Theophanes Research Papers - Academia.edu (original) (raw)

Questo libro ricostruisce la vicenda esistenziale e intellettuale di Ipazia e il suo Nachleben moderno, applicando il rigore documentativo dello studio scientifico (si veda in appendice la “Documentazione ragionata”, di ampiezza pari a... more

Questo libro ricostruisce la vicenda esistenziale e intellettuale di Ipazia e il suo Nachleben moderno, applicando il rigore documentativo dello studio scientifico (si veda in appendice la “Documentazione ragionata”, di ampiezza pari a quella del testo principale, sorta di “libro nel libro”) a un testo destinato anche a un’utenza colta non specialistica oltre che alla didattica universitaria. Il titolo, volutamente provocatorio, fa riferimento alla “storia falsa” di canforiana memoria, come del resto l’intero impianto concettuale e metodologico della trattazione. Nella prima sezione (Chiarire i fatti) vengono raccolte e filologicamente discusse le più rilevanti notizie sulla vita e sulla morte di Ipazia fornite dalla totalità delle fonti antiche, pagane e cristiane. Dell'assassinio di Ipazia dovevano infatti coesistere in origine due versioni, una pagana e l'altra cristiana, entrambe presenti in duplice variante, più moderata e più radicale. Nei tre secoli che si interpongono tra gli eventi e il formarsi, dopo la conquista araba, della tradizione storica propriamente bizantina, una delle narrazioni cristiane, la Cronaca di Giovanni di Nikiu, a sua volta dipendente da una vulgata più antica interna alla chiesa copta e marcatamente filocirilliana, andò perduta all'occidente per conservarsi solo nella tradizione orientale in una tarda versione etiopica. La versione cristiana più moderata, ma sgradita all’opinione ecclesiastica occidentale dominante, è quella di Socrate Scolastico, la cui Storia nel caso in questione è probabilmente conforme al punto di vista della chiesa centrale bizantina. Si tramandano per mezzo di Suida entrambe le narrazioni pagane, quella di Esichio di Mileto e quella di Damascio. A una delle varianti della versione pagana, quella di Damascio, si connette inoltre, fin nella genesi della tradizione manoscritta, quella di Filostorgio, ariano e in quanto tale anticirilliano, il cui testo è conservato in ampi frammenti dalla Biblioteca di Fozio. Da un ulteriore filone tradizionale bizantino sembra dipendere, al tempo di Giustiniano, la Cronaca di Giovanni Malala, vicina al clero di corte ma soprattutto alla chiesa di Antiochia, abitualmente ostile a quella di Alessandria. Il resoconto offerto da Malala individua in Cirillo, come fa Socrate, il diretto mandante dell'assassinio e il suo responsabile morale, ma attinge probabilmente a fonti sue proprie, concordi con Socrate quanto alla colpevolezza del vescovo ma a conoscenza di dettagli che mancano tanto in Socrate quanto in Suida-Damascio. La versione più diffusa a Bisanzio resterà quella di Socrate: cristiana ortodossa, più cauta nei termini di quelle pagana e cristiano-ariana, lievemente diversa da quella cui attinge Malala, ma ugualmente anticirilliana. Lo stesso orientamento trasparirà dalle testimonianze bizantine successive, che però aggiungeranno via via elementi utili tratti dalle fonti pagane. Dalle notizie del quinto e sesto secolo, dal loro influsso e dalla loro tradizione manoscritta, che appare ramificata più di quanto in genere la si consideri, derivano, durante l'iconoclasmo, la stringata menzione dell’assassinio nella Cronaca di Teofane; nel nono secolo la posizione nettamente colpevolista di Fozio, che recupera Damascio oltreché Filostorgio; nel decimo, Suida, che recupera almeno Damascio ed Esichio; nel quattordicesimo, Niceforo Callisto Xantopulo, che dipende direttamente da Socrate Scolastico. Dall’esame di queste fonti, unito a quello di altre testimonianze contemporanee oltreché dell’Epistolario di Sinesio, emerge un quadro complesso degli equilibri e dei conflitti sociali e politici dell’Alessandria del IV-V secolo, che impedisce di ridurre la vicenda dell’assassinio di Ipazia a uno scontro tra paganesimo e cristianesimo. Tuttavia, proprio questa semplificazione ideologica, questa polarità tra Ipazia “martire” e Cirillo “vescovo-carnefice”, ha dominato a lungo il pensiero europeo. La seconda sezione del libro (Tradire i fatti) è dedicata all’oltrevita della figura di Ipazia, attualizzata, mistificata, comunque trasformata, a seconda delle epoche, delle correnti culturali e religiose, di volta in volta in icona laicista, eroina romantica, addirittura martire cristiana. Ma forse ancora più rivelatrice, per la storia del pensiero politico, è la ricezione della figura di Cirillo. Se il governo ecclesiastico cirilliano tendeva a imporre una continua ingerenza giurisdizionale rispetto al prefetto Oreste e al governo centrale romano-costantinopolitano —un'erosione del potere statale da parte di quello ecclesiastico paventata dalle aristocrazie alessandrine (pagane come cristiano-moderate) di cui era portavoce Ipazia —, la condanna o l'esaltazione del terribile vescovo fanno da cartina tornasole della posizione che ciascuno storico o interprete letterario assume rispetto al rapporto stato-chiesa. Questo fin dalle fonti antiche e poi durante tutto l'oltrevita storiografico di Ipazia: dalla Controriforma, che addirittura, per salvare Cirillo, arriverà a screditare una fonte primaria come Socrate Scolastico, fino alla letteratura postrisorgimentale e massonica, dove il costituirsi di Ipazia quale icona laicista si intreccia strettamente con il dibattito sul papa-re. Alle numerose, più o meno consapevoli deformazioni stratificatesi attraverso i secoli reagisce la terza sezione (Interpretare i fatti). Ipazia non fu una “martire laica”, né un “Galileo in gonnella” punito dalla chiesa per le sue scoperte scientifiche, né tanto meno una protoicona femminista. Se è vero che il conflitto in cui si trovò coinvolta fu quello — eterno, e trasversale alle stesse classi alte pagane, in gran parte cristianizzate soprattutto dopo i decreti teodosiani — fra integralismo e moderazione, dogmatismo e apertura di pensiero, è altrettanto vero che Ipazia fu una figura carismatica, sacerdotale, di orientatrice di coscienze e di “iniziatrice” agli insegnamenti esoterici del platonismo: una “donna-filosofo”, purché per philosophia si intenda quel particolare rapporto tra la donna e la sfera del sacro, del sovrarazionale, che è tipico della spiritualità tardoantica. Ipazia è l'emblema del fervore intellettuale del platonismo “eclettico” che dominava l’Alessandria del V secolo e che non cessò dopo il suo “martirio”, ma anzi fu il presupposto e la soglia di una fioritura che sarebbe durata per tutto il millennio bizantino.