NICCOLINI, Agnolo - Enciclopedia - Treccani (original) (raw)

NICCOLINI, Agnolo

Barbara Donati

NICCOLINI (Nicolini), Agnolo (Angelo). – Primogenito di cinque figli, nacque a Firenze il 29 giugno 1502 da Matteo e da Ginevra Morelli.

Dei suoi fratelli, soltanto due raggiunsero l’età matura: Piero – come lui nato dalle nozze tra Matteo e Ginevra – e Fiammetta, figlia di Maddalena Guiducci, terza moglie del padre (Firenze, Arch. Niccolini, Fondo antico 15, 1; 3, 11, 13; 1, 16).

Un’indole quieta e remissiva, per la quale nell’infanzia fu spesso «sgridato et burlato» (ibid., 1, 9), non gli impedì di ripercorrere con successo le orme del padre e del nonno Agnolo, noti giureconsulti: nel 1523, si laureò a Pisa in utroque iure con Filippo Decio e subito fu nominato lettore straordinario di diritto civile fino all’anno accademico 1525-26 (ibid., Cartapecore 530). La sua carriera di docente subì allora una prima battuta d’arresto a seguito delle gravi ferite alla testa riportate dopo uno scontro con un soldato di stanza a Pisa, secondo Luigi Passerini il perugino Sforza Baglioni (una ferita sulla guancia destra è confermata dall’incisione nella Serie di ritratti degli uomini illustri toscani, realizzata sulla base di un’opera di Domenico Cresti del 1606).

Nel 1529, quando già il padre, filomediceo, era stato arrestato, anche Niccolini subì la condanna al confino per quattro mesi a opera dei commissari di Pisa (Firenze, Arch. Niccolini, Fondo antico, 16, 2). Di lì a poco la restaurazione del governo mediceo segnò la svolta della sua vita, il suo ingresso nel mondo politico e la sua progressiva trasformazione da giovane promessa del foro a legale di Stato. Fu una scelta non facile, stando ai ricordi del figlio e ai ponderosi registri contabili della sua professione legale (Firenze, Arch. Niccolini, Fondo antico, 1,9 e Registri antichi 12), che cercò prudentemente di allontanare, ritenendo ancora insicura la posizione del duca a fronte della potenza dei fuorusciti sostenuti da papa Paolo III Farnese.

Il temporeggiamento ebbe breve durata. A pochi mesi dall’assassinio di Alessandro de’ Medici (6 gennaio 1537) rifiutò una legazione presso Carlo V ma, dopo la sconfitta dei fuorusciti a Montemurlo, sembrandogli ormai stabile la successione di Cosimo I alla guida di Firenze, accettò di rappresentarlo in due complesse missioni diplomatiche: la prima (1537-39) tra Roma e Nizza, per convincere papa Paolo III a recedere dall’intransigente politica di esazione delle decime sui beni ecclesiastici; la seconda (1539-41) – attraverso la Spagna, la Francia, le Fiandre e la Germania – per incontrare Carlo V, arbitro della contesa tra il duca e Margherita d’Austria, figlia dello stesso imperatore, ora sposa di Ottavio Farnese, che reclamava da Cosimo ben 200.000 scudi di dote del primo marito, il defunto duca Alessandro. Nell’ottobre 1541 rientrò a Firenze con una nomina a consigliere segreto e 200 scudi annui di provvisione. Morto il padre, il 29 novembre 1541 prese il suo posto nel Senato fiorentino.

Da allora, i suoi incarichi istituzionali si moltiplicarono: più volte a capo degli otto di Pratica, fu tra gli uomini della riforma del Contado (1542) e dei cinque conservatori (1549); membro della deputazione per la scelta degli ‘operai’ da preporre a ciascun convento femminile (Marrara, 1965, pp. 79 s.); dal 1547 fu anche provveditore della zecca, ufficio detenuto per lui dal fratello Piero. Fu tra i fautori presso il duca di una politica estera filospagnola che si concretizzò con l’intervento di Cosimo I nella guerra di Siena. Alla resa dei senesi (1555), fu designato luogotenente provvisorio: il duca lo riteneva in possesso di una grande «cognizione et pratica di quelli umori et cervelli» (Firenze, Arch. Niccolini, Fondo antico, 1,9), avendo ricoperto, non ancora trentenne, l’incarico d’ambasciatore in quella città (ibid. 16, 3). L’ingerenza fiorentina nel governo di un territorio imperiale non piacque a Carlo V che pretese la sua sostituzione con due successivi governatori spagnoli. Solo il 4 luglio 1557, quando Cosimo ottenne Siena in «feudo ligio, nobile e onorifico» (ibid. 17, 1), Niccolini riprese il suo posto, divenendo il primo rappresentante dell’era medicea di Siena, l’unico a godere del privilegio di vedere affisse sul Palazzo pubblico della città le insegne del proprio casato.

Abbandonata la dura politica d’opposizione a ogni autonomia cittadina, perseguita nel suo primo mandato, si adoperò per una rapida pacificazione della città (cfr. i bandi contro il possesso delle armi e per il perdono dei ribelli, Arch. di Stato di Siena, Balìa, 830; Ascheri, 2000, p. 14). La pace di Cateau-Cambrésis e la resa dei senesi rifugiatisi a Montalcino (1559) fecero il resto: il 1° febbraio 1561 usciva la «reformatione» del governo di Siena, testo costituzionale per il quale, ancora una volta, il contributo di Niccolini fu prezioso (Firenze, Arch. Niccolini, Fondo antico, 17, 16).

Sotto la sua direzione riprese l’attività dello Studio di Siena, con una particolare attenzione alla tutela degli studenti stranieri infastiditi dalle attenzioni dell’Inquisizione (Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del principato 1870; Cascio Pratilli, 1975, pp. 23-27). Di lui il cardinale Ghislieri si lamentava col duca perché, pur sapendo che «vi erano persone di qualità che pubblicamente erano heretici», continuava a non «metterci mano» (cit. in Marchetti, 1975, pp. 204 s.).

La sua ferma tutela della prerogative del potere ducale contro le pressioni di Roma gli valse la gratitudine di Cosimo I che in più occasioni cercò un riconoscimento ecclesiastico dei meriti del suo protetto. Dal 1550 Niccolini era, infatti, rimasto vedovo della moglie Alessandra Ugolini, sposata a Firenze nel 1531 (Firenze, Arch. Niccolini, Fondo antico, 3, 14; 220, 8). Da questo matrimonio erano nati 5 figli: Matteo, designato, ancora minorenne, priore dell’abbazia di S. Paolo Ripa d’Arno a Pisa e morto pochi mesi più tardi, nel 1551 (ibid. 16, 13); Vincenzo e Lorenzo, morti prematuramente; Giovanni, ambasciatore a Roma dal 1587; e Maria (ibid. 3, 24).

L’occasione si presentò nel 1562, alla morte del figlio di Cosimo, il cardinale e arcivescovo di Pisa Giovanni de’ Medici. A proporre Niccolini come suo successore in concistoro fu Carlo Borromeo (ibid. 16, 27), dopo che, con velocità sorprendente, soprattutto se paragonata alla lenta gestazione della nomina, ebbe preso tutti gli ordini, tra il 13 febbraio e il 7 maggio 1564 (a tal fine aveva ottenuto una licenza per abbreviare i sei mesi di tempo che, secondo il diritto canonico, devono intercorrere tra diaconato e presbiterato, ibid. 24, 7).

Entrato in possesso della diocesi l’8 settembre 1564 (la nomina era del 14 luglio, Firenze, Arch. Niccolini, Cartapecore 535; Eubel, 1923, p. 274; Pisa, Arch. diocesano, Bolle, decreti 2), il 30 ottobre promulgò il concilio di Trento e il 20 gennaio 1565 indisse il Sinodo (ibid., Edictorum, n. 8 e cc. 28-29; 50-51; Extraordinaria, 14, cc. 81r-83r e 114r-117r; Città del Vaticano, Bibl. apost. Vat., Vat. Lat. 10426, 77r-80r). Ma la cura della diocesi fu sempre subordinata ai servizi di chi gliela aveva procurata. Incurante del parere contrario di molti, incluso il sopracitato Borromeo, continuò a occuparsi del governo di Siena (Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del Principato 1871, c. 35), mentre per le visite pastorali si avvalse dell’opera di un vicario, Antonio de Pretis, già attivo sotto l’altrettanto assente suo predecessore (Pisa, Arch. diocesano, Visite pastorali 5, cc. 864r-880v).

In quest’ottica, il cardinalato, ottenuto da Niccolini il 12 marzo 1565 per mano di papa Pio IV, costituì l’ambita corona del suo cursus honorum di uomo di Stato (Pastor, 1950, VII, pp. 541 s.).

Non è, forse, un caso che proprio a questa data risalga uno dei due oroscopi da lui commissionati. L’altro risaliva alla vigilia del suo compleanno di otto anni prima, quando era in procinto di diventare governatore di Siena, i due momenti che evidentemente egli stesso giudicava cruciali per la propria vita, degni di essere indagati prima, ricordati poi (Firenze, Arch. Niccolini, Fondo antico, 16, 51).

Lasciò Pisa per Roma solo dopo pochi mesi di governo, nell’aprile 1565, per ricevere il cappello cardinalizio (Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del Principato 515/A, c. 834; Eubel, 1923, p. 40). Alla fine dello stesso anno, mentre si trovava a Firenze per i festeggiamenti del matrimonio tra Giovanna d’Austria – sorella dell’imperatore – e Francesco de’ Medici, fu raggiunto dalla notizia della morte del papa e fece immediato rientro a Roma per partecipare al conclave, in cui, stando alle lettere del suo segretario Francesco Gerini, fu tra i possibili candidati al soglio pontificio (Firenze, Arch. Niccolini, Fondo antico, 213, 13).

Avvertì allora i primi sintomi di un’idropisia che in poco più di un anno lo condusse alla morte (Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del Principato 1871, c. 331; Anghiari, Arch. Barbolani 28, 6). A dispetto dei mesi trascorsi bevendo acque termali di Montecatini, come prescrittogli dai medici (Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del Principato 1871, c. 386), la sera del 12 agosto 1567, nella sua casa di Siena, un ictus gli paralizzò il lato destro del corpo e il 15 agosto morì (Firenze, Arch. Niccolini, Fondo antico, 16, 42).

Il suo corpo fu trasportato a Firenze e qui sepolto nella cappella dei Novizi della basilica di S. Croce, dove rimase fino al completamento della cappella di famiglia, commissionata dal figlio a Giovanni Antonio Dosio. Il suo sepolcro, realizzato nel 1585 da Pietro Francavilla, compendia la visione che della sua vita ebbero i suoi cari, quella di novello Mosè, guida temporale e spirituale di un popolo, garante della legge e fedele servitore dell’autorità.

Opere: Dei tanti pareri legali che scrisse, soltanto uno fu edito, probabilmente a Firenze nel 1565, Angeli cardinalis de Niccolinis iuriscons. Florentini in causae praecedentiae, opera commissionatagli da Cosimo I già nel 1547 su una questione che suscitò notevole eco tra i contemporanei e vide tenacemente opporsi il duca di Firenze e quello di Ferrara in merito ai diritti di precedenza (Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del Principato 1173, ins. 8, c. 367 e Firenze, Bibl. naz., Palat. C. 2. 7. 10/17).

Fonti e Bibl.: G. Negri, Istoria degli scrittori fiorentini, Ferrara 1722, p. 45; Elogi degli uomini illustri toscani, IV, Lucca 1771, n. 778; D.M. Manni, ll Senato fiorentino, Firenze 1771, p. XXI; A.F. Mattei, Ecclesiae Pisanae historia, II, Lucca 1772, p. 185; Serie di ritratti d’uomini illustri toscani, IV, Firenze 1773, pp. 78-84; B. Segni, Istorie fiorentine, II, Milano 1805, p. 337; L. Passerini, Genealogia e storia della famiglia N., Firenze 1870, pp. 53-58; L. Grottanelli, Gli ultimi anni della Repubblica senese, in Rassegna nazionale, 1886, pp. 1-103; C. Eubel_, Hierarchia catholica_, III, Münster 1923, pp. 40, 274; L. von Pastor, Storia dei papi, Roma 1950-51, VII, p. 541 s.; VIII, p. 51; R. Cantagalli, La guerra di Siena, Siena 1962, pp. 428-432; D. Marrara, Studi giuridici, Milano 1965, pp. 68 s., 178-181, 187 s., 257; G. Cascio Pratilli, L’università e il principe, Firenze 1975, pp. 23-27; V. Marchetti, Gruppi ereticali senesi, Firenze 1975, pp. 153-164, 204 s.; R. Del Gratta, I docenti e le cattedre, in Storia dell’Università di Pisa, I, 2, Pisa 1993, p. 489; M. Ascheri, Siena nella storia, Milano 2000, p. 14; D. Marrara - C. Rossi, Lo Stato di Siena, in Toscana e Spagna nell’età moderna, Pisa 1998, pp. 16 s.; A. Moroni, L’archivio privato della famiglia N. di Camugliano, in Archivio storico italiano, CLVIII (2000), 2, pp. 307-348; F. Sottili, Gli stemmi Medicei e N., in Accademia dei Rozzi, XVII (2010), 33, pp. 27-36; R. Spinelli, Documenti artistici dall’archivio N., in Paragone, 61, maggio 2005, p. 86; M. Rossi, A. N. primo governatore di Siena (1557-1567): il carteggio con Cosimo I, in Ricerche storiche, XXXVII (2007), 1, pp. 69-99; A. Grassi_, Cappella N._, Firenze 2010.

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