Stefan Zweig, Hölderlin (original) (raw)
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Elisabetta Potthoff, 2022
Non così ingenui, come spesso si pensava, sono gli scritti del primo Rilke. Certo vi si scorge l'intenzione di conquistare in modo accattivante i lettori, ma nel contempo alcune annotazioni, segnalate senza enfasi, indicano più ambiziosi progetti di evoluzione poetica. Così il racconto Passeggiate in Boemia (Böhmische Schlendertage) non si limita a citare castelli, più o meno conosciuti, dove si può scoprire qua e là qualche inaspettato capolavoro: un ritratto di Dürer o un paesaggio di Ludwig von Hofmann, ma menziona anche impressioni e autori che, quasi inavvertitamente, svelano i suoi progetti e gli obiettivi che vorrà perseguire come poeta.(1) Infatti, con particolare attenzione viene osservato un salone delle maschere, un tema che svilupperà in innumerevoli variazioni: dal costume che il piccolo Malte vorrà indossare davanti allo specchio per trovare, con angosciosa ambiguità, ma anche nascondere il proprio volto. Similmente nella poesia che ritrae la Duse (Bildnis, Neue Gedichte) l'attrice, finito il suo ruolo, col mazzo di fiori lanciato dal pubblico vorrà nascondere il proprio volto. Continuando questo suo libero vagare, Rilke, quasi confessandosi, cita Nietzsche, autorevole voce che esprime un tratto caratteristico della sua personalità. Attraverso le parole del filosofo, infatti, l'autore dichiara di appartenere a quel tipo di uomini definiti 'storici' , ovvero persone che, deluse dalla realtà, per sentirsi protette, si rifugiano nel passato sperando di trovarvi insieme alle proprie radici nuovo vigore creativo. Ecco le parole di Nietzsche: 'Vogliamo definirli uomini storici; lo sguardo al passato li sospinge con forza verso il futuro, infiamma il loro coraggio e credono che il meglio debba ancora accadere….'. In conclusione poi il pensatore sottolinea che il significato, per ciascuno di questi uomini, affiorerà con sempre maggiore chiarezza nel corso della loro esistenza.(2) Allora, nella vita di Rilke, tormentato dai moti contrastanti della fuga in avanti ma sospinto poi verso il passato per cercare saldo ancoraggio, ogni castello avrà appunto il valore di un rifugio protetto perché storica testimonianza. Le sue Elegie sono Duinesi, ovvero dedicate al tempo stesso a un luogo, Duino, al castello che lo domina, e alla nobildonna che lo possiede, Marie von Thurn und Taxis. Il viaggio interiore vuole raggiungere lontananze ma ha bisogno anche, qui ed ora, di un ubi consistam. Ecco infine questa disinvolta passeggiata boema dischiudere tanti temi destinati, col tempo, a divenire centrali per Rilke. La lettura di Nietzsche continua sotterranea sino a quando la conoscenza di Lou Andreas Salomè, che del filosofo incontrato a Roma nel 1882 era stata non solo intima amica, ma anche studiosa, come dimostra il libro dedicato alle sue opere(3). Pertanto nel 1878, quando esce la seconda versione della Nascita della tragedia dallo spirito della musica, scritta nel ritiro di Sils Maria in Engadina, Rilke subito la leggerà. Rispetto alla prima versione (1872) la successiva è resa ancora più rilevante dal nuovo sottotitolo: grecità e pessimismo, così come dall'aggiunta di una introduzione: Saggio autocritico. Allontanatosi da Wagner e da una musicalità che ottunde invece di svegliare lo spirito, il filosofo, attraverso la sua autocritica, invita il lettore a 'percorrere nuovi nascosti sentieri e nuove danze' parole che quasi anticipano Zarathustra. Si ricerca dunque una nuova espressività che includa musica e gesto dando a quello artistico un valore in sintonia col proprio tempo, tanto che potremmo prenderci la libertà di leggere il sottotitolo come: 'grecità e modernismo'. Infatti, vi si palesa la tensione alla ricerca di un 'dio sconosciuto' :' Peccato che quello che avevo allora da dire non l'abbia detto in poesia'(4).
F. Di Battista, T. Gennaro, M. Iacovella, C. Miglio, G. Puzzo (a cura di), Lessico europeo. Sezione tedesca, Sapienza Università Editrice, Roma 2018, pp. 69-110., 2018
Nella scrittura hölderliniana il lemma Freude si trova in rapporti di sinonimia con Frohe, Wonne, Lust, Vergnügen, termini che indicano piacere, delizia, gioia fisica, di solito derivata dall’assenza di dolore, i cui effetti acquisiscono però una risonanza emotiva. I suoi antonimi, infatti, sono Leid e Trauer, che indicano un dolore spirituale, proveniente dalla sperimentazione del male del mondo e dello scontro tra la finitezza dei limiti umani rispetto al desiderio di infinito. Tuttavia, per preparasi all’elevazione dell’anima al divino, per Hölderlin è necessaria una condizione spirituale di quiete e calma. Il termine Freude, infatti, co-occorre di frequente con Stille e Ruhe, in un rapporto binario di reciproca implicazione, efficacemente riassunto nel sintagma «stille Freude». L’espressione, che potrebbe sembrare ossimorica, in realtà indica la quiete come condizione necessaria per il raggiungimento della Freude. Il lemma co-occorre anche con i termini derivati dalla radice di Glück, sia nella sua accezione sostantiva, Glücklichkeit, che verbale, glücken. Il concetto, che di solito indica una “felicità consequenziale alla buona sorte”, viene impiegato per connotare una condizione di elevazione dell’animo verso il divino. Se in Freude è possibile identificare un piacere catastematico, che predispone l’uomo ad accogliere il divino, in Glück si riscontra quella felicità panica, che caratterizza l’effetto dell’epifania degli dei sui mortali e che viene indicato con il sostantivo Begeisterung (entusiasmo), slancio dell’uomo verso la fusione, seppur fugace e illusoria, con la divinità. La pervasività del concetto di Freude nella scrittura hölderliniana è testimoniata anche dalla straordinaria occorrenza di parole composte, che connotano ogni elemento che abbia una incidenza più o meno diretta sulla percezione della gioia: il giorno che annuncia il divino, il canto che se ne fa sacerdote, il cielo che ne ospita l’epifania.
Cahiers d’études italiennes
Sebbene la lettura del «divino» Hölderlin 1 abbia accompagnato per tutta la vita Cristina Campo, e quasi sicuramente abbia condizionato l'invenzione del titolo del saggio Gli imperdonabili 2 , restano appena quattro suoi frammenti di traduzione dal poeta svevo. Per la Campo leggere Hölderlin fu naturale e necessario insieme: tra gli intellettuali del circolo fiorentino frequentato anche da lei si assistette ad una vera e propria Hölderlin Naissance e ad un fervente lavoro di traduzione delle liriche del poeta svevo 3. Anche in sottile polemica con l'impresa di Vincenzo Errante, che aveva dato una traduzione completa della lirica di Hölderlin dai toni dannunziani, con un ricco apparato bibliografico e un commento 4 , era apparsa nel 1941 la scelta antologica di Gianfranco Contini 5 , e si dedicarono all'impresa a partire dalla metà degli anni Trenta, Giorgio Vigolo e soprattutto Leone Traverso, principale mediatore della conoscenza di Hölderlin per Campo 6 , le cui traduzioni pare circolassero in versione dattiloscritta già a partire dal 1936 (il volume da lui curato di Inni e frammenti apparve però solo alla fine del 1955). 2 Potremmo dire di più sulla lettura di Hölderlin da parte della Campo se possedessimo tutto l'epistolario con Leone Traverso: com'è noto, leggiamo invece solo le lettere dal 1953 al 1967, da quando cioè Traverso aveva quasi terminato il suo lavoro. La poesia di Hölderlin, inoltre, giocò un ruolo di rilievo tra i poeti di quella generazione, in particolare gli esponenti dell'ermetismo fiorentino 7 come Carlo Bo, Piero Bigongiari, Mario Luzi, ed anche per questo il poeta tedesco va annoverato tra gli autori di letteratura 'metafisica' 8 , ossia che trascende il tempo presente, a cui la Campo dedicò tutta la sua attenzione. Fra coloro che in quegli anni accolsero la poesia del poeta svevo come fonte di ispirazione letteraria e come modello di vita poetica, si deve annoverare Remo Fasani (1922-2011), poeta e dantista, meno noto alla critica hölderliniana, il quale Le traduzioni da Hölderlin Cahiers d'études italiennes, 36 | 2023 Le traduzioni da Hölderlin Cahiers d'études italiennes, 36 | 2023
"Lettera da una sconosciuta": Stefan Zweig e Max Ophüls
Il Ragazzo Selvaggio, 2022
Nel 1940 Stefan Zweig, scrittore ebreo nato a Vienna nel 1881, fugge dall’Europa minacciata dal nazismo per approdare dapprima negli Stati Uniti, poi in Brasile dove si toglie la vita nel 1942. Negli stessi anni il regista Max Ophüls, nato il 6 maggio 1902 a Saarbrücken in Germania, salpa alla volta dell’America per affermarsi come uno dei cineasti più acclamati a livello internazionale. Entrambi di cultura tedesca e in fuga dai fantasmi del vecchio continente, tutti e due sono costretti a guardare dal loro esilio americano al declino della civiltà europea. Le loro traiettorie finiscono per incontrarsi idealmente quando, nel 1948, Ophüls viene incaricato dalla Universal di portare sul grande schermo uno dei racconti di Zweig.
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