Le dieci giornate (Brescia. 23 marzo - 1 aprile 1949), in Atlante letterario del Risorgimento. 1848-1871, a cura di Matilde Dillon Wanke, in collaborazione con Marco Sirtori, presentazione di Matilde Dillon Wanke e Giulio Ferroni, Università di Bergamo, Milano, Cisalpino, 2011, pp. 84-91 (original) (raw)
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I miti del Risorgimento e gli scrittori dialettali. Studi e testi, 2014
Volume realizzato con il contributo del Dipartimento di «Studi greco-latini, italiani, scenico-musicali» dell'Università «La Sapienza» di Roma (sui fondi della ricerca interuniversitaria intitolata La mitografia risorgimentale e le letterature in dialetto e coordinata dal prof. Massimiliano Mancini) ISBN: 9 788897 431015 © 2014 il cubo via Luigi Rizzo, 83 00136 ROMA tel. 0639722422 www.ilcubo.eu Prefazione di FRANCO BREVINI ………………………………………………………… 5 Introduzione di MASSIMILIANO MANCINI ………………………………………………… 9 Una preoccupazione della storia. Il toscano e l'italiano di fronte all'Unità di GIULIO VACCARO ………………………………………………………… 15 Il discorso risorgimentale in piemontese di HERBERT NATTA ………………………………………………………… 31 Versi popolari a Milano e dintorni di SANDRO BAJINI…………………………………………………………… 49 Le Dieci giornate di Brescia nei sonetti di Angelo Canossi di ELENA MAIOLINI ………………………………………………………… 67 Echi risorgimentali in alcuni testi friulani di LAURINO GIOVANNI NARDIN …………………………………………… 83 Su alcuni inediti in friulano di VALENTINA CIPRIANI …………………………………………………… 89 L'identità nazionale nei Sonetti romagnoli di Olindo Guerrini di DAVIDE PETTINICCHIO…………………………………………………… 107 Giuseppe Gioachino Belli e la rivoluzione nazionale di MARCELLO TEODONIO ………………………………………………… 131 Testimonianze pascarelliane di DANIELA ARMOCIDA …………………………………………………… 159 L'Unità e l'Abruzzo. Testimonianze letterarie dialettali di MARCO DEL PRETE ……………………………………………………… 169 Sommario
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Il 20 aprile del 1860 fra gli studenti e i giovani di Bergamo si sparse la notizia che Garibaldi stava organizzando una spedizione in Sicilia per liberare l'isola e abbattere il potere dei Borbone. I bergamaschi che già erano stati protagonisti dei fatti del 1848 (Francesco Nullo, Vittore Tasca, Daniele Piccinini, Luigi Enrico Dall'Ovo) insieme ad alcune nuove leve (Francesco Cucchi) iniziarono il reclutamento dei volontari e ne raccolsero fino a centottanta, andati poi tutti a formare l'ottava compagnia dei Mille «che fu comandata dal valoroso pavese Angelo Bassini e che dallo stesso Garibaldi fu detta la "compagnia di ferro"» (BELOTTI 1959, VI, p. 90).
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Centottanta furono i volontari che partirono da Bergamo per Genova il 3 maggio 1860. Molti si distinsero per il loro coraggio e perché ebbero un ruolo da protagonisti in non poche delle azioni di eroismo che contrassegnarono l'intera campagna. Netta emerse soprattutto la figura di Francesco Nullo, ricordata anche da Giuseppe Cesare Abba nella narrazione dell'assalto disperato per entrare a Palermo: Nullo era già dentro con una mano di bergamaschi, balzato di là dalla barricata col suo cavallo poderoso tra i regi fuggenti; a Porta Sant'Antonino l'assalto riusciva pure: ma noi più fortunati fummo d'un lancio alla Fieravecchia. Allora una campana cominciò a suonare a stormo, e fu salutata con alte grida di gioia, come una promessa tenuta. (ABBA 1997, p. 82)
La città di Milazzo ha per Garibaldi e i suoi una posizione strategica: è l'avamposto verso Palermo, controlla la strada costiera, è situata in una posizione difficilmente espugnabile. Saputo che il generale Ferdinando Beneventano del Bosco, tra i più attivi e temuti ufficiali di Francesco II, si dirige a Messina con poco meno di quattromila soldati scelti, il generale Medici occupa le posizioni che chiudevano la penisola su cui si trova Milazzo, in attesa dell'arrivo di Garibaldi e dei rinforzi:
Il fiume Volturno fu lo scenario di alcuni fatti d'armi principiati sul finire di settembre e conclusisi con la battaglia dell'uno-due ottobre, che vide vincitori i garibaldini, nonostante le numerose perdite. Dopo la presa di Caiazzo (18 settembre), che poteva fungere da spina nel fianco per l'esercito nemico, rimasero a difenderla solo novecento uomini i quali, il 22 settembre, durante l'assenza di Garibaldi, vennero facilmente sbaragliati da settemila borbonici, con gravi perdite (SCARDIGLI 2011, pp. 362-368). La mancanza di questa posizione strategica, accentuò la 'frammentazione' del fronte, che si snodava per circa ventinove chilometri lungo il corso del Volturno:
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A Bergamo l'adesione ai moti rivoluzionari del 1848, favorita dal clima creatosi dall'elezione di Pio IX avvenuta due anni prima, fu sincera e convinta, in seguito alla riscoperta e al recupero, a cinquant'anni di distanza, dello spirito che aveva favorito il distacco dalla Repubblica di Venezia e l'adesione al nuovo ordine napoleonico.
La fede nella realtà non sarà il nostro argomento, se non come assenza e nevrosi. Certo, si potrà lecitamente obbiettare che una fede assente è pur sempre una fede, e che per negare qualcosa è necessario, prima, averlo posto. Pare invero che un tempo la fede nel mondo sia stata possibile, e che la scrittura abbia trovato il suo fondamento implicito e la sua giustificazione nella rappresentazione di esso. La fine del grande romanzo borghese, rassicurante nella sua buona fede, coincide con lo sprofondare del mondo borghese stesso nel pantano di fine secolo. La realtà appare, ad un tratto, irrappresentabile. Non più fuga dalla realtà, ma fuga della realtà: la morte di Dio come annuncio della fine di ogni metafisica non ne è che la metafora più esplicita.
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La cessione della città alla Francia La cessione di Nizza e della Savoia alla Francia, a seguito degli accordi di Plombières (1858) sanciti dal Trattato di Torino (24 marzo 1860), suscita il risentimento di Ippolito Nievo, espresso in invettiva e pianto contro i plebisciti coordinati da Cavour nel LXVII testo, intitolato A Nizza, degli Amori garibaldini, i cui versi sono coniati su un patetico metro manzoniano, tra lamento e preghiera:
"This essay focuses on the 114th epistle of Seneca, where the philosopher investigates in detail the causes of the decadence of the contemporary literature, identifying in the literary work of Maecenas and in his person the archetype of this decline. Seneca avoids the systematic and consistent treatment of this issue, also common to contemporary authors such as Persius and Petronius and then Quintilian, but as a true moralist he is committed to demonstrate that the eccentric and debauched lifestyle of Maecenas can only produce a futile literature, only concerned with the formal aspects. Seneca, however, is also a capable writer and, with his “in motion” portrait of Maecenas as an urban man, who wanders around in the city, evokes the stylistic levels of comedy and satire, producing a memorable *exemplum*."