III Settimana della Fede (original) (raw)

INTERVENTO DELL'ARCIVESCOVO JOSÉ SARAIVA MARTINS, PREFETTO DELLA CONGREGAZIONE DELLE CAUSE DEI SANTI, NELLA CATTEDRALE DI PALERMO, IN OCCASIONE DELLA III SETTIMANA DELLA FEDE PROMOSSA DALL'ARCIDIOCESI PALERMITANA

Martedì, 14 Marzo 2000

Si tratta di un argomento di estrema importanza ed attualità ecclesiale nel contesto del Grande Giubileo dell'Anno 2000, che stiamo gioiosamente celebrando, il quale ha come scopo proprio la glorificazione della Trinità. Lo ha detto espressamente il Papa. Presentando l'Anno Santo al popolo cristiano, nel documento Tertio Millennio adveniente, egli ha chiaramente indicato che "l'obiettivo sarà la glorificazione della Trinità, dalla quale tutto viene e alla quale tutto si dirige, nel mondo e nella storia. A questo mistero guardano i tre anni di preparazione immediata: da Cristo e per Cristo, nello Spirito Santo, al Padre. In questo senso, la celebrazione giubilare attualizza, ed insieme anticipa, la meta e il compimento della vita del cristiano e della Chiesa in Dio uno e trino" (TMA, 55).

E paragonando il Giubileo ad un grande pellegrinaggio verso la casa del Padre, di cui si scopre ogni giorno l'amore per ogni uomo, ed in particolare per il "figlio prodigo" (cfr Lc 15, 11-32), il Pontefice rileva che "il Giubileo, centrato sulla figura di Cristo, diventa così un grande atto di lode al Padre" (TMA, 49).

Sulla dimensione trinitaria dell'Anno Giubilare il Papa è ritornato alla vigilia dell'inizio del Giubileo, il 21 dicembre scorso. Ricevendo i Membri della Curia Romana per gli auguri natalizi, egli dice con soddisfazione in proposito: "Facendo ora quasi un bilancio dell'itinerario fin qui compiuto, sento di dovere ringraziare il Signore innanzitutto per l'ispirazione Trinitaria che lo ha segnato. Di anno in anno abbiamo sostato in contemplazione davanti alla persona del Figlio, dello Spirito, del Padre. Nel corso dell'Anno Santo canteremo la gloria comune delle tre divine Persone. Ci sentiamo così più che mai popolo adunato nella Trinità, "de unitate Patris et Filii et Spiritus Sancti plebs adunata" (S. Cipriano, De orat. Dom., 23)" (LG, 4).

Ora la somma glorificazione della Santissima Trinità sono proprio i santi. Cercheremo di approfondire, nelle seguenti riflessioni, le motivazioni teologiche di questa grande e consolante verità, che diventa appello per ciascuno di noi a rendere culto a Dio con la nostra vita santa.

1. La santità di Dio, santità trinitaria

La santità è una realtà divina. Essa risiede, innanzitutto, in Dio stesso Uno e Trino. Dio non è solo Santo, ma la santità stessa. È il "Tre volte santo" il "Santo dei Santi". Espressioni, queste, che parlano chiaramente di una santità infinita, sublime, eccelsa; ma che sottolineano anche la sua natura trinitaria. La santità divina, infatti, è qualcosa di essenziale alla divinità, e, perciò, nell'inscindibilità del mistero di Dio Uno e Trino, essa è necessariamente comunione di Amore, è vita di intima relazione tra le tre Persone Divine, è scambio e dono.

Dio Padre, generando suo Figlio Unigenito, gli dà la sua Santità. Il Verbo è "Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero" e, pertanto - potremmo permetterci di aggiungere alle parole del Simbolo, sviluppandole -, è anche Santità da Santità, Santo generato dal Santo, Santità in pienezza, ma ricevuta dal Padre, l'unico che è "principio senza principio" nella Trinità.

Questa Santità comune al Padre ed al Figlio, pienezza di mutuo Amore, è ispirata nel suo stesso seno come suo Spirito comune, che propriamente chiamiamo Santo, Dono e Amore. Il Paraclito possiede, così, la stessa pienezza di Santità del Padre e del Verbo, ma ricevuta da loro e manifestata, per così dire, nella sua stessa Persona, poiché questa Santità è Amore, Energia, Dinamismo, Comunione...
Parlare di santità è perciò parlare di Dio, e di un Dio Uno e Trino. Anche se non disponiamo di tempo per sviluppare ulteriormente il concetto, ciò che è stato accennato è sufficiente a dimostrarci l'arricchimento del concetto di santità che comporta un opportuna messa a fuoco trinitaria di questa realtà divina.

2. La santificazione è opera della Trinità

1. La santità opera di tutta la Trinità

La santità è una realtà soprannaturale che, pertanto, non si risolve nello sforzo meramente umano, né in una perfezione di tipo puramente naturalistico. Essa è raggiungibile solo con l'intervento di Dio. Lo diceva Pascal: "Per fare di un uomo un santo, bisogna assolutamente che agisca la grazia di Dio; chi ne dubita non sa né cosa sia un santo, né cosa sia un uomo". La santità è, insomma, opera del "Santo dei santi", di Dio Uno e Trino.

Dio, infatti, non ha nascosto le meraviglie della sua Santità, di questo scambio di Amore, riservandolo per sé, ma lo ha manifestato "ad extra" per pura generosità di se stesso. E lo ha fatto trinitariamente, così come Lui è: nella comunione delle Tre Persone Divine. Ricordiamo in proposito alcuni testi conciliari e del Catechismo della Chiesa Cattolica.

Il Concilio Vaticano II è estremamente chiaro al riguardo. Nella LG leggiamo: "L'eterno Padre, con liberissimo e arcano disegno di sapienza e di bontà, creò l'universo, decise di elevare gli uomini alla partecipazione della sua vita divina, e caduti in Adamo non li abbandonò, ma sempre prestò loro gli aiuti per salvarsi in considerazione di Cristo..." (LG, 2).

"È venuto il Figlio mandato dal Padre, il quale in Lui prima della fondazione del mondo ci ha eletti e ci ha predestinati all'adozione di figli perché in Lui volle costituire (instaurare) tutte le cose (cfr Ef 1, 4-5 e 10). (...) Tutti gli uomini sono chiamati a questa unione con Cristo che è la luce del mondo, da lui veniamo, per lui viviamo, a lui siamo diretti" (LG, 3).

"Compiuta l'opera che il Padre aveva affidato al Figlio sulla terra (Gv 17, 4), il giorno di Pentecoste fu inviato lo Spirito Santo per santificare continuamente la Chiesa, e i credenti avessero così, attraverso Cristo, accesso al Padre in un solo Spirito (Ef 2, 18) (...). Lo Spirito dimora nella Chiesa e nei cuori dei fedeli come in un tempio (1 Cor 3, 16; 6, 19), e in essi prega e rende testimonianza della loro adozione filiale (Gal 4, 6; Rom 8, 15. 26)" (LG, 4).

Non meno esplicito è il CCC quando, parlando delle operazioni divine e delle missioni trinitarie, dice che tutta l'economia divina, opera comune e insieme personale, fa conoscere tanto le proprietà delle Persone Divine, quanto la loro unica natura. Parimenti, tutta la vita cristiana è comunione con ognuna delle Persone Divine, senza in alcun modo separarle. "Chi rende gloria al Padre lo fa per mezzo del Figlio, nello Spirito Santo; chi segue Cristo, lo fa perché il Padre lo attira e perché lo Spirito lo guida (cfr Rom 8, 14)" (CCC, 259).

Contempliamo questa economia divina dal punto di vista della santità che, essendo attributo di Dio Uno e Trino, ci si presenta anche come opera di santificazione comune alle Tre Persone e, allo stesso tempo, propria di ciascuna.

Dio Padre ama gli uomini, che ha creato a sua immagine e somiglianza, e vuole renderli partecipi della sua felicità, vuole renderli santi come è Santo Lui; per la qual cosa ha inviato sulla terra il suo amato Figlio, sua immagine perfetta, il Santo di Dio; e anche il suo Spirito di Santità.

Al momento dell'incarnazione del Figlio di Dio, la sua Umanità, in cui risiede ancora più la pienezza dello Spirito, prende parte di questa stessa santità divina, nell'unità della sua Persona: è una "Umanità Santissima". L'incarnazione del Verbo sana così la frattura aperta dal peccato fra il Santo dei Santi e l'impurità della creatura peccatrice.

La morte e la resurrezione di Gesù Cristo per noi, offerta al Padre che la vuole, la riceve e l'accetta, ci apre le porte della santità, vale a dire della perfezione divina e della sua stessa intimità trinitaria.

L'invio dello Spirito Santo alla Chiesa ed alle anime, come frutto del mistero pasquale, ci introduce in questa intimità divina, comunicando a noi la stessa santità che proviene dal Padre e che Gesù Cristo ci ha guadagnato.

In questo modo noi, in quanto membri del Corpo Mistico di Cristo, partecipiamo della stessa Santità divina, e lo facciamo trinitariamente, poiché così è questa Santità e così si realizza l'opera della redenzione, per volontà di Dio stesso.

Tutto ciò, pur rimanendo nell'oscurità della fede, ci illumina sulla ricchezza del concetto di santità cristiana, in quanto partecipazione alla stessa perfezione divina: ci parla del suo carattere dinamico, della sua stretta relazione con l'amore, della ricchezza della grazia, dei doni e delle virtù che contiene, di come ci introduce nella stessa intimità della vita trinitaria in un mistero di comunione con ognuna delle Persone divine.

Da quanto testé detto, a riguardo della storia della salvezza, risulta chiaro che la Trinità - Dio nelle Persone del Padre, del Figlio e dello Spirito - non è solo il termine "ad quem" cioè la meta della santità: giungere alla partecipazione della loro vita; ma è anche termine "a quo" e "per quem", cioè la fonte e l'artefice della santificazione.

2. Lo Spirito Santo autore immediato della santità

Anche se la santità è opera di tutta la Trinità, l'autore immediato della medesima è lo Spirito Santo.

  1. Che lo Spirito Santo sia l'autore immediato della santità, è fuori dubbio: "abbiamo come frutti dello Spirito la santificazione" (Gal 5, 22; Rom 6, 2; cfr LG, 40). Perciò Cristo lo ha mandato, come aveva promesso prima di salire al Padre. Egli è lo Spirito Santo e Santificatore, l'artefice forte, preciso, sicuro della santificazione dei fedeli. Questo è il suo compito proprio, caratteristico. Compito che la liturgia mette chiaramente in luce. Nella IV preghiera Eucaristica ci rivolgiamo infatti a Cristo che "ha mandato... lo Spirito Santo, come primo dono ai credenti, a perfezionare la sua opera nel mondo e a compiere ogni santificazione" (Messale Romano). È vero che nel linguaggio comune si dice che la santificazione delle anime è opera della grazia, di quella grazia, la cui azione nelle profondità abissali dell'anima è praticamente inesprimibile quando si tratta di un contatto privilegiato con Dio.

Ma cos'è in realtà la grazia, dal punto di vista teologico? Un insigne autore afferma che essa è essenzialmente "un traboccare ed un irrompere dell'amore di Dio nell'uomo, il respiro dello Spirito Santo nella sua anima. (La grazia) è soffio di amore dello Spirito che penetra nella vita spirituale dell'uomo, non semplicemente nel sistema dei suoi atti di pensiero e di volere, bensì più profondamente ancora... nel nucleo della sua anima, nel cuore della sua esistenza, come dicono i mistici" (Ancilli, a.c., 1c. p. 256). Lo Spirito che agisce nelle profondità dell'essere dei fedeli è quello stesso che essi hanno ricevuto nel battesimo, che abita nel più intimo dei loro cuori: "Non sapete che siete tempio di Dio, e lo Spirito Santo abita in voi?" (1 Cor 3, 16).

Lo Spirito ricevuto nel Battesimo non va, quindi, concepito come qualcosa di statico, depositato in fondo "ai nostri cuori", destinato a rimanervi inoperante. Al contrario Egli è, per sua stessa natura, dinamico, e la sua presenza è sempre stimolante, di spinta. Lo stesso linguaggio paolino, come "camminare", "lasciarsi guidare" ecc., esprime in maniera quanto mai efficace, "l'aspetto attivo dell'impatto antropologico dello Spirito, che informa di sé tutta la quotidianità del cristiano nei molteplici risvolti del vissuto" (Penna R., Spirito, in Diz. Teol. Bibl., pag. 1514).

  1. Lo Spirito adempie il suo compito di santificare i fedeli, innanzitutto attuando il loro orientamento alla santità. Nell'uomo creato per amore e dall'Amore, dotato di un connaturale desiderio di Dio, in cui solo può trovare la sua piena realizzazione, invitato da Cristo ad essere perfetto come il Padre celeste, è presente infatti un orientamento ontologico, radicale alla santità. Orbene, l'azione dello Spirito è ordinata, in primo luogo, a portare tale orientamento alla sua piena attuazione, a fare sì che esso si traduca in vere opere di perfezione e di santità.

In secondo luogo, lo Spirito Santo è l'artefice della santità, in quanto è Lui che spingendo ad amare Dio con tutto il cuore e con tutta l'anima (LG, 40), riversa nel cuore dei credenti l'amore di Dio: "l'amore di Dio è stato riversato nei vostri cuori per mezzo dello Spirito Santo datoci in dono" (Rom 5, 5; 1 Cor 6, 11), e ci porta ad amare Cristo trasformandoci, sempre più perfettamente, in Lui.
In terzo luogo, lo Spirito è l'autore della santificazione, in quanto guida i fedeli ad essere santi, sulla scia di Cristo, la Santità incarnata del Padre, e di tanti fratelli nella fede che hanno raggiunto le vette più alte della santità cristiana. San Tommaso d'Aquino nota al riguardo che, nel cammino della perfezione, l'uomo è diretto dallo Spirito, perché la legge del cristiano è lo Spirito Santo (II-II, q. 106, a1).

È questa azione dello Spirito Santo che occorre tenere in conto per capire, in profondità, la santità dei Servi di Dio, il loro itinerario spirituale, nonché le sfumature proprie della santità di ognuno di essi.
3. I santi sono un "canto di gloria a Dio" Uno e Trino (LG, 49)

Il culto dei santi nella teologia e nella pastorale della Chiesa cattolica è presentato come parte integrante della fede e del culto della Chiesa, che è un altissimo "canto di gloria a Dio" (LG, 49).

Se, come abbiamo concluso nella precedente riflessione teologica, la santità è essenzialmente "unione con Cristo, per opera dello Spirito Santo, a gloria di Dio Padre", venerare i santi significa celebrare il mistero di Cristo realizzato nella loro vita in forma particolarmente perfetta ed esemplare. Veneriamo e imitiamo i santi "tamquam discipulos et imitatores Domini" (Sant'Eusebio, Historia Ecclesiastica, PL 20, 260-262).

Celebrando i santi "proclamiamo infatti le meraviglie di Cristo nei suoi servi" (Sacrosantum Concilium, 111) e, in un certo senso, verifichiamo la concretezza ed efficacia storica del suo mistero di salvezza. In essi, "santi in Cristo" (1 Cor 1, 2; Fil 1, 1), per l'azione dello Spirito (1 Cor 3, 16; Ef 2, 22) vediamo realizzate e, dunque, accessibili, le beatitudini evangeliche ed i "frutti dello Spirito" che caratterizzano la vita nuova redenta. Quanto abbiamo bisogno, oggi, di questa fiducia nella vita nuova per resistere alle seduzioni e alle desolazioni del secolarismo!

Ancora la costituzione conciliare Lumen Gentium ci istruisce argomentando: "Mentre, infatti, consideriamo la vita di coloro che hanno seguito fedelmente Cristo, per un motivo in più ci sentiamo spinti a cercare la città futura (cfr Ebr 13, 14 e 11, 10)... Nella vita di quelli che, sebbene partecipi della nostra natura umana, sono tuttavia trasformati nell'immagine di Cristo (cfr 2 Cor 3, 18), Dio manifesta, vividamente, agli uomini la sua presenza e il suo volto. In loro è egli stesso che ci parla e ci mostra il segno del suo regno, verso il quale, avendo davanti a noi un tal nugolo di testimoni (cfr Ebr 12, 1) e una tale affermazione della verità del Vangelo, siamo potentemente attirati" (LG, 50).

Il culto dei santi, "amici e coeredi di Gesù Cristo" (LG, 50) è, dunque essenzialmente, ordinato alla glorificazione del Padre, in Cristo: "non veneriamo la memoria dei santi solo a titolo di esempio... poiché come la cristiana comunione tra coloro che sono in cammino ci porta più vicino a Cristo, così la comunione con i santi ci unisce a Cristo" (LG, 50).

Doveva essere ben presente al pensiero dei Padri del Concilio, lo sfondo di critiche e di problemi pastorali legati a una pratica del culto dei santi non sempre e non sufficientemente concepita e attuata con questo pur ovvio riferimento cristocentrico e trinitario. Così, dopo aver fatto menzione della continuità della tradizione, segnata dai Concili Niceno II, Fiorentino e Tridentino, i Padri conciliari affermano esplicitamente che "la nostra relazione con i beati, se la si comprende nella più piena luce della fede, non avviene a danno del culto latreutico, reso a Dio Padre mediante Cristo nello Spirito, ma, anzi lo rende ancor più ricco" (LG, 50). "Infatti, ogni nostra attestazione autentica di amore fatta ai santi, per sua natura tende e termina a Cristo che è la "corona di tutti i santi", e per lui a Dio che è mirabile nei suoi santi e in essi è glorificato" (LG, 50).

Questa finalità trinitaria del culto dei santi ci è ricordata anche dalle parole della solenne formula di canonizzazione che il Papa pronuncia ogniqualvolta propone un santo al culto dei fedeli. La formula inizia proprio così: "Ad onore della Santissima Trinità, per l'esaltazione della fede cattolica e l'incremento della vita cristiana..." e poi conclude: "dichiariamo e definiamo Santo - e dice il nome -; lo iscriviamo nell'Albo dei Santi e stabiliamo che in tutta la Chiesa egli sia devotamente onorato tra i Santi".

La Chiesa, canonizzando uno dei suoi figli, canta dunque innanzitutto la gloria di Dio Uno e Trino, "mirabile nei suoi santi". Nel santo, l'imago Dei impressa dallo Spirito Santo è in qualche modo più rassomigliante al volto del Padre come manifestato in Cristo Gesù. Dio è invisibile, ma qualcosa del suo essere, un raggio della sua Bellezza divina traspare attraverso il santo o la santa che si è offerto totalmente al suo amore.

Occorre, dunque, rivendicare al culto dei Santi la sua prima e originaria finalità, quella cioè di essere, appunto, "culto", di essere una "...più piena lode di Cristo e di Dio" (LG, 50), di essere "ad onore della santissima Trinità", "A causa, infatti, della loro più intima unione con Cristo, i Beati rinsaldano la Chiesa nella santità, nobilitano il culto che essa rende a Dio qui in terra" (LG, 49).

Altre finalità del culto dei Santi - etiche, pedagogiche, sociali ecc. - sono valide e legittime solo nella misura in cui sono ordinate alla suddetta finalità, che è essenziale di ogni vero culto, e, quindi, anche di quello riservato ai Santi dell'agiografia cristiana.

Da ciò deriva anche che le varie forme di culto e di devozione ai santi devono trovare nel culto liturgico la loro fondamentale espressione e il loro criterio di autenticità.

"La nostra unione con la Chiesa celeste si attua in maniera nobilissima, quando, specialmente nella sacra liturgia, nella quale la virtù dello Spirito Santo agisce su di noi mediante i segni sacramentali, in comune esultanza cantiamo le lodi della divina maestà, e tutti, (...), radunati in un'unica Chiesa, con un unico canto di lode glorifichiamo Dio uno e trino" (LG, 50).

È interessante sottolineare come il culto liturgico dei santi, soprattutto dopo la recente riforma liturgica, risulti tutto orientato alla glorificazione della Santissima Trinità. Inni, orazioni, prefazi intrecciano felicemente la gloria resa a Dio con il ricordo e le lodi rivolti ai suoi santi. (cfr F. Peloso, Santi e santità dopo il Concilio Vaticano II. Studio teologico-liturgico delle orazioni proprie dei nuovi beati e santi, Roma, 1991).

I testi liturgici traggono motivo dalla vita dei santi per celebrare le "mirabilia Dei", la vittoria di Cristo sul peccato, la presenza creatrice del suo Spirito operante nella Chiesa, la fecondità prodigiosa della Parola di Dio e la speranza beata di ciò che attende il popolo di Dio. Tutto ciò appartiene all'indole della teologia e della liturgia cattolica. Come viene proclamato nel Prefazio I del Comune dei santi - "Nella festosa assemblea dei santi risplende la tua gloria, e il loro trionfo celebra i doni della tua misericordia".

Riusciranno la teologia e la liturgia ad educare in senso sempre più trinitario anche la pietà personale e popolare? È un compito aperto, affidato alla pastorale.

Comprendiamo bene che solo un culto dei santi così inteso, non è diaframma, ma finestra sulla vita trinitaria; anziché distogliere o attenuare la tensione cristocentrica della vita cristiana, la arricchisce e da questa ne resta arricchito. Non deve essere persa, a livello pastorale e devozionale, l'unità e reciprocità esistenti tra "storia della salvezza" realizzata in Cristo e "storie di salvezza" attuate nei santi, tra "Vangelo, annuncio di Cristo" e "Vangelo vissuto", sempre scritto dallo Spirito, nella vita evangelica dei santi.

I santi, come anche tutti quelli che sono "morti e risorti con Cristo", appartengono a Lui, sono di "Cristo" (LG, 50), sono parte del suo amore. E come l'amore del prossimo è atto "religioso" di amore a Dio, così l'amore ai santi è, direttamente e immediatamente, amore e culto a Dio, a Dio Uno e Trino (cfr K. Rahner, Cristianesimo esemplare, Roma, 1968. p. 359-383). Veramente, i santi sono la somma glorificazione della Santissima Trinità.

Mi piace terminare con la stupenda preghiera del Santo Padre per la celebrazione del Grande Giubileo dell'Anno 2000: "A Te, o Padre Onnipotente, origine del cosmo e dell'uomo, per Cristo, il Vivente, Signore del tempo e della storia, nello Spirito che santifica l'universo, la lode, l'onore, la gloria oggi e nei secoli senza fine".