Al croato Ivan Krpan il Concorso Busoni (original) (raw)

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Per ora sembra suonare molto di mani, fantastiche, che affondano larghe nella tastiera, sciolte e generose, con quella facilità inconsapevole che si possiede una volta sola nella vita: ha vent’anni Ivan Krpan, di Zagabria, e ha conquistato la giuria del sessantunesimo Concorso Busoni, venerdì. Il suo Beethoven, Concerto n.5, staccava nettamente gli altri due concorrenti arrivati alla finalissima, Anna Geniushene, di Mosca (terzo premio) e Jaeyeon Won, di Seoul (secondo). Ed è una bella notizia che una competizione per tradizione sussiegosa abbia scremato 330 concorrenti per scommettere su un vincitore dal potenziale molto alto, non del tutto espresso. Perché il primo premio al Busoni non è che l’inizio: che sia un grande viaggio, Ivan Krpan.

(Eva Loprieno)

Timido, allampanato, biondo e sottile, il profilo antico da ragazzo dell’Est, il n.1 uscito dalle dure selezioni, distribuite in due estati, è un solista per certi versi ancora implume. Ma se alcuni tratti di finezza tecnica, di legato, sono probabilmente da perfezionare, un dato balza subito all’ascolto, con scolpita evidenza: Krpan è un radicale pianista. Tutt’uno con lo strumento. Immerso in esso. Senza alcun contatto col mondo esterno che non sia musica (tranne la minuta fidanzata, che gli sta discreta a lato). La sua interpretazione emana dallo strumento, non dalla persona. Quando con le lunghe mani cavalca sicuro la tastiera, sembra far affiorare con tranquillità qualcosa che è lì nascosto. Come farebbe un bambino setacciando tra le dita la sabbia, per trovare conchiglie.

E anche se potrebbe sembrare un gioco di parole - “al Busoni ha vinto un pianista” - la realtà della serata finale del prestigioso premio, giunto alla sessantunesima edizione, primo in Italia, nato nel 1949 per volere di Arturo Benedetti Michelangeli, dimostrava due diverse facce del pianismo. Dove il talento, pur strepitoso, e la stretta natura pianistica, possono anche stare disgiunti. Ivan Krpan è murato nel pianoforte. Anna Geniushena e Jaeyeon Won no.

Intanto perché, coi rispettivi 27 e 29 anni, hanno superato l’età dei concorsi. E i concorsi sono delle bestie nere, che si affrontano con l’incoscienza di Davide contro Golia. Quando si vanta già un curriculum importante, quando il nome viaggia già nelle stagioni di concerti, è noto e magari è stato anche già recensito, non si va a un concorso. Men che meno alla vetrina internazionale del Busoni. Tanto per fare un nome, Eleonora Armellini, eliminata prima della penultima prova (quella nuova, istituita quest’anno, col Quartetto di Cremona, temibile perché nelle scuole si insegna poco la musica da camera) ha lasciato a molti l’amaro in bocca. Ma è già una pianista conosciuta, in carriera. Forse non avrebbe nemmeno dovuto bussare alla porta del concorso.

Esattamente come il coreano Jaeyeon Won: simpaticissimo, si è infatti guadagnato facilmente il premio del pubblico, assegnato in sala, alla finalissima (con foglietti e raccoglitori introvabili). Spiritoso, di testa e di mani, totalmente disinvolto, per nulla intimorito dal fatto di essere alla prova finale, Won ha suonato un Quarto di Beethoven in stile pop. Leggero, veloce, spolverato sui tasti, senza alcuna incertezza. Spensierato. Se si fosse messo anche a fischiettarlo nessuno si sarebbe stupito. Come nessuno si è stupito delle braccia buttate all’aria, a fine tempo, come fanno i velocisti alla fine di una corsa. Solo Ferruccio Busoni, nelle due fotografie enormi alle sue spalle, lo guardava molto severo.