SFORZA, Alessandro - Enciclopedia - Treccani (original) (raw)
SFORZA, Alessandro
Giampiero Brunelli
– Nacque a Roma nella prima metà del 1534 (tra gennaio e maggio). Suo padre era Bosio II, conte di Santa Fiora; sua madre Costanza Farnese, figlia del cardinale Alessandro, il futuro Paolo III.
Giovanissimo, Alessandro fu avviato alla carriera ecclesiastica. Già il 1° giugno 1542 fu nominato scriptor litterarum apostolicarum, incarico della Curia romana solitamente ricoperto da umanisti abili nella redazione dei documenti pontifici. Completò la sua formazione presso il Gymnasium di Perugia, studiando lettere e probabilmente anche diritto civile e canonico, fino a conseguire il titolo di magister. Ricevuta la prima tonsura e il suddiaconato, fu creato canonico di S. Pietro. Nel 1554, grazie alle disponibilità e alla posizione di potere del fratello maggiore, il cardinale camerlengo Guido Ascanio, acquistò per 20.000 scudi un posto di chierico della Camera apostolica: gli fu subito affidata la trattazione di cause di materia amministrativa-finanziaria. Sembravano le premesse per una rapida carriera. Invece, l’anno successivo, Sforza la pose a rischio a causa di un avventato colpo di mano.
Nel 1555 l’Italia era scossa dalle ultime fasi del decennale scontro tra Francia e Spagna. A Roma, con l’elezione di Paolo IV Carafa, il 23 maggio, era asceso al soglio pontificio un cardinale di sentimenti dichiaratamente antiasburgici. Tra i sei figli di Bosio II Sforza, almeno tre (Guido Ascanio, Sforza e lo stesso Alessandro) appartenevano decisamente alla fazione imperiale; Mario e Carlo, invece, avevano servito i francesi fino alla metà del 1554, risolvendosi poi di cambiare schieramento. La posizione di Carlo era particolarmente difficile, poiché aveva messo a disposizione dei francesi due galere nel porto di Marsiglia. Per rientrarne in possesso, dopo un periodo di prigionia, d’accordo con il cardinale Guido Ascanio finse di volersi di nuovo imbarcare, fece mandare le due galere a Civitavecchia e qui – all’inizio di agosto del 1555 – inviò i fratelli Mario e Alessandro, con un consistente gruppo di armati, fedeli al suo casato.
Il giovane Alessandro Sforza si mostrò estremamente risoluto nell’affrontare il comandante Niccolò Alamanni, cui i francesi avevano ordinato di condurre le galere nel porto laziale: gli mostrò una carta firmata dal fratello Carlo che, protestandosi malato, dava a lui i poteri di comando, e – di fronte alle resistenze del fiorentino – non esitò a mettere mano al pugnale che portava con sé. Fatto prigioniero Alamanni, obbligatolo poi a sbarcare, Alessandro fronteggiò con decisione anche l’ostacolo frapposto dal castellano di Civitavecchia, Pietro Capuano, che non voleva lasciar partire le due galere: inviando a Roma una veloce fregata, riuscì ad avvisare per primo il fratello Guido Ascanio dell’accaduto e ottenne per suo tramite un ordine firmato dal nipote del papa, il generale di S. Chiesa Giovanni Carafa, indirizzato al castellano, con piena libertà di partire. Sforza levò le ancore. Passò ancora la prima notte lontano soltanto due miglia dal porto. Quando ebbe però ordine da Capuano di rientrare, verificata la fedeltà degli equipaggi, disobbedì e condusse le galere a Napoli, dove fu ricevuto dal viceré Bernardino de Mendoza e dall’ammiraglio Andrea Doria.
La vicenda ebbe grande clamore internazionale. Il papa lo considerò un vero oltraggio e alla fine del mese fece mettere agli arresti in Castel Sant’Angelo il cardinale Guido Ascanio Sforza. Alessandro fu destituito dai suoi incarichi e perse i benefici ecclesiastici di cui disponeva. La diplomazia imperiale subito si attivò, facilitando il raggiungimento di un accordo: il ritorno a Civitavecchia di Alessandro, con le galere, in cambio della liberazione del porporato suo fratello. La soluzione fu accolta, tuttavia Sforza toccò terra prima di arrivare a destinazione e si rifugiò nel feudo di Santa Fiora. Soltanto due anni dopo, nel 1557, ovvero dopo la sconfitta di Paolo IV nella guerra contro gli spagnoli, riuscì a essere reintegrato. Nel 1559, insieme ad Antonio Altoviti, fu nominato deputato per l’Annona della città di Roma, forma embrionale della carica di prefetto dell’Annona (generalis praefectus rerum annonae frumentariae eiusdem Urbis et reliqui Status ecclesiastici), che fu chiamato a esercitare alla fine di giugno del 1560, con poteri molto estesi, compresi quelli di autorizzare le esportazioni di grano e di promuovere rilevazioni statistiche delle riserve di cereali o legumi all’interno di tutto lo Stato della Chiesa.
Dal 26 aprile 1560 fu vescovo eletto di Parma, diocesi alla quale aveva rinunciato il cardinale Guido Ascanio, con riserva però di frutti, diritti di collazione dei benefici e regresso. Partecipò ai lavori del Concilio di Trento, sui quali informava per lettera il granduca Cosimo I de’ Medici. Si distinse, in particolare, nel settembre del 1562, in occasione dei lavori sul sacrificio della messa, e nell’estate del 1563, quando, al pari dell’arcivescovo di Taranto Marcantonio Colonna e del cardinale Carlo di Lorena, ospitò in casa sua i membri di una delle commissioni che dovevano discutere preliminarmente i decreti sulla riforma della Chiesa, per poi presentarli all’assemblea generale. Direttamente dal papa gli giunse infine, nell’ottobre del 1563, l’invito a spendere la sua autorevolezza per facilitare la conclusione dei lavori.
Terminata la stagione di partecipazione all’elaborazione dottrinale, Sforza passò alla concreta applicazione di quanto deciso a Trento. Nel settembre del 1564 promosse e presiedette a Parma il sinodo diocesano, i cui atti vennero prontamente pubblicati. Si deve vedere la sua mano anche dietro la contemporanea pubblicazione della Tavola della dottrina christiana (in Parma, per Seth Viotti, 1564), prontuario che costituisce uno fra i primi esempi di riduzione catechistica postridentina.
Il 12 marzo 1565 Sforza fu nominato cardinale. Era stata la morte di Guido Ascanio, il 6 ottobre 1564, a spianare definitivamente la strada alla sua promozione, ma pressioni in tal senso datavano addirittura al febbraio del 1561. Nuove voci, sempre a questo riguardo, si erano diffuse anche durante le sessioni tridentine. Sforza prese il titolo di S. Maria in Via.
Conclusa la parentesi di impegno più genuinamente ecclesiastico, tornò sul terreno che gli era più congeniale, quello dei compiti di governo. Tra il 1566 e il 1567 – la data dell’atto non è certa – fu nominato, insieme al cardinale Giovanni Ricci da Montepulciano, soprintendente ai mastri delle strade, funzionari del Campidoglio che si occupavano di gestione del tessuto viario. Sforza e Ricci sorvegliavano la nettezza urbana, il decoro, la viabilità e avevano accentrato persino la concessione di licenze per l’edilizia privata. ll motuproprio del 1568 ampliò a quattro il numero dei cardinali coinvolti (oltre a Sforza e a Ricci, anche Giovanni Francesco Commendone e Marcantonio Bobba) e incluse anche la viabilità extraurbana fra i compiti di quella che ormai era una vera e propria congregazione. Sforza prese parte regolarmente ai lavori di quest’organismo almeno fino al marzo del 1580: non di rado ospitò i lavori nel proprio palazzo, quello detto della Cancelleria Vecchia.
Nel gennaio del 1570 fu nominato cardinale legato di Bologna e della Romagna. Oltre ai normali compiti di governo, ricevette nell’occasione da papa Pio V l’incarico di studiare la difesa del confine settentrionale dello Stato della Chiesa, anche mediante l’edificazione di una fortezza ai confini con il Modenese. A questo scopo avrebbe dovuto consultarsi con il granduca Francesco I de’ Medici, che lo avrebbe consigliato sui migliori architetti a disposizione. Nel giugno del 1572, quindi, gli fu affidata tutta la materia della regolamentazione dei confini fra il ducato estense e il Bolognese. Come legato, Sforza si fece conoscere per il carattere deciso della propria azione di governo. Volle decidere sui nuovi ufficiali di governo a Bologna e in tutta la Romagna; scoraggiò sempre il ricorso a Roma; mirò alla compressione delle autonomie delle amministrazioni locali. Condusse altresì due ispezioni generali del territorio sottoposto alla sua autorità. Riscontrò segnali di un contesto ancora accidentato, caratterizzato – in generale – da scarsa obbedienza dei sudditi, penuria di entrate fiscali e una presenza feudale ancora forte. Nella lotta al banditismo fu attivo e preferì appoggiarsi al granduca di Toscana, piuttosto che sui vicini Este, da cui si sentiva politicamente molto distante.
Alla fine del 1572 rientrò a Roma. Fu sostituito, però, nel suo incarico di legato, soltanto nel gennaio del 1573. Ebbe la carica di prefetto, ovvero di presidente, della Segnatura di giustizia, il più importante tribunale dello Stato della Chiesa. Non rifuggiva, comunque, le occasioni mondane, frequenti nella Roma di papa Boncompagni.
Il 5 luglio 1580, allo scopo di coordinare la repressione del banditismo, fu nominato legato per tutto lo Stato ecclesiastico, tranne Bologna, che rispondeva a un altro cardinal legato (Pier Donato Cesi). L’obiettivo precipuo della sua azione consisteva nella repressione del banditismo, particolarmente violento durante il pontificato di Gregorio XIII. Sforza mosse da Roma con cinquecento soldati. Procedette con decisione a condanne a morte e confische, prima in Umbria, poi nelle Marche, infine in Romagna.
Morì a Macerata il 15 maggio 1581, quando ancora era nell’esercizio dei suoi compiti di legato. Aveva avuto un figlio, Ascanio, nato dalla relazione con una vedova romana, Paolina Muti.
Fra il 1564 e il 1576 aveva edificato una villa – chiamata Sforzesca – nel feudo di Santa Fiora, precisamente nel toponimo noto con il nome di Valle Calda (oggi nel comune di Castell’Azzara, Grosseto). I contemporanei la ricordano per gli affreschi raffiguranti le principali azioni della sua vita e per i ritratti di tutti i principali membri della famiglia, inclusi Francesco Sforza e i duchi di Milano. Il pittore Matteo Godi fu certamente attivo in quel cantiere, intorno al 1576. Gregorio XIII vi soggiornò nel settembre 1578.
Opere. Constitutiones a synodo dioecesana Parm. ad convocationem et indictionem illustriss. et reverendiss. d.d. Alexandri Sfortiae Dei, et apost. Sedis gratia episcopi Parmen. et comitis, ac Camerae apost. clerici in ecclesia sua Parm. residentis et in eadem synodo praesidentis congregata et omnium consilio et assensu editae et stabilitae, Parmae, apud Seth Viottum, 1564; Bando generale dell’illustrissimo et reverendissimo signor Alessandro Sforza..., in Bologna per Alessandro Benacci, 1570 (un esemplare in Archivio segreto Vaticano, Miscellanea, Arm. IV-V, t. 47, cc. 303r-310v).
Fonti e Bibl.: G.M. Allodi, Serie cronologica de’ vescovi di Parma..., Parma 1833, pp. 122 s.; L. von Pastor, Storia dei papi dalla fine del Medioevo, IX, Roma 1929, ad ind.; I. Polverini Fosi, La società violenta. Il banditismo nello Stato pontificio nella seconda metà del Seicento, Roma 1985, p. 84; M.G. Pastura Ruggiero, Lo stato e la “res frumentaria” a Roma nella prima metà del Cinquecento, in Dimensioni e problemi della ricerca storica, III (1990), 2, pp. 17-70; A. Gardi, Cardinale e gentiluomo. Le due logiche del legato di Bologna A. S. (1571-1573), in Società e storia, XX (1997), pp. 285-311; G. Brunelli, Soldati del papa. Politica militare e nobiltà nello Stato della Chiesa. 1559-1644, Roma 2003, ad ind.; Pro Ornatu et Publica Utilitate. L’attività della Congregazione cardinalizia super viis, pontibus et fontibus nella Roma di fine ’500, a cura di C. Genovese - D. Sinisi, Roma 2010, ad ind.; G. Fragnito, Storia di Clelia Farnese. Amori, potere, violenza nella Roma della Controriforma, Bologna 2013, ad ind.; M. Mambrini, Il cardinale A. S., Villa Sforzesca e la visita di Gregorio XIII, in Gli Sforza di Santa Fiora e Villa Sforzesca: feudalità e brigantaggio. Atti del Convegno, Castell’Azzara... 2014, a cura di M. Mambrini, Arcidosso 2015, pp. 79-102.
© Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani - Riproduzione riservata