Bergamo, 3 maggio 1860. I Garibaldini, in Atlante letterario del Risorgimento 1848-1871, a cura di Matilde Dillon Wanke, in collaborazione con Marco Sirtori, presentazione di Matilde Dillon Wanke e Giulio Ferroni, Milano, Cisalpino, 2011, pp. 208-212. (original) (raw)
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Il 20 aprile del 1860 fra gli studenti e i giovani di Bergamo si sparse la notizia che Garibaldi stava organizzando una spedizione in Sicilia per liberare l'isola e abbattere il potere dei Borbone. I bergamaschi che già erano stati protagonisti dei fatti del 1848 (Francesco Nullo, Vittore Tasca, Daniele Piccinini, Luigi Enrico Dall'Ovo) insieme ad alcune nuove leve (Francesco Cucchi) iniziarono il reclutamento dei volontari e ne raccolsero fino a centottanta, andati poi tutti a formare l'ottava compagnia dei Mille «che fu comandata dal valoroso pavese Angelo Bassini e che dallo stesso Garibaldi fu detta la "compagnia di ferro"» (BELOTTI 1959, VI, p. 90).
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A Bergamo l'adesione ai moti rivoluzionari del 1848, favorita dal clima creatosi dall'elezione di Pio IX avvenuta due anni prima, fu sincera e convinta, in seguito alla riscoperta e al recupero, a cinquant'anni di distanza, dello spirito che aveva favorito il distacco dalla Repubblica di Venezia e l'adesione al nuovo ordine napoleonico.
Il fiume Volturno fu lo scenario di alcuni fatti d'armi principiati sul finire di settembre e conclusisi con la battaglia dell'uno-due ottobre, che vide vincitori i garibaldini, nonostante le numerose perdite. Dopo la presa di Caiazzo (18 settembre), che poteva fungere da spina nel fianco per l'esercito nemico, rimasero a difenderla solo novecento uomini i quali, il 22 settembre, durante l'assenza di Garibaldi, vennero facilmente sbaragliati da settemila borbonici, con gravi perdite (SCARDIGLI 2011, pp. 362-368). La mancanza di questa posizione strategica, accentuò la 'frammentazione' del fronte, che si snodava per circa ventinove chilometri lungo il corso del Volturno:
La battaglia di Calatafimi fu tra quelle di poco conto: «un migliaio di garibaldini male armati, con un numero imprecisato di picciotti» diedero l'assalto a un monte chiamato Pianto dei Romani, su cui erano attestati circa duemila borbonici (SCARDIGLI 2011, pp. 319-320).
La città di Milazzo ha per Garibaldi e i suoi una posizione strategica: è l'avamposto verso Palermo, controlla la strada costiera, è situata in una posizione difficilmente espugnabile. Saputo che il generale Ferdinando Beneventano del Bosco, tra i più attivi e temuti ufficiali di Francesco II, si dirige a Messina con poco meno di quattromila soldati scelti, il generale Medici occupa le posizioni che chiudevano la penisola su cui si trova Milazzo, in attesa dell'arrivo di Garibaldi e dei rinforzi:
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La cessione della città alla Francia La cessione di Nizza e della Savoia alla Francia, a seguito degli accordi di Plombières (1858) sanciti dal Trattato di Torino (24 marzo 1860), suscita il risentimento di Ippolito Nievo, espresso in invettiva e pianto contro i plebisciti coordinati da Cavour nel LXVII testo, intitolato A Nizza, degli Amori garibaldini, i cui versi sono coniati su un patetico metro manzoniano, tra lamento e preghiera:
A Brescia [...] giunsero delle notizie false e fantastiche. Si parlava d'una grande vittoria delle truppe piemontesi e dell'esercito austriaco in ritirata; un proclama del comitato repubblicano di pubblica difesa avvalorava queste notizie, e ne dava di più fantastiche ancora. E Brescia insorse. Insorse violentemente ed eroicamente. La lotta, come è noto, durò dieci giorni; e il generale Hainau non entrò nell'eroica città che sulle rovine di oltre 300 case incendiate, tra un monte di cadaveri, e fucilando una cinquantina di prigionieri. (VISCONTI VENOSTA 1959, p. 124) Giovanni Visconti Venosta riassume così, in modo sintetico, ma forse un po' troppo semplicistico, le cause che portarono alla rivolta bresciana, liquidando l'eroica resistenza degli insorti in modo sbrigativo, non senza mettere in rilievo la crudeltà con cui il generale austriaco Haynau, soprannominato 'la Iena di Brescia', represse i disordini.
L'addio di Garibaldi in Atlante letterario del Risorgimento 1848-1871, Milano, 2011
Soldati che meco divideste sino ad ora le fatiche ed i perigli delle patrie battaglie, che ricca dote di gloria ed onore otteneste: voi tutti che or meco eleggeste l'esilio, ecco ciò che dovete attendervi: il caldo e la sete di giorno, il freddo e la fame di notte. Per voi non vi è altra mercede che fatica e perigli, non tetto, non riposo, ma miseria assoluta, veglie strappazzose, marcie eccessive, combattimenti ad ogni passo.
GIORGIO LONGO, Capuana e l'agiografia del Risorgimento Tra i Veristi italiani vi è una certa affinità nel descrivere il Risorgimento, ma la figura di Capuana ha un ruolo autonomo, per la sua attiva partecipazione al movimento e per l'esigui tà ed eccentricità della sua produzione. Il tema e il tono delle opere di Capuana che si riferiscono al Risorgimento si r ifanno al modello agiografico della tradizione popolare e alla mitizzazione di Garibaldi operata dagli autori lette rari. Stimoli diversi che confluiscono nella novella "Viva san Garibaldi" (1913) e nella sua riduzione teatrale "Prima dei Mi lle" (1915). Nella prima, Capuana innesta al sostrato popolare un registro ironico e divertito; nella commedia, in vece, criticata da Oliva, egli scandaglia più a fondo alcune istanze storico-politiche e introduce il tema del trasformismo. Questo argomento è trattato da Capuana senza i giudizi definitivi di condanna che poi avrebbe avuto, per esempio in al cuni racconti di Sciascia. Il tema risorgimentale ritorna infine ne "Il diario di Cesare", dove è però innestato a quello dell'intervento al conflitto mondiale.