GloriaGloom's review of Tra parentesi (original) (raw)

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Tra parentesi by Roberto Bolaño

Tra parentesi
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Sarà l'età, la crisi economica globale e personale, saranno le delusioni politiche e amorose, sarà quel che sarà (come cantavano i Ricchi e Poveri e come ora cantano i ricchi e i poveri), o sarà colpa di quella signora che davanti a me sull'autobus leggeva Fante mentre terminavo questo libro - una donna che superati i diciotto anni legge Fante è intollerabile anche da un punto di vista puramente estetico- ma quel che è rimasto dopo aver frugato tra le parentesi di Bolano è un senso di brillante insoddisfazione, come dopo aver guardato qualcosa di molto bello e completamente inutile. Sarà anche che Tra parentesi è una raccolta di articoli, interventi ecc.. assemblata da altri in modo un po' furbetto per dare quel tocco alla Bolano e perpetuare la facile mitologia che recita che gli scrittori "originali" non pongono membrane tra arte e vita - e forse letti invece nelle loro sedi proprie, tra le colonne di un quotidiano o tra le pagine di una rivista, diluiti nel tempo, a Bolano vivo, l'effetto sarebbe stato altro e assai diverso, di certo migliore- ma la sensazione è stata quella di un qualcosa arrivato da un passato prossimo, vicinissimo, ma invecchiato peggio e più malamente che se a scrivere queste notarelle fossero stati Goethe o Dickens; la colpa non è neppure dell'autore, romanziere di indubbia grandezza, ma forse di chi forzatamente - tirando fuori materiali che potevano restare al loro posto - vuole inserire un grande scrittore postmoderno nella categoria del popmoderno, nella più fragile, consumabile e inutile delle categorie culturali, dove niente ha importanza, dove non esistono differenze nè complessità, ma solo sguardi personali sorretti da una robusta estetica: lo sguardo è tutto, il pensiero può aspettare.
La parte che più colpisce e stranisce ( a me, almeno ) è l'insieme di articoli dedicati al suo ritorno in Cile dopo molti anni di esilio dove ovviamente si parla del Cile di oggi - di un decennio fa - per parlare del Cile di Pinochet; quel suo vagare per frammenti, per vie laterali, per spigoli, schermandosi continuamente dietro una esibita mancanza di coscienza politica - il giochetto del io so che tu sai che voglio dire il contrario - diverte e irrita al tempo stesso, il Cile di Bolano - il Cile di Pinochete il Cile del dopo - somiglia qui molto alla famosa cronaca della crociera di Foster Wallace, ma quel che fa sorridere divertiti in mezzo al mare non sortisce sempre lo stesso effetto su certe parti della terraferma. C'è un bellissimo pezzo, fulminante, di un paio di pagine, in cui Bolano parte dalle voci intercettate e registrate dei golpisti l'11 settembre del '73, intelligentemente decontestualizzate per dare un senso di miserabile buffoneria, e poi, con un procedere ipnotico, simile a un mantra, associa quelle intonazioni a un generico quanto terribile noi "Il nastro avanza e a poco a poco le voci si fanno sempre più familiari, come se fossero sempre state lì, a parlarci, a minacciarci.[..] Non c’è niente da fare: sono le voci della nostra infanzia. Voci cilene, come infiltrate in un film troppo grande per loro, voci che trasmettono un messaggio che loro stesse non capiscono del tutto. Un dialogo al di là della realtà, là dove il dialogo è impossibile. Eppure l’immagine finale, per quanti fatti straordinari accumuli, non sfugge a una banalità fin troppo familiare, ripetuta fino alla nausea. Tutti noi, in qualche momento della nostra vita, abbiamo conosciuto gli uomini che stanno parlando" e quella che potrebbe essere una disarmante descrizone delle responsabilità, delle colpe, delle scelte, traslata da una potente voce letteraria, schiacciata in questo calderone offre al massimo il destro a una momentanea scossa emotiva (quella scossa emotiva che è il sale di ogni esperienza pop).
Anche laddove si parla di letteratura, e se ne parla molto: Borges, Burroughs, Dick, Ellroy, Wilcock e ogni altro suo nume tutelare, il gioco di Bolano alla lunga mostra la corda. Lo sviare dal campo della critica, quella estrema personalizzazione della materia, quel porsi al centro con voce ora ironica, ora secca, ora irridente, dà l'avvio a meravigliose intuizioni e aforismi fulminanti come a ingenue cadute di tono che neppure a un quindicenne nel chiuso della sua cameretta verrebbero perdonate: ad esempio recensendo le rispettive biografie di Ellroy e di Amis se ne esce con "Il libro di Ellroy finisce con le lacrime e la merda. Finisce con un uomo solo che rimane in piedi. Finisce con il sangue. Vale a dire, non finisce mai." (e qui viene da aggiungere boom! a matita in margine). E a leggere queste frasi mi sento un po' in colpa, come dovrebbe sentirsi la signora di mezza età che davanti a me legge Fante.

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September 13, 2017 – Shelved

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