Auctores e auctoritas nel Didascalicon di Ugo di San Vittore, in Auctor et auctoritas in Latinis Medii Aevi litteris. Proceedings of the VIth Congress of the International Medieval Latin Committee (Benevento-Naples, November 9-13, 2010), ed. by E. D'Angelo and J. Ziolkowski, SISMEL, Firenze 2014 (original) (raw)
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Nell'autunno del 1363 il patriarca Ludovico della Torre (1359-1365) 1 si trovava a San Vito al Tagliamento, quando alle porte di quel castello si presentarono le truppe del duca Rodolfo IV d'Asburgo (1358-1365) con i loro alleati friulani, tra i quali primeggiavano i potenti e temuti Spilimbergo 2 . La tregua era nuovamente rotta. Il duca d'Austria, sceso in Italia in chiave anticarrarese, rischiava di impossessarsi in breve tempo dell'intero principato ecclesiastico aquileiese 3 .
Le auctoritates nei testi medici dell'antichità, in particolare in Celso
Tradiciòn e innovaciòn de la medicina latina de la antiguedad y de la alta edad media, par M.E.Vàzques Bujàn, 1994
Le but final de cette recherche est celui de mieux comprendre le rapport qui intervient entre l'auteur du traité de médecine ancienne et les auctoritares, que ce soi en général ou en particulier chez Celse.
Auctor e auctoritas negli Annali genovesi
"Maia". Rivista di letterature classiche, N. S. 65 , 2013
Gli Annali genovesi sono stati composti nel corso del XII e del XIII secolo da diversi autori. Essi - con la notevole eccezione del primo, Caffaro, e dell'ultimo, Iacopo d'Oria - furono funzionarii della cancelleria del comune di Genova. Alcune parti dell'opera furono redatte invece da commissioni espressamente incaricate di questa funzione. Gli Annali costituiscono dunque un rilevante esempio di "cronaca autentica" ossia di storiografia ufficiale. Il presente articolo esamina le forme di riconoscimento della composizione da parte degli organi istituzionali e i modi in cui i suoi redattori dimostrano consapevolezza della propria qualità di autori sul piano letterario e rivendicano l'autorità della loro opera.
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È vietata la riproduzione, totale o parziale, con qualsiasi mezzo e ettuata, compresa la fotografia, senza il preventivo consenso scritto della Direzione del Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria In copertina Statuetta bronzea di oplita Museo Archeologico di Ioannina, inv. AMI 1411
Iniziatore di una questione destinata a segnare per alcuni decenni la chiesa orientale e occidentale era stato Teodoro di Mopsuestia, il quale vedeva una unità relativa o morale, assimilabile a quella di un idolo rispetto al suo tempio, tra la natura divina e quella umana nel Cristo; ne conseguiva che la Madonna era da considerare Cristotov ko~, in quanto madre dell'uomo Cristo, e non Qeotov ko~. Questa dottrina, che comportava una consistente deminutio della figura della Madre del Signore, rimase in un primo tempo confinata nella scuola di Antiochia, ma fu poi diffusa da Nestorio di Costantinopoli e fieramente osteggiata, anche per motivazioni legate a una politica di supremazia della propria scuola teologica, da Cirillo di Alessandria. Papa Celestino I, al quale entrambi i partiti si erano rivolti, rigettò le tesi nestoriane in un sinodo del 430. Seguì a Efeso, convocato nel 431 dall'Imperatore Teodosio II su sollecitazione di Nestorio, un concilio ecumenico teso a comporre il contrasto aperto tra i patriarcati orientali. Il concilio, dopo complesse traversie e fiere opposizioni, si risolse nell'accettazione di un simbolo che riconosceva un Cristo, un Figlio e Signore, e Maria come Qeotov ko~; tuttavia, la natura umana di Cristo era ancora chiamata "tempio" del Logos.