Utopianism Research Papers - Academia.edu (original) (raw)

«In un mondo nuovo, diverso da questo»: il porto dell'Utopia Giova, soprattutto in tempi di crisi, riflettere sulla storia intellettuale, culturale e politica dell'Utopia. Quel "non luogo" proiettato di volta in volta in un remoto... more

«In un mondo nuovo, diverso da questo»: il porto dell'Utopia Giova, soprattutto in tempi di crisi, riflettere sulla storia intellettuale, culturale e politica dell'Utopia. Quel "non luogo" proiettato di volta in volta in un remoto passato, in un futuro indistinto, finalmente in luoghi diversamente esotici: l'Oriente dall'arcana, antichissima sapienza, o l'Occidente estremo, l'America, nuovissimo orizzonte tanto più idealizzato, quanto meno conosciuto; ove non vi è sapienza ma evidenza, quella della molteplicità di società "naturali"-con le dovute ma non piccole eccezioni di imperi complessi come quello Azteco e Incas, o quello morente dei Maya-ognuna alla fine diversa dall'altra, fatte da "selvaggi" in modo affatto manicheo divisi tra "buoni" e cattivi", da interessati interpreti occidentali, assai spesso, se non sempre, in possesso di informazioni estremamente parziali. Dopo un anno di malattia, stranito ed estraniante, ci pare già-o pare tale, quantomeno, ad alcuni soltanto-"età dell'oro" lo status quo antea, non un passato mitico e arcano, ma l'inizio dell'anno 2020, forse fino al 24 febbraio, e tutto o quasi il tempo che quel giorno ha preceduto. L'utopia è narrativa estesa, o formulazione icastica, di una promessa di felicità: realizzata, o da realizzarsi, e da realizzarsi proprio perché una volta, "tanto tempo fa" effettivamente, si è realizzata: e non felicità individuale-e qui comincia il problema, o forse la tragedia-ma felicità collettiva, di una società, di uno Stato, del mondo intiero, finalmente. Ogni favola che inizia con «C'era una volta» fa sognare il bimbo, che intende «Ci sarà ancora». L'Utopia come"self-fulfilling prophecy", vive nella tensione, quasi una bipolarità, tra l'universo del meramente fantastico, della pura letteratura, della fantascienza (poi declinata nell'infelice lemma «fantapolitica»), da una parte, e dall'altra, quello degli ingegneri sociali e politici che vogliono effettivamente realizzare la "società perfetta" da quel "legno storto" che è l'uomo, come bene intuirono Voltaire e Kant (il quale ultimo peraltro un'utopia e non piccola abbozzò, nel suo sogno di governo mondiale, antica eredità dantesca tra l'altro, qui deprivata di contorni teologici, anche se non del tutto, come appare nel progetto di pace perpetua-Zum ewigen Frieden-del 1795, scritto in un'Europa all'inizio delle tragiche devastazioni apportate dalle guerre rivoluzionario-napoleoniche, iniziate nel 1792, e che termineranno solo nel 1815). Molto opportunamente Girolamo Imbruglia-studioso dalla lunga esperienza, autori di sostanziali lavori tra cui quello dedicato ad una comunità utopica "realizzata", le comunità gesuitiche in Paraguay (The Jesuit Missions of Paraguay and the Cultural History of Utopia, Brill 2017), ha appena pubblicato presso Carocci Utopia. Una storia politica da Savonarola a Babeuf, scritto che riprende tra l'altro numerosi temi aperti nel libro del 2017. Un libro che ha tra gli altri meriti quello di ridefinire i terminus post ed