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****FLORIN WEBSITE AWEBSITE ON FLORENCE © JULIA BOLTON HOLLOWAY, AUREO ANELLO ASSOCIAZIONE, 1997-2024: ACADEMIA BESSARION || MEDIEVAL: BRUNETTO LATINO, DANTE ALIGHIERI, SWEET NEW STYLE: BRUNETTO LATINO, DANTE ALIGHIERI, & GEOFFREY CHAUCER || VICTORIAN : WHITE SILENCE: FLORENCE'S 'ENGLISH' CEMETERY || ELIZABETH BARRETT BROWNING || WALTER SAVAGE LANDOR || FRANCES TROLLOPE || ABOLITION OF SLAVERY || FLORENCE IN SEPIA || CITY AND BOOK CONFERENCE PROCEEDINGS I, II, III,IV,V,VI,VII,** VIII,IX, X || MEDIATHECA 'FIORETTA MAZZEI' || EDITRICEAUREO ANELLO CATALOGUE || UMILTA WEBSITE || LINGUE/LANGUAGES:ITALIANO,ENGLISH || VITA New: Opere Brunetto Latino || Dante vivo || White Silence **Version in English**Search terms: Akbar, Alexander, Amritsar, Arbuthnot, Arno, Aylmer, BACSA, Bangladesh, Bengal, Blagden, Bourke-White, British Raj, Capponi, Cascine, cemetery, China, cityness, Clive, cotton, cremation, Dalrymple, Dante, Delhi, de Morgan, Dickens, Doctrine of Lapse, East India Company, Famine, Florence, Forster, Gandhi, Garrow, Gough, Hearsey, Hindu, India, khadi, Kolhapur, Kolkata, Lancashire, Landor, lion, mathematics, Madras, massacre, Meerut, Morris, Mountbatten, Mughals, Mugnone, Mumbai, Muslim, Mutiny, Naini Tal, Nehru, obelisks, Orientalism, Owlpen, Pakistan, Parsi, Partition, Pre-Raphaelite, Proust, pyramids, Red House, restoration, Rogers, Rolland, Roma, Ruskin, Sanskrit, Shelley, Shivaji, Spiritualism, Stibbert, Strachey, Tagore, tea, Theosophism, Tolstoy, Trollope, Turner, Urdu, Viceroy, Victoria, Wilde
LA CITTA' E IL LIBRO X, FIRENZE E INDIAFIRENZE, 15 APRILE, DELHI, 23 APRILE, 2023
PROGRAMMA
Chieda invito Zoom da Julia Bolton Holloway, juliananchoress@gmail.com15 April, Saturday, Accademia delle Arti del Disegno, via Orsanmichele 4, Florence
European time (Londra un ora in anticipo, Delhi, 3½ ore più tardo):
8,45 Registration
9,00-9,15 JBH, Introduction in Italian, but circulated in English
9,15-10,15 Victorian Florence, Victorian India
Z Sriram Rajasekaran, Rogers, Ruskin, Tolstoy, Proust, Gandhi
Z Nicholas Havely, Joseph Garrow
10,30-12,00 Queen Victoria
Isa Blagden of Bellosguardo and Robert Lytton, first Viceroy of India - Elena Giannarelli, in Italian
Domenico Savini, Queen Victoria and India, in Italian
Gabriella Del Lungo, Lytton Strachey’s Queen Victoria
Pranzo, 12,00-2,30 al Monumento del Principe indiano nelle Cascine
2,30-3,30 John Ruskin and Oscar Wilde
Rita Severi, Oscar Wilde, Florence and India
Z Sir Nicholas Mander, Ruskin and Mountains
3,45-4,45 Cityness
Francesca Ditifeci, Cityness
Z Arjun Shivaji Jain, Mornings in Delhi
5,00-6,30 Restoration
Amina Anelli, The Tomb of the Indian Prince, in Italian
Z Dr Rosie Llewellyn Jones, The Indian Memorial, Florence
Z Dr Peter Burman, Historic Burial Grounds
Cena al Crown of India, via Faenza, 102-104
23 April, Sunday, Red House, Delhi
European time (Londra, un ora in anticipo; Delhi, 3½ ore più tardo):
Z 11,30-12,00 Introductions by Arjun Shivaji Jain and Julia Bolton Holloway
Z 12,00-12,30 The Lion in Florence and India -Marialaura Pancini
Z 12,45-13,15 Rabindranath Tagore’s Masculinization of the Motherland -Pritha Chakraborty
Z 13,15-13,45 Ruskin and his Tuscan Sybil, Francesca Alexander - Emma Sdegno
Z 14,00-13,30 The Pre-Raphaelites and Florence - Nic Peeters
Z 14,20-15,00 Restoration by India’s Diaspora, the Roma - Daniel- Claudiu Dumitrescu
ATTIITALIA
15 aprile, Firenze, Accademia delle Arti del Disegno, via Orsanmichele, 4INTRODUZIONE
****** Firenze e India - Julia Bolton Holloway Dedichiamo questo convegno non solo a Giorgio La Pira e Fioretta Mazzei, come in passato, con i nostri precedenti nove convegni Città e Libro, anche ai ricordi di Maurizio Bossi del Gabinetto Vieusseux e dell'Accademia delle Arte del Disegno e del Marchese Gabriel Venturi Ginori Lisci y Borbon.1 Che i loro nomi siano una benedizione per noi e per questi Atti. Siamo molto grati al Comune di Firenze che ha restaurato la tomba del Principe indiano, e alla più antica Accademia, l'Accademia di Belle Arti del Disegno, e alla sua Presidente, Cristina Acidini, per aver ospitato questa conferenza, al Museo Stibbert per averci mostrato la sua bottino imperiale raccolto insieme qui a Firenze, al Trollope Society e in particolare alla Gilda di San Giorgio di John Ruskin dove ho incontrato il collega Compagno – via Zoom – Arjun Shivaji Jain di Delhi e la sua Casa Rossa, modellata sui principi di John Ruskin, William Morris, Mahatma Gandhi e Lev Tolstoy, che è il nostro co-organizzatore. Invece di costringere l'India a renderci omaggio, qui rendiamo omaggio all'India e alla sua antica civiltà, mentre ci scusiamo per l'imperialismo britannico che ha fatto così tanto male all'India, all'Irlanda e alle Americhe con le sue pratiche di proprietari terrieri inglesi che tormentano gli inquilini irlandesi, la schiavitù degli africani nel Nuovo Mondo e lo spargimento di sangue e la carestia del subcontinente indiano.
Mio padre aveva trascorso gli anni Trenta in India, era biografo e amico di Gandhi e coprì la
*Salt March to Dandi per il Times of India, di cui era redattore. *Oltre a The Tragedy of Gandhi, che scrisse quando Gandhi era in prigione, scrisse anche Peasant and Prince, e scelse per la mia madrina un David di Mumbai, Florence Shepherd. Da bambino ero scherzosamente fidanzato con un Rajah che stava con noi nel Sussex e ho fatto tesoro della palla e della coppa intagliate a mano che ci ha regalato. L'indipendenza dell'India è stata dichiarata quando avevo otto anni ed ero incollato alla radio ascoltando *Nehru e Mountbatten, e correvo in lacrime dai miei genitori ogni volta che leggevo sui giornali dei digiuni di Gandhi. Ma non ho mai visitato l'India. Per me era sia questo luogo esotico da favola, tutto l'Orientalismo di Edward Said, ma anche la tragedia della sua terribile divisione tra indù e musulmani. *Le suore della scuola del mio convento anglicano insegnavano all'Anglican All Saints College for Girls di Naini Tal, la mia Madre Fondatrice le mandò in India passando per Firenze, dove comprarono grandi album di fotografie Alinari e Brogi per insegnare l'arte fiorentina, album che ora hanno, e molte delle nostre studentesse sono nate in India parlando le sue lingue. Alla mia scuola è andata anche Dame Joanna Lumley, che difende sempre ferocemente i Gurkha che furono sempre fedeli agli inglesi che poi furono disposti ad abbandonarli all'apolidia. Da adolescente ho letto Home to India di Santha Rama Rau sulla sua vita da adolescente dopo un'istruzione inglese, tornando in patria e trovando il fascino dell'indipendenza dell'India del tessuto khadi dei suoi genitori che indossava ormai offuscato, ma incontrando Rabindranath Tagore sul suo ashram, in Kashmir ascoltando le canzoni dei produttori di stoffe e trovando gli scolari molto più vivaci nella loro scrittura in bengalese che in un inglese imperiale pomposo. Il suo titolo inverte Passage to India di E.M. Forster, autore anche di A Room with a View, su Firenze. Poi ho incontrato su Zoom un compagno della Gilda di San Giorgio di John Ruskin, Arjun Shivaji Jain, il cui nome, Shivaji, celebra l'antenato del diciassettesimo secolo del nostro principe indiano che aveva resistito con successo sia ai moghul musulmani che agli inglesi cristiani.
In primo luogo in questa conferenza stiamo celebrando il
*restauro di Rajarama Chhatrapati, la tomba vittoriana del Maharajah di Kolhapoor alla confluenza dei fiumi Arno e Mugnone nelle Cascine di Firenze, Shelley aveva scritto sulle Cascine nel suo "Inno al vento dell'ovest". Il Maharajah è stato il primo principe indù regnante a visitare l'Inghilterra e l'Europa, dopo essere stato essenzialmente cresciuto agli arresti domiciliari e sotto un controllo molto stretto da parte degli inglesi. Visiteremo il monumento partendo da qui a mezzogiorno, per il pranzo, per poi rientrare per continuare la conferenza alle 14.30. * Ieri abbiamo visitato il Museo Stibbert, pieno di bottino imperiale, la ricchezza della sua famiglia guadagnata in India, e anche * il cosiddetto Cimitero inglese di proprietà svizzera con i suoi numerosi collegamenti con l'India.
Leggendo Il Diario del giovane principe provo una tristezza enorme.
È così compiacente con i suoi gestori militari britannici che sento che soccombe alla sua malattia mortale come unica libertà da loro, il 30 novembre 1870. *La Compagnia delle Indie Orientali, fondata nel 1600, controllava rigorosamente i Rajah, utilizzando la "Dottrina della Lapse", vietando ai principi di adottare o proclamare eredi, al fine di impossessarsi dei principati indiani. Il loro controllo dell'India per mezzo di eserciti privati fu trasferito al governo britannico nel 1858, * in seguito all'ammutinamento indiano del 1857, la Compagnia si sciolse nel 1874. * La carestia del 1876-78 sotto il viceré Robert Bulwer-Lytton, * l'Amritsar del 1919 Strage, *il 1947 Partizione sono immense tragedie imperiali/coloniali, l'ultimo atto vergognoso del Raj britannico è stato quello di adottare il concetto di Machiavelli dai romani di "divide et impera", in questo caso "divide e abbandona", separando indù e musulmani in paesi separati, l'India indù e il Pakistan musulmano e il Bangladesh, alla spartizione, che l'ha fatta a pezzi, contro la saggezza di Gandhi, provocando 14 milioni di persone sfollate come profughi dai loro stessi paesi e diversi milioni di morti nei massacri e per le difficoltà del viaggio. Il Risorgimento italiano l'ha unita; L'indipendenza dell'India l'ha divisa. Il Cimitero Inglese,* il Museo Stibbert* e la Tomba del Principe* rispecchiano la storia vittoriana dell'India, il suo "servizio" militare, medico e civile lì, per poi trovare rifugio qui in un clima più caldo di quello inglese. Uso il "servizio" in modo sarcastico, proprio nel modo in cui il principe Harry è arrivato a percepire il proprio servizio militare, che si tratta più di essere imperialisticamente omicida ed egoista che di collaborare alla pari con l'India. Ai fini di questa conferenza parliamo dell'India indivisa, prima della sua tragica spartizione. Questo è lo studio di un subcontinente conquistato di una civiltà profondamente antica che ha generato le nostre lingue, la matematica e la cultura indoeuropee.*Nel nostro Cimitero degli Inglesi a Firenze troviamo almeno 40 professionisti militari, medici e legali che approfittano dall'India, a volte con le loro mogli e figli presenti, poi si ritirano a Firenze. Ne parlerò qui alcuni, dopo averli visitati tutti ieri dopo la visita al Museo Stibbert. Il primo settore A del Cimitero ospita le tombe di * A14, Christopher Webb Smith, +1871, del Servizio Civile del Bengala, e sua moglie, 1862, a cui si deve in gran parte la costruzione della chiesa gotica della Santissima Trinità in via la Marmora , decorato dal preraffaellita, John Roddam Spencer Stanhope, di A26 Mary Phelps, 1865, cresciuto nel castello di Druminnor in Scozia e il cui marito prestò servizio nelle guerre napoleoniche e in India. Inoltre abbiamo la tomba di * A29, Walter Savage Landor, 1864, mentre sua moglie svizzera, che lo odiava, è ritratta in una statua a grandezza naturale che gli voltava le spalle sulla tomba del figlio nel Settore F, F128 Arnold Savage Landor, 1871 Perché Walter era innamorato di Rose Aylmer, la figlia di un conte, che era andata in India e vi era morta di colera dopo due anni, la sua tomba nel cimitero di Park Street a Kolkata con la sua poesia aggiunta ad essa nel 1910, *mi dice la BACSA, l'Associazione britannica dei cimiteri dell'Asia meridionale. Cimitero di Park St, Calcutta.
Ah, che giova la stirpe dello scettro!
Ah, qual è la tua forma divina!
Quante virtù, quante grazie!
Rose Aylmer, erano tutti tuoi.
Rose Aylmer, che questi occhi svegli
Può piangere, ma non vedere mai,
Una notte di ricordi e sospiri
Io ti consacro.
Si diceva che gli inglesi morissero in India dopo due monsoni. Charles Dickens ha detto di aver basato il personaggio di Lawrence Boythorn in Bleak House su Walter Savage Landor. Sepolto ora nello stesso cimitero di Calcutta c'è anche il figlio di Charles Dickens, figlioccio di Walter Savage Landor, che suo padre chiamò *Walter Savage Landor Dickens, poi lo spedì in India a 16 anni nel 1857 per servire nell'esercito indiano, che morì lì in debito nel 1864, senza mai tornare a casa. Anche un altro figlio di Dickens, Francis Jeffrey, andò in India nel 1863 per prestare servizio nei Lancieri del Bengala, poi in Canada. A37 SACRO ALLA MEMORIA/ DI/ JOHN BENNETT HEARSEY/ CAPITANO IN H.M.I. ESERCITO/ MORI' NELLA SUA VILLA PIAN D[EI GIU]LLAR[I]/ VICINO A FIRENZE/ 19 APRILE 1873/ La sua famiglia era profondamente coinvolta nella Compagnia delle Indie Orientali,2 si sposò spesso con i reali indiani, e potrebbe essere stato presente al Ammutinamento indiano a Meerut. Fu il suo parente, il *generale John Hearsey, a dare inizio a quell'ammutinamento indiano del 1857, che avrebbe posto fine alla Compagnia delle Indie Orientali, al governo britannico che avrebbe preso il controllo dell'India e Benjamin Disraeli che avrebbe proclamato la regina Vittoria sua imperatrice.2 *A49 Jane Gordon, 1876, i cui parenti facevano anch'essi parte della Compagnia delle Indie Orientali, come ufficiali in servizio nel suo esercito,3 lo stesso vale per A90 Sarah Elisabeth Gough. 1841, il cui marito, il secondo visconte Gough, prestò servizio a Madras, e che è imparentato per matrimonio con il nobile fiorentino Capponi.4 La sua tomba* fu la prima restaurata dal nostro Rom Daniel-Claudiu Dumitrescu (i cui antenati avevano portato le loro dall'India all'Europa mille anni fa). La famiglia Bankes era anglo-indiana di Calcutta, le loro tombe si trovavano sia nel settore A che in quello F, A82 Henry James Scott Bankes, 1869, e suo padre, A94 Henry Brookes Bankes, 1866, marito di F124 Amelia Watson Bankes, 1871, che era la figlia del *Vice-Ammiraglio Charles Watson, che è sepolto nel cimitero di San Giovanni a Kolkata, e la figlia, F125 Esther Susan Amelia Bankes, 1871. Allo stesso modo il fratello di A98 Elisa Maria Stisted Wood, 1855, Sir William Henry Stisted, prestò servizio in India.5 Mentre le tombe precedenti, ma ora riesumate, del padre, Thomas, 1847, e della sorella, Ermina, 1859, del colonnello Thomas Stibbert, si trovavano nel lotto più grande del nostro cimitero in A107.
Nel settore successivo, B, sono sepolti B16 Sir Grenville Temple, 1829, il cui parente *Richard Temple-Grenville era a Madras, e accanto a lui la bambina B17 Isabella Temple Bayley, 1853, il cui padre prestò servizio nella Cavalleria del Bengala. (Mio padre ha svolto il servizio militare nel Bombay Light Horse, possedendo il pony da polo, "Blue Nose", che aveva vinto la coppa più grande dell'India). B24 è Mary Kyd de Dornberg, 1872, il cui padre era il tenente generale Alexander Kyd degli ingegneri del Bengala ed era imparentato con il tenente generale Robert Kyd che fondò i giardini botanici a Calcutta e introdusse le piante di tè dalla Cina all'India. Wikipedia: 'Robert Kyd ha fatto richiesta nel suo testamento di essere sepolto senza alcuna cerimonia religiosa nel giardino botanico da lui fondato (Acharya Jagadish Chandra Bose Indian Botanic Garden), ma è stato invece sepolto nel cimitero di South Park Street. Ha anche lasciato pagamenti specifici da effettuare ai suoi servi nativi "Rajemahl Missah ... come punizione per l'educazione inadeguata che gli è stata data, comportando la separazione dal suo suolo nativo e dai suoi parenti. All'altro nativo conosciuto con il nome di George, in riparazione del danno fattogli dal suo ex padrone, alienandolo dalla sua tribù (intendeva Rajput), convertendolo al cristianesimo, e isolandolo da ogni futuro legame con la sua famiglia, la somma mensile di sei rupie durante la sua vita; ad entrambi a condizione che continuassero a servire il maggiore Alexander Kyd durante la sua residenza in India...». Il fratello di B31 Joseph Watson,1873, morente di tubercolosi trova a Firenze un medico appena arrivato dall'India per assisterlo. * B85 Theodosia Garrow Trollope, 1865, e * B42 Isa Blagden, 1873, sono stati romanzati da Nathaniel Hawthorne in The Marble Faun nel loro composito, Miriam, che si chiede "è indiana orientale, è ebrea, è qualcos'altro?" Firenze era un posto più accogliente per le persone di razza mista di quanto non fosse l'Inghilterra snob. Isa, amica di Henry James, amica dei Browning, amica di molti, si guadagnava da vivere scrivendo romanzi e ospitando ospiti a Bellosguardo. Lei e il poeta Robert Lytton si innamorarono, lei gli salvò la vita a Bagni di Lucca, i Browning sperando che si sposassero. Robert con lo pseudonimo di "Owen Meredith" ha scritto una poesia, intitolata Lucile, su di lei e lei ha scritto un romanzo, Agnes Tremorne, su di lui. Ne sposò un altro e fu nominato dalla regina Vittoria e dal suo primo ministro ebreo Benjamin Disraeli viceré dell'India e presiedette alla devastante carestia del 1876-78 in India, peggiore persino di quella in Irlanda. Qualcuno dovrebbe scrivere questa storia d'amore vittoriana, compreso il suo terribile contesto. B54 Agnes Janet Cameron, 1874, viaggiò in India con suo marito. B82 Sir Thomas Sevestre, 1842, e Raffles visitò Napoleone a Sant'Elena, era un vecchio chirurgo dell'esercito indiano chiamato alle Terme di Lucca per assistere un duellante morente. B98 è il maggiore Francis Charles Gregorie, 1858, il cui padre ha prestato servizio nell'esercito della Compagnia delle Indie Orientali e che ha combattuto a Waterloo ed è uno degli spiritualisti Swedenborgiani del Cimitero. B100 Helen Colquhoun Reade, 1852, suo marito nato in India nel 1806. *B108 Joseph Garrow, 1857, figlio di un funzionario della Compagnia delle Indie Orientali sposato con una principessa indiana. Rimasto orfano, fu cresciuto dalla sorella di suo padre, divenne J.P. nel Devon e fu il primo traduttore della Vita nova di Dante in inglese. Times Literary Supplement 17/5/1920, osservò "ma è una curiosa nota a piè di pagina agli annali letterari dell'Anglo-India che prova che il figlio di una madre indiana visse per tradurre Dante e per muoversi in un circolo dove i Browning e Landor erano le luci maggiori'. B117 John Fombelle, 1849, si ritirò a Firenze con la moglie dal Servizio Civile della Compagnia delle Indie Orientali in Bengala. B129 Joseph Anthony Pouget, 1833, era un medico della Compagnia delle Indie Orientali a Bombay. B131 Il marito dell'onorevole Frances Tolley era tenente colonnello nel 1° reggimento delle Indie occidentali.
l Settore D ha la pronipote di Clive of India, D20 Charlotte Mary Florentia Windsor Clive, 1840. D25 Harcourt Popham, 1840, figlio di Sir Home Riggs Popham che inventò il codice della bandiera di Trafalgar, si sposò nel Bengala, poi morì a Firenze a 28 anni. * D 72 Sir James Annesley, 1846, "defunto presidente dell'istituzione medica, Onorevole Compagnia delle Indie Orientali, Consiglio medico di Madras", scrisse un enorme libro sulle malattie dell'India e dei climi caldi in generale, 1841. L'avvocato irlandese, Henry Johnson, genero di D111 James Dennis, 1855, e marito di Ann Dennis Johnson, 1863, seppellisce il padre qui a Firenze, annotando sull'obelisco che la moglie invece è morta ed è sepolta a Meerut, dove la sua tomba, dice BACSA, è ancora nel cimitero di Cantonment.
Settore E,
E52, Capitano James Bennett, 1865, insieme a sua moglie, 1874, vide il servizio in Sud Africa e India. E58 Sir William Henry Sewell, 1862, figlio del re Guglielmo IV, prestò servizio in India (comandante in capo dell'esercito di Madras) e a Waterloo, E57, sua moglie, Georgina Sewell, 1872, e, E59, servitore, James Bansfield, 1862 350 Julia Woodburn Strachey, 1846, che ora non ha una tomba ma era in questo settore, sposò suo marito a Kolkata, ed è imparentata con Lytton Strachey che prese il nome da Robert Lytton, primo viceré dell'India.
Il settore F ha la tomba di F3 Elizabeth Daubeney, 1844, il cui figlio, Sir Henry Charles Barnston Daubeney, Wikipedia osserva
che "Educato a Sandhurst, entrò nell'esercito come guardiamarina del 55 ° piede (in seguito 2 ° battaglione Reggimento di confine) nel 1829. Egli prestò servizio in quel corpo per trent'anni fino a raggiungere il grado di colonnello. Nella campagna di Coorg, nel sud dell'India (1832-4), prestò servizio con il suo reggimento con la colonna settentrionale sotto il colonnello Waugh; era presente all'assalto e alla cattura della palizzata di Kissenhully, e all'attacco a quella di Soamwarpettah. Lì era a capo di uno dei due cannoni attaccati alla colonna, e con la sua perseveranza lo salvò dalla cattura durante la ritirata. Le perdite britanniche ammontarono a tre ufficiali e quarantacinque uomini uccisi e 118 feriti, ma il Rajah di Coorg, che si opponeva all'avanzata britannica, fu sconfitto e deposto il 5 aprile 1834. Daubeney prestò servizio anche in Cina e in Crimea. Da questa narrazione si intravede la brutalità della guerra imperiale che sfruttò le ricchezze di India, Cina e Russia. F5 La moglie di James Walters Kelson è nata in India nel 1811. F19 Annie Dallas, 1865, suo padre nell'esercito indiano, sua madre australiana. La figlia di F93 Constance Cecilia de Bourbel, 1838, fu profondamente coinvolta nel movimento teosofico in India e nell'educazione delle donne indiane. F118 Fanny Crewe, 1846, è la vedova del colonnello Richard Crewe dell'esercito di Madras della Compagnia delle Indie Orientali.
Così vediamo questo miscuglio di 40 professionisti militari, medici e legali che approfittano dall'India, a volte con le loro mogli e figli presenti, poi ritirarsi a Firenze.
NOTE1 Il Marchese Gabriel Venturi Ginori Lisci riuniva in sé il retaggio della Discendenza dalle Famiglie dei suoi Genitori, che hanno scritto la Storia d'Italia, d'Europa e non solo. Dal lato paterno discendeva dalla Famiglia Ginori, che sin dal Medioevo aveva il proprio nome legato alla città di Firenze, e dall'antichissima stirpe reale armena dei Bagratuni: infatti la sua Nonna paterna era la Principessa Indji d'Abro Pagratide, nipote di Nubar Pasha che fu il primo Primo Ministro dell'Egitto; mentre da parte di sua Madre, Doña Leticia Principessa de Borbón, si risaliva alle Case Reali di Spagna e Portogallo. Due aspetti, quindi, legati in uno stesso tempo sia alla realtà fiorentina sia all'ampio respiro del Mondo. Tutto questo però difficilmente traspariva, filtrato dalla sua Semplicità d'Animo che gli permetteva di apprezzare, capire ed essere capito, ma puro amato da tutte le persone con le quali entrava in contatto e che restavano colpite dal suo sguardo sempre sereno, attento e sorridente . La sua Signorilità e Generosità d'Animo lo portavano a comprendere chi avesse bisogno di aiuto e ad agire concretamente, ma sempre in silenzio e con grande discrezione. Ora riposa al Cimitero degli Inglesi, isola di Pace e di Bellezza, circondato dalla Natura e dall'Arte che ha sempre amato.2 «Diverse famiglie inglesi hanno sangue orientale o africano nelle vene, come gli Hearsey ei Gardner. Il tenente colonnello Andrew Wilson Hearsey (1752-95), comandante del forte di Allahabad aveva un figlio legittimo, il tenente generale Sir John Bennet Hearsey, KCB (1793-1865) e una famiglia illegittima da una madre indiana. Un membro, Hyder Young Hearsay (nato nel 1782) sposò una Kanhum o principessa Zuhur-al-Nissa, figlia di un principe deposto di Cambay. Sua sorella sposò il colonnello William Linneaus Gardner, nipote del primo Lord Gardner e il loro figlio James Gardner sposò Nawab Mulka Mumanu Begum, uno dei 52 figli di Mirzo Suliman Sheko, fratello dell'imperatore Moghul Akbar II (1806-37). Hyder Young Hearsey ebbe diversi figli di cui Harriet sposò il suo zio Sir John Bennet Hearsey e lasciò discendenti, così come William Moorcroft Hearsay in India'. Non è Sir John Bennet Hearsey ma con lo stesso nome, e dalla stessa famiglia e contesto. Potrebbe essere stato presente all'ammutinamento indiano del 1857. È morto nella sua Villa Pian dei Giullari.
3 Suo suocero, William Conway Gordon, figlio naturale di Lord William Gordon, entrò al servizio del Bengala nel 1815, appartenente alla 53a fanteria nativa. Il suo ritratto è stato dipinto quando era A.D.C. a Sir Peregrine Maitland a Madras. Sposò Louisa, figlia del generale di brigata J. Vanrenen, onorevole servizio della Compagnia delle Indie Orientali, nata nel 1833, tornò in Inghilterra nel 1842 e morì nel 1882. Il suo primo figlio, William George Conway Gordon, Times, 1851, promosso da guardiamarina nel 91 ° tenente, nel 1854 diventando capitano, nell'indice del cancelliere generale sposò Jane a Berwick nel 1857 e morì l'anno successivo. I suoi fratelli erano Francis Ingram Conway-Gordon, Lewis Conway-Gordon e Charles Van Renen Conway-Gordon. 4 NDBD e Wikipedia hanno voci per suo suocero, il primo visconte, Hugh Gough, che partecipò sotto Wellington alle battaglie della penisola, poi Madras e Cina, e suo marito, che servì, dopo la sua morte, sotto suo padre in India e la Cina: "Sposò prima Sarah-Elizabeth Palliser il 17 ottobre 1840, figlia del tenente colonnello Wray Palliser e Mary Challoner di Derrylusken e Coagh, Co Wexford, Irlanda). Si sposò in secondo luogo il 3 giugno 1846, Jane Arbuthnot (nata il 22 ottobre 1816 a Edimburgo il 3/2/1892), figlia di George Arbuthnot, 1st of Elderslie (1772-1843) ed Elizabeth (Eliza) Fraser (1792-1834) , che ha avuto 3 figli'. Le famiglie Gough, Arbuthnot, Popham (Settore D, D25/ HARCOURT POPHAM, D40/ SIR RICHARD KEITH ARBUTHNOT), Pakenham (Settore E, E118/ ELIZABETH ISABELLA PAKENHAM/ CAROLINE EMILY (THOMPSON/POPHAM) PAKENHAM) sono interconnesse. Il quinto visconte Gough organizzò il restauro della tomba del suo parente/quasi antenato. Il restauro della tomba ha comportato l'apprendistato di Daniel-Claudiu Dumitrescu sotto Alberto Casciani, in seguito al quale ha potuto restaurare e pulire molte altre tombe del Cimitero. Siamo molto grati al visconte Gough. Vedere http://www.florin.ms/gough.ppt 5 Elizabeth Maria Stisted Wood e sua figlia di cinque anni, Luisa Clotilda, Clotilda è il nome della 'Regina di Lucca'. Ammira la tomba di A88/ CATHERINE SWINNY, madre di Clotilda Stisted. La tomba del colonnello Henry Stisted si trova a Bagni di Lucca. Il generale Sir Henry William Stisted, suo nipote e fratello della signora Wood, prestò servizio in India e Canada; nel 1845, a Firenze, sposò Maria Katherine Eliza Burton (1823–1894), sorella dell'esploratore Sir Richard Francis Burton. La loro figlia, Georgiana Martha Stisted (1846-1903), pubblicò The True Life of Captain Sir Richard Burton. A110/ BIANCA (BURTON) BANCHINI, A27/ WALTER BURTON, sepolte nelle vicinanze, anch'esse della famiglia dell'esploratore? Questa tomba è stata eretta dal marito e dai loro sei figli che non solo sono imparentati con i Stisted di Bagni di Lucca, ma hanno anche fatto buoni matrimoni nella società italiana. Ci sono riferimenti agli Stisted in What I Remember di Thomas Adolphus Trollope e The Golden Ring di Giuliana Artom Treves. BIBLIOGRAFIA
Libri:
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Sir James Annesley. The Diseases of India and Warm Climates Generally, London: Longman, 1841.
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Talking of Gandhiji. Ed. Francis Watson, Maurice Brown. Contributors, Horace Alexander, Ida Barton, J.R. Glorney Bolton, Albert Docker, Indira Gandhi, Lord Halifax, Muriel Lester, Mira Behn, Lord Mountbatten, Gilbert Murray, Jawaharlal Nehru, Reginald Reynolds, Clare Sheridan, etc. Bombay: Orient Longmans, 1957.
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Manohar Malgonkar. ‘Unquiet Graves’, https://www.florin.ms/unquietgraves.html
https://www.theguardian.com/uk-news/2023/apr/06/indian-archive-reveals-extent-of-colonial-loot-in-royal-jewellery-collection
Emerald girdle of Maharaja Sher Singh, c 1840. Photograph: Royal Collection Trust / His Majesty King Charles III 2023
Video:
https://www.youtube.com/watch?v=zcKS9JPSfCg On the
Partition of India
https://www.youtube.com/watch?v=yv7kd7ylfNc Before the Mutiny
La Firenze e la India dell'Ottocento
****** L'incantesimo di un libro - Sriram Rajasekaran
I
ntroduzione
Nel sistema di pensiero indiano è difficile accertare un canone come la Bibbia, che Ruskin lesse con reverenza; ci sono i Veda; sei grandi scuole di filosofia, spesso queste si contraddicono a vicenda, rendendo ancora più difficile metterle sotto l'unica scheda come canone; tuttavia, questa è la bellezza del sistema di pensiero indiano: è un banyan con molteplici rami e radici, inoltre, un singolo albero; una moltitudine di nuvole, che portano luce a una, ombra a una e pioggia a un'altra, tutte sotto lo stesso cielo. Se si deve trovare un libro comparabile, allora potrebbe essere la Gita. Anche così, la Gita non è data per essere letta da tutti; anche se qualcuno lo leggesse a un certo punto della sua vita, potrebbe non essere nello stesso momento in cui i suoi insegnamenti entrano davvero nel suo cuore. Perché questo, cioè, la Gita che entra in te, che ti viene in mente, è un momento preordinato nella tua vita, che è chiamato "Gita muhurta", il momento magico in cui si fa conoscere. È in quei momenti che i libri fanno il loro incantesimo magico, in uno spazio e tempo liminale, poi ne esci trasformato. Oggi parlerò di come un libro abbia operato un tale incantesimo nelle vite di Ruskin, Gandhi, Proust e nella mia. Unisciti a me mentre viaggiamo nel tempo e nello spazio. Rogers e Ruskin
Nel 1832, a John Ruskin viene regalato un libro per il suo compleanno. Ruskin in seguito scrisse che il libro decideva "l'intera direzione delle energie della mia vita". Il libro è un'edizione illustrata delle poesie di Rogers sull'Italia, le illustrazioni realizzate da Turner, inclusa quella che accompagna la poesia di Rogers su Firenze, che inizia così:
Di tutte le città più belle della Terra
Nessuno è così giusto come Firenze.
È un gioiello Di raggio purissimo;
e che luce si sprigionò,
Quando è emerso dall'oscurità!
Ruskin ha scritto: "Questo libro è stato il primo mezzo che ho avuto per guardare attentamente il lavoro di Turner"; era responsabile delle sue "pazzie di Turner" e che il libro "ha determinato il tenore principale della mia vita".
Ruskin e Gandhi
Ruskin aveva 13 anni quando fu presentato al suo eroe, Turner, che avrebbe deciso il corso del resto della sua vita. Era più o meno alla stessa età quando ho incontrato il mio eroe in Gandhi. Avevo circa tredici o quattordici anni, sfogliavo l'autobiografia di Gandhi, un libro che consideravo la mia Bibbia, leggendolo parola per parola come se la mia vita dipendesse da questo - gran parte della mia vita, in effetti, ha fatto il suo corso da quella fonte, come vedrai.
Nel 1904, Mohandas Gandhi è seduto su un treno in Sud Africa. Un amico gli porge un libro da leggere durante il viaggio. Gandhi in seguito scrisse: "Decisi di cambiare la mia vita secondo gli ideali del libro". Il libro era "Unto This Last" di Ruskin. Gandhi lo chiamava "il grande Ruskin". "Esso (il libro) mi ha afferrato, ha determinato una trasformazione istantanea e pratica nella mia vita." Gandhi chiamò Srimad Rajchandra, Tolstoy e Ruskin come i tre moderni che hanno lasciato una profonda impressione nella sua vita e lo hanno "affascinato".
Gandhi mi ha presentato Ruskin attraverso i suoi lavori sull'economia politica e Fino a quest'ultimo. In quel periodo della mia vita ero più incline all'Arte e alla Spiritualità, come lo sono tuttora, e questo lato di Ruskin non mi piaceva e quindi non gli prestavo attenzione; Ho commesso l'errore di presumere la grandezza dell'uomo in base alla sua utilità. Non è stato fino a un decennio dopo che il muhurta - il momento magico della scoperta di Ruskin mi è venuto incontro da una direzione completamente diversa, ma comunque legata dalle trame della vita - perché, come un seme che si sviluppa in un albero che produce numerosi semi a sua volta, come un pensiero che si integra perfettamente in un altro pensiero proprio come un treno cambia binario, un libro indica e conduce a un altro libro.
Tolstoj e Gandhi
A quel tempo, però, sono stato indirizzato verso Tolstoj attraverso la corrispondenza tra Gandhi e Tolstoj su questioni di religione e spiritualità. Ero innamorato non tanto delle idee di Tolstoj, quanto della fermezza e del modo deciso con cui ci dà quelle idee. Ho visto in lui un uomo sicuro di sé che conosceva il suo posto nel mondo, molto diverso da me stesso adolescente, e quindi è diventato il mio fondamento su cui potevo stare e costruire il mio mondo. Ho continuato a leggere i suoi racconti, Infanzia, fanciullezza e giovinezza, e poi il suo capolavoro, forse il più grande pezzo di letteratura mai scritto, Guerra e pace. La porta della Letteratura, con la L maiuscola, si è aperta davanti a me, e l'ho attraversata.
La capacità di Tolstoj di scrivere di un vasto numero di personaggi mi stupisce, in particolare lo stile di minimizzazione e massimizzazione nella sua narrazione. Quanto scrive della vita, scrive anche della morte. Le morti di Andrei e del principe Nikolai Bolkonsky sono scritte in modo così lungo e con tale empatia. Solo un grande scrittore può scrivere sulla vita e sulla morte nello stesso modo elaborato.
Non ci sono dossi o svolte improvvise nel viaggio con Tolstoj. Egli guida i cavalli in modo fermo e sicuro. È evidente fin dalla sua prima opera, la riflessione autobiografica - Infanzia, Fanciullezza, Gioventù, che tratta della memoria - il tema che Proust e Ruskin trattano in profondità.
È interessante che proprio come ho scoperto la corrispondenza tra Tolstoj e Gandhi dopo aver letto Guerra e Pace, mi sono imbattuto nella corrispondenza tra Romain Rolland e Gandhi dopo aver letto Jean-Christophe. Mi chiedo come quest'uomo abbia avuto il tempo di leggere così tanto pur essendo attivamente coinvolto nelle questioni della nazione. Per non parlare del fatto che era anche lui stesso uno scrittore prolifico: le sue opere pubblicate sono quasi 100 volumi. È come quello che Einstein disse di lui: "Le generazioni a venire, potrebbe anche essere, difficilmente crederanno che un uomo come questo in carne e ossa abbia mai camminato su questa Terra".
Nei miei anni del tramonto, invece della seconda infanzia e del mero oblio, se potessi emulare la grinta, la risolutezza e la determinazione di questi vecchi uomini - Tolstoj e Gandhi - allora mi considererei fortunato. Ruskin e Proust
Dopo aver letto Guerra e pace, tutti gli altri libri mi sembravano meschini e privi di valore; Ero in piedi in cima alla vetta di una montagna con Tolstoj al mio fianco, come un generale che sorveglia le sue truppe dalla cima di una collina, descrivendo ogni evento e attraverso il quale mi dava lezioni di vita. È stato allora che ho iniziato a leggere tutti i tipi di libri assurdi per colmare il vuoto che le persone che hanno letto Guerra e pace sentono dentro di sé dopo aver finito il libro.
In questo momento è successo un altro muhurta: ho scoperto Proust e ho capito di essere Proust, se puoi capirlo. Ho letto tutto ciò che Proust ha scritto: come un uccello che raccoglie bastoncini e macerie per costruire il suo nido, ho raccolto tutto ciò che Proust ha scritto e l'ho aggiunto alla mia biblioteca, infatti, possiedo più edizioni della sua opera magnum Alla ricerca del tempo perduto, una prima edizione di Jean Santeuil, ecc. Ero devoto a Proust. Leggere l'opera di uno scrittore in un breve periodo è come avere una conversazione continua con lo scrittore stesso giorno dopo giorno. Viene trasportato dalla terra dei morti e inizia a vivere accanto a te, pensa con te e ti racconta le cose mentre accadono, nel suo stile e linguaggio particolari. Così, Proust era con me e io sono diventato Proust. Nel 1899, Marcel Proust scrive una lettera a sua madre, chiedendole di inviargli, con urgenza, Ruskin et la religion de la beauté di Robert de La Sizeranne. Proust soggiornava all'epoca nella città termale di Evian-les-Bains, sulla sponda meridionale del Lago di Ginevra. Voleva il libro in modo da poter “vedere le montagne attraverso gli occhi di quel grande uomo (Ruskin)”.
Successivamente, Proust andò alla Bibliotheque nationale e iniziò a cercare opere di Ruskin. Ha accantonato il suo romanzo Jean Santeuil, che è rimasto incompiuto e inedito durante la sua vita, e ha iniziato a lavorare alla traduzione e al commento delle opere di Ruskin. Direi che l'opera fondamentale di Proust Alla ricerca del tempo perduto ha molti elementi che sono direttamente o indirettamente influenzati dalla sua lettura di Ruskin.
Ora, esaminiamo la traduzione di Proust di "Of King's Treasuries". Come lo stesso Proust ha detto nella sua prefazione, ho cercato di riflettere a mia volta sullo stesso argomento su cui hanno scritto sia Ruskin che Proust: dei libri e l'utilità della lettura.
Come i due corvi di Odino, Huginn e Muninn-Pensiero e Memoria, Proust è ossessionato dal Tempo e dalla Memoria. Le prime pagine della Ricerca lo costruiscono perfettamente, dove il narratore, nello stato liminale tra la veglia e il sonno, ricorda tutti i luoghi, le case, gli edifici in cui è stato. Ruskin dice dell'architettura: “Potremmo vivere senza di lei , adoriamo senza di lei, ma non possiamo ricordare senza di lei”. Proust scrive di vari casi in cui un luogo fisico evoca ricordi eterei del passato, di luoghi che contengono ricordi. In una lettera ad Anatole France scrive: "Ho costruito, nel profondo del mio cuore, una cappella piena di te". Ruskin scrive nelle Seven Lamps of Architecture: "Pertanto, quando costruiamo, pensiamo che costruiamo per sempre". “Non ci sono giorni della mia infanzia che ho vissuto così pienamente forse come quelli che credevo di essermi lasciato alle spalle senza viverli, quelli che ho passato con un libro preferito.” Come un mago che ti tiene la bacchetta sulla tempia e ti fa vedere le cose, lo scrittore mette le parole sulla carta e ci fa vedere e sentire cose che sono puramente magiche. I ricordi più belli della mia infanzia sono quelli trascorsi in biblioteca o nella comodità di casa mia con un libro in mano. Per il viaggio che abbiamo fatto attraverso la storia e le emozioni che abbiamo provato, il libro stesso è una cristallizzazione di quella magica esperienza chiamata lettura. “Chi non ricorda, come me, la lettura che facevano nelle feste, che si nascondeva successivamente in tutte quelle ore del giorno tanto tranquille e inviolabili da poterle dare rifugio.” Se svegliarsi tardi in vacanza è una cosa da desiderare, quelle preziose ore di sonno in più che fungono da balsamo dalla monotonia opprimente della routine, svegliarsi presto per leggere un libro è già di per sé un piacere. Riprendendo il libro da dove l'avevi interrotto la sera prima, le pagine ancora lì che aspettano che tu le legga, la storia ei personaggi fino ad allora fermi continuano i loro movimenti mentre l'occhio si sposta da una parola all'altra. Man mano che le parole diventano frasi, le frasi diventano la storia, gradualmente ti dissolvi dal mondo in cui ti sei svegliato in uno creato dalla magia, che si verifica interamente nella mente del lettore. La luce del sole filtra lentamente dalle finestre e danza sulle pagine, illuminando le parole dorate sulla carta incrostata, facendone risaltare la trama. Gli uccellini cinguettano e cinguettano, inventando una canzone per accompagnare il tuo viaggio. Il lento fruscio delle foglie, il rintocco di una lontana campana di una chiesa, che scandisce le ore che scorrono accanto a te, ora senti la campana e continui con la tua lettura e prima che te ne renda conto, la campana suona di nuovo, alzando lo sguardo ti rendi conto che più tempo è passato passato di quanto tu possa immaginare e che ti sei perso due campane in mezzo alle due che ti è capitato di sentire durante l'intensa lettura in cui sei stato coinvolto. “Sentiamo fortemente che la nostra saggezza comincia quando finisce quella dell'autore.”
Quando l'ultima pagina è stata girata, quando l'autore ha concluso la sua storia, il nostro viaggio continua ancora. A volte inizia solo lì. Tenere in mano un libro non è altro che tenere davanti a noi uno specchio magico che ha la capacità di mostrare le profondità del nostro cuore. Leggere un libro è viaggiare attraverso quelle profondità e trovare luoghi che pensavamo non esistessero in noi stessi. Lo scrittore mostra il percorso, noi lo percorriamo. Il libro ci fa ricordare i nostri ricordi e creare connessioni tra di loro che non sarebbero accadute altrimenti, e ci fa giungere a conclusioni che sono determinate solo dal libro, ma a cui siamo arrivati da soli. Egli getta luce sulle profondità dove giace il segreto, dentro di noi. Leggere un libro è leggere te stesso. Le case in cui sono custoditi i ricordi sono collegate da ponti, ponti costruiti non con pietre, ma con parole. Ogni casa un'arpa accordata, che canta le melodie del passato. Gli occhi che scorrono tra le parole sulle pagine, le dita invisibili che suonano abilmente le corde dell'arpa. Musica celestiale.
“La lettura è quel miracolo fecondo di una comunicazione in mezzo alla solitudine”.
Il motivo per cui conserviamo il libro nella nostra biblioteca non è solo perché potremmo rileggerlo, è perché è lo spartito di quelle melodie che abbiamo composto dentro di noi. Un semplice sguardo a quel libro inizia a suonare l'ouverture nella nostra mente. Prendendolo dallo scaffale e sfogliandone le pagine ne escono gli strumenti pronti. Leggendolo suona la sinfonia in tutto il suo splendore.
È stato attraverso Proust che ho scoperto davvero Ruskin, non il suo lato di economia politica, ma Ruskin, critico d'arte ed esteta. In effetti, ho trovato casi in cui credo che Proust sia stato ispirato dalla scrittura di Ruskin. Per fare uno di questi esempi: Una scena indelebile nella Ricerca è proprio all'inizio del romanzo, dove il narratore attende con impazienza che sua madre si avvicini e gli dia il bacio della buonanotte. Al culmine della sua impazienza, invia un biglietto scritto a sua madre tramite la domestica, Françoise. Alla fine, quando la mamma viene da lui, e anche se il padre le permette di passare la notte nella camera da letto del narratore per calmarlo, ciò che il piccolo Marcel prova non è gioia. "Avrei dovuto essere felice; non lo ero. [...] La sua rabbia mi avrebbe rattristato meno di questa nuova dolcezza, sconosciuta alla mia esperienza infantile; sentivo di aver tracciato con un dito empio e segreto una prima ruga sulla sua anima e fece spuntare un primo capello bianco sulla sua testa.Questo pensiero raddoppiò i miei singhiozzi."
Il buon esito di un evento non gli dava del tutto la stessa gioia che provava nel immaginarlo; non si sente felice per aver ottenuto qualcosa che desiderava, non è felice per aver posseduto proprio ciò che desiderava; echi di questo stesso tema si possono trovare nei volumi successivi, nel suo rapporto con Albertine. Ora confronta questo con ciò che Ruskin scrive in Modern Painters.
"Quel fascino strano e talvolta fatale, che c'è in tutte le cose finché le aspettiamo, e nel momento in cui le abbiamo perdute; ma che svanisce mentre le possediamo; - quel dolce fiorire di tutto ciò che è lontano, che perisce sotto il nostro tocco."
Le prossime righe, a mio parere, riassumono il tema più importante di tutta la Ricerca, quello del tempo perduto e del tempo riconquistato, non attraverso il "ritorno fisico", per così dire, ma tornando indietro nel tempo attraverso il immaginazione. "Tuttavia la sensazione di questo non è una debolezza; è uno dei doni più gloriosi della mente umana, che rende l'intero futuro infinito e l'imperituro passato un'eredità più ricca, se fedelmente ereditata, del mutevole, fragile, fugace presente ."
La prosa di Ruskin e Proust non è dissimile: frasi tortuose, viaggi su un ventaglio di idee prima di arrivare al punto. Leggerli è come guardare una catena montuosa: salire e scendere attraverso i suoi ritmi, gioire delle vette e scivolare giù per i pendii, prima di arrivare al periodo. È come ha detto Coleridge: "Ovunque trovi una frase formulata musicalmente, con vero ritmo e melodia nelle parole, c'è anche qualcosa di profondo e buono nel significato".
In uno dei primi capitoli di Praeterita Ruskin parla del suo primo incontro con una ragazza, dell'innamoramento, della separazione e dell'ardente bisogno di sublimare la passione in modo artistico. Si descrive così: "Non avevo né la determinazione di conquistare Adele, né il coraggio di fare a meno di lei, il buon senso di considerare cosa sarebbe successo alla fine, né la grazia di pensare a quanto mi stavo rendendo sgradevole in quel momento a tutti quelli che mi riguardano. Non c'era davvero più capacità né intelligenza in me che in una civetta appena nata, o solo in un cucciolo con gli occhi aperti, sconsolato dell'esistenza della luna». Bella scrittura, dalla quale, credo, Proust abbia preso una foglia. Questa descrizione potrebbe corrispondere al narratore nel momento in cui era malato d'amore per Albertine. Proust scrive di Albertine: «Non avevo più un cuore, ma solo una grande nostalgia per Albertine».
Inoltre, l'amore di Proust per i dipinti è evidente in tutti i suoi scritti. Non ne parlerò molto, ma raccomanderò caldamente il libro, Paintings in Proust- A Visual Companion to In Search of Lost Time di Eric Karpeles, un libro riccamente illustrato che colloca i paragrafi selezionati dall'opera magnum di Proust che tratta di arte accanto ai dipinti in essi citati. L'effetto combinato delle parole magiche di Proust sul dipinto e sul dipinto stesso presentato nella pagina di fronte per farci rallegrare gli occhi è mozzafiato.11 È un'opera davvero encomiabile che sarà letta finché si leggerà Proust. "Se tra dieci anni ti imbatti in una sua battuta (Ruskin) [...] mi interesserà tanto quanto adesso", scrive Proust di Ruskin. Mi viene in mente una citazione di Ruskin qui: "È il più grande artista che ha incarnato, nella somma delle sue opere, il maggior numero delle più grandi idee". Sia Ruskin che Proust mi hanno dato il maggior numero delle più grandi idee attraverso le loro opere.
Conclusione
Al di là dell'età, della lingua, della nazionalità, della cultura e di tutte queste differenze che si trovano come un abisso nel mezzo, arriva un punto in cui sei connesso direttamente con lo scrittore, attraverso il libro.
I pensieri che fluttuavano senza forma nella tua mente prendono forma nelle sue frasi. Le idee e le sensazioni fugaci che hai avuto una volta e ciò che rimane ora di loro non è che un vago ricordo che si cementa nelle pagine per i posteri. Tutto ciò che avresti voluto dire ma non hai mai trovato le parole giuste per farlo è stato sintetizzato da lui. In questo momento ti prendi per mano e sali le colline con lo scrittore per vedere il glorioso orizzonte, la fantastica distesa della tua mente.
Ti guida attraverso la soffitta che è il tuo cervello e ti mostra cose che non sapevi esistessero. Vecchi cassetti dimenticati da tempo vengono aperti. Le lettere intenzionalmente soppresse vengono tirate fuori. Il dorso di ogni libro viene toccato. Alcune trame si fanno sentire solo ora. Alla fine, lo scrittore mette il proprio libro in soffitta. E ti lascia, perché continui il tuo cammino, solo ma mai senza compagnia.
Possa un libro fare il suo incantesimo su di te!
BIBLIOGRAFIA
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On Reading Ruskin by Marcel Proust, published by Yale University Press in 1989, 9780300045031
Praeterita and Dilecta by John Ruskin, published by Everyman’s Library in 2005, 9781857152791
_In Search of Lost Tim_e by Marcel Proust, published by Modern Library in 2003, 9780812969641
https://www.lancaster.ac.uk/media/lancaster-university/content-assets/documents/ruskin/3-7ModernPainters.pdf Accessed on 03.04.2023
Un traduttore anglo-indiano, anglo-fiorentino: Joseph Garrow e una versione della 'Vita Nuova' di Dante - Nick Havely,
Università di York L'interesse britannico per la Vita nuova di Dante - la sua prima raccolta di testi d'amore con il suo commento si sviluppò piuttosto tardi. È evidente in una certa misura tra i romantici come gli Shelley e Leigh Hunt, e negli anni Trenta dell'Ottocento compaiono quantità significative di traduzioni, nell'opera dell'amico di Tennyson Arthur Hallam e nelle versioni pubblicate delle poesie di Charles Lyell, padre del più famoso geologo. Ma la prima traduzione completa dell'intera opera, pubblicata a Firenze nel 1846, è stata messa in ombra da successive versioni ottocentesche, come quelle di Dante Gabriel Rossetti e Charles Eliot Norton. La prima vita di Dante Alighieri, la prima traduzione completa della Vita nuova di Joseph Garrow, nato in India nel 1789 e morto a Firenze nel 1857, è stata largamente ignorata anche nella cultura della ricezione dantesca. La monumentale raccolta di fonti per Dante nella letteratura inglese non cita da esso e vi fa riferimento solo come nota a piè di pagina di una sezione sulle versioni di Lyell.1 Un'importante monografia del XX secolo su Dante e la poesia inglese presta pochissima attenzione per quanto riguardala sua influenza in Inghilterra come 'naturalmente limitata' a causa della sua pubblicazione a Firenze.2 Nel secolo attuale, questa traduzione è diventata ancora meno visibile, e non compare nemmeno negli indici dei recenti grandi studi sulla ricezione della Vita nuova.3 Tuttavia, come suggeriva un breve articolo di George Watson nel 1986, I primi anni di Dante di Garrow è un significativo "primo" e ora sono disponibili ulteriori prove sui suoi contesti e sulla sua ricezione.
Come può suggerire il mix di aggettivi - anglo-indiano, anglo fiorentino - nel mio titolo, mi avvicino a Garrow e alla sua traduzione partendo da un misto di motivi e direzioni. Come semidantista mi interessano gli sviluppi, soprattutto ottocenteschi, nella ricezione di testi come la Vita nuova e la Divina Commedia. Più personalmente, essendo io stesso di origini parsi e britanniche, sono anche interessato alle origini anglo-indiane di Garrow e al modo in cui si è fatto strada nella società e nella cultura britannica e italiana dell'inizio del diciannovesimo secolo. Ci sono, come vedrai, molte lacune nel mio resoconto; rimane quindi ampio spazio per ulteriori ricerche su questo argomento.
Le informazioni che finora sono riuscito a raccogliere sui genitori di Garrow e sui suoi primi anni di vita sono piuttosto scarse.
Suo padre - anche lui chiamato Joseph Garrow - nacque nel 1757, uno dei dieci figli del Rev. David Garrow, un maestro di scuola a Hadley, Middlesex, vicino a Londra. Seguendo il fratello maggiore Edward, Joseph Garrow Senior (come lo chiamerò io) divenne uno scrittore nella British East India Company nel 1779 e successivamente fu un commerciante senior. Divenne segretario del comandante in capo dell'esercito della presidenza di Madras, il colonnello William Medows, e agì come amministratore della compagnia, responsabile di piatti, mobili e infissi nelle case governative. Nel 1781 è registrato come presente a una riunione per discutere la minaccia di un attacco francese, e nel 1790 durante la guerra di Mysore, fu nominato in un comitato (citazione) "allo scopo di indagare sulle accuse di corruzione e peculato" contro un ex governatore di Madras e dei suoi associati. Come altri funzionari coloniali dell'epoca - come Charles 'Hindoo' Stuart e il più famoso 'White Mughal' di Dalrymple, James Achilles Kirkpatrick - Joseph Senior ebbe una relazione a lungo termine con una donna indiana il cui nome 'Sultan' suggerisce che fosse musulmana. Per quanto ne so, tutto ciò che si sa di lei è nel testamento che lo stesso Joseph Senior scrisse qualche tempo prima della sua morte nel 1792, lasciando a Sultan un assegno a vita e una casa. L'oggetto di questo documento, il loro figlio di due anni Joseph è stato più ampiamente previsto nel testamento, con un fondo fiduciario di £ 5000 per la sua istruzione, un lascito personale di £ 2000 e la clausola che se non fosse stato possibile per lui essere cresciuto correttamente in India, dovrebbe essere mandato in Inghilterra dove sua zia aveva il compito di sovrintendere alla sua educazione dopo i sedici anni.
Nel caso in cui il neonato Joseph Garrow fosse stato mandato in Inghilterra quasi immediatamente dopo la morte del padre e fosse stato affidato alle cure di uno degli altri fratelli di suo padre, l'eminente avvocato Sir William Garrow (1760-1840), famoso giurista e avvocato difensore la cui carriera iniziale è oggetto di una serie drammatica in aula della BBC. Dopo la morte di sua zia che gli lasciò un'eredità di £ 1000, Joseph prese i suoi diplomi BA e MA a Cambridge e iniziò la formazione legale nel 1810 al Lincoln's Inn. Nel 1812 sposò una vedova benestante e cantante di contralto, Theodosia Abrams/Fisher (uno del famoso duo Abrams Sisters), quindi visse per oltre vent'anni a Torquay dove prestò servizio come magistrato e la famiglia divenne "attiva in la vita musicale del Devon.'4La musica era uno dei suoi principali interessi: suo genero Thomas Adolphus Trollope, le cui memorie sono una fonte per gran parte delle informazioni sulla vita di Garrow, lo descrive come un abile violinista. Nel 1835 pubblicò un libro di musica sacra ... arrangiata ... per quattro voci e "scelta" come dice il frontespizio, "da quella solitamente cantata nella St John's Chapel, Torquay". Accanto ad alcune opere di grandi compositori, come Handel, Mozart, Beethoven e Weber, ne incluse alcune sue: un mini oratorio natalizio, diversi inni e ambientazioni di cinque salmi. Anche 'Mrs Garrow' (Theodosia Abrams) ha contribuito alla raccolta, che, più inaspettatamente, include un paio di composizioni di 'Miss Garrow', la figlia diciottenne della coppia, anche lei chiamata Theodosia, i cui successi e connessioni sono una parte significativa di il contesto per la traduzione di Joseph Garrow.
Nel 1844 la fragile salute della giovane Teodosia fu motivo di trasferimento della famiglia a Firenze.
Le prove sui contatti fiorentini di Joseph Garrow rimangono scarse e, purtroppo, non sono a conoscenza di alcuna corrispondenza, diario o nota che avrebbe potuto conservare in questo o in qualsiasi altro momento. Come molti espatriati si sa che frequentò la biblioteca Vieusseux al suo arrivo a Firenze nel 1844, e scopro che firmò il Libro dei Soci al Gabinetto Vieusseux il 21 ottobre, dando il suo indirizzo come 'No. 4350 Piazza S[anta] M[aria] Novella'. Tra le sue conoscenze c'era quella con uno dei membri di spicco della comunità anglo-fiorentina: il poeta e saggista Walter Savage Landor. Le memorie di Trollope del 1887 sono ancora una volta una fonte per la fase iniziale di questa relazione. Includono tre lettere di Landor a Garrow durante la fine degli anni Trenta dell'Ottocento, quando entrambi erano in Inghilterra, indicando l'interesse di Landor per la poesia della giovane Teodosia e riferendosi alla stretta amicizia di entrambi i corrispondenti con l'esule piemontese Giovanni Bezzi d'Aubrey, che due anni dopo avrebbe condiviso nel ritrovamento del 'ritratto' del Bargello, ritenuto allora di Dante da Giotto5. (citazione) «Ora geniale e ospitale Garrow/ La tua porta è chiusa, la tua casa è angusta».6 Landor aveva ricevuto una copia di The Early Life di cui aveva annotato la prefazione, registrando alcuni vigorosi disaccordi con Garrow. Ad esempio, l'idea del Vn come "fondamento di tutti i romanzi che sono stati scritti da allora" è un'idea che Landor liquida come (cit.) "assurda"7.
Un altro rapporto chiave durante gli anni fiorentini di Garrow fu quello con la sua talentuosa figlia Theodosia.
Nata nel 1816, Teodosia divenne famosa come poetessa alla fine degli anni Trenta dell'Ottocento, sarebbe diventata una traduttrice molto più prolifica di suo padre e raggiunse una preminenza culturale e politica tra la comunità di espatriati a Firenze.8 I suoi primi versi, pubblicati nel 1839, attirarono la attenzione di Elizabeth Barrett e Walter Savage Landor9, e subito dopo che la famiglia si era trasferita a Firenze nel 1844 lei stessa si dedicò ai testi italiani. Descritta dalla giornalista americana Kate Field come dotata di "grandi doti intellettuali", Theodosia tradusse poesie politiche di autori nazionalisti italiani come Giusti e Dell'Ongaro, nonché commedie dell'allora censurato drammaturgo repubblicano Giovanni Battista Niccolini.10 Dopo il suo matrimonio a Thomas Adolphus Trollope nel 1848, collaborò con lui alla redazione del Tuscan Athenaeum in lingua inglese di breve durata, e i suoi influenti articoli sul Risorgimento per il London Athenaeum furono raccolti e ristampati come Social Aspects of the Italian Revolution.11 Sebbene alcuni dei lavori di traduzione più significativi di Theodosia Garrow coincidano con la versione di suo padre della Vita nuova, non c'è traccia scritta di conversazioni tra di loro sull'argomento di Dante o della letteratura italiana. Tuttavia, tra le tante poesie di Teodosia ce n'è una sulla scoperta del "ritratto" di Dante al Bargello (che fa da frontespizio alla versione di suo padre della Vita nuova), e la sua traduzione del dramma rivoluzionario di Niccolini del 1843, Arnaldo da Brescia, riguardava un soggetto medievale. ed è stato composto all'incirca nello stesso periodo di The Early Life.12 Data la stretta relazione di Theodosia con Garrow (annotata dal marito nelle sue memorie), e il suo talento per i versi e le lingue, specialmente l'italiano - sembra molto improbabile che il padre e La figlia non avrebbe mai discusso del progetto di traduzione di Vn durante l'inverno fiorentino durante il quale Garrow lavorò alla sua versione del testo dantesco.13Teodosia era ovviamente una delle "persone letterarie... mettilo nella sua prefazione a The Early Life, è stata la sua (citazione) "buona fortuna conversare".Infine, ci sono ulteriori prove sull'aldilà materiale della traduzione di Garrow. Fu pubblicato dalla casa fiorentina fondata nel 1837 da Felice Le Monnier, che si era fatto strada nell'attività seguendo la corrente nazionalista, a volte in modi inventivi e avventurosi.14 Dal 1849 al 1864 l'elenco dei best-seller di Le Monnier fu sormontata dalla Commedia di Dante (22.750 copie in numerose ristampe), e pubblicherà anche tre edizioni della Vita nuova che venderanno 3.500 copie nello stesso periodo15. Italiani che studiano inglese, così come... inglesi che studiano italiano».16 Se così fosse, sarebbe rimasto deluso; a differenza del Canzoniere di Lyell, l'Early Life non sarebbe stato ristampato. Il testo di Garrow è piuttosto raro, anche se non così raro come suggeriva l'articolo di Watson del 1986. Ci sono almeno quindici copie nelle biblioteche del Regno Unito e cinque negli Stati Uniti. Il libro era di proprietà non solo di Landor ma anche, ad esempio, di: John Forster (biografo di Dickens); da un traduttore della Vita nuova (Charles Eliot Norton) e da un traduttore dell'Inferno (George Musgrave); e del tardo diciannovesimo secolo, come Henry Clark Barlow, Edward Moore e Herman Oelsner.17 Le prime recensioni erano contrastanti ma riconoscono l'importanza del fatto che la Vita nuova completa sia (come disse uno di loro) "ora per la prima volta data ai lettori inglesi».18 La prima e la più attenta di queste fu quella che apparve su The Athenaeum il 10 ottobre 1846. Essa rilevava l'esistenza della precedente «eccellente versione delle poesie» di Lyell, pur accogliendo con favore il nuovo tentativo di (citazione) 'presentando questa straordinaria produzione nella sua integrità', ha continuato citando ampiamente dalla 'Prefazione' di Garrow e dalla traduzione stessa, concludendo con la raccomandazione che 'tutti coloro che possono' dovrebbero 'procurarsi la presente traduzione', che è descritta come 'fedele e vivace', anche quando la fedeltà non crea un'impressione 'elegante'.19 La prima vita di Dante di questo traduttore anglo-indiano anglo-fiorentino fu un libro trascurato, anche se non del tutto dimenticato, e la cui ricezione rifletterebbe alcune caratteristiche dello sviluppo del "culto" del Vita nuova nel diciannovesimo secolo.**NOTE:**1 Toynbee 1909: 2. 593, n. 1.
2 Ellis 1983: 104.
3 Milbank 1998 and Straub 2009.
4 Hostettler and Braby 2010: 196-7. On Theodosia Abrams/Fisher's singing career and that of her sisters, see ODNB, s.v. 'Abrams, Harriett (c.1758-1821).
5 Trollope 1887-9: 1. ch. 14.
6 For Landor's epitaph, see Stebbins and Stebbins 1946: 183-4 and (for the version published in 1897) Watson 1986: 402-3.
7 Landor's pencil annotations to Garrow's 'Preface' are in the British Library copy (C. 134 e. 19, inscribed 'From the Translator'); his sceptical comments about Platonic theory and about Vn and 'modern romance' are on pp. xvi-xviii. Further on these and on Landor's Examiner review, see Watson 1986: 403-5.
8 See ODNB, s.v. 'Trollope [née Garrow], Theodosia (1816-1865), author.'
9 Stebbins and Stebbins 1946: 122-3
10 Richet 2016: 5-7
11 Garrow Trollope 1861; see also Hostettler and Braby 2010: 201-3.
12 On the poem (translated into Italian by Niccolini), see Stebbins and Stebbins 1946: 123-4.
13 Trollope 1887-9: chs 9 and 18.
14 See (online) Treccani 2015.
15 Caesar 1989: 66.
16 Garrow 1846: vi.
17 Forster's copy was donated by him to the National Art Library, London; Norton refers to Garrow in his own 1859 Vn translation (p. 101, n. 3); Musgrave's translation of Inf. was published in 1893 and 1933 (see Cunningham 1966: 186-91) and his copy of Garrow's Vn is in the library of Lady Margaret Hall, Oxford. Barlow's - acquired during his visit to the Florentine Festa di Dante in 1865 - is in Special Collections at University College London; and Moore's and Oelsner's are in the Taylorian at Oxford. There are at least 15 copies in UK libraries and 5 in the USA.
18 Landor 1846: 659 col. 2.
19 Athenaeum 10 October 1846, p. 1040, col. 3 and 1042 cols 1-2. Watson (1986: 403) misreads 'spirited' as 'spiritual'.BIBLIOGRAFIA:Caesar, M., 1989. Dante: the Critical Heritage 1314(?)-1870. London and New York: Routledge.
Cunningham, G., 1966. The Divine Comedy in English: A Critical Bibliography, 1782-1900. Edinburgh and London: Oliver & Boyd.
Ellis, S., 1983. Dante and English Poetry: Shelley to T.S. Eliot. Cambridge: Cambridge University Press.
Garrow, J., 1835. Sacred Music ... arranged ... for Four Voices. London: J. Green.
Garrow, J., 1846. The Early Life of Dante Alighieri, together with the Original in Parallel Pages, by Joseph Garrow Esqr. A.M. Florence: Le Monnier.
Garrow Trollope, T., 1861. Social Aspects of the Italian Revolution. London: Chapman & Hall.
Hostettler, J. and Braby, R., 2010. Sir William Garrow: His Life, Times and Fight for Justice. Sherfield on Loddon: Waterside Press.
Milbank, A., 1998. Dante and the Victorians. Manchester: Manchester University Press.
Stebbins, L.P. and R.P. 1946. The Trollopes: The Chronicle of a Writing Family. London: Secker & Warburg.
Straub, J., 2009. A Victorian Muse: The Afterlife of Dante's Beatrice in Nineteenth-Century Literature. London and New York: Continuum.
Toynbee, P.J., 1909. Dante in English Literature, from Chaucer to Cary (c. 1380-1844). 2 vols, London: Methuen.
Treccani 2015. 'Felice Le Monnier' in Dizionario biografico degli italiani. Online article at: http://www.treccani.it/enciclopedia/felice-le-monnier_(Dizionario-Biografico)/
Trollope, T.A., 1887-9. What I Remember. 3 vols, London: Richard Bentley.
Watson, G., 1986. 'The First English Vita Nuova.' Huntington Library Quarterly 49, pp. 401-7.
Richet, Isabelle (2016), "Two Women Periodical Editors in Nineteenth-Century Italy: Theodosia Garrow Trollope and Helen Zimmern as Literary and Cultural Go-Betweens." Online at:
http://podcasts.ox.ac.uk/series/cosmopolis-and-beyond-literary-cosmopolitanism-after-republic-letters [paper 20] La regina Victoria
La regina Victoria, India e Firenze - Domenico Savini
La regina Vittoria imperatrice dell’India - Gabriella Del Lungo Camiciotti, Università di Firenze
Introduzione
Alla fine dell’Ottocento motivi economici, politici e religiosi mossero le nazioni europee a espandere la loro influenza su altre regioni, ciascuna nell’intento di accrescere il proprio potere sulla terra. L’impero britannico si estesero aldilà del mare perché la rivoluzione industriale dell’Ottocento aveva creato il bisogno di risorse naturali necessarie a far funzionare i macchinari e i mezzi di trasporto appena inventati. In questo periodo l’India, che era già sotto il controllo della corona dal 1858, acquisì status imperiale nell’intento di collegarla più strettamente al suo centro metropolitano, Londra.
Un atto parlamentare riguardante i titoli reali (Royal Titles Bill) fu presentato in parlamento nel 1876, e nel 1877 Benjamin Disraeli, primo ministro conservatore, fece proclamare la regina Vittoria imperatrice dell’India. La regina Vittoria aprì il parlamento in persona per la prima volta dopo la morte del principe Alberto, per annunciare il cambio di titolo reale. A Dehli, in ciò che è conosciuto come il Dehli Dunbar (corte di Dehli), il 1 gennaio 1877 si tennero delle celebrazioni sotto la guida del viceré Lord Lytton.
Questo evento inaugurò il periodo del nuovo imperialismo in Gran Bretagna, ideologia che fu disseminata tramite un gran numero di agenzie propagandistiche imperiali fondate nel tardo Ottocento e ai primi del Novecento; queste diffondevano una visione del mondo in buona parte basata su un rinnovato militarismo, la devozione verso la regalità, e l’identificazione con e la venerazione di eroi nazionali, insieme al culto della personalità e idee razziali associate con il darwinismo sociale. Come osservato da MacKenzies (1990, pp. 2-3) l’influenza di queste idee sulla cultura popolare fu profonda in quanto penetrarono nel sistema educativo, nelle forze armate, nei movimenti giovanili in uniforme, nelle chiese e società missionarie, ed anche in forme di intrattenimento pubblico come il music hall e le esposizioni. Neanche l'intellighenzia fu immune dall’ imperialismo. Forse il più famoso scrittore[1] che contribuì a diffondere l’idea della superiorità della civiltà bianca è Kipling che si fece interprete, propagandista e principale apologeta dell'élite imperialista. Un punto di vista meno darwiniano è quello di Lytton Strachey, intellettuale membro del gruppo di Bloomsbury, il quale dopo il successo del suo Vittoriani Eminenti (Eminent Victorians,1918). pubblicò la biografia della regina Vittoria (Queen Victoria) nel 1921.
La regina Vittoriani
Come indicato da MacKenzies, la venerazione della monarchia si sviluppò dalla fine degli anni 70 dell'Ottocento e quando ciò avvenne lo fu in stretta unione con il ruolo imperiale del monarca. La biografia della regina Vittoria di Strachey contribuì a stabilizzare il ruolo del monarca come emblema imperiale; Stracey sottolinea presenta Vittoria come matriarca regale, dal momento che considerava i sudditi imperiali come la sua famiglia allargata, e mostra il suo particolare attaccamento all’India. La regina Vittoria era infatti affascinata dall’India. Come scrive Le Jeune (2017, p.1): «In tutta la sua vita la monarca fu molto attiva nello scoprire l’India. Cercava di entrare in contatto con il suo “popolo indiano” del cui benessere si interessava regolarmente. Era curiosa di ascoltare e leggere le testimonianze e le storie personali di ufficiali inglesi o viaggiatori tornati di recente dall’India. Divenne appassionata degli Indiani, particolarmente di coloro che poteva incontrare in Inghilterra. Collezionava oggetti, dipinti e schizzi che evocavano scene di vita del subcontinente indiano. Più anziana cercò di riprodurre il mondo orientale intorno a lei a Osborne House. Nel suo Raj (Territori della Corona in India) cercò di difendere i nativi dell’India dal duro dominio imperiale dei suoi ministri, per affezione materna.»[mia traduzione]
Vittoria prendeva i suoi doveri di imperatrice con molta serietà e quando arrivò il momento del suo giubileo d’oro nel 1887 e fece ogni sforzo per mettere in risalto il “gioiello dell’Impero Britannico” come chiamava il Raj. Offrì banchetti sontuosi non solo alla nobiltà europea ma anche per ai principi indiani, e partecipò a complicate processioni a cavallo accompagnata dalla cavalleria coloniale indiana. Aggiunse anche inservienti indiani alla famiglia reale per aiutare nei festeggiamenti. Vittoria sviluppò una particolare simpatia per uno dei suoi nuovi servitori, Abdul Karim. Ben presto ruolo di questi cambiò: dal servire al tavolo all’insegnare alla regina a leggere, scrivere e parlare in Urdu, o ‘Industani’. La regina voleva conoscere tutto dell’India, un paese sul quale dominava ma che non poté mai visitare. Abdul le raccontò tutto di Agra, dai frutti e le spezie locali ai panorami e ai suoni della sua patria. In breve egli divenne il suo ‘Munshi’, o insegnante, e si iniziò un’amicizia che sarebbe durata più di una decade.
La biografia della regina Vittoriani
Nella sua biografia della regina Vittoria Strachey si focalizza solo su uno dei tre elementi della propaganda imperialista individuati da MacKenzie. Dopo che Vittoria fu proclamata imperatrice dell’India, egli mostra come la monarchia sia collegata all’imperialismo, e come Vittoria incarni in modo particolarmente appropriato l’impero.
Lytton Strachey, La regina Vittoria, p. 330:
Naturalmente tutto il misticismo della costituzione inglese si concentrava nella Corona, con la sua venerabile antichità, le sue sacre rimembranze, le sue cerimonie imponenti e spettacolose. Ma per quasi due secoli il buon senso aveva predominato nel grande edificio e il piccolo cantuccio inesplorato e inesplicabile aveva attratto ben poca attenzione [riferimento a una zona della costituzione inglese che sfugge al buon senso e ospita l’ elemento mistico]. Perché l’imperialismo non è soltanto una questione d’affari, ma è anche una questione di fede e col suo crescere crebbe anche il lato mistico della vita pubblica inglese, e simultaneamente una nuova importanza cominciò ad essere attribuita alla Corona. Il bisogno di un simbolo della potenza inglese, del valore inglese, dello straordinario e misterioso destino dell’Inghilterra, cominciò a essere sentito più forte che mai. Quel simbolo era rappresentato dalla Corona, e la corona posava sul capo di Vittoria. Così avvenne che, mentre al termine del regno il potere della sovrana era sensibilmente diminuito, il prestigio della sovrana invece era enormemente cresciuto.
I Britannici certamente concepivano il loro impero gerarchicamente, in termini razzisti di superiorità e inferiorità, centro e periferia, ma, come indicato da Cannadine (2001), oltre alla considerazione dell’India basata sulle differenze, la percepivano anche come un territorio coloniale dotato di somiglianze: vedevano le altre popolazioni composte di individui che si potevano comparare sulla base di una somiglianza di status; questo portò al riconoscimento di status sociali uguali — i principi sono principi ovunque — e formò la base dell’estremamente elaborato territorio coloniale dell’India. Questo aspetto è presente anche nella biografia di Strachey, nella quale Vittoria è presentata come un matriarca che governa il suo popolo, sia britannico sia coloniale. Ciò è solennemente ricordato da Strachey in occasione del giubileo, che legittimò lo status imperiale nella relazione che univa la corona ai principi governanti del subcontinente indiano, ora integrati nei principi aristocratici britannici.
Lytton Strachey, La regina Vittoria, p. 307:
L’anno seguente era il cinquantesimo del suo regno e nel giugno lo splendido anniversario fu celebrato con pompa solenne. Vittoria, circondata dai supremi dignitari del regno, scortata da uno scintillante corteo di re e di principi, passò attraverso la folla entusiasta della capitale per recarsi a ringraziare Dio nell’abbazia di Westminster. In quell’ora di trionfo le ultime tracce residue delle vecchie antipatie e della vecchie discordie furono interamente cancellate. La regina fu salutata a un tempo come la madre del suo popolo e come il simbolo incarnato della grandezza imperiale d’Inghilterra; ed ella corrispose a questo duplice sentimento con tutto l’ardore del suo spirito. Ella sapeva, ella sentiva che l’Inghilterra e il suo popolo erano, per un prodigio meraviglioso e tuttavia semplicissimo, cosa sua. Esultanza, affetto, gratitudine, un senso profondo di riconoscenza, un orgoglio senza limiti: tali erano i suoi sentimenti — ma sopra di essi vi era qualche altra cosa, che dava colore e intensità a tutto il resto. Finalmente, dopo tanto tempo, la felicità, per quanto frammentaria e carica di gravità, ma tuttavia vera e indisconoscibile felicità, era ritornata a lei. Questo insolito sentimento riempiva e accendeva tutta la sua coscienza. Quando, ritornata a Buckingham Palace dopo la fine della lunga cerimonia, le fu chiesto come si sentiva: «Sono molto stanca, ma anche molto felice», rispose.
Strachey mostra anche la crescita del ruolo cerimoniale dell’imperatrice. Con considerevole pompa si tennero esibizioni indiane e coloniali, inaugurate da Vittoria. La regina Vittoria divenne il perno del nuovo imperialismo, percepito in gran Bretagna come un periodo di sicurezza e prosperità. Per le celebrazioni del 1887 e 1897 vennero a Londra primi ministri coloniali e principi indiani, accompagnati da truppe e seguaci esotici e pieni di colore. Così Strachey descrive il giorno che segue il giubileo.
Lytton Strachey, La regina Vittoria, p. 308:
Così, dopo i travagli e le tempeste della giornata sopravvenne un lungo crepuscolo dolce e sereno e illuminato dai raggi dorati della gloria. Perché un’atmosfera senza esempio di trionfo e di adorazione avvolse l’ultimo periodo della vita di Vittoria. Il suo trionfo era la sintesi e l’emblema di un più grande trionfo, della culminante prosperità della nazione. Il consistente splendore del decennio [1887-1897] che trascorse tra i due giubilei di Vittoria trova a stento eguali negli annali dell’Inghilterra. I saggi consigli di Lord Salisbury parvero portare con sé non soltanto la ricchezza e la potenza, ma anche la sicurezza: e il paese si assise con sicura tranquillità al godimento di una grandezza ben stabilita. Come era naturale, anche Vittoria si assise. Perché ella era una parte dell’edificio: una parte che appariva essenziale; come un mobile, una magnifica e inamovibile vetrina, nel vasto salone dello Stato. Senza di lei il copioso festino del 1890 avrebbe perduto la sua qualità più singolare: la serie così ben ordinata di sostanziosi e semplici piatti, con il riflesso pesante, sulle pareti, dell’argenteria quasi nascosta agli sguardi.
Osservazioni conclusive
Il punto centrale della biografia della regina Vittoria di Strachey è la sua trasformazione da vedova petulante a matriarca imperiale. Il ruolo mondiale di imperatrice fu per lei fonte di eccitazione nella sua vecchiaia e conferì nuovo significato al cerimoniale che la circondava.
Sebbene I toni più aspramente darwiniani dell’ideologia imperialista siano assenti in questo lavoro, la luce favorevole gettata sulla qualità mistica dell’impero britannico e su Vittoria, lei stessa una tory imperialista non da meno dei suoi ministri, mostra chiaramente che la biografia di Strachey è opera di propaganda a favore della mentalità coloniale così diffusa nella Gran Bretagna vittoriana ed edoardiana in tutte le classi sociali e che, dice MacKenzies (1990, p.4), inaugurò un periodo —che sarebbe durato fino all’ascesa al trono di Elisabetta II — nel quale tutti I grandi eventi reali sarebbero stati imperiali.
BIBLIGRAFIA
Bearce George D. (1961). British Attitudes Towards India,1784-1858. Oxford, Oxford University Press.
Cannadine David (2001). Ornamentalism. How the British saw their Empire. Penguin Books, London.
Le Jeune Françoise (2017). "Queen Victoria’s orientalism, inventing India in England". In Imaginaires, Féminisme et orientalisme,21, hal.archives-ouvertes.fr-03313493.
MacKenzie John M. (1990, 1984). Propaganda and Empire. The Manipulation of British public opinion, 1880-1960. Manchester University Press.
Metcalf Thomas R. (1995). Ideologies of the Raj, Cambridge, Cambridge University Press.
Nünning, Ansgar and Rupp, Jan. "The Dissemination of Imperialist Values in Late Victorian Literature and Other Media". In Ethics in Culture: The Dissemination of Values through Literature and Other Media, edited by Astrid Erll, Herbert Grabes and Ansgar Nünning, Berlin, New York: De Gruyter, 2008, pp. 255-278.
Strachey, Lytton (1921). Queen Victoria. Release Date: August 21, 2011 [EBook #37153]. Project Gutenberg.
Strachey, Lytton (1966). La regina Vittoria. Traduzione a cura di Santino Caramella. Milano, Arnoldo Mondadori editore.
[1] Sul ruolo propagandistico della letteratura si veda Nünning, Ansgar e Rupp, Jan 2008.
Isa Blagden and Robert Lytton - Elena Giannarelli
2,30-3,30 John Ruskin e Oscar Wilde
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Oscar Wilde Viaggiatore a Firenze; Ammiratore dell'India - Rita Severi
Oscar Wilde (1854-1900) è autore di poesie, una tragedia, lettere e vari scritti che ambientano, descrivono o espongono alcune delle sue idee su Firenze e sul suo più grande poeta, Dante Alighieri. Visitò per la prima volta Firenze nel 1875, quando era ancora studente a Oxford, dove aveva assistito alle lezioni di Ruskin. Tornò in città nel 1894, quando visitò Violet Paget/Vernon Lee e il suo fratellastro Eugene Lee Hamilton. Ha visto molto Bernard Berenson, un po' meno André Gide, ha visitato Villa Stibbert e ha lasciato la sua firma nel libro degli ospiti. Per tutta la vita è stato attratto dal subcontinente indiano, dalla sua spiritualità e religione. Come editore di "The Woman's World" (1887-1890) scelse di recensire libri sulla società indiana e le sue donne, e sollecitò articoli sull'India, scritti da autori inglesi che avevano visitato e studiato quel mondo intrigante. Era estremamente appassionato di conoscere la sua poesia sacra e i suoi antichi rituali. Nella sua casa, in Tite Street, Chelsea, si circondò di piccoli oggetti decorativi indiani e fece ricoprire la maggior parte dei pavimenti della casa con stuoie indiane. Nella sua tragedia, Salomé, nella metaforica “danza dei sette veli”, Wilde evoca sorprendentemente uno dei miti indiani più complessi e artistici.
Ruskin and Mountains - Sir Nicholas Mander
La città come concetto
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Alcune riflessioni sulla parola polis, civitas, città/Some reflections on the word polis, civitas, city - Francesca Ditifeci
Come diceva Aristotele l’essere umano è zoon politikon echon ton logon, animale politico dotato di parola, corpo abitato dalla parola. Ed è proprio nella sua identità di parlessere che diviene cittadino, abitante della polis. Quindi gli uomini sono esseri capaci di politica, perché sono esseri capaci di linguaggio. In questa prospettiva diviene chiaro che “in una città un posto ci deve essere per tutti: un posto per pregare (la chiesa), un posto per amare (la casa), un posto per lavorare (l’officina), un posto per pensare (la scuola), un posto per guarire (l’ospedale). In questo quadro cittadino, perciò, i problemi politici ed economici, sociali e tecnici, culturali e religiosi della nostra epoca prendono una impostazione elementare ed umana! Appaiono quali sono: cioè problemi che non possono più essere lasciati insoluti” (La Pira 1954).
E’ nella città che l’essere umano cerca la sua realizzazione perché “per ciascuna di esse è valida la definizione luminosa di Péguy: essere la città dell’uomo abbozzo e prefigurazione della città di Dio. Città arroccate attorno al tempio; irradiate dalla luce celeste che da esso deriva: città nelle quali la bellezza ha preso dimora, s’è trascritta nelle pietre: città collocate sulla montagna dei secoli e delle generazioni: destinate ancora oggi e domani a portare alla civiltà meccanica del nostro tempo e del tempo futuro una integrazione sempre più profonda ed essenziale di qualità e di valore! Ognuna di queste città non è un museo ove si accolgono le reliquie, anche preziose, del passato: è una luce ed una bellezza destinata ad illuminare le strutture essenziali della storia e della civiltà dell’avvenire.” (La Pira 1955).
Mattine a Delhi - Arjun Shivaji Jain
INTRODUZIONE
Prendendo spunto da _Mornings in Florence_1 di John Ruskin del 1886, desidero che quanto segue sia l'umile guida che posso offrire ai viaggiatori a Delhi, sia indiani che non, dove sono nato e cresciuto, e dove sono tornato, a vivere e a Amore. Come ha fatto Ruskin, non intendo consegnarlo diversamente da come lo farei agli amici, che potrebbero avermi chiesto le mie opinioni su di esso, senza preoccuparsi di quanto "sbagliati", accademicamente, potrebbero forse rivelarsi. Nel corso di una settimana, in spirito, camminerò con te per la città. Chissà quante epoche passate potremo incontrare, quanti degli innumerevoli poeti e pittori – tutti amanti appunto – potremo incontrare? Vedremo cosa faremo, occhi immacolati dal dogma. Vedremo come un bambino, a pieni polmoni e con gli occhi luminosi. E possiamo decidere anche di vedere – ed è davvero una decisione – di vedere con il cuore felice? — Prima di iniziare, immagino che i dottori ti consiglieranno di farti le iniezioni e tutto il resto, così potresti non prendere niente di particolarmente brutto mentre sei qui; "Delhi belly" è come si chiama di solito, ho capito. Bene, lascia che ti dica che catturerai davvero "qualcosa" e che nessun colpo al mondo sarà in grado di impedirlo davvero. Potresti davvero ammalarti e decidere di partire la prima mattina, ma potresti anche decidere di restare, per sempre. Un ospite è simile a Dio, si crede qui in queste terre.
LA PRIMA MATTINA
APPRODO
Ah! Che mattina davvero! E che tempo perfetto! Lo senti sulla tua pelle? Sembra che ieri sera abbia piovuto. Beh, non aprire gli occhi finché non te lo dico io. - Ora. Vedere. Con cautela perché i tuoi occhi potrebbero reagire a tutta questa repentinità. L'aria ha un colore completamente diverso, non è vero? Un arancione acceso, direi, e vago, come velato di bianco. Ha anche un odore diverso, sai? Speziato e denso, di incenso, pesante come se potessi raccoglierlo in un barattolo e portarlo con te. Ti suggerisco di non parlare per un po', ma di ascoltare. Prendi la città, il paese, il subcontinente e forse il mondo. La maggior parte di oggi, lascia che te lo dica, potresti non ricordare attivamente, ma solo come in un sogno. Quindi cogli l'attimo. Sogna tutto il giorno oggi. E no, non dormirai; non è quel tipo di sogno. Non c'è riposo qui da trovare, almeno non inizialmente. Perché, i tuoi sensi sono tutti svegli, vero? Hai visto tanti colori prima? Hai sentito tanti profumi? Hai sentito tanti suoni o toccato tante cose? Hai provato tanti sentimenti? Tutto in una volta? Sei stato in un oceano e sei sopravvissuto per raccontare la storia? Bene, questo è tutto. Nota che la tua attenzione diventa più acuta di secondo in secondo. Il peso della sensazione su di te. Sensazione infinita. Come un fulmine sta trapassando la tua coscienza. Non c'è niente che abbia senso. Ecco com'è la vita - vita pura, vita cruda -.
LA SECONDA MATTINA
PARCO DI CHITTARANJAN
Buongiorno! Hai dormito bene la notte? Hai avuto qualcosa, vero? Non devi rispondere. Non sarei sorpreso se il tuo cuore battesse ancora veloce come ieri. Ci vuole un po' di tempo in effetti. Oggi stiamo passeggiando per il Chittaranjan Park, dove vivo ormai da alcuni anni. È la parte bengalese della città, la parte della città in cui probabilmente vivrebbe il poeta Tagore, se fosse lì. Bengala a Delhi, chiedi? Perchè si! Tutta l'India è a Delhi, davvero! E con il tempo, vedrai, anche tutto il resto del mondo. I clacson, sì, delle macchine? Sì, beh, è qualcosa con cui dobbiamo confrontarci costantemente qui. A seconda di dove pensi finisca Delhi, da qualche parte tra i diciassette ei quarantatre milioni di persone chiamano Delhi la loro casa, da qualche parte tra l'intera Olanda e più dell'Ucraina. È divertente però, nel complesso, come tutto sembri ancora funzionare. Se da qualche parte c'era il caos nel mondo, è qui, se da qualche parte c'era l'anarchia, anche quello – eppure, tutti sembrano restare calmi, più o meno, e tutti, più o meno – più poveri che ricchi – hanno un sorriso sul loro volto. Anche il suono costante del clacson: è più un "ehi, sono qui" che un "vattene!", davvero. E oh, hai notato anche gli animali? I gatti randagi, i cani randagi e le mucche randagie? Sì, abituati, come hanno fatto loro, gli animali. I leoni possono benissimo essere i re delle giungle qui in India, ma le mucche sono i re delle città. E oh, ma potremmo dimenticare le scimmie? Come osiamo, davvero?
LA TERZA MATTINA
PARCO VERDE E PARCO DEI CERVI
Sai, nella mia infanzia, avevamo davvero anche degli incantatori di serpenti? Non scherzo affatto. Ho vissuto a Yusaf Sarai da bambino, un tempo sede di una casa di riposo medievale, e ora una vera e propria colonia di Delhi, un villaggio urbano. Per tutta la sua popolazione e l'inquinamento, Delhi è, che ci crediate o no, una delle città più verdi del mondo, come ovviamente potete vedere. Il mese scorso, l'albero semal-rosso-cotone-seta era tutto in fiore, forse per celebrare Holi, la festa dei colori. Oh sì, ne abbiamo un sacco, festival. Ogni due settimane, sul serio! Ma sì, allora era semal, e presto saranno tutti amaltas ovunque, laburnum e Gulmohar, la Royal Poinciana meravigliosamente cremisi - che puoi davvero mangiare! È un po' acido! Lascia che ti porti al Deer Park dopo, piuttosto vicino, e il mio parco preferito da giovane. Oh guarda! Un pavone! E conigli! E cervi! E oh Dio, ha un profumo così buono, vero? Profuma di innocenza. E oh, guarda che il gelso è tutto abbastanza maturo adesso. Vuoi avere un assaggio? Dai, non essere così delicato! Scegline uno direttamente dal ramo - quelli nerastri più scuri sono più dolci - e mettilo in bocca. Il lavaggio toglie la maggior parte dello zucchero, a quanto pare. Delizioso, vero? Ehi, c'è un albero di eucalipto, vedi? Vieni, ti mostro qualcosa. Ecco, strofina queste foglie secche nel palmo della mano - schiacciale, davvero - e annusale? Sì? Vedo che sei distratto da tutti i nomi degli innamorati scolpiti sugli alberi qui.
LA QUARTA MATTINA
CHANDNI CHOWK
Oh, quanto sono stato impertinente a non averti ancora chiesto da mangiare? Sono già passati tre giorni! Bene, lascia che ti porti a Chandni Chowk allora oggi, la Moonlit Square. Ora, questa è Old Delhi, la vera Delhi se vuoi, prima degli inglesi. È un po' come il Quartiere Gotico di Barcellona, vero?! Ah, se solo ci fosse meno gente, o il governo presterebbe più attenzione. Comunque, se pensavi di aver visto tutto il giorno in cui sei atterrato, non sei preparato, lo giuro. Tutti i tipi di persone strane che vedrai oggi, tutti i tipi di cose strane che accadono. L'architettura, sebbene fatiscente, è bella, vero? Dio sa da quanti anni questi edifici sono qui? Tutto arcuato, reticolato e filigranato, quasi. Eppure, nessuno che si prenda cura di loro. Bene, iniziamo oggi dal Forte Rosso, roccaforte dell'Impero Mughal, la penultima, o forse terzultima, grande città di Delhi, da sette, o nove, o undici, chi può dirlo? Ogni stradina qui vende qualcosa di completamente diverso: spezie, carta, gioielli, aquiloni, i bordi dei sari per l'amor di Dio! E oh, cibo! Ora che è qui ad ogni angolo. Sai, la vera arte è sempre quella del cibo? Gli artisti fingono tutti, mi sembra a volte, con i loro quadri. Ma attenzione, il cibo di Delhi non è per i deboli di cuore. È vegetariano, sì, quasi tutto, ma speziato a un livello che potresti sentirti all'inferno - ma dagli tempo, e sarà un inferno che desidererai ardentemente! Vieni, prendiamo un po' di chole-kulche e kachori? Che ne dici di qualche nagori? Naan-khataai? Condito con un bicchiere di limonata frizzante?
LA QUINTA MATTINA
GIARDINI DI LODHI
Hai notato, mi chiedo, lungo tutta la tua sinistra ieri, la sequenza di edifici che stavamo attraversando? Non sono sicuro che una cosa del genere esista in qualsiasi altra parte del mondo, ma uno per uno, uno dopo l'altro, vicini l'uno all'altro, siamo passati davanti a un tempio giainista, un tempio indù, una chiesa battista, un Gurudwara sikh e due moschee medievali! Incredibile, vero? Ma andiamo ora ai Lodhi Gardens, l'ennesima delle tante Delhi del passato, ora trasformate in parco. L'enorme numero di monumenti che Delhi ha, davvero, è sbalorditivo. Sono solo lì. Qui, là, ovunque, e spesso nessuno li guarda nemmeno una seconda volta, sono così radicati nella mente del Delhiite. Bene, i giardini di Lodhi sono lussureggianti, come puoi vedere. Rigoglioso di vegetazione. Gli edifici hanno tutti quanto, mille anni? Tutto costruito in quarzite, grigia, con dentro il fuoco, quarzite dell'antica catena montuosa degli Aravalli, ormai quasi tutto tranne un ricordo del passato. Questa parte di Delhi, come puoi vedere, di Nuova Delhi, è proprio Nuova Delhi. Vorrei che a volte anche il resto potesse assomigliargli. Bene, qui è dove vivono i politici, questi sono i "loro" giardini, a quanto pare. Questo, e tutto intorno, potresti dimenticarti di essere in India per un minuto o due. I miei sentimenti per questo sono contrastanti. Lo adoro: è bellissimo! Ma lo è anche molto di più, se solo fosse curato meglio, o per niente. I soldi del contribuente? Bene, qui è dove va, suppongo, all'abitazione del fisco.
THE SIXTH MORNING RED HOUSE
And now that we come to the end of these six days in Delhi, I would like to take you somewhere new today, somewhere you can feel where the city might proceed towards, if tended to carefully. It is a sad fact of this country, as many in the region, that its citizens, if given the choice, will indeed flee it at once. The moral fibre of the nation, once famed, if you delve deep enough, you may not find it too easily today. The fickleness of certain peoples, really, Is unbelievable. And yet, places like these do also exist – like the Red House. May all of Delhi look someday like this? Built progressively of brick, naked brick, and lime, latticed in every pattern? And arched, wherever an arch can fit? There were no plans for this, you know, no architectural blueprints? It was worked upon like a sculpture, with love every day. Come, let us sit in the open courtyard for a while, and let us enjoy the all-embowered-ness of it. Say, would you like some tea perhaps? The smell of the Rangoon creeper is all about us, threatening to make us stay here forever. Ah, look, a band of youngsters have just come in. They’re here for a workshop it seems. They speak in English, though not affected, and are dressed quite fashionably, no? And how beautifully they feel a part of all this? Have they all known each before, do you reckon? Or has this place done something to them? Now this is precious. The sunlight’s so very beautiful. All of life feels so very beautiful. Let us not make haste for tomorrow. This is good!
LA SETTIMA MATTINA
DILLI HAAT CONCLUSIONE
Beh, forse una settimana non era affatto sufficiente per un tour del genere, vero? Come ha fatto Ruskin, temo di non essere riuscito a scegliere nessuna opera d'arte molto particolare da prendere in considerazione, ma è davvero difficile qui, questo, sai? L'arte non c'è più, nel senso ovvio, da nessuna parte, da guardare qui. Forse è ovunque? Non è affatto visto allo stesso modo, vedi. Le cose non sono classificate, conquistate e rese schiave qui dell'intelletto. Devono essere più sentiti, lo sento. Più per essere percepito da un cuore aperto, che dalla mente. Tuttavia, i mormorii dei secoli risiedono, come promesse del futuro. La città continua – Dio sa come, ma lo fa! — Dimmi, vorresti qualche ricordo di questo nostro viaggio da tenere con te, da portare con te? Andiamo una volta a Dilli Haat prima di partire, il bazar nel cuore di questa metropoli. Puoi dirmi quello che cattura la tua fantasia, va bene? Sarà il mio regalo per te. Oh, che ne dici di questa gonna ricamata d'oro? Questa sciarpa indaco? Qualcuno di questi infiniti tappeti pesanti? O mango? Oh, sì, mango - di centinaia di varietà - il re dei frutti! Se non li hai mai mangiati prima, forse non crederai a quanto sono dolci e come mai una tale dolcezza avrebbe potuto essere risucchiata dal terreno? Bene, c'è qualcosa nel terreno qui, c'è davvero. In quale altro modo Gandhi potrebbe essere nato qui? In quale altro modo Mahavira e Buddha? E tutto il resto esistente? Ma temo di averti intrappolato! Chi, sano di mente, potrebbe sopportare di lasciare questi vicoli? Queste non sono le "strade" di Delhi, amico mio, ma la tela di un artista. Delhi. La città prescelta del mondo. La città che i cieli hanno saccheggiato e devastato, più e più volte. Solo Delhi è la città dell'amore. E io sono un abitante di questo giardino distrutto. - Addio! Ci rivedremo. BIBLIOGRAFIA
1 The Complete Works of John Ruskin, Library Edition. Volume XXIII, pp. 293-436. Lancaster University. Available online at lancaster.ac.uk/media/lancaster-university/content-assets/documents/ruskin/23ValdArno.pdf
Restauri
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The Indian Memorial, Firenze - Dott.ssa Rosie Llewellyn-Jones MBE
Il Parco delle Cascine a Firenze contiene un insolito monumento funerario di un sovrano indiano, Rajaram II di Kolhapur. Il rajah, appena ventenne, morì il 30 novembre 1870 all'Hotel della Pace in piazza Manin a Firenze. Stava tornando a casa, viaggiando attraverso l'Europa dopo aver trascorso quasi cinque mesi in Inghilterra. Kolhapur era un piccolo stato nominalmente indipendente nel paese del Mahratta meridionale, ora nel Maharashtra. Non faceva parte dell'India britannica sebbene il governo britannico avesse nominato un agente politico e l'educazione del giovane rajah fosse attentamente supervisionata. Se si fosse rivelato un sovrano inadatto, agli occhi degli inglesi, sarebbe stato tranquillamente deposto e sarebbe stato nominato un successore più malleabile. Ma Rajaram divenne un principe modello, lungimirante, interessato alla scienza e alle arti, parlava un inglese fluente, lo scriveva abbastanza bene ed era generalmente disponibile nei confronti del capitano Edward West, che fu nominato "assistente speciale" per sovrintendere alla sua istruzione e formazione. Un parsi laureato all'Università di Bombay fungeva da tutore del rajah.
Sebbene fosse un indù praticante e consapevole dei suoi illustri antenati Mahratta, Rajaram divenne anglicizzato e sviluppò un gusto per la società degli europei. Visitava il quartiere britannico di Kolhapur e ascoltava la banda del reggimento che suonava la sera mentre chiacchierava con il pubblico. Gli piaceva partecipare alle cene e imparò a ballare le quadriglie. Fu il suo incontro a Bombay con il principe Alfredo, il secondogenito della regina Vittoria, a far nascere nella mente del rajah l'idea di una visita in Inghilterra. Ma c'erano una serie di problemi che dovevano essere risolti prima. Molti indù non avrebbero viaggiato fuori dall'India perché significava attraversare il kala pani, l'acqua nera, e questo significava che avrebbero perso la casta. Poi c'era il problema del cibo: Rajaram non avrebbe mangiato alle cene britanniche a Kolhapur a meno che non avesse portato il proprio cibo, preparato dai cuochi bramini. Doveva portare con sé in Inghilterra un cuoco e un assistente e loro dovevano portare con sé le loro pentole e anche tutte le spezie necessarie. Le uniche cose che potevano essere acquistate all'estero erano i polli vivi, le uova e le verdure.
Tuttavia, Rajaram salpò da Bombay nel 1870 con il capitano West, l'anonimo tutore parsi e 11 assistenti nativi. Il gruppo è arrivato a Folkestone, sulla costa del Kent, il 14 giugno, poi ha preso il treno fino alla stazione di Charing Cross e da lì ha raggiunto una casa in affitto vicino a Hyde Park. Gli accordi sarebbero stati presi dal personale dell'India Office perché si trattava di un evento importante: la prima volta che un principe indù regnante aveva visitato l'Inghilterra. È stato elaborato un programma fitto. Durante la prima settimana Rajaram ha visitato Madame Tussauds, la galleria delle cere, Trafalgar Square e la Torre di Londra. Fu accolto calorosamente all'India Office, il dipartimento governativo che era succeduto alla vecchia Compagnia delle Indie Orientali che era stata abolita nel 1858. La Compagnia aveva istituito un proprio museo e il rajah fu sorpreso di vedere una così vasta collezione di antichità indiane a Londra . Alcune delle sue visite sono state motivate dal suo stesso interesse per le nuove tecnologie, come la conferenza al Regent Street Polytechnic che utilizzava diapositive di lanterne magiche e l'ufficio del telegrafo elettrico, dove i messaggi potevano essere ricevuti dall'India e anche ricevere risposta, il tutto entro cinque minuti. Attrazioni turistiche tra cui il British Museum, il Crystal Palace, i Kew Gardens e la cattedrale di St Paul, che sono state tutte molto apprezzate. Altri eventi furono organizzati appositamente per mostrare al meglio l'Inghilterra vittoriana e, implicitamente, i benefici che l'India poteva ricevere sotto il benevolo dominio britannico. Rajaram è stato presentato due volte alla regina Vittoria vedova al Castello di Windsor; ha frequentato le Houses of Parliament, dove ha visto la democrazia in azione e ha incontrato il Primo Ministro, William Gladstone e Benjamin Disraeli. È stato invitato a una cerimonia di laurea all'Università di Oxford dove il comportamento strepitoso degli studenti lo ha stupito.
Non sono state solo visite formali: il rajah si è goduto la tradizionale partita di cricket tra le scuole di Eton e Harrow al Lord's Cricket Ground; prendeva lezioni di ballo, giocava a croquet sul prato di una casa di campagna, frequentava più volte il teatro per ascoltare Adelina Patti, la celebre cantante lirica italiana che ammirava molto. Ha incontrato un certo numero di connazionali che si erano stabiliti in Inghilterra, tra cui Dadabhai Naoroji, il primo deputato indiano e ha visitato il maharajah Duleep Singh, il cui regno sikh era stato preso dagli inglesi, e che ora viveva come un gentiluomo di campagna nel Suffolk . Rajaram ha anche incontrato il nawab nazim del Bengala, Mansur Ali Khan, che era venuto in Inghilterra per fare appello contro il sequestro da parte del governo britannico del suo precedente stipendio, il fondo nizamat. I due uomini, entrambi governanti indiani a pieno titolo, ed entrambi alla ricerca di cose diverse, conversarono in inglese nel paese straniero che governava il loro. Rajaram ha mostrato poca comprensione della propria posizione e il Capitano West, che ha curato il suo diario dopo la morte del rajah, afferma che si trattava semplicemente di un resoconto quotidiano di visite ed eventi, piuttosto che un'analisi delle relazioni indo-britanniche o di qualsiasi profondo- riflessioni sedute sulla propria posizione anomala. Gli indiani erano ancora una rarità anche a Londra all'epoca e quando il rajah e il suo gruppo fecero un giro in carrozza a Victoria Park, a est di Londra, notò che "le persone che camminavano nel parco erano stupite di vederci nativi e solevano fanno un gran rumore ogni volta che ci vedono».
Dopo brevi visite in Scozia, nelle Midlands e in Irlanda, dove è stato accolto dal viceré a Dublino, il gruppo ha lasciato Dover il 1° novembre, recandosi a Ostenda, quindi attraverso il Belgio e la Germania. Lo scoppio della guerra franco-prussiana significava che la Francia doveva essere evitata. L'11 novembre il rajah fece l'ultima annotazione scritta a mano nel suo diario - annotazioni successive furono dettate da lui, probabilmente al Capitano West. Due giorni dopo Rajaram ha riferito di aver "avuto un attacco di febbre e stava molto male". Il giorno successivo, 14 novembre, non poteva camminare "a causa di un attacco visivo di reumatismi" e dovette essere portato su una sedia alla sua carrozza a Innsbruck. Sembrò riprendersi quando il gruppo arrivò a Venezia e fu portato su una portantina a Palazzo Ducale e in piazza San Marco. A Firenze il rajah accettò con riluttanza di farsi visitare da un medico inglese, il dottor Fraser – aveva portato con sé il proprio medico indiano – ma le sue condizioni subirono un improvviso peggioramento e morì nella sua suite d'albergo il 30 novembre. La causa della morte, senza un'autopsia, è stata data vagamente come "viscere addominali, insieme a collasso della potenza nervosa", il che non spiega i sintomi reumatici. La triste notizia è stata telegrafata alla famiglia del rajah a Kolhapur.
Nella morte rajah Rajaram ha presentato molti più problemi di quanti ne avesse avuti in vita. I suoi assistenti indù hanno insistito affinché il suo corpo fosse cremato, ma ciò era severamente vietato dal comune di Firenze. La reclusione per due anni era la pena per non aver seppellito un cadavere in una bara. Ora, per una curiosa coincidenza, la questione della cremazione era stata sollevata un anno prima a Firenze, quando la città ospitò nel settembre 1869 il secondo Convegno Medico Internazionale, al quale parteciparono delegati provenienti anche dall'India e dall'America. Durante le due settimane di conferenza è stata letta una relazione dal dottor Pierre Castiglioni, anch'egli fiorentino. "Sull'incenerimento dei cadaveri" era un'idea ben argomentata, anche se radicale. I cimiteri erano diventati luoghi insalubri, ha detto, con l'odore di corpi mal sepolti che penetrano nelle aree urbane. Anche i campi di battaglia erano un problema quando i cadaveri non potevano essere seppelliti rapidamente. C'erano obiezioni religiose, ha detto il dott. Castiglioni, e anche difficoltà tecniche prima che i crematori fossero sviluppati. Ma, ha concluso, non era meglio per le persone in lutto avere una "manciata di polvere" (une poignee de poussière) purificata, leggera e senza odore, piuttosto che il pensiero di una persona cara che si decompone su un letto di parassiti e putrefazione. Questo discorso potente ed emozionante è stato calorosamente applaudito e la mozione affermava che la cremazione doveva essere preferita all'inumazione. Sebbene non sia diventato completamente legale per altri diciotto anni, un crematorio fu costruito a Milano nel 1876 e l'Italia fu in prima linea negli sviluppi tecnici con ingegneri che visitarono l'Inghilterra per consigliare. Nel 1885 il primo crematorio era stato istituito a Woking, nel sud dell'Inghilterra.
Non sappiamo se il dottor Castiglioni sia stato consultato dopo la morte del rajah quando si sono svolte discussioni frenetiche per risolvere due opposte ideologie col passare del tempo. Una cremazione indù normalmente avviene entro 24 ore, per ovvie ragioni. Il dottore avrebbe certamente sostenuto la cremazione ed è possibile che abbia stabilito una sorta di precedente mentre il dibattito continuava negli anni '70 dell'Ottocento. Chiaramente era possibile essere sia profondamente religiosi che praticare la cremazione: era solo una religione diversa dalle rigide credenze cattoliche prevalenti all'epoca. Il Capitano West ha delineato quanto accaduto dopo che la morte del rajah era stata certificata dal medico locale, Enrico Passigli. Il signor Peruzzi, il Sindaco di Firenze (l'ufficiale municipale capo) si recò immediatamente alla Legazione Britannica per incontrare Sir Augustus Paget, il Console Britannico e per discutere della cremazione. Peruzzi, di un'antica famiglia fiorentina di notevole importanza, accantonò le obiezioni degli "altri partiti" e le superò con i suoi "noti sentimenti di tolleranza religiosa". Entro l'una di notte erano state predisposte le disposizioni per il corteo funebre e la cremazione e ne sono stati informati il Direttore della Polizia Municipale e il Segretario della Commissione Sanitaria Comunale.
Il luogo prescelto per la cremazione era all'estremità del Parco delle Cascine, sulla riva del fiume Arno, in una spianata deserta e aperta. Normalmente il corpo sarebbe stato trasportato su una bara all'altezza delle spalle da quattro o sei uomini, ma si è convenuto che ciò avrebbe attirato troppa attenzione, quindi è stato utilizzato un omnibus trainato da cavalli appartenente all'hotel. I servitori del rajah si sedettero all'interno, l'uno di fronte all'altro, e sostennero in ginocchio la tavola su cui giaceva il corpo. Non è stata esattamente un'uscita dignitosa, ma ha evitato che il corpo venisse adagiato sul pavimento. Nonostante l'ora mattutina e il cattivo tempo, numerose carrozze e una grande folla avevano saputo dell'evento e avevano seguito il corteo fino al luogo dove era già ammucchiata la pira funebre. Il corpo è stato deposto con riverenza in cima al tumulo alto tre piedi con la faccia rivolta verso est all'1:30. I resoconti dei testimoni oculari differiscono su come il rajah era vestito per questo atto finale: alcuni riportavano grandi collane di perle, braccialetti d'oro e gioielli su un turbante, anche se un'altra descrizione di un ricco scialle rosso con bordi ricamati in oro sembra più probabile. La testa era unta con burro chiarificato e legno di sandalo e rami di betulle ammucchiati. L'intera scena era illuminata da piccole lanterne di carta portate dai servitori del rajah. Poco prima delle 2:00 è stata applicata una torcia alla pira e un forte vento di tramontana ha favorito le fiamme. I servi indiani sedevano a gambe incrociate per terra, pregando in silenzio e inchinandosi verso la pira. Alle ore 10:00 del mattino del 1° dicembre fu terminato e le guardie municipali aiutarono a raccogliere i frammenti di ossa e cenere ea depositarli in un vaso di porcellana che si richiuse con un panno rosso e ceralacca. Il sito della pira fu ripulito e lavato e chicchi di riso sparsi sull'erba come offerta all'anima del morto.
È stato istituito il Comitato commemorativo di Rajaram Chhatrapati. È stato aperto un elenco di abbonamenti appositamente per dotare la Kolhapur High School di borse di studio per i poveri meritevoli. Il defunto rajah aveva posto la prima pietra per la scuola l'anno prima e l'istruzione per ragazzi e ragazze era uno dei suoi interessi particolari. La scuola è stata ribattezzata in suo onore.
A Firenze, vicino al luogo della cremazione, un bel baldacchino in stile indiano sorretto da quattro elaborati pilastri copre un bel busto di Rajaram. Lo scultore, Charles Francis Fuller, è stata una scelta delicata. Nato in Gran Bretagna, Fuller si trasferì a Firenze negli anni Cinquanta dell'Ottocento e fece parte di un piccolo gruppo di "esuli" artistici, felici nel loro paese di adozione. Il busto si basa su fotografie del rajah scattate mentre si trovava a Londra e lo mostra con indosso il tradizionale turbante Mahratta, con una visiera sul lato destro. Secondo le descrizioni di coloro che lo incontrarono in Inghilterra, non fu mai visto senza questo turbante perché sarebbe stato indicibilmente maleducato da parte sua apparire a capo scoperto in compagnia. Il baldacchino, basato sul chhatri indiano, è stato progettato dal maggiore Charles Mant degli ingegneri di Bombay. Mant ha continuato ad avere una proficua carriera come architetto in India e ha progettato una serie di palazzi per governanti reali minori. In particolare fu incaricato dal successore di Rajaram, Narain Rao, di progettare un nuovo palazzo per Kolhapur, che era una fantastica miscela di architettura indo-saracena, irta di torri, torrette, cupole e chioschi, e fu completato nel 1884. Non è noto chi ha pagato per il chhatri e il busto di Firenze, anche se c'è un suggerimento che potrebbe essere stata la famiglia del rajah. Un ponte vicino al sito, aperto nel 1978, è conosciuto semplicemente come Indian Bridge, un bel tributo a questo modesto principe che aveva sperato di introdurre nuove idee a Kolhapur dopo la sua visita in Europa, ma che purtroppo non è mai tornato a casa.
Nel 2019 sono iniziati i lavori di restauro del monumento, deterioratosi, che si sono rivelati complicati per la varia composizione e l'esposizione alle intemperie: sgretolamento degli ornamenti in marmo e arenaria, disgregazione del volto e del busto, perdite nella decorazione causate dai lavori di ricostruzione utilizzando una varietà di tecniche nel tempo. Il monumento presentava anche un preoccupante deficit strutturale su una delle colonne in ghisa che sostenevano il baldacchino. Il progetto, ora completato, è stato gestito dall'Assessorato alle Belle Arti della città ed è costato 240.000 euro.
Il monumento restaurato nel Parco delle Cascine
Busto di Rajah Rajaram di Charles Francis Fuller Rajah Rajaram, da una fotografia, 1870
Il nuovo palazzo, Kolhapur
Il Parco delle Cascine e il monumento al Principe Indiano, Rajah Chuttraputti di Kolhapur – Amina Anelli
Il Parco delle Cascine appare il luogo emblematico per esprimere lo spirito di questo Convegno in cui si parla di dialogo e di restauro. Da una parte rappresenta il punto d’incontro di personaggi provenienti da tutto il mondo che qui idealmente si incontrano e conversano a dispetto delle distanze temporali: il Marajah indiano, George Washington, la Regina Vittoria, Florence Nightingale, Filippo Mazzei, Fëdor Dostoevskij, Percy Bysshe Shelley, John Fitzgerald Kennedy, Abramo Lincoln. Ciascuno di essi è ricordato e “trova il suo posto” in un pezzo della nostra città. Dall’altra parte è un parco monumentale: una moltitudine di monumenti, grandi e piccoli, che accompagna il visitatore nel lungo percorso di oltre 6 km, da Piazza Vittorio Veneto fino all’estremità ovest dove si trova il Piazzaletto dell’Indiano. Si tratta di un patrimonio storico e culturale che necessita di essere preservato e valorizzato. Il Parco delle Cascine è il più grande parco pubblico della città, si estende per circa 6 Km e mezzo per una larghezza di circa 640 metri, costeggiando la riva destra dell'Arno dal centro storico fino alla confluenza del fiume con il torrente Mugnone. La costruzione del Parco ha inizio nel 1563 quando Alessandro I de’ Medici ne acquista i terreni e li bonifica per farne una tenuta di caccia e un’azienda agricola per la famiglia dei Medici. Con il passaggio del Granducato di Toscana dai Medici ai Lorena, il parco diventa luogo di svago e in particolari ricorrenze viene anche aperto al pubblico. A partire dal 1786 sono realizzati, ad opera di Giuseppe Manetti, i primi lavori, commissionati da Pietro Leopoldo di Lorena, per la trasformazione della tenuta in un parco. Con l’Unità d’Italia, nel 1861, le Cascine passano al Demanio e successivamente, nel 1865, sono cedute al Comune. Sono gli anni in cui in Italia termina la Dominazione Austriaca (1866) con l'annessione del Veneto al Regno d'Italia. A Firenze gli Asburgo-Lorena reggono le sorti del Granducato fino all'Unità d'Italia, con l’interruzione dell'epoca napoleonica (1801-1807). Con il plebiscito nel 1860 la Toscana è annessa al Regno d'Italia. Nel 1865 Firenze subentra a Torino come capitale d'Italia. Nel 1871 la capitale è trasferita a Roma.
Kolhapur è un piccolo stato nel paese meridionale di Mahratta, in India. Alla morte del Rajah che regnava nel 1837 gli succede il figlio piccolo con la reggenza di due donne della famiglia e alcuni ufficiali di stato. Dal 1844 un funzionario del governo britannico è sempre presente per amministrare lo Stato durante la minore età dei suoi principi e per svolgere funzioni più puramente diplomatiche. Nel 1866 il Rahja muore senza eredi e adotta sul letto di morte il figlio della sorella, un ragazzo di 16 anni, Nagojee Row. Molte delle notizie relative al suo viaggio si apprendono dalla lettura del Diario scritto dal principe, lettura interessante, perlomeno in quanto spaccato della realtà dell’epoca. Notizie della sua vita vengono date nell’introduzione e nelle appendici del diario; viene restituita l’immagine di un ragazzo riflessivo e gentile che si sorprende dei costumi e delle abitudini dei paesi che visita. Nelle immagini pubblicate nel diario il giovane marahja indiano non sembra avere 20 anni, ne dimostra di più. Nagojee Row, nato il 13 aprile 1850, divenuto il nuovo marahja, riceve un’educazione improntata sul modello inglese. Sposa due donne, una delle quali gli darà una figlia che morirà presto. L’altra moglie è ancora una bambina. E’ il primo principe indiano regnante a recarsi in Inghilterra per un viaggio di studio. Incontra la Regina Vittoria a Windsor, due volte, il 24 giugno e il 6 luglio 1870. Muore a Firenze di malattia il 30 novembre 1870, durante il viaggio che dall'Inghilterra avrebbe dovuto riportarlo in India.
Il monumento è eretto per commemorare il giovane principe indiano. E’ situato nel punto in cui il torrente Mugnone confluisce nel fiume Arno, laddove il corpo del principe è stato cremato. Il Sindaco di Firenze Ubaldino Peruzzi rende possibile per la prima volta a Firenze la pratica della cremazione secondo il rito induista. La struttura architettonica è progettata dall’ingegnere Capitano Charles Mant, mentre il busto è eseguito dallo scultore inglese Charles Francis Fuller. Nel 1874 l’opera è completata.
Nel 1897 si rendono necessari i primi restauri: “lavori di scalpellino e muratore” e “opere di verniciature e dorature”, affidati rispettivamente a Egisto Salvadori a Sirio Bianchi. Il monumento appare come una struttura a baldacchino che si eleva su un ampio basamento in pietra circondato da una ringhiera in ghisa modellata a tralci, volute, arabeschi e motivi floreali. Su una base centrale, anch’essa in pietra con bassorilievi, si ergono quattro colonnini tortili in ghisa che sorreggono una cupola rivestita con lastre di rame. Il baldacchino funge da scrigno per il busto in marmo che raffigura il principe. Varie testimonianze, confermate dalle indagini diagnostiche eseguite prima del restauro, riportano che il busto fosse colorato. Quattro targhe poste sul piedistallo del busto riportano un’iscrizione in quattro lingue, italiano, inglese, hindi e punjabi:
MONUMENTO ALLA MEMORIA DEL PRINCIPE /
INDIANO RAJARAM CHUTTRAPUTTI, /
MAHARAJAH DI KOLHAPUR. MORTO A /
VENTUN’ANNO IN FIRENZE IL XXX GIORNO /
DI NOVEMBRE MDCCCLXX QUANDO /
DALL’INGHILTERRA TORNAVA ALLA PATRIA. /
CHARLES MANT. CAPTAIN R. E. ARCHITECT.
La ringhiera metallica più esterna è stata posta successivamente alla costruzione del monumento (inizialmente era stata realizzata in legno) a fungere da ulteriore protezione. Il monumento si presentava in una condizione di generale degrado. Nelle due ringhiere si riscontravano numerose parti mancanti e la completa ossidazione del metallo. L’esfoliazione della verniciatura, di cui rimanevano solo alcune tracce, aveva portato all’ossidazione del metallo. Nella struttura a baldacchino, le condizioni peggiori si riscontravano su una delle colonne tortili in ghisa, che presentava una profonda fessurazione longitudinale e che per questo era stata messa in sicurezza e sostenuta da un apposito ponteggio. Due delle pigne in ghisa appese agli angoli non c’erano più. Al di sotto dell’intradosso della cupola del baldacchino si rilevavano fessurazioni orizzontali. La pietra risultava in molti punti disgregata e in alcuni punti polverizzata e/o esfoliata o in fase di distacco. Mancavano o erano distaccate parti di cornici in pietra, molte decorazioni floreali (bassorilievi a foglia), le teste dei pavoni e molte delle volute decorative. Il basamento in pietra e la base presentavano attacchi di alghe e muschi dovuti alla maggiore esposizione agli agenti atmosferici; anche il piedistallo del busto ed il busto stesso, benché più protetti dalle intemperie, versavano in condizioni critiche a causa dell’attacco delle polveri e delle aggressioni biologiche e atmosferiche. Un pino caduto sul monumento nel 2005 aveva danneggiato la copertura della cupola. L’intervento di restauro, iniziato nel 2019 e concluso nel 2020, è stato svolto mirando alla conservazione dei caratteri originari dell’opera, mediante l’uso di materiali e tecniche compatibili con quelli esistenti, con l’obiettivo di restituire adeguata leggibilità al monumento. Il restauro degli elementi lapidei (gradonata, basamento, archi intradossali ed extradossali, in pietra serena e busto in marmo) è iniziato con il preconsolidamento, per non perdere preziosi frammenti del paramento decorato, purtroppo in fase avanzata di distacco, soprattutto nelle parti soggette ad infiltrazioni d’acqua. Successivamente è stato svolto il lungo processo della pulitura, con la rimozione dei depositi incoerenti, quali terriccio e depositi pulverulenti, prima e con l’applicazione di biocida a base di cloruro di benzalconio poi. Il biocida è servito per disinfestare le colonie di microflora prima della loro rimozione meccanica, al fine di evitare la volatilità e la trasmigrazione delle spore infestanti. Poi si è proceduto con la rimozione dei depositi coerenti, mediante impacchi a base di carbonato d’ammonio ed “EDTA” veicolati da pasta cellulosica e sepiolite ove necessario. Le stuccature cementizie incoerenti sono state rimosse mediante l’uso di bisturi e microscalpello. Si è poi proceduto con una doppia applicazione di consolidante a base di silicato d’etile, dopo averne verificato, mediante prove e campioni, la giusta penetrazione e la non alterazione cromatica. Sono state ricostruiti molteplici frammenti, previo calco siliconico e/o stuccature a base di calce idraulica naturale. Infine come protettivo finale è stato applicato un polisilossano trasparente, non filmogeno. Il restauro pittorico ha riguardato in particolare l’intradosso della cupola, decorato con costoloni in rilievo a foglie color oro su fondo azzurro. Dopo campionature e analisi di laboratorio, necessarie per comprendere i vari interventi eseguiti nel tempo e le cromie originali, si è proceduto con la pulitura ed al consolidamento. Il film pittorico, una pittura a secco (non un affresco), risultava steso su un supporto a base di gesso. La superficie della pellicola presentava sia qualche piccola crepatura che qualche rigonfiamento ed esfoliazione, in special modo negli interventi e nei “ritocchi” di restauri pregressi. La pulitura è stata eseguita soprattutto a secco, vista la componente gessosa del supporto e la fragilità del colore. Particolare attenzione ha richiesto la rimozione dei numerosi nidi di ragno aderiti alla superficie con grande tenacia, soprattutto negli interstizi. Il consolidamento è stato realizzato con iniezioni a tergo di malta consolidante a base calce naturale ed esente da sali. La conguagliatura cromatica è stata effettuata mediante applicazioni di più velature con pitture minerali ai silicati addizionate con pigmenti e terre fino al raggiungimento del tono ritrovato. La pulitura a secco è stata condotta su tutta la superficie con pennelli morbidi e gommine whishab, mentre è stato necessario l’utilizzo di micro bisturi per interventi localizzati. Grazie alle analisi sono state ritrovate scialbature cementizie, rimosse e sostituite con stuccature a base calce idraulica naturale. Per la rimozione di macchie, sono stati applicati localmente piccoli impacchi con bassa percentuale di carbonato d’ammonio, per breve contatto. Il restauro delle leghe metalliche ha interessato i colonnini e le ringhiere. I quattro colonnini in ghisa sono cavi all’interno, con uno spessore di circa 2 cm. Uno di essi presentava una profonda fessurazione longitudinale che inizialmente era stato ipotizzato di consolidare con l’inserimento di collari in acciaio. Per il consolidamento è stata successivamente individuata una tecnica più rispettosa del risultato estetico, sempre dopo aver effettuato studi e test approfonditi, consistente nell’utilizzo di fibre di carbonio applicate con resine epossidiche. Sono stati realizzati previa forature, “fiocchi” di collegamento all’interno del colonnino, in modo da far collaborare maggiormente la massa di ghisa ed evitare scorrimenti. La conformazione geometrica del colonnino e la sua decorazione hanno permesso di mascherare la fibra all’interno della scanalatura elicoidale della colonna. Sono stati ricostruiti i piccoli petali mancanti, previo calco con gomme siliconiche sugli elementi originali, con resina epossidica pigmentata. Così come i petali, sono state ricostruite anche due pigne. La ringhiera interna in ghisa, arricchita da elementi decorativi floreali, dopo un lavoro di minuziosa sabbiatura e pulitura, è stata completamente consolidata mediante iniezioni di resina epossidica, ricostruzioni in resina, ma soprattutto integrazioni con nuovi elementi in ottone, poi verniciati. Per ricostruire tali porzioni sono stati effettuati rilievi 3D e stampe in materiale plastico per poter poi lavorare successivamente con le fusioni.
APPENDICE – Breve contributo sul restauro della fontana dedicata alla Regina Vittoria
La “fontana della Regina Vittoria” si trova in un’aiuola situata ai margini di piazza Vittorio Veneto. E’ realizzata tra il 1897 e il 1900, anno della sua inaugurazione ufficiale, in occasione del sessantesimo anno di regno della Regina Vittoria d'Inghilterra. Voluta dalla comunità britannica fiorentina, è progettata dall'ingegnere Lorenzo Priuli Bon. Il manufatto, realizzato in marmo rosso di Verona, è posto su un basamento di pietra arenaria a gradoni concentrici: “Il pilastro centrale, da cui si dipartono ad una certa altezza le tre vasche poligonali sorrette da colonnini, poggia sulla base di tre gradini sagomati a trifoglio. La fontana si presenta oggi mancante del settore superiore dello stelo centrale (a sezione triangolare e recante sulle facce delle iscrizioni latine), in origine ornato di colonnine tortili e sormontato da una corona in bronzo” (Carlo Cresti). I primi atti vandalici sul monumento, con l’asportazione degli ornamenti metallici, risalgono agli anni della prima guerra mondiale: “In Piazza degli Zuavi, la colonia inglese, a ricordo della permanenza in Firenze dell'amata Regina Vittoria, volle eretta una modesta ma utile fontana, con ornamenti in bronzo e quattro mascheroni da cui l'acqua zampillava per ricadere nella sottostante vasca. Non solo furono divelti tali ornamenti, ma anche gli altri ornamenti metallici, e furono ostruite le bocche d'acqua, per modo che la fontana è ora ridotta ad un arido ed inutile ingombro" (Carlo Papini ,"Arte e Storia" 1919).
Edimburgo – Cimiteri storici sia esemplari che a rischio - Dr Peter Burman MBE FSA, storico dell'architettura e conservatore
Peter Burman ha iniziato a interessarsi ai cimiteri storici da scolaro esplorando chiese e cimiteri nella sua contea natale del Warwickshire. Questo lo ha portato a studiare Storia dell'Arte all'Università di Cambridge. Il suo primo ruolo è stato quello di assistente, vice poi direttore del Consiglio per la cura delle chiese e della Commissione per i tessuti delle cattedrali per l'Inghilterra. In questo ruolo, durato ventidue anni, lui ei suoi colleghi hanno costantemente fornito consigli e sovvenzioni per la conservazione e la riparazione di monumenti scultoreamente importanti sia all'interno delle chiese che all'esterno delle chiese nei cimiteri storici che tipicamente li circondano. Iniziò a lavorare non solo con i conservatori per conservarli, ma anche con gli artigiani per garantire che i nuovi monumenti fossero belli e significativi.
In seguito, come direttore dei servizi di conservazione e proprietà del National Trust for Scotland, si è trovato a vivere all'interno del sito Patrimonio dell'Umanità della città di Edimburgo e questo lo ha incoraggiato a interessarsi ai cinque cimiteri storici che vi si trovano. Sono luoghi della memoria, ma anche luoghi sociali, visitati da molti interessati al loro patrimonio e ai valori umani. È affascinato dal loro interesse artistico e storico ma anche dal ruolo che possono svolgere nella comunità contemporanea di una città. A Edimburgo (come in tutte le altre città in cui esistono cimiteri storici) ci sono molti aspetti che devono essere gestiti: mantenere in buono stato l'architettura spesso ambiziosa del mausoleo attraverso una manutenzione regolare (a Edimburgo includono mausolei simili a templi progettati da membri del XVIII secolo della famosa famiglia di architetti Adam); mura, spesso estese e di carattere imponente; conservazione della scultura, utilizzando materiali compatibili con l'originale; drenaggio; archeologia; animali selvatici; fiori e prato. Idealmente questi cimiteri storici devono essere tranquilli e dignitosi, ma allo stesso tempo accoglienti e sicuri. L'architettura e la scultura artistica, alleate con scritte belle e di carattere, hanno il loro ruolo da svolgere, ma spesso c'è anche una risposta personale a questi paesaggi di malinconica bellezza.
Le sfide per prendersi cura di questi speciali paesaggi della memoria sono molte e varie, ma i cimiteri di Edimburgo sono probabilmente tipici di molte situazioni urbane: carenza di fondi; mancanza di chiarezza sulla proprietà dei monumenti; incuria (che porta a problemi conservativi standard di murature sporche; giunti aperti; riparazioni scadenti, utilizzo di malte cementizie al posto di malte a base di calce; vegetazione); vandalismo, anche furto; leggibilità delle iscrizioni; comportamento anti-sociale; avidità di sviluppatori su siti adiacenti; e così via.
Peter Burman parlerà di molti anni di ricca esperienza nella conservazione del patrimonio architettonico e artistico e di essere coautore con Henry Stapleton del Manuale dei cimiteri, che ha avuto molte edizioni nel corso degli anni. Nel suo "ruolo di chiesa" ha spesso collaborato con esperti di alberi, muschi e licheni; lettere e sculture; nell'organizzazione delle Giornate di studio del sagrato per far conoscere alla popolazione locale le bellezze, gli interessi e la particolarità del loro storico cimitero.Edinburgh – Historic Burial Grounds both as exemplar and at risk - Dr Peter Burman MBE FSA, architectural historian and conservator
INDIA
23 aprile, domenica, Red House, Delhi
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Ruskin e la sua Sibilla toscana, Francesca Alexander - Emma Sdegno.
Nell'ottobre 1882, durante la sua ultima visita in Toscana, Ruskin fu presentato a Firenze a Francesca Alexander, un'espatriata americana, figlia di una coppia di artisti di Boston. Con la passione per la Toscana e per la sua gente, Francesca raccolse canti popolari trasmessi oralmente tra i contadini, e compose un bellissimo manoscritto con le poesie che trascrisse e tradusse in inglese, decorato con disegni di fiori di campo, ritratti della gente e scene che illustrano la canzoni. Questo lavoro aveva scopi filantropici poiché lo scopo di Francesca non era quello di pubblicarlo come tale, ma di vendere l'unico manoscritto a beneficio finanziario dei poveri contadini italiani che li avevano forniti. Quando vide il manoscritto di 108 pagine Ruskin si offrì immediatamente di acquistarlo e acquisire i diritti d'autore per pubblicare l'opera come suo editore con l'obiettivo di trasmettere alla mente inglese "una concezione comprensiva della realtà della dolce anima dell'Italia cattolica". Nel mio articolo delineerò l'affascinante storia dell'edizione di Ruskin di Roadside Songs of Tuscany di Francesca Alexander, e il suo tentativo di comporre un memoriale spirituale dei contadini dell'Abetone e del misticismo della loro vita quotidiana.
Mascolinizzazione della "Patria": analizzare The Home and the World di Rabindranath Tagore attraverso una lente ecofemminista - Pritha Chakraborty
L'articolo si propone di affrontare il concetto di "Patria" come percepito nel testo di The Home and the World di Rabindranath Tagore. Mira a esaminare il concetto di "casa" e il "mondo" e come ha un impatto diretto sulle donne della nazione. Mira a far emergere le ideologie ipocrite del nazionalista sulla scia del movimento di lotta per la libertà dell'India. Mostra come il Bengala del diciannovesimo secolo abbia visto l'emergere di nazionalisti fanatici che hanno creato un'immagine della nazione come una patria e hanno inciso il nome "Bharat Mata" associato alla massa continentale. Ironia della sorte, è stata questa madrepatria ad essere sistematicamente erosa sulla base del fanatismo religioso, del comunalismo e di un grido fanatico dei nazionalisti che hanno lavorato nella politica di inclusione ed esclusione dei membri della nazione. I criteri di appartenenza a una nazione erano basati sull'assimilazione culturale, la tradizione comune, la lingua e così via. In India, il concetto di nazionalismo è stato costruito sulla civiltà vedica che affermava che l'India è una nazione per gli indù e dagli indù. È questa esclusione sistematica di alcuni membri della società dal processo di costruzione della nazione che viene messa in discussione e interrogata di nuovo. Da un lato, alle donne veniva attribuito lo status di Dea e 'Shakti' e dall'altro, era questa 'Shakti' che veniva infranta e violata nelle mani dei poteri maschili dello stato che volevano che la nazione fosse costruita come secondo le proprie ideologie. Usando il concetto di "mascolinizzazione della madrepatria" di Vandana Shiva, mira a mostrare come la nazione si stesse spostando verso la "patria" dal cosiddetto culto materno idolatrato della nazione mentre tutti i poteri del processo di costruzione della nazione erano posti nel mani degli uomini fanatici che hanno tentato di difendere l'onore della madrepatria.
Il documento mostra Bimala, la protagonista femminile del romanzo divisa tra le ideologie del concetto ottocentesco di "Bhadra Mahila" e l'associazione della sua femminilità con "Madre India". Il Bengala del diciannovesimo secolo era in procinto di illuminare le loro donne con l'istruzione occidentale e verso la metà del secolo il nazionalismo indiano iniziò a provare un senso di superiorità tra le loro donne e voleva che si ritirassero dal mondo e portassero tutta la loro attenzione al loro domestico. In un contesto simile, Kundamala Debi aveva consigliato alle donne: “Se hai acquisito una vera conoscenza, allora non dare posto nel tuo cuore a un comportamento simile a un memsahib. Questo non si addice a una casalinga bengalese. Guarda come una donna istruita può svolgere i lavori domestici in modo ponderato e sistematico in un modo sconosciuto a una donna ignorante e non istruita. E guarda come se Dio non ci avesse assegnato questo posto nella casa, come sarebbe un posto infelice il mondo”. (qtd in Chatterjee 129). Un'idea simile era radicata nell'ideologia di Bimala. La sua ideologia della femminilità era associata alle "virtù femminili". Considerava i doveri verso suo marito Nikhil come il suo unico motivo di vita e lo adorava. Commenta che quando prendeva la polvere dei piedi di suo marito senza svegliarlo, in quei momenti poteva "sentire il segno vermiglio sulla sua (mia) fronte risplendere come una stella mattutina" (20). Questo la mostra come direttamente attaccata al concetto di donne "casalinghe".
Tuttavia, più avanti nel romanzo, l'emergere di Sandeep come leader nazionalista incuriosisce Bimala. Le sue parole entusiaste sulla rivendicazione della nazione dalle grinfie del potere occidentale motivano Bimala a schierarsi con lui. Inoltre, la sua etichettatura di lei come "Queen Bee" e "Mother Goddess" diventa problematizzata nel concetto di nazionalità. Bimala è facilmente sbalordito dalle voci carismatiche di libertà che Sandip mira a raggiungere in nome di Swadeshi. Afferma: “Tu sei l'ape regina del nostro alveare e noi lavoratori ci raduneremo intorno a te. Tu sarai il nostro centro, la nostra ispirazione” (47). Bimala rimane incantata dal concetto di libertà che non riguarda solo la terra ma anche se stessa. La sua porta verso la libertà è stata aperta dallo stesso marito, che voleva che lei aprisse la sua mente e cercasse la propria individualità. Sandip con la sua orazione poetica traduce la politica di Swadeshi nel suo essere e ne costruisce un piedistallo collegandola all'immagine della divina Shakti attorno alla quale il mondo ruoterebbe. Mette simbolicamente in relazione la terra emergente con il potere di Shakti e saluta la nazione come "Bande Mataram". Tuttavia, "Hail Mother" diventa per lui una frase a più livelli per intrappolare Bimala nella lotta per la pseudo-libertà della nazione. La lotta nazionalista per la libertà diventa un'impresa maschile dove nelle parole di Vandana Shiva, “Una politica di esclusione e violenza è costruita in nome del nazionalismo. La mascolinizzazione della patria comporta quindi l'eliminazione di tutte le associazioni di forza con il femminile e con la diversità” (111). Nel discorso nazionalista, come le donne dell'epoca, la terra è percepita come "l'altro" che aveva bisogno di protezione dai suoi "figli virili". Tale protezione è fornita da figure maschili attraverso il mezzo della violenza e dei conflitti armati. Tagore vedeva il nazionalismo come un'idea dell'Occidente, organizzato da alcuni programmi egoistici di persone fanatiche che volevano sfruttare tutte le altre comunità per i propri guadagni egoistici. Shiva osserva: “Hindutva, è stato ripetutamente affermato, è l'ideologia di un'India modernizzante. Tuttavia, mentre si stanno sviluppando, la liberalizzazione e la modernizzazione si basano sulla rottura di ogni legame con la madrepatria. La musicalizzazione della madrepatria porta alla scomparsa della madrepatria dai cuori e dalle menti delle persone” (111).
Il romanzo sembra chiaramente ritrarre la nazione come un oggetto che deve essere saccheggiato, strappato e vinto con la forza. Sandeep è l'incarnazione di tale violenza in cui la nazione diventa una mera cosa da saccheggiare per ottenere la sua libertà, il che è in netto contrasto con l'ideologia del suo amico Nikhil, che crede in una nazione onnicomprensiva che non è divisa o violata. sulla base di un nazionalismo aggressivo, come afferma: “Usare la forza? Ma per cosa? Può la forza prevalere sulla Verità? (100) L'onestà e l'idealismo di Nikhil sono in contrasto con l'astuzia e il narcisismo flagrante di Sandip. Secondo le sue ideologie machiavelliche, “Non c'è tempo per i bei scrupoli... Dobbiamo essere risoluti, irragionevolmente, brutali. Dobbiamo peccare» (50). La nazione, quindi, diventa l'incarnazione di una donna che è sopraffatta dalla mascolinità e viene strappata alla sua femminilità ideale conducendola verso la via dell'infedeltà. Come nota Paola Bachetta, per due dei leader spirituali dell'India, Rama Krishna e Aurobindo, la madre come simbolo del Paese era carica di amore per tutti i loro figli, in tutta la loro diversità. Tuttavia, Hindutva Bharat Mata ha dovuto essere "salvata" dai suoi "figli virili" che usano mezzi di inganno e mezzi illegali e promuovono il concetto di colonialismo per raggiungere il loro fine. Sandip è così atroce e avido nell'accumulare ricchezze materiali in nome della costruzione di una nazione che non esita a incoraggiare la moglie del suo amico a derubare il proprio marito per il bene della nazione. Tagore in questo contesto ha definito la costruzione della nazione come il più grande male per la civiltà poiché si basa su dinamiche di potere e coercizione che si concentrano semplicemente sull'accumulo di ricchezza e sul manifestare terrore su individui innocenti della nazione.
l'India del diciannovesimo secolo era basata sulla mascolinità egemonica in cui l'onore degli uomini era significativamente correlato alla loro prova di mascolinità egemonica. Ciò include il mantenimento della loro cavalleria e del loro onore limitando il confine tra le donne e la nazione e consentendo loro di funzionare secondo il manuale di istruzioni degli uomini e la potente politica che ruota attorno a loro. Peterson osserva: “La patria è il corpo di una donna e come tale è sempre in pericolo di violazione da parte di maschi 'stranieri'. Difendere le sue frontiere e il suo onore richiede una vigilanza implacabile e il sacrificio di innumerevoli cittadini guerrieri…” (80). In questo contesto, si può notare che l'approccio di Sandip e i suoi falsi discorsi oratori per istigare Bimala a violare la propria "casa" contrasta paradossalmente con il motivo di liberare il paese dalle grinfie del colonialismo. Benedict Anderson osserva che una nazione è una "comunità immaginata". Sostiene chiaramente il fatto che una nazione che aderisce interamente alle ideologie e alle credenze dominanti e sostiene il sistema di inclusione ed esclusione è destinata a essere uno sforzo immaginario e non ci si aspetta che ne venga tratto nulla di concreto. Il grido di Sandip al nazionalismo rimane un grido vuoto, privo di devozione e basato esclusivamente su guadagni personali. La sua teoria del boicottaggio delle merci straniere e del costringere gli innocenti abitanti del villaggio a rinunciare al loro commercio era una fonte di violenza oltraggiosa nel nome della liberazione del paese dal dominio straniero. Il suo concetto di nazionalismo era pretenzioso e divenne dannoso per gli indù e i musulmani della nazione. Aveva provocato i giovani del villaggio di Nikhil a imporre la violenza contro i vicini poveri e innocenti in modo che fossero terrorizzati nell'accettare il suo stesso concetto di nazione. Come notato da Leonard A. Gordon, “Il movimento nazionalista indiano così come si sviluppò nel Bengala durante l'ultimo quarto del diciannovesimo secolo era dominato da indù di alta casta... ma i musulmani del Bengala erano rimasti indietro rispetto agli indù nell'istruzione, nelle professioni e i servizi governativi. La maggior parte dei musulmani erano coltivatori di classe inferiore nei distretti orientali del Bengala vero e proprio” (278). Mentre per Nikhilesh l'idea di Swadeshi implicava l'inclusione di tutte le comunità della nazione, l'idea incentrata sulla religione di Sandeep e l'ulteriore esclusione di una certa sezione di persone dall'unire le mani per liberare la madrepatria hanno rappresentato un fallimento del progetto nazionalista. Anita Desai in questo contesto sottolinea che Sandip “non assomiglia tanto al convenzionale mascalzone del palcoscenico indiano o del cinema di Bombay, che si accarezza i baffi a manubrio mentre gongola davanti a una borsa d'oro e a una fanciulla rannicchiata” (55). Il corpo di Bimala rappresenta quindi un luogo di guerra e un possesso da saccheggiare e saccheggiare in nome della salvezza della nazione. Rivendicarla attraverso falsi discorsi oratori agisce come mezzo di strumentalizzazione del genere. La sua rappresentazione come "Dea Madre" le fa pensare che sia suo dovere proteggere l'onore della nazione. L'erotizzazione della nazione rispetto al corpo delle donne non solo le pone all'interno dell'idea di nazionale, ma le rende anche portatrici di culture e quindi più vulnerabili alla violenza. La loro inclusione nel conflitto serve come mezzo per influenzare la generazione futura e coinvolgerla nel grido fanatico per la liberazione della nazione. Mrinalini Sinha afferma che le donne hanno l'onere di bilanciare la "tradizione" (22) della tradizione precoloniale e della modernità postcoloniale. Ci si aspetta che cerchino la modernità con l'astuzia della tradizione, dove lei agisce come sostenitrice e preservatrice della cultura. Bimala è considerata l'appassionata sostenitrice di questa tradizione in cui la sua preferenza per la casa è una presentazione paradigmatica dell'armonia che cerca attraverso l'aspetto devozionale della femminilità. La sua storia inizia con la sua dedizione verso la sua casa e finisce con il ritorno ai modi di casa dopo aver visto attraverso i motivi malvagi di Sandip.
L'intera idea di appartenenza a una nazione diventa di genere dove ci si aspetta che gli uomini siano mascolini e mostrino tratti masochistici nel salvare la nazione mentre le donne dovrebbero essere sacrificali, fedeli e pure. In Burdens of Nationalism, Uma Chakravarti menziona come in Sri Lanka, gli uomini fossero quelli che partecipavano ai conflitti armati, mentre ci si aspettava che le donne attribuissero valori sentimentali e soffrissero per la perdita. La creazione dell'idea delle donne come madri ha collegato loro il concetto di riproduzione in cui sono legate a un costrutto eterosessuale che le subordina solo. Sebbene Bimala come moglie rispettosa e responsabile sia stata attratta dalla seduzione di Sandeep e dal suo confronto con la Dea Madre, la eleva a un piedistallo dove è ispirata a convincere il proprio marito ad adottare i mezzi violenti e sostenere Sandeep nel bruciare il beni stranieri a favore di beni swadeshi edificanti, è divisa tra la "casa" e il "mondo" in cui è il suo "zenana" con cui si connette e a cui vuole tornare fino a quando non è troppo tardi e Nikhilesh viene coinvolta la turbolenta violenza nella nazione. Significa quindi che in nome della nazione e del nazionalismo, le donne sono intrappolate tra il fervore della politica degli uomini dove lei rimane un burattino nelle loro mani proprio come il paese è destinato a soffrire per mano della politica violenta come osserva Maria Miles, “Dall'inizio del moderno stato-nazione (le patrie) le donne sono state colonizzate. Ciò significa che il moderno stato-nazione controllava necessariamente la loro sessualità, la loro fertilità e la loro capacità lavorativa o forza-lavoro. Ed è questa colonizzazione che costituisce il fondamento di quella che oggi viene chiamata "società civile". La militarizzazione degli uomini in nome della costruzione della nazione non colpisce solo le donne di altre comunità, ma anche le donne della propria comunità» (27).
Il grido di Bankim Chandra Chatterjee per l'India indipendente attraverso la canzone nazionale di "Bande Mataram" nel suo famoso romanzo Anandamath (1882) in cui la madrepatria è lodata al massimo per essere portatrice di una ricca cultura e patrimonio, si sposta sistematicamente allo "stato padre" attraverso l'inizio del secolo in cui "Patria", che inizialmente si riferiva al Bengala, si spostò in India e il paese fu "violentato" in nome del nazionalismo. Il ricco patrimonio culturale della nazione fu diviso tra diverse comunità quando i semi del comunalismo iniziarono a violare la nazione con la divisione del Bengala nel 1905, dove le aree orientali in gran parte musulmane furono separate dalle aree occidentali in gran parte indù. Nikhilesh come portavoce di Tagore nel romanzo, parla dell'unione di indù e musulmani nella lotta contro il colonialismo in contrasto con il punto di vista di Sandeep di escludere i musulmani dagli sforzi nazionalistici, poiché secondo lui il Bengala era solo la terra degli indù . Tale polarizzazione della nazione in nome del bigottismo e della religione ha portato all'ulteriore disintegrazione di una "patria" in cui la guerra ha costituito la creazione di un paese maschile privo di umanità e devozione. Tagore nel suo discorso di accettazione del Premio Nobel osserva: “Dobbiamo scoprire l'unità più profonda, l'unità spirituale tra le diverse razze. L'uomo non deve combattere con altre razze umane, altri individui umani, ma il suo compito è portare la riconciliazione e la pace e ristabilire i legami dell'amicizia e dell'amore” (Arun).
In nome del nazionalismo arriva la distruzione della terra da cui migliaia di persone sono state sradicate, la terra è testimone di violenze comunitarie, omicidi di massa, morte di persone innocenti e divisione della nazione in nome della religione. In un contesto simile, osserva Shiva, “il malsviluppo è visto qui come un processo mediante il quale la società umana emargina il gioco del principio femminile nella natura e nella società. Il crollo ecologico e la disuguaglianza sociale sono intrinsecamente legati al paradigma di sviluppo dominante che pone l'uomo contro la natura e le donne” (46). Il modo estremista di boicottare le merci britanniche ha provocato grandi difficoltà per i piccoli commercianti e contadini rurali, la maggior parte dei quali erano musulmani e indù di bassa casta. La costruzione di Chandranath Babu da parte di Tagore nel romanzo era basata sulla figura di Ashwini Kumar Dutta del Bengala, il cui sostegno allo sviluppo rurale era da lui fortemente ammirato.
L'erotizzazione della Nazione con l'amante diventa l'aspetto più inquietante del romanzo. Sandeep riunisce l'amante e la madrepatria; Bimala e il Paese diventano una cosa sola. Come nota Tanika Sarkar nel suo lavoro, "L'emozione che anima entrambi, e l'emozione che evocano, sono chiaramente erotici... La madre protegge, l'amante conduce alla distruzione" (35).
Sebbene il romanzo parli di politica che riguarda la devozione alla Patria e l'appello a "Bande Mataram" che significa un saluto alla Patria, non c'è una madre single nel testo né è visibile la vera devozione verso un personaggio femminile. È questa ironica promessa di sviluppo della nazione attraverso i mezzi di bottino, rapina, falsa devozione e forza che il romanzo critica. In un contesto simile, Shiva commenta: “…sotto il nome di sviluppo, è un processo di malsviluppo, una fonte di violenza per le donne e la natura in tutto il mondo. Questa violenza non nasce dall'errata applicazione di un modello altrimenti benigno e neutrale rispetto al genere, ma è radicata nei presupposti patriarcali di omogeneità, dominio e centralizzazione che sono alla base dei modelli dominanti di pensiero e delle strategie di sviluppo” (44). Pertanto, portando in primo piano le donne emarginate, è un tentativo da parte del romanziere di preservare la "Terra Madre" che richiede amore, cura e umanità e riportarla dalle grinfie degli sforzi maschili. Il ritorno di Bimala dal marito alla fine del romanzo simboleggia in un certo senso il radicamento del principio femminile nel contesto della nazione e lo sviluppo della terra che comporta attraverso il processo, come osserva Vandana Shiva nelle sue parole: “Le loro voci sono le voci della liberazione e della trasformazione che forniscono nuove categorie di pensiero e nuove direzioni esplorative... l'esperienza mostra che l'ecologia e il femminismo possono combinarsi nel recupero del principio femminile e, attraverso questo recupero, possono ristrutturare e trasformare intellettualmente e politicamente il malsviluppo” (45) .
BIBLIOGRAFIA
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Tagore, Rabindranath. The Home and the World. Penguin Classics, 2005.
Il leone Marzocco fiorentino nella poesia politica e civile trecentesca minore di area toscana, similitudini con il contesto indiano - Marialaura Pancini
Il leone fin dall’antichità ha esercitato un certo fascino nell’immaginario umano divenendo oggetto di una serie innumerevole di similitudini, metafore e immagini simboliche che attraversano le culture, le aree geografiche e le epoche. Se si osserva il panorama della poesia politica e civile trecentesca minore di area toscana si può vedere che il leone come simbolo della città di Firenze è molto presente nel repertorio tematico dei rimatori toscani, in particolare fiorentini. Lo scopo di questa presentazione è quello, in primo luogo, grazie all’utilizzo di testi concreti afferenti al genere della poesia politica e civile trecentesca minore di area toscana, di delineare quella che è la considerazione che si ha del leone e la simbologia che è legata a questo animale in questo contesto storico e geografico. In secondo luogo, si evidenzieranno quelle che sono le similitudini tra l’immagine del leone nel contesto toscano medievale fiorentino e la simbologia che il contesto indiano attribuisce.
Appare a questo punto necessario premettere che si tratta di una selezione di testi arbitraria, fatta sulla base del criterio di eterogeneità, rappresentatività e ampiezza dell’argomento, si è scelto, infatti, di dare maggiore importanza ai testi nei quali si fa ampiamente riferimento al leone Marzocco fiorentino. Per non essere troppo prolissi e non allontanarsi troppo dal focus fiorentino della presentazione e del convegno, si eviterà di citare tutti i casi – anche se questi sono numerosi- di riferimenti brevi e poco significativi al leone come metafore, frasi gnomiche etc. che non hanno una vera e propria tematizzazione nel testo, ma sono solamente costrutti fissi popolari.
Si esamineranno, quindi, una serie di casi concreti nei quali si fa riferimento al leone come simbolo della città di Firenze rappresentato attraverso il leone Marzocco.
Il sonetto Il lion di Firenze è migliorato viene scritto in occasione dell’acquisto da parte di Firenze di Arezzo. Il sonetto anonimo gioca con gli animali araldici presenti nei gonfaloni delle città toscane e nasconde, dietro riferimenti a prima vista zoologici, la narrazione delle vicende politiche di quegli ultimi anni. La prima quartina, attraverso l’animale simbolo di Firenze, il leone marzocco, ora «migliorato» v.1 dopo che «lungo tempo è stato in malattia» v.2, descrive i trascorsi della città di Firenze. La città, dopo le sconfitte subite dalla ghibellina Pisa di Uguccione della Faggiola (1315) e dopo il periodo dell’infruttuosa signoria di Carlo, Duca di Calabria (1325), a questa altezza cronologica riprende la sua politica di espansione verso le zone limitrofe, Arezzo è proprio una di queste . La quartina in questione esalta la conquista della città di Arezzo, rappresentata attraverso il «Cavallo sfrenato» elemento caratteristico del gonfalone aretino , attraverso tale azione la città di Firenze vede compiersi la sua signoria, il suo potere su Arezzo. Si allude anche al compimento di una profezia «che Daniello aveva profetizzato» v. 8 e che ora è «tutta adempiuta» v. 7. I versi potrebbero riferirsi al libro di Daniele, nel quale viene descritto un sogno, dove sono protagoniste quattro bestie, la prima bestia ha figura leonina con ali d’aquila, la seconda bestia figura di orsa, la terza di leopardo, la quarta è una bestia senza un preciso referente reale, ha molte corna e distrugge tutto ciò che trova. La quarta bestia viene «uccisa e il suo corpo distrutto e gettato a bruciare sul fuoco. Alle altre bestie fu tolto il potere e fu loro concesso di prolungare la vita fino a un termine stabilito di tempo.» . Secondo l’interpretazione, che segue nel libro, le quattro bestie rappresentano quattro re che si succedono nel tempo, nonostante le prime bestie rappresentate nel libro di Daniele, il leone e l’orsa trovino corrispondenza con i versi resta però piuttosto oscuro il collegamento tematico, non è quindi certo il riferimento. Nella terzina che segue si fa riferimento, attraverso i loro animali araldici, alle città toscane rimaste a guardare il crescere della potenza fiorentina. Siena viene rappresentata come una lupa ferita «scorticata» v. 9 e Pistoia come un’«Orsa» v. 9, entrambe colpite dalla «branca» v. 10 del leone fiorentino, che si è appropriato della città di Arezzo, e ha inoltre con questo gesto messo in fuga le altre bestie ovvero ha fatto arretrare le altre città toscane dalle loro posizioni espansionistiche e di potere nella zona, dimostrando la propria forza leonina. Nell’ultima quartina torna il tema della profezia di Daniello del v. 8, questa si avvererà se il leone fiorentino continuerà a fare «borsa» delle pelli «cuoi» v. 13 degli animali che rappresentano le città toscane, se quindi la città di Firenze affermerà la propria egemonia sulla Toscana. La cauda è un avvertimento, posto in forma proverbiale, che suggerisce di stare attenti alle persone alle quali si è avuto fretta di commettere torti, perché in breve tempo queste presenteranno la loro vendetta . Questa conclusione gnomica potrebbe essere indirizzata o alla stessa città di Firenze, invitandola a rimanere vigile su una possibile vendetta della città toscane, oppure potrebbe anche essere riferita alla vendetta che i fiorentini hanno attuato, dopo le sconfitte subite nei primi anni del secolo ad opera dei baluardi ghibellini Uguccione della Faggiola e Castruccio Castracani.
Proprio in seguito alla compera di Arezzo da parte di Firenze del 1385 Antonio Pucci e Franco Sacchetti, autori fiorentini molto attivi nella scena politica della loro città, si scambiano una tenzone in commento alla vicenda. Il primo a dare avvio alla corrispondenza è Antonio Pucci, che scrive e indirizza a Franco Sacchetti il sonetto Il veltro e l’orsa e ‘l cavallo sfrenato . Il sonetto ricorda molto il testo analizzato in precedenza Il lion di Firenze, dove i riferimenti alle città toscane sono tutti espressi mediante gli animali simbolo di queste. Nella prima quartina, Pucci descrive la situazione di alleanza «parentado» v. 2 tra Volterra: il veltro , l’orsa: Pistoia e il cavallo sfrenato, ovvero Arezzo, e Firenze: il leone. Anche Il lion di Firenze utilizza gli stessi riferimenti per Pistoia e Arezzo «l’Orsa» v. 9 e «il Cavallo sfrenato» v. 4. Pucci conclude la quartina ricordando Pisa: la volpe; il toro: Lucca; Siena: la lupa e il grifone perugino alcune di queste città che menziona sono poco turbate per l’accrescimento del potere fiorentino, altre, invece, lo sono «molto» v. 4. La seconda quartina, si incentra tutta su un riferimento ai tempi passati della guerra tra Firenze e Pisa per la presa di Lucca del 1342. C’è infatti un discorso diretto pronunciato dalla stessa volpe pisana che rammenta la «tencione» v. 6 avuta con il leone fiorentino perché «contra ragione» v. 7 Pisa «volea pigliar […] / il toro» vv. 7-8. Il riferimento all’intrusione senza averne diritto di Pisa nella compravendita di Lucca torna anche negli altri testi di Pucci dove è trattata la vicenda. Seguono poi i discorsi degli altri animali menzionati che rappresentano le città: la lupa Siena, che esprime il suo dubbio per quanto riguarda l’origine del suo cattivo rapporto con il leone fiorentino. Il grifone di Perugia esprime invece la sua gioia per essere da sempre «amico» v. 13 del leone fiorentino, il rimando, come sottolinea anche Ageno , potrebbe verosimilmente essere alla Guerra degli Otto Santi durante la quale Perugia si ribella all’abate Géraud Dupuy, vicario papale nell’amministrazione della città sottoposta al dominio pontificio. Lo stesso Pucci descrive infatti dettagliatamente la ribellione della città e la cacciata di Dupuy nel suo Cantare della guerra degli Otto Santi, anche Franco Sacchetti fa riferimento a Dupuy come il «porco monacese» v. 127 nella sua canzone Hercole già di Libia ancor risplende. In conclusione, Pucci si rivolge all’altro poeta e chiede il suo parere sulla questione appena trattata.
Franco Sacchetti risponde per le rime alla sollecitazione dell’amico ed esprime il proprio parere con Se quella leonina ov’io son nato , riprendendo il sonetto di Pucci fa riferimento a Firenze come «quella leonina» v. 1 dove lo stesso autore è nato. La sua risposta è però molto critica nei confronti dell’atteggiamento fiorentino. Sacchetti accusa, infatti, Firenze di non essere governata in maniera tale da poter garantire il benessere per i suoi cittadini, che dall’altro lato si sono sempre dimostrati a lei fedeli. Sacchetti accusa direttamente la città di non contraccambiare i suoi concittadini dello stesso amore che questi le hanno riversato in passato. Secondo l’autore è questa la ragione per cui le altre città «ogni animale che hai narrato» v. 5 si astengono dal sottomettersi alla città del giglio «verebbe sotto al florido pennone» v. 6, per quanto riguarda l’utilizzo dell’aggettivo florido, al di là del riferimento alla prosperità ci potrebbe essere un rimando etimologico con il nome di Firenze, questo aggettivo è utilizzato da Sacchetti anche in altri contesti sempre riferendosi a Firenze . Nella seconda quartina Sacchetti chiarisce ulteriormente il motivo del suo risentimento nei confronti di Firenze: delle persone disoneste e incivili «rei villani» v. 7 attraverso menzogne «con falso sermone» v. 7 si stanno allontanando sempre più dall’esempio morale dei celebri «Bruto, Scipïone e Cato» v. 8, non è un caso che vengano citati tre autori romani, in questo periodo cronologico è infatti diffusa l’esaltazione della romanitas fiorentina, che trae base dalle origini fiesolane della città e vede Firenze come nuova Roma . Le terzine mostrano un crescendo della disperazione del poeta che rimanda nella prima terzina al credo cattolico, «nessun conosce grazia da Colui / ch’ognora in essa tiene la mente pia» vv. 10-11. Questa coppia di versi appare speculare nella struttura ai vv. 1-4, in questa prima quartina Sacchetti accusa Firenze di ingratitudine verso i cittadini che per lei si dimostrano fedeli, allo stesso modo nei vv. 10-11 Sacchetti accusa con un generico «nessun» v. 10 di non mostrare gratitudine verso colui che costantemente «ognora» v. 11 tiene conto della città: Dio. In questo caso è presente un rovesciamento con la narrazione che lo stesso Sacchetti fa, circa un decennio prima, (1375-1378) della città durante la guerra degli Otto Santi, dove Firenze è sempre fedele al divino e ai suoi precetti e assume il ruolo, intriso di senso biblico, di pastore e guida delle città ribelli in fuga dagli ecclesiastici erranti rispetto ai valori divini paragonati ai Faraoni. Nell’ultima terzina torna, come nell’ultima quartina, il riferimento al tradimento della romanitas fiorentina. Sono infatti silenti e assenti personaggi come Cicerone, Curio e Silla, citati per antonomasia, chi governa adesso, infatti non vanta un’ascendenza nota. Ageno in proposito segnala un possibile riferimento al tumulto dei Ciompi del 1378 e alle nuove arti dei farsettai e dei tintori proclamate in quell’occasione, ma dopo poco abolite . Il riferimento al tradimento dei valori della romanitas è tematica centrale della canzone di Bindo di Cione del Frate Quella virtù, che ‘l terzo cielo infonde dove attraverso un sogno appare Roma nei panni di donna anziana che si lamenta per lo stato nel quale riversa adesso la sua discendenza. Oltre al riferimento tematico nella canzone ricorrono, insieme a molti altri exempla di virtù, anche i nomi di Bruto, Scipione e Catone, menzionati da Sacchetti.
I versi conclusivi di Fiorenza mïa, poi che disfatt’hai , dello stesso Franco Sacchetti, fanno riferimento allo stesso modo a Firenze attraverso il suo animale simbolo che ricorre frequentemente nei testi presi in esame: il leone marzocco, al quale la famiglia degli Ubaldini aveva per anni creato problemi «dispettando» v. 47. Sacchetti gioca inoltre sul significato figurato del verbo sommergere e sull’accostamento del marzocco al golfo del Leone, per precisare la fine che invece ha poi fatto la famiglia «dispettando il leone, / che gli ha sommersi, e non nel mar Leone» vv. 47-48. La stanza successiva prosegue, sulla scia dei versi precedenti, questo gioco sulla parola leone riferendosi a «Castel Leone» v. 49 nome con il quale si identificava l’attuale Lévane , occupato dagli Ubaldini dal dicembre 1372 al giugno 1373, che avevano con disonestà «di furto avendol preso» v. 50 ai fiorentini. Riprendendo il tema del v. 3 «superba» si giustifica tale irriverenza come mossa dalla stessa superbia «tant'era su montata lor superba» v. 51 della famiglia. I vv. 52-54 tornano sul leone fiorentino, elogiandone la superiorità «mag[g]ior leone» v. 52 e le azioni di conquista.
Altri casi, significativi, nei quali si fa riferimento a Firenze tramite il leone sono il v. 39 di Deh, angeli ed arcangeli con truoni di Antonio Pucci, dove il riferimento alle città viene espresso attraverso gli animali simbolici che li rappresentano il leone per Firenze, e la volpe per Pisa.
Anche in O Signor mio ch’agli apostoli tuoi , Pucci conclude fornendo le coordinate temporali della vicenda ai lettori «Contato v’ho di fino a mezzo luglio / de l’anno sopradetto» v. IV.32.1-2 e descrivendo - attraverso una metafora zoologica che vede protagonisti gli animali simboli delle città toscane: il leone per Firenze e la volpe per Pisa - la situazione attuale, lasciando trapelare qualche anticipazione di quello che seguirà. Il leone fiorentino e la volpe pisana si trovano ora uno di fronte all’altro a trattare per una pace, i pisani sono però come di consueto inclini all’inganno, i fiorentini dal lato loro non sono per nulla sciocchi, verranno ingannati solo a causa della loro lealtà.
Allo stesso modo anche il cantare O indivisa etterna Ternitade dello stesso Pucci anticipa in chiusura quello che seguirà nel cantare successivo della serie dei cantari della Guerra di Pisa, Pucci alimenta le aspettative del pubblico annunciando quello che avverrà «Or vi dirò s’ come di ragione / seppe la volpe qui più che [‘l] leone» v. V.17. 7-8. Il cantare successivo, di conseguenza, fa riferimento al tradimento del leone fiorentino «la volpe a∙leon diè mala strenna / ch’avendol’ quasi a la pace promosso / e leopardi gli mandòne adosso» v. VI.12.6.
Interessante a proposito è anche il sonetto O Pisa, vituperio delle genti di Filippo dei Bardi. L’autore si rivolge alla stessa Pisa ricordandole che nemmeno Dio la salverà dalle grinfie del leone fiorentino «E non ti val chiamar quell’alto Teta» v. 4. Il leone viene rappresentato in tutta la sua rabbia e maestosità che con i suoi attributi «denti» v. 5; «artigli possenti» v. 7 è intento senza freno a spargere il sangue pisano «che no si cheta / Perché abbia rossi gli artigli possenti / Del sangue de’ tuoi fi’ con tanta pieta» vv. 6-8.
La tenzone che vede coinvolti il lucchese Pietro de’ Faitinelli e un anonimo rimatore pisano è molto interessante perché vede il confronto diretto tra due autori divisi in quel momento dall’assedio. Lo scambio di sonetti risale infatti al periodo che va dal 25 settembre 1341 e il 2 ottobre dello stesso anno, periodo nel quale Firenze occupa la città di Lucca non avendo ancora subìto la sconfitta di Monte san Quirino e non avendo ancora lasciato Lucca in mano pisana . Come nota Aldinucci , il sonetto di mano di Faitinelli, Mugghiando va il Leon pel la foresta , ricorda il sonetto analizzato Il lion di Firenze è migliorato, e si basa come quest’ultimo sugli animali simbolo delle città toscane. La città di Firenze, il leone , gioisce per la recente conquista di Arezzo, il Cavallo disfrenato , e ha sotto di sé anche Pistoia, l’orsa . Firenze aveva ottenuto, infatti Arezzo nel 1336 come testimonia il sonetto Il lion di Firenze è migliorato, anche la città di Pistoia è parte dal 1331 della sfera di influenza fiorentina . Nei versi successivi, vv. 5-8, entra in scena Lucca, la Pantera, dotata di un alito ammaliatore che «presta» v. 5 questa sua peculiarità al leone fiorentino permettendogli così di attrarre a sé i comuni toscani . L’appoggio lucchese dei fiorentini si dimostra vantaggioso anche in termini geopolitici, l’aver ottenuto Lucca da Mastino della Scala permette a Firenze di «accerchiare il territorio di Pisa da ogni parte» . Dopo l’allusione al vantaggio che ottiene Firenze sui pisani ecco che nei versi successivi anche la Lepre pisana fa la sua comparsa nel testo, Pisa farà bene a stare attenta dal momento che oltre alle città sopra citate anche Siena, la Lupa, si è alleata con Firenze in prospettiva anti-pisana . La metafora «il Leon e la Lupa odi ch’han fatto: / tes’han le reti e vogliolla pigliare» vv. 10-11, usata per rappresentare le trame che Firenze e Siena stanno mettendo in atto contro Pisa, si allaccia alla rappresentazione delle città come animali e tare origine dalla sfera della caccia , una metafora inerente allo stesso ambito si trova anche nei sonetti Ceneda e Feltro e ancor Monte Belluni e San Marco e ’l Doge. Per la Lepre pisana non ci sarà scampo inutile fuggire come è solita fare oppure riporre le speranze nella sorte, come viene espresso attraverso l’utilizzo della metafora dei dadi , Firenze, il Leone, e Siena, la Lupa, sono prossimi a distruggerla. Per quanto riguarda il riferimento alla lepre come animale erbivoro di scarso valore bellico, ma piuttosto incline alla fuga e al rintanarsi si veda il sonetto Più lichisati siete ch’ermellini di Folgore da San Gimignano uno tra gli innumerevoli riferimenti alla Lepre pisana presenti nella letteratura medievale .
A questo sonetto Faitinelli riceve risposta da un anonimo rimatore pisano che gli indirizza Amico, guarda non sia mal di testa . Il sonetto si configura come una risposta diretta al lucchese e si basa sulla stessa cerchia lessicale . La prima quartina riprende specularmente il tema del sonetto di Faitinelli «ribaltandone ironicamente il significato» sotto un’ottica pisana. Se il sonetto lucchese narrava di un leone a testa alta per la felicità, qui si invita l’«amico» v. 1 ad assicurarsi che il leone non sia molestato dal mal di testa, che gli fa alzare la testa, piuttosto che la felicità, oppure che non sia uno dei consueti dolori, con una possibile allusione alle divisioni interne alla città di Firenze . Il pisano continua con la reinterpretazione del sonetto del lucchese, non c’è motivo di essere allegri «come tu di’» v. 6, dal momento che Lucca, la Pantera, si è dovuta sottomettere alla città di Firenze non per sua volontà ma perché sottoposta al volere del suo signore Mastino della Scala, perché costretta ad ubbidire: «per mostrarsi ne l’ubidir presta» v. 8. La prima terzina approfondisce ulteriormente il tema dell’acquisto di Lucca definito spregiativamente come «baratto» v. 10, che si rivelerà come un dolore più che una felicità per la Pantera lucchese. Per quanto riguarda il Cavallo aretino, si invita l’amico a stare attento che questo non si rivolti contro chi lo sprona arditamente, il pericolo che rappresenta il cavallo sfrenato di schiena è identificabile con quello che potrebbe essere il pericolo di una rivolta contro i fiorentini ad Arezzo, circostanza che effettivamente si verifica nel luglio 1341 ; in quegli anni avviene proprio il tradimento di «quel da Pietramala», l’aretino Tarlato Tarlati, menzionato nella canzone di Antonio Pucci O lucchesi v. XI.6, Arezzo dopo essersi dapprima alleata con Firenze ordisce una congiura contro la stessa città del giglio . Il v. 14 «talor di schiena» potrebbe alludere, tra l’altro, alla posizione geografica di Arezzo nei confronti di Firenze, che vista da Pisa appare in posizione posteriore rispetto alla città gigliata. Gli ultimi versi elogiano la Lepre pisana, questa volta è lei ad essere allegra, questa non teme infatti le trame che stanno tessendo contro di lei «quei falsi» v. 16 di Firenze il Leone, e Siena la Lupa. Anzi in vigore delle sue qualità: l’arguzia, la forza e il senno «non teme» v. 18 né Firenze, né le città che questa ha posto sotto la sua ala: Siena e Pistoia.
Se si osserva il contesto indiano, il capitello di Sarnath, emblema della Repubblica Indiana, rappresenta sull’abaco quattro leoni addossati, la maestosità di questi leoni ricorda da vicino il Marzocco fiorentino. In particolare, il pilastro di Ashokan eretto a Sarnath è quello più iconico e celebrato dei pilastri di Ashokan , esso è infatti raffigurato anche nella banconota da una rupia indiana e sulla moneta da due rupie e inoltre è divenuto l’emblema nazionale indiano. L’aspetto che in questa sede ci interessa del pilastro è il capitello nel quale sono raffigurati quattro leoni ognuno posizionato in direzione dei quattro punti cardinali. I leoni hanno la bocca aperta e ruggiscono, il leone nel contesto indiano, oltre ad essere simbolo di regalità e potere, come nel contesto occidentale e fiorentino, è anche simbolo di Buddha stesso. Nella base del capitello sono scolpiti altri animali: un cavallo, un toro, un leone e un elefante .
Come nel caso di Firenze, anche nel caso indiano del capitello di Ashokan il leone diviene simbolo di fierezza e possenza nel comando, ma allo stesso tempo viene associato ad altri animali, sia nel caso del capitello che nei casi dei sonetti presi in esame, come se sia nel contesto indiano, che in quello fiorentino si volesse far riferimento al leone sì simbolizzandolo e rendendolo un emblema di una città ma allo stesso tempo senza estrapolarlo del tutto dal suo contesto naturale nel quale si trova circondato da altri animali e dalla natura.
BIBLIOGRAFIA
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Morpurgo Salomone, Dieci sonetti storici fiorentini, Firenze, Carnesecchi, 1893.
Edizioni critiche di autori:
ANTONIO PUCCI, Cantari della Guerra di Pisa = ANTONIO PUCCI, Cantari della Guerra di Pisa, edizione critica, a cura di, M. Bendinelli Predelli, Firenze, Società Editrice Fiorentina, 2017.
FRANCO SACCHETTI = FRANCO SACCHETTI, Il libro delle rime, a cura di F. Brambilla Ageno, Firenze-Melbourne, Olschki-University of Australia Press, 1989 (A.); FRANCO SACCHETTI, Il libro delle rime con le lettere; La battaglia delle belle donne, a cura di D. Puccini, Torino, UTET, 2007, (P.).
PIETRO DE’ FAITINELLI = PIETRO DE’ FAITINELLI, Rime, a cura di B. Aldinucci, Firenze, Accademia della Crusca, 2016.
Strumenti di consultazione:
DBI = Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1960-.
Libro di Daniele = Testo a cura della Conferenza Episcopale Italiana, https://www.vatican.va/archive/index\_it.htm
TLIO = Tesoro della Lingua Italiana delle Origini, fondato da Pietro G. Beltrami e diretto da P. Squillacioti presso CNR-Opera del Vocabolario Italiano, http://tlio.ovi.cnr.it/TLIO/
Toscana Giunta Regionale, 1995 = Toscana Giunta Regionale, La Toscana e i suoi comuni, storia, territorio, popolazione, stemmi e gonfaloni delle libere comunità toscane, Venezia, Marsilio, 1995.
Website
http://www.sarnathmuseumasi.org/gallery/Gallery3%20Acc%20No%20355.html
Restoration by India's Diaspora, the Roma - Daniel-Claudiu DumitrescuAPPENDICES
Una storia globale delle lapidi a forma di obelisco: uno studio sui cimiteri britannici in India - Kana Tomizawa
Tomba di Rose Aylmer, cimitero di Park Street, Calcutta
Relazione letta al Convegno Annuale del Collegium Mediterraneanistrarum, 12 giugno 2022
Le lapidi a forma di obelisco, che sono abbastanza comuni nei moderni cimiteri occidentali, sono state considerate un prodotto del cosiddetto "rinascimento egiziano", una moda del design egiziano nata dallo sviluppo degli studi egiziani dopo la campagna d'Egitto di Napoleone (1789-1799 ). Si dice che anche l'istituzione di cimiteri moderni fuori dalle chiese risalga al XIX secolo. In India, tuttavia, gli inglesi avevano creato cimiteri molto prima e vi si possono trovare molte lapidi a forma di obelisco. In altre parole, è molto probabile che le pietre tombali degli obelischi siano apparse in India prima della campagna d'Egitto, per altre cause. In questo articolo lo verificheremo prima esaminando le lapidi esistenti nei cimiteri britannici in India. Tenterà quindi una piccola "storia mondiale delle lapidi" guardando indietro nel tempo per vedere come gli obelischi e i loro disegni venivano usati prima del XVIII secolo e quando, dove e come erano associati ai memoriali per i morti.
In India vedremo prima il cimitero di South Park Street a Calcutta (ora Kolkata), un cimitero fondato nel 1767. Lì possiamo vedere molte lapidi a forma di obelisco, ma dobbiamo esaminare quante di esse furono effettivamente erette prima dell'impatto della campagna d'Egitto. L'autore ha studiato le forme delle lapidi di coloro che sono morti fino al 1805. Quel sondaggio ha rivelato che delle 185 lapidi sopravvissute in quest'epoca, 27 erano chiaramente a forma di obelisco, e un totale di 44 sono state identificate dove leggermente più spesse o più piramidali- simili sono stati aggiunti.
Da ciò si può sottolineare che una nuova espressione moderna riguardante i memoriali potrebbe essere stata stabilita in India prima della terraferma europea. Ma, a conferma di ciò, è anche necessario rivedere come gli obelischi erano stati associati ai memoriali prima del XVIII secolo. La diffusione degli obelischi e dei loro disegni in Occidente iniziò quando alcuni obelischi portati dall'Egitto a Roma nell'antichità furono poi riproposti nei secoli XVI-XVII. Vedendo lo sviluppo degli obelischi e dei loro disegni dall'antichità, soprattutto dal XVI al XVII secolo in poi, possiamo trovare alcuni usi per espressioni commemorative. Ma, per quanto ne sa l'autore, non si trattava di lapidi autoportanti a forma di obelisco, tema di questo scritto, ma solo di parti decorative o rilievi piatti. L'autore ritiene che l'uso diffuso di lapidi autoportanti a forma di obelisco sia avvenuto in India prima di quelle in Europa.
Perché, allora, le pietre tombali con questo disegno egiziano sono apparse in India prima che fosse fondata l'egittologia? La prima cosa da notare è il legame tra l'architettura funeraria indiana e il cimitero britannico di Surat e il drammaturgo e architetto britannico John Vanbrugh. C'erano alcuni architetti coinvolti nella costruzione di diversi obelischi e strutture piramidali nella Gran Bretagna del XVIII secolo, in città e case di campagna, e, al centro dei loro architetti, possiamo trovare John Vanbrugh. È interessante notare che la fonte delle sue immagini era il cimitero inglese che aveva visto a Surat quando era ancora giovane. Nel 1711 Vanbrugh presentò una proposta per un cimitero composto da "Mausolei alti e nobili", sul modello del cimitero inglese che aveva visto a Surat un quarto di secolo prima, in cui negli schizzi si possono trovare obelischi e lapidi a forma di piramide . I cimiteri britannici e olandesi a Surat oggi hanno infatti diverse lapidi a forma di obelisco, alcune delle quali non possono essere datate, ma alcune possono essere sicuramente identificate come risalenti al XVII secolo. L'esclusiva espressione commemorativa del cimitero mostra l'influenza dell'architettura del mausoleo islamico, che fiorì in India intorno al XIV secolo, e dei cenotafi principeschi indù (chhatris) che furono stabiliti intorno al Rajasthan sotto la sua influenza. Il cimitero di Surat, con la sua miscela di questi diversi edifici tombali e disegni di origine europea, ha influenzato l'architettura britannica del XVIII secolo attraverso Vanbrugh.
Il prossimo punto di interesse è la possibile confusione e sovrapposizione tra le immagini degli obelischi e altre architetture antiche. Prima dell'affermarsi dell'egittologia, non doveva esserci alcuna base per collegare gli obelischi con i concetti di morte e rinascita, ma possiamo effettivamente trovare un certo legame tra gli obelischi e le immagini consolatorie. Uno dei motivi sembra essere la confusione tra le immagini degli obelischi e delle piramidi. Anche il cenotafio del massacro britannico del XVIII secolo a Patna è talvolta indicato come un "obelisco", ma è chiaramente modellato su una colonna commemorativa romana. È interessante notare che anche la famosa Colonna commemorativa di Traiano è una specie di tomba, in quanto ha i suoi resti nella parte di base. Anche il Mausoleo di Maussollos a Helicarnassus è stato spesso raffigurato come simile a un obelisco o pyramid, anche se la sua forma attuale è sconosciuta. Questa e altre rappresentazioni delle cosiddette sette meraviglie del mondo e dei capricci dei secoli XVII-XVIII suggeriscono che una vasta gamma di immagini architettoniche antiche legate a memoriali e obelischi si sia sviluppata in modo sovrapposto e misto.
Pertanto, si presume che la forma della lapide dell'obelisco sia stata stabilita e sviluppata in India mentre la storia delle immagini complesse degli obelischi e la cultura indiana dell'architettura funeraria si intersecavano. Lo sfondo di ciò potrebbe essere stato la necessità di nuovi luoghi di sepoltura e nuove espressioni di commemorazione a causa dell'alto tasso di mortalità degli occidentali in India e della mancanza di chiese e cimiteri, ma ci sono molte altre questioni da interrogare ulteriormente, incluso il più ampio influenza dell'architettura e della tecnologia indiana. Questo fenomeno culturale è difficile da cogliere in una struttura binaria britannica/indiana, occidentale/orientale, dominante/dominata, e sarà essenziale acquisire conoscenze tra discipline e regioni per chiarirlo. L'autore spera nella guida di vari ricercatori.
Il documento originale è stato scritto e letto in giapponese.
Gandhi femminista - Julia Bolton Holloway
Il Mahatma Gandhi ha portato una nuova dimensione nelle nostre vite. Quando parlava di nonviolenza, intendeva non solo evitare l'azione violenta, ma purificare i nostri cuori dall'odio e dall'amarezza. Ha svelato il potere politico spirituale degli analfabeti e degli umili poveri e ha sottolineato che gli unici programmi degni di essere predicati erano quelli che potevano essere tradotti in azione. Ha detto che ogni decisione e programma dovrebbe essere giudicato dal punto di vista dei più poveri e dei più deboli. Indira Gandhi
Il lettore potrebbe benissimo ribellarsi al titolo di questo articolo. Gandhi è visto come un "maschilista". Tuttavia, ci sono aspetti della vita e del pensiero di Gandhi che possono essere collegati al femminismo. Questo documento discute tre aspetti di Gandhi: Gandhi e il patriarcato, Gandhi e le donne, Gandhi e la bomba, tutti collegati tra loro. Non sarà accademico ma piuttosto, in larga misura, alla maniera di Gandhi, un esperimento con la verità.
Gandhi e il patriarcato,
Gandhi e le donne, Gandhi e la bomba, tutti collegati tra loro. Non sarà accademico ma piuttosto, in larga misura, alla maniera di Gandhi, un esperimento con la verità. Gandhi e il patriarcato La mia strada migliore per affrontare questo argomento è discutere la relazione tra un padre, una figlia e Gandhi. Mio padre era un inglese in India e amico di Gandhi. Mio padre e Gandhi erano entrambi giornalisti, quindi una volta che entrambi hanno scritto interviste l'uno dell'altro, quella seria di mio padre su Gandhi in The Times of India, quella scherzosa di Gandhi in Young India su Glorney Bolton dagli occhi azzurri e dai capelli biondi. Mio padre era con Gandhi nella marcia del sale verso Dandi nel marzo 1930. C'era una registrazione a più voci della British Broadcasting Corporation, "Talking of Gandhiji", la voce di mio padre era una di queste, ora perduta. Sebbene il libro che ne è derivato esista. Questo è quello che disse mio padre in quella trasmissione dell'evento in cui Gandhi raccolse illegalmente e molto semplicemente il sale dal mare:
E c'era Gandhi, che camminava, con i suoi amici intorno a lui, era una sorta di terrificante anticlimax. Non ci furono applausi, né grandi grida di gioia, e nessuna specie di maestosa processione, tutto qui. . . in un certo senso piuttosto farsesco. Comunque questa grande marcia era cominciata. . . eccolo qui, abbastanza felice, con la gente intorno a lui, nel complesso molto tranquillo, ma di tanto in tanto si sentiva Gandhi. . . scoppiare con quella sua meravigliosa risata fanciullesca. Non sapeva come sarebbe andata a finire la marcia, ma nonostante ciò, ero lì, a vedere la storia accadere in uno strano tipo di modo; qualcosa di completamente non europeo eppure molto, molto commovente.
Quell'atto doveva porre fine al dominio britannico dell'India. Un atto così semplice, eppure molto più potente di qualsiasi atto di terrorismo violento, di qualsiasi uso di qualsiasi bomba. Ma ha bisogno di una spiegazione. La Gran Bretagna ha imposto il monopolio del sale in India. Lo fece perché anche Roma aveva imposto un tale monopolio su tutte le terre che giacevano sotto il giogo del suo vasto impero. Da esso deriva la parola "salario" che usiamo oggi. Il sale è stato trasformato in moneta, lo stato controllava una sostanza essenziale alla vita. Tuttavia, un tale monopolio non era la pratica in Gran Bretagna. La sua imposizione all'India fu un atto ingiusto, patriarcale, imperiale e Gandhi, che aveva studiato legge in Inghilterra, lo sapeva. La nostra versione americana di questa semplice raccolta di sale dal mare è stata Rosa Parks, a causa dei suoi piedi stanchi, che ha rifiutato il suo posto a un uomo bianco su un autobus dell'Alabama - un atto che ci ha cambiato da una nazione razzista a una con un sogno di uguaglianza in parte realizzato, anche se dobbiamo andare oltre.
Sono cresciuta con la conoscenza di Gandhi su di me da ragazza in Inghilterra, sapendo che mio padre era suo amico e aveva scritto la sua biografia, The Tragedy of Gandhi, pubblicata nel 1934 quando sembrava che Gandhi avesse fallito. Ricordo di aver ascoltato con grande intensità la Dichiarazione di Indipendenza dell'India di Earl Mountbatten e Jawaharlal Nehru alla radio quando avevo dieci anni. Ma ora, quando leggo la biografia di Gandhi di mio padre, due cose mi fanno ribellare alla prospettiva di quell'inglese. Mio padre scrisse che disprezzava il "masochismo femminile" di Gandhi (in parte alludendo al suo uso dell'"anoressia") e criticava anche l'adesione di Gandhi alla povertà. Mio padre era il figlio di una vedova, aveva conosciuto una relativa povertà e aveva lottato contro di essa per acquisire un'istruzione a Oxford, non riuscendo a ottenere la laurea. Voleva disperatamente avere successo nel giornalismo e nella politica. Tuttavia, Gandhi ha avuto davvero successo - ma insistendo per sbarazzarsi dello status, del rango e della casta - sapendo che c'era solo così tanto da fare e che doveva essere condiviso, che la ricchezza di un uomo causa la povertà di un altro. Anche Willy Brandt nel rapporto Nord/Sud lo esprime in relazione alla guerra.
Mentre la fame regna, la pace non può prevalere. Chi vuole bandire la guerra deve bandire anche la povertà. Non fa differenza se un essere umano viene ucciso in guerra o muore di fame a causa dell'indifferenza degli altri.
Mio padre allora era ambizioso di ricchezza e fama e quindi le idee di Gandhi si scontravano con le sue. Ma molti anni dopo scriverà una biografia di Papa Giovanni XXIII, Living Peter, una biografia che loda piuttosto che biasimare un uomo simile. Gandhi, si può vedere, istruì con successo i suoi avversari. Una potenza coloniale deve mentire a se stessa. Gandhi ha strappato via quelle bugie, usando la giustizia per svelare l'ingiustizia, usando la legge per dimostrare l'illegalità del dominio britannico. E per farlo si è rivolto alle donne.
Gandhi e le donne
L'India un tempo era stata una grande nazione produttrice di tessuti. Il nome della nostra cotonina americana significa che un tempo veniva prodotta a Calicut, a Madras, in India, e poi esportata in Inghilterra e nelle sue colonie. Ma gli inglesi nel diciannovesimo secolo, per proteggere le proprie industrie tessili, vietarono all'India di continuare la sua. Gli indiani che un tempo avevano esportato tessuti ora dovevano importarli dal Lancashire. Gandhi vedeva un modo per spezzare il dominio britannico sull'India nel diventare autosufficiente nella produzione tessile. Così si rivolse all'artigianato del villaggio e dei cottage, le sue donne e lui stesso filavano e tessevano stoffa khaddar, stoffa fatta in casa. Santha Rama Rau, nella sua autobiografia, Home to India, ha discusso del boicottaggio e della partecipazione centrale delle donne. È difficile per la cultura maschile occidentale rendersi conto della piena importanza politica della stoffa. Siamo più coinvolti con il testo che con il tessuto. Tuttavia, guardare alla letteratura classica significa scoprire che la tessitura da parte delle donne era importante quanto il racconto di storie, la scrittura della storia, da parte degli uomini, i due si intrecciano l'uno nell'altro. Oggi in Guatemala le donne raccontano la loro oppressione attraverso immagini ricamate, che non possono essere censurate allo stesso modo della parola scritta. Sembra che ogni movimento di liberazione abbia bisogno del femminile oltre che del maschile, le donne simboleggiano molto più chiaramente la transizione dalla schiavitù alla libertà rispetto all'uomo. Gandhi assunse volontariamente il ruolo di quella donna, usando quel simbolismo. La sua rivoluzione contro la madrepatria non fu con armi maschili di distruzione ma con strumenti femminili di produzione. La sua spada maschile era un arcolaio femminile, il charka, la ruota della vita, l'emblema oggi sulla bandiera dell'India - e su quella dei Rom.
Trovo il filatoio ammirevole, non disprezzabile. Qui io e mio padre ci separeremmo.
Gandhi e la bomba
atomica
Margaret Bourke-White che ha fotografato questo immediatamente prima che Gandhi fosse assassinato L'India un tempo era stata una grande nazione produttrice di tessuti. Il nome della nostra cotonina americana significa che un tempo veniva prodotta a Calicut, a Madras, in India, e poi esportata in Inghilterra e nelle sue colonie. Ma gli inglesi nel diciannovesimo secolo, per proteggere le proprie industrie tessili, vietarono all'India di continuare la sua. Gli indiani che un tempo avevano esportato tessuti ora dovevano importarli dal Lancashire. Gandhi vedeva un modo per spezzare il dominio britannico sull'India nel diventare autosufficiente nella produzione tessile. Così si rivolse all'artigianato del villaggio e dei cottage, le sue donne e lui stesso filavano e tessevano stoffa khaddar, stoffa fatta in casa. Santha Rama Rau, nella sua autobiografia, Home to India, ha discusso del boicottaggio e della partecipazione centrale delle donne. È difficile per la cultura maschile occidentale rendersi conto della piena importanza politica della stoffa. Siamo più coinvolti con il testo che con il tessuto. Tuttavia, guardare alla letteratura classica significa scoprire che la tessitura da parte delle donne era importante quanto il racconto di storie, la scrittura della storia, da parte degli uomini, i due si intrecciano l'uno nell'altro. Oggi in Guatemala le donne raccontano la loro oppressione attraverso immagini ricamate, che non possono essere censurate allo stesso modo della parola scritta. Sembra che ogni movimento di liberazione abbia bisogno del femminile oltre che del maschile, le donne simboleggiano molto più chiaramente la transizione dalla schiavitù alla libertà rispetto all'uomo. Gandhi assunse volontariamente il ruolo di quella donna, usando quel simbolismo. La sua rivoluzione contro la madrepatria non fu con armi maschili di distruzione ma con strumenti femminili di produzione. La sua spada maschile era un arcolaio femminile, il charka, la ruota della vita, l'emblema oggi sulla bandiera dell'India - e su quella dei Rom. Trovo il filatoio ammirevole, non disprezzabile. Qui io e mio padre ci separeremmo. Gandhi e la bomba Margaret Bourke-White, la fotografa americana Time/Life che era con Gandhi poco prima che gli sparassero, non era d'accordo con i suoi principi femminili. Paradossalmente voleva soluzioni maschili. Come mio padre, vedeva la risposta alla povertà dell'India nell'occidentalizzazione, nell'industrializzazione e nell'alta tecnologia. Gandhi l'ha contrastata filando silenziosamente la stoffa mentre lei lo fotografava. Nella sua autobiografia, Portrait of Myself, ha riportato l'ultima conversazione di Gandhi. Riguardava la bomba nucleare. Mentre sedevamo lì nella sottile luce del sole invernale, lui girava e io annotavo le sue parole, nessuno di noi due poteva sapere che quello sarebbe stato forse il suo ultimo messaggio al mondo. . . Gandhi iniziò a sondare il terribile problema che ci ha travolti tutti. Ho chiesto a Gandhi come avrebbe incontrato la bomba atomica. Lo affronterebbe con la nonviolenza? 'Ah', disse. 'Come dovrei rispondere? Lo affronterei con un'azione di preghiera.' Ho chiesto quale forma avrebbe preso quell'azione. «Non andrò sottoterra. Non andrò nei rifugi. Uscirò e affronterò il pilota così vedrà che non ho la faccia del male contro di lui.' Tornò alla sua filatura. . . Mi sono alzato per andarmene e ho incrociato le mani nel gesto di addio che usano gli indù. Ma Gandhiji mi tese la mano e la strinse cordialmente alla maniera occidentale. Quel gesto, per inciso, mostra che non si impugna una spada. Gandhi poi andò in preghiera e fu colpito. L'uomo aveva dato la risposta della donna, per filare, per fornire vestiti alle generazioni future. La donna è stata portata all'ultimo sviluppo tecnologico, l'arma maschile che potrebbe annientare il futuro. Non so perché questa conversazione sia stata omessa dal film, Gandhi, se non per dire che tre anni fa non era ancora di moda temere la bomba. Era un tabù, qualcosa di profondamente represso. Oggi stiamo esaminando apertamente e consapevolmente tale questione. Gandhi può aiutarci verso una soluzione. Vorrebbe farci disarmare. Femminilizzerebbe il mondo. Ci sono più tonnellate di potenza esplosiva per bambino, donna e uomo nel mondo che cibo. Gandhi direbbe che prepararsi alla guerra per prevenirla è una follia. Einstein l'ha detto. È tempo di una rivoluzione per la pace. Gandhi ci ha insegnato come fare una rivoluzione con strumenti che costruiscono un futuro, piuttosto che con armi che annientano il passato, il presente e il futuro. Per imparare a usare questi strumenti, lo stesso Gandhi era disposto a farsi insegnare dalle donne. Esistono armi per rafforzare il potere di una nazione, razza, sesso, credo o casta su quello di un'altra. Il loro è solo un potere negativo, distruttivo. Ma in un mondo in cui le preoccupazioni primarie sono riparo, cibo e vestiario per tutti, a prescindere da queste distinzioni superficiali, le armi diventano inutili. Gandhi, rivolgendosi agli intoccabili e alle donne, ha capovolto l'induismo e ha capovolto il mondo.
Originariamente dato come articolo, poi pubblicato, nel 1984, ha ricevuto il premio "Art of Peace".
La trasmissione della BBC è ora persa, ma il libro pubblicato da essa sopravvive.
Gandhi's possessions at his death, his glasses, his sandals, etc.
Prega, rifletti e poi fai:
questa regola (di Gandhi) ottenne l'independenza dell'India/
PARTICEPANTI
Arch. Amina Anelli is the restorer of the monument of the Indian Prince in the Cascine and architect for the Comune of Florence.
Dal 2015 lavora presso la Direzione Servizi Tecnici del Comune di Firenze nell’ambito del Servizio Belle Arti e Fabbrica di
Palazzo Vecchio fino al mese di dicembre 2022 e dopo nell’ambito del Servizio Supporto Tecnico Quartieri e Impianti Sportivi(P.O. Scuole, Biblioteche, Ludoteche, Centri civici ed altri immobili del Quartiere 1), occupandosi di progettazione, direzione
lavori, coordinamento della sicurezza e verifica progetti e in qualità di membro di commissioni giudicatrici per appalti di lavori pubblici e di relatrice in conferenze illustrative di progetti/lavori.
Dr Peter Burman studied History of Art at the University of Cambridge. His first role was as Assistant, Deputy then Director of the Council for the Care of Churches and the Cathedrals Fabric Commission for England. Later, as Director of Conservation & Property Services of the National Trust for Scotland, he found himself living within the City of Edinburgh World Heritage Site. Companion of the Guild of St George of John Ruskin.Pritha Chakraborty has completed her B.A in English from University of Calcutta and is currently pursuing her M.A in English Literature and Language in Department of English, University of Delhi. Her areas of interest include Gender Studies, Victorian Age, Feminist Criticism, Masculinity Studies, American Literature, Modern Age etc. She blogs, writes poetry, has worked with Stirring Minds, based in Bangalore, and Teevro Private Limited based in Jaipur as a content writer. She wishes to continue her career in academia and has published articles while also taking part and presenting papers in various national and international conferences. You can reach her at prithabarac@gmail.com.Gabriella Del Lungo Camiciotti was Professor of English, University of Florence, publishing on Margery Kempe and other women contemplatives.
Francesca Ditifeci is Ricercatore of English Language and Translation of the University of Florence's Dipartimento di Formazione, Lingue, intercultura, Letterature e Psicologia.
Daniel-Claudiu Dumitrescu is from Romania, the restorer of the English Cemetery, who inherited his grandfather's copper-smithing tools. He has also worked on the restoration of Donatello's pulpit in Prato, has created two facsimiles of the Libro del Chiodo, and chisels the memorial plaques to Frederick Douglass, Sarah Parker Remond, etc. The Roma from India by way of Persia and Turkey a thousand years ago, their language still Sanskrit.
Mi chiamo Elena Giannarelli: sono fiorentina, filologa classica e docente universitaria in pensione. Ho vissuto otto bellissimi anni postlaurea alla Scuola Normale Superiore di Pisa. Ho viaggiato molto per lavoro, in Europa, negli Stati Uniti, in Australia, finendo per tornare in Italia e a Firenze. Ho pubblicato volumi e saggi di storia delle donne nel mondo antico, ho tradotto e commentato testi greci e latini, soprattutto biografie. Ho scritto libri di storia di Firenze, materia che insegno all’Università dell’Età Libera della mia città, dove sono presidente del Centro di Studi Patristici e professore invitato alla Facoltà Teologica dell’Italia Centrale.
Nick Havely is Emeritus Professor at the University of York, where he taught courses on English literature and Dante. His recent books include: Dante’s British Public (2014); Dante Beyond Borders: Contexts and Reception (2021); and After Dante (2021), a new translation of the Purgatorio by sixteen contemporary poets. He has held Leverhulme and Bogliasco Fellowships, and has been elected an Honorary Member of the Dante Society of America. His current project is Apennine Crossings: Travellers on the Edge of Tuscany, to be published by Oxford University Press.
Julia Bolton Holloway is Professor Emerita of the University of Colorado at Boulder, her doctorate from the University of California at Berkeley where she taught, also at Princeton University. She has published books and articles on Dante Alighieri, his teacher, Brunetto Latino, editing his writings, those of Julian of Norwich and Birgitta of Sweden, and of Elizabeth Barrett Browning's poetry for Penguin and in Italian for Le Lettere. She is Custodian of Florence's English Cemetery, organizes the City and Book international conferences and the Academia Bessarion encounters, and is a Companion of the Guild of St George of John Ruskin. The websites for Florence's English Cemetery are at florin.ms
Arjun Shivaji Jain received a Master of Science in Physics from the Indian Institute of Technology in Roorkee, Uttarakhand in 2014, and a Post Graduate Certificate in Art and Science from Central Saint Martins of the University of the Arts in London in 2016. Recipient of multiple scholarships and fellowships instituted by the Department of Science, Govt. of India, and having worked at the Indian Institute of Technology and National Science Academy in Delhi, and the National University of Singapore, he has assumed various disparate roles over the years (including, but not limited to, waiting tables, invigilating galleries, housekeeping, gardening, felling trees, & teaching). Self-published and well-travelled, he is serving at present as the first Young Companions' Representative of the Guild of St George, UK, whilst working, in a personal capacity, as a visual artist. He is proprietor of the John Ruskin Manufactory, and director at Red House, here in Delhi where he currently resides.
Dr Rosie Llewellyn-Jones MBE is an Executive Committee member of BACSA (British Association for Cemeteries in South Asia) and the editor of its Journal, Chowkidar. She is a specialist on colonial India and her most recent book, published in January 2023 by Hurst is Empire Building: the Construction of British India. BACSA’s website is: https://www.bacsa.org.uk.
Sir Nicholas Mander, restored Owlpen Manor and is a Companion of the Guild of St George of John Ruskin.
Marialaura Pancini
is a Ph.D. student at the University for Foreigners of Siena, where she studies fourteenth-century Political and Civil Minor Poetry in the Tuscan area.
Nic Peeters is an independent art historian, lecturer and writer in Antwerp, Belgium, who specialises in British nineteenth-century art particularly that of women artists. His doctoral thesis for Brussels University (VUB) was on the work of Evelyn De Morgan focusing on a combination of spiritualism and feminism
Sriram Rajasekaran, a medical doctor by profession, with all his heart in the Arts, often found reading Proust and Joyce, currently pursuing hispostgraduation in Preventive and Social Medicine.
Domenico Savini is a scholar of the nobility of Florence and the royalty of EnglandEmma Sdegno. Professor of English, Dipartimento di Studi Europei e Postcoloniali della Facoltà di Lingue e Letterature Straniere, Università Ca' Foscari Venezia.Rita Severi, Professor of English, University of Verona, Victorianist and co-editor of 'Oh Bella Libertà!': Le Poesie di Elizabeth Barrett Browning, Florence: Le Lettere, 2022.
Because both Florence and India/Pakistan have been major textile producers these materials will be available for a donation at the conference.
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