistemi d’arma apparentemente in grado di annullare le distanze e da logiche binarie che tendevano a inscrivere la competizione tra i diversi attori del sistema-mondo all’interno di dinamiche prettamente bipolari sembrava non vi fosse più spazio per la disciplina geopolitica.
Pur con tutte le sue differenze, il 2020-2021, così pesantemente segnato dal diffondersi della pandemia di Covid-19 su scala globale, ha registrato un processo per certi versi simile: di fronte a un nemico invisibile che ci ha costretti per mesi a rimanere all’interno delle mura domestiche o di ben delimitati ambiti lavorativi, il fattore spaziale è sembrato divenire un elemento secondario, quasi accessorio, di un contesto internazionale congelato in una sorta di stasi. All’interno di un mondo apparentemente più piccolo e, al tempo stesso, più omogeneo perché accomunato dalla lotta a una minaccia comune e di proporzioni immani, la competizione geopolitica è parsa perdere di rilevanza, tanto da divenire sempre meno presente all’interno del dibattito pubblico.
Eppure, così come avvenuto in passato, essa non ha cessato di influenzare le dinamiche e gli equilibri globali. Per quanto sempre più distante dalle prime pagine dei giornali, l’agone geopolitico ha continuato a esercitare i propri effetti, in alcuni casi con ancora maggior intensità rispetto al passato, determinando con il proprio moto perpetuo la vita e le possibilità di intere comunità.
È anche sulla base di tali considerazioni che il presente volume si inscrive all’interno di quella che per oltre undici anni è stata la missione prima del Centro Studi Internazionali di Geopolitica: gettar luce su quei processi che più contribuiscono a definire gli equilibri del sistema internazionale e alimentare un dibattito pubblico che, purtroppo, pare sempre più appiattito su logiche legate a interessi estemporanei e limitati a orizzonti di breve (se non brevissimo) periodo.
Il trait d’union che lega i nove contributi di questa raccolta è la volontà di guardare a teatri di crisi e fenomeni destabilizzanti con un approccio non appiattito sul momento, ma capace di orientarsi all’interno di coordinate spazio-temporali ampie e profonde.
Muovendo da tali premesse, il volume si apre con un saggio dedicato all’Afghanistan: nella sua analisi il Gen. Giorgio Battisti delinea quei fattori che contribuiscono in misura significativa a rendere il Paese uno dei teatri operativi più difficili e complessi al mondo, soffermandosi sui rischi che il ritiro delle forze internazionali potrebbe comportare.
Il secondo capitolo di Federico Borsari si sofferma sulla città contesa di Kirkuk, in Iraq, ricorrendo a una prospettiva diacronica in grado di mettere in luce gli interessi e le rivendicazioni dei principali attori coinvolti, così come l’evoluzione di una disputa che da decenni rende il territorio in esame uno degli hotspot più significativi del panorama mediorientale e internazionale.
Michele Brunelli, invece, guarda alla escalation militare che è tornata ad infiammare il “giardino nero” del Caucaso, la regione del Nagorno-Karabakh, ricorrendo a una visione di lungo periodo che affonda le proprie radici in epoca zarista e che punta a evidenziare gli elementi di continuità e di discontinuità di una questione capace di unire in un gioco di ombre in costante evoluzione attori locali, regionali e internazionali.
Nel quarto capitolo, Lucia Castelli ci offre uno spaccato su un mondo che gioca un ruolo determinante all’interno dei contesti di crisi: quello delle organizzazioni non-governative impegnate in attività di sostegno delle popolazioni locali. Ripercorrendo alcuni tra i momenti più significativi della sua esperienza sul campo, la Dott.ssa Castelli ci permette di aprire gli occhi su fenomeni, dinamiche e realtà che sovente tendono a essere presentate come marginali rispetto all’agone geopolitico, ma che – al di là della loro importanza specifica sul piano della solidarietà internazionale e della fratellanza universale - sono riconosciuti come sempre più determinanti dalla disciplina e dai suoi principali interpreti.
Con Lorena Stella Martini torniamo invece allo scenario iracheno. Questa volta, però, oggetto di analisi non è una disputa relativa a uno specifico territorio, ma il movimento di protesta che ha investito buona parte dell’Iraq centro-meridionale a partire dalla seconda metà del 2019. Ricorrendo a una prospettiva che interseca le dimensioni micro, meso e macro, il capitolo esamina le ragioni che hanno spinto milioni di persone a sfidare un sistema di potere accusato di essere lontano anni luce dalle istanze della popolazione e di essere profondamente influenzato da attori e interessi esterni al contesto iracheno.
Nel suo capitolo, Aldo Pigoli si sofferma su un continente, quello africano, che continua a essere profondamente segnato da nuovi e vecchi conflitti. Proprio questi ultimi sono al centro delle considerazioni dell’autore, che, dopo aver delineato le tradizionali classificazioni impiegate per descrivere il fenomeno, si sofferma sui suoi trend più significativi e sulla natura sempre più complessa e articolata delle sue crisi.
Il settimo contributo guarda all’evoluzione interna alla galassia jihadista a distanza di venti anni dagli attentati dell’11 settembre 2001, soffermandosi sulle pesanti sconfitte subite dal movimento e sulle sue divisioni interne, ma anche sulla straordinaria resilienza di un fenomeno che rischia di continuare a influenzare per decenni a venire le vite di ognuno di noi.
La Siria è invece oggetto dell’analisi di Mauro Primavera. A essere scandagliati, però, non sono tanto gli obiettivi, il modus operandi o le responsabilità degli attori coinvolti sul campo di battaglia, ma il peso specifico giocato dalla crisi idrica che ha investito il Paese ben prima dello scoppio della guerra civile; un aspetto, questo, che evidenzia ancora una volta la complessità di un teatro di scontro che dopo dieci anni è ancora ben lungi dall’essere pacificato
A chiudere il volume è il saggio di Francesco Salesio Schiavi che completa il trittico dedicato all’Iraq. L’autore, ricorrendo a un’analisi di stampo storico-politico, esamina il ruolo giocato dalle crisi che investirono il sistema iracheno alla fine del secolo scorso sui delicati equilibri identitari del Paese, soffermandosi in particolare sulle conseguenze che esse produssero all’interno di una comunità arabo-sciita sempre più consapevole della propria specificità e del proprio peso specifico all’interno della “terra dei due fiumi”.