Una "quaestio de docta ignorantia" di Pietro di Ceffons? (original) (raw)
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Materia informe e/o chaos originario? A proposito di un paragone agostiniano
In a few texts, Augustine equalizes the chaotic status of primordial matter to the chaos of the Greek poetical tradition. This idea doesn't appear in the Confessions and in later works, where Augustine elaborates a strictly philosophical description of matter. Highlighting some of the most significant aspects of Augustine's conception of matter, the paper tries to explain the meaning of the reference to the image of chaos and to show that Augustine never considers chaos in negative terms.
Una nuova questione di Egidio Romano "de subiecto theologiae
Freiburger Zeitschrift für Philosophie und Theologie, 1991
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Quaerere, quaestio. Inchiesta semantica
2009
Quaeris -inquit -ex me, quod mihi quoque est iamdiu in perpetua quaestione. (Gell. 20.6.2) 27 «QUAERERE», «QUAESTIO». INCHIESTA LESSICALE E SEMANTICA [3]
Conoscenza, verità, giustificazione epistemica
Nel Teeteto Platone si chiede cosa sia la conoscenza, e giunge a sostenere che è (i) una credenza, (ii) vera, e (iii) "con ragioni", ossia, come comunemente si dice, e diremo anche qui, giustificata . Dev'essere una credenza, e non una semplice sensazione, perché gli esempi mostrano che si possono avere sensazioni senza conoscere nulla; inoltre la conoscenza è vera, mentre la sensazione non è vera né falsa. Dev'essere vera, in quanto se fosse falsa non sarebbe una conoscenza ma un'illusione. Infine dev'essere giustificata perché per conoscenza intendiamo un possesso sicuro e non causale o incerto della verità, fondato sui dati stessi che rendono la credenza vera, e non su fattori estrinseci o accidentali. L'analisi di Platone si arena però al momento di offrire una definizione adeguata e non circolare o vuota di cosa sia una giustificazione (207-210).
Francesco de Sanctis lettore dI GuiccIardinI
ACME, 2017
In nessun caso si corre il rischio di sopravvalutare l'importanza del celebre saggio su L'uomo del Guicciardini che nell'ottobre del 1869 Francesco De Sanctis pubblicò nella «Nuova Antologia». 1 E ciò vale tanto per il posto cruciale che esso occupa nella parabola intellettuale di un critico che, giunto ormai alla piena maturità e al definitivo possesso dei suoi talenti interpretativi, grazie al contatto con l'opera dello storico fiorentino stava pervenendo a una decisiva chiarificazione delle proprie prospettive storiografiche; quanto per la storia dell'interpretazione dell'autore che prese a oggetto, nei cui confronti ha esercitato un influsso, schiettamente negativo per quanto praeter intentionem, di singolare tenacia e tale da arrivare fino al nostro presente. Quando si voglia ascoltare un'eco piuttosto recente e a suo modo autorevole del giudizio desanctisiano, si veda come Antonio Tabucchi, concludendo su un quotidiano nazionale un intervento a proposito di polemiche politiche del giorno, se ne usciva nella seguente considerazione: «Che mistero questo nostro Paese, che da millenni produce santi, navigatori e poeti ed è guidato per lo più da furbastri, da avide signorie e da rozzi capitani di ventura. Ma forse la domanda dovrebbe essere rispedita fermoposta alla buonanima del Guicciardini, quel noioso pensatore» («la Repubblica», 2 ottobre 2001). Nelle espressioni di Tabucchi c'è tanto l'avversione nei confronti dello scrittore, quanto la taccia di corresponsabilità nei mali politici e nell'insufficienza etica della nazione italiana. E naturalmente né l'una né l'altra, almeno in quei termini, erano in De Sanctis, la cui impostazione tuttavia, volgarizzata ed estratta dal giro di pensieri e di preoccupazioni che era il suo, è una delle più vitali radici del pregiudizio antiguicciardiniano. 2 Non è ora nelle intenzioni affrontare questo secondo aspetto della questione, per il quale basterà osservare che il saggio desanctisiano ha determinato per Francesco Guicciardini una varia e tenace "sfortuna" critica che, a parte qualche voce piuttosto isolata ed eccezionale, e proprio per questo incapace di creare un'autentica tradizione di studi, si è protratta in pratica fino a ieri, fino cioè alla nuova stagione di studi guicciardiniani avviata grossomodo dalle celebrazioni (1983) per il quinto centenario della nascita dello storico fiorentino. 3 Tali voci, peraltro, rimanevano spesso, anch'esse, in qualche modo subordinate all'impostazione desanctisiana, che era polemicamente 1 UG, pp. 93-117. 2 Quanto al "noioso", com'è noto, nella Storia della letteratura italiana De Sanctis dava del «noioso» o «noiosissimo» a Bembo, a Guidiccioni, a Bernardo Tasso, a Trissino, ma non certo a Guicciardini, che per lui rimane indiscutibilmente un «sommo», e anzi l'autore di un'opera, la Storia d'Italia, che «se guardiamo alla potenza intellettuale, è il lavoro più importante che sia uscito da mente italiana» (SLI, p. 615): giudizio quanto mai impegnativo e certo a suo modo singolare, sul quale avremo occasione di tornare. 3 Alcuni cenni alla storia della critica guicciardiniana, con il posto che spetta a De Sanctis, sono in cutInellI-rendIna 2009, pp. 296-299, con l'indicazione della principale letteratura pregressa. Per la questione del mancato avvio di una "tradizione" di studi guicciardiniani, varie osservazioni in SaSSo 1984, pp. 47-50.