Il bomber che prese a cazzotti l'arbitro: Cappello e il processo dell'estate (original) (raw)
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Classe 1920, fu un cannoniere implacabile che prima della guerra si mise in luce nel Padova e nel Milan: a conflitto finito trovò a Bologna la sua dimensione, rivelandosi un attaccante di levatura internazionale. Ma quante ne passò, finendo pure per essere radiato...
12 settembre 2024 (modifica alle 16:43) - MILANO
Nel lontano 1952 poteva succedere che un calciatore, anzi un campione di rinomata fama, in estate partecipasse a un torneo cittadino, un torneo dei bar come se ne organizzano tanti in quel periodo. La città era Bologna, il torneo era il Palio calcistico petroniano, il campione si chiamava Gino Cappello e poiché era veneto, fin da piccolo per tutti era “Capèo”. Aveva trentadue anni, giocava nel Bologna e in Nazionale, di ruolo centravanti: a distanza di tanti anni, viene ricordato come uno dei fuoriclasse dell’epoca. Già la partecipazione a un torneo dei bar - per un calciatore della levatura di Cappello - suonerebbe oggi bizzarra; ma è quel che avvenne quell’estate che ha dell’incredibile. Capitò infatti che “Capèo” - arruolato dagli amici del “Bar Otello” - durante una partita contro i ragazzi del Bar San Mamolo prese a calci nel sedere un arbitro - di nome Walter Palmieri - gli rifilò un pugno e infine lo mandò ko. L’arbitro lo denunciò. La CAF propose la squalifica a vita. Per questo motivo Cappello finì a processo. Un processo vero, di quelli che si vedono nei telefilm americani. Con le indagini del magistrato, le requisitorie degli avvocati nell’aula di giustizia, la folla che assiste, l’imputato che si difende, i testimoni che giurano di dire la verità, soltanto la verità. Fu un processo molto seguito a livello mediatico. Ne parlarono tutti i giornali, per tutta l’estate. Il fatto incriminato avvenne il 5 luglio, il processo si chiuse il 10 settembre.