Foscolo professore a Pavia e l’«Orazione dell’Origine e dell’Ufficio della Letteratura», in Almum Studium Papiense. Storia dell’Università di Pavia, 2.I, Milano, Cisalpino, 2015, pp. 535-542 (original) (raw)
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Foscolo professore a Pavia: esortazione alla storia dell’Università
2009
1 Foscolo professore a Pavia. Esortazione alla storia dell'Università 1. La presenza di Foscolo a Pavia è un nodo che stringe la storia del nostro Ateneo alla storia italiana. Mostrare quanto, di quel nodo, attiene propriamente alla storia universitaria e quanto spetta alla personalità letteraria e politica di Foscolo è il proposito che vorrei svolgere davanti a voi, Signor Presidente della Repubblica, Magnifico Rettore, Università, Signore e Signori 1 .
La collana «il testo nel tempo» è sottoposta a peer review. «il testo nel tempo» is a peer-reviewed series. Meno noto, invece, è che a Pavia lo studioso, prima di ricevere nel pomeriggio del 28 aprile presso l''Aula Foscoliana' la medaglia dal Rettore, 2 aveva tenuto nelle mattinate del 27 e del 28 presso l''Aula Volta' della Facoltà di Lettere due importanti conferenze. nel Fondo Carlo Dionisotti 3 si conserva l'invito diramato a docenti e a studenti
L' "Orazione a Bonaparte" di 'un giovine e libero scrittore' (Ugo Foscolo)
L’ "Orazione a Bonaparte" di 'un giovine e libero scrittore' (Ugo Foscolo), in “Giornale Storico della Letteratura Italiana”, Torino 1999, vol. CLXXVI, Fasc. 574, pp. 239-268., 1999
Ugo Foscolo costruisce, in questa orazione (1801), il personaggio di sé come letterato libero e imparziale; di uno scrittore che conserva intatta la sua dignità in mezzo all'urto delle opinioni e al furore delle parti. L'operazione riesce perfettamente: e il Foscolo delle opere successive (Ortis, Sepolcri, Orazioni) è già tutto qui.
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Questo libro dimostra la crucialità dell'Ateneo pavese -del suo corpo accademico, delle sue scolaresche, dei suoi programmi di insegnamento, dei suoi istituti scientifici -negli anni di formazione e selezione di una classe dirigente nazionale, che fecero seguito ai gran fatti dell'Ottantanove francese. La bufera rivoluzionaria, le resistenze legittimiste e i contraccolpi restauratorı e poi le varie fasi del riassetto napoleonico sconvolsero il quadro, direi proprio la geografia dei gruppi intellettuali italiani. Basti pensare alle vicende esemplari di alcuni personaggi che, di questa età, si possono ben considerare protagonisti: il chimico Lauberg, già ispiratore del latomismo rivoluzionario nei primi anni Novanta, che diventa farmacista nei ruoli dell'esercito francese; il nobile arcade Labindo che si fa poeta e soldato giacobino; il giornalista milanese Salvador che corre a fiancheggiare Robespierre e poi torna come notabile giacobino nella Milano del Triennio e finisce suicida nella Parigi del fasto imperiale napoleonico; ovvero lo scultore romano Ceracchi, esiliato negli Stati Uniti, trionfalmente attivo nella Roma repubblicana, ritrattista ufficiale di Napoleone, infine giustiziato nella capitale francese per la congiura della 'macchina infernale'; fino al giovane poeta italofono di origine greca Ugo Foscolo, celebratore dell'"amica risanata" coi suoi commilitoni letterati Ceroni e Gasparinetti, che percorre l'Europa come soldato, si afferma come poeta e scrittore, insegna a Pavia, finisce nell'esilio londinese dopo oscuri percorsi nelle estreme cospirazioni dell'Italia murattiana e napoleonica che si sfaldava… Il caos della storia, come voleva Melchiorre Delfico fattosi sammarinese, oppure una romanzesca trama di vicende afferrate nei gorghi di Stati che si formavano e sformavano e ricomponevano, come genialmente Nievo ricostruirà col suo Carlino veneto, fıglio di veneziano fattosi turco, poi soldato errante cogli eserciti di Napoleone? Fu, in effetti, una fase di terribile scomposizione e ricomposizione non solo di Stati e di gruppi sociali, ma anche di personalità, e IX le peripezie acrobatiche del grande Monti ne sono l'esempio storico proverbiale, anche se non necessariamente caricaturale. Mi ha sempre turbato, di questi anni, la storia del generale Lahoz, affiliato al gruppo degli alti ufficiali legati al Pino comandante di Foscolo, dall'esercito austriaco passato a quello francese per amor d'Italia e poi per orgoglio italiano disertore dei francesi, ridotto a collegarsi cogli insorgenti marchigiani e così di nuovo legato agli austriaci e stroncato, sotto le mura di Ancona, per un colpo delle truppe del suo -in ogni senso -'fratello' Pino! Pure, come accade nelle transizioni autentiche, nel gran marasma una nuova geografia culturale e politica cominciava a delinearsi e prendevano corpo nuovi punti di incontro, luoghi dove schegge di molte deflagrazioni convergevano per comporre inedite miscele culturali, insospettabili e spesso fortunate ibridazioni politiche, momenti istituzionali attorno a cui cominciava ad aggregarsi la storia moderna degli Italiani. Pavia, l'Ateneo pavese, fu uno di questi. Lì, e in una rete di altre scuole lombarde in vario modo collegate, approdano personalità disparate, dal vecchio professor Bertola reduce dalle esperienze 'illuminate' della Napoli riformatrice, a un principe delle lettere come Monti, a un intellettuale di fulminante successo come Foscolo. Con loro, con Cuoco e Lomonaco sullo sfondo milanese, un gran numero di personalità di vaglia, e cito fra tutti quel Flaminio Massa editore di Mario Pagano, morto troppo giovane di tisi: e il Tongiorgi farebbe un gran servizio se volesse ricostruire la vicenda di questo napoletano pavese d'adozione. Quella che anni fa Sergio Moravia individuò come una sintesi di vichismo e di sensismo romagnosiano destinata -attraverso una trafila di intellettuali come Defendente Sacchi, tanto per citare uno scolaro pavese -a condizionare una linea culturale che avrà in Cattaneo il suo nome di spicco, rivela qui la complessità dei suoi profili accademici, dei suoi risvolti politici, delle sue stesse contraddizioni. In questa Pavia, e in questa Lombardia, è vero, vichismo e romagnosismo si incontrano suggestivamente: ma ciò è possibile non solo per il dato estrinseco della presenza, accanto ai Romagnosi, ai Gioia, ai Custodi, dei superstiti del Novantanove napoletano e di altri dispersi di altre tragedie, ma anche e soprattutto per tre ordini di motivi. Intanto, l'Ateneo pavese offriva ospitalità simpatetica ed omogenea ad intellettuali che non convergevano a miscelarsi ecletticamente, ma provenivano da esperienze pur spesso generazionalmente sfalsate, ma tutte collegate dal filo di una grande rete culturale di sfondo europeo, quella massonica. Poco si comprende della cultura politica italiana di questi anni, anzi della cultura italiana tout court, e comunque di questa cultura pavese, senza affaticarsi a ripercorrere gli intrichi del latomismo 'illuminato'. 3 * Nell'elenco delle biblioteche e degli archivi consultati non compare la Biblioteca Ambrosiana di Milano, la quale conserva senz'altro materiale che sarebbbe stato importante per questa ricerca. Come è noto, la Biblioteca Ambrosiana è chiusa al pubblico per opere di restauro che si protraggono ormai da lunghi anni. sche, era dunque rivolta a fornire una mera conoscenza canonica di supporto ad ogni operazione genericamente "letteraria" 13 : solo in questa chiave utilitaria di natura professionale l'insegnamento di eloquenza poteva aspirare ad una dignità universitaria.
U na lettera di Giuseppe Zola a Frederik Münter inviata da Pavia nel 1788 si apre chiedendo venia per le «infinite noie» che gli hanno impedito di «coltivare la corrispondenza», per poi affrettarsi tuttavia ad «assicurare» l'interlocutore: «anche in mezzo a questo silenzio v'amo cordialmente e ben lo sanno tanti co' quali io faccio spessissimo onoranza e dolce memoria di voi» 1 . Zola offre poi dei ragguagli sulle recenti vicissitudini dell'Università 2 e la lettera si chiude con un saluto collettivo che non ha perso, anche a distanza di più di due secoli, la freschezza e il trasporto originali: «Tamburini, Lanigan, eletto Professore di Scrittura nella regia università, Rezia, Frank, etc. vi arcisalutano, e si ricordano della vostra dottrina e amabilità» 3 .
Volume X, Fascicolo II le monnier -Firenze 2012 DI ESTRATTO: Tommaso Braccini, Orfeo, Publio e l'erebinthos di Damascio: ancora sulla fortuna delle «teste profetiche» dusforouv ntwn d∆ auj twǹ ej pi; toi" genomev noi" kai; ej n aj poriv a/ kaqesthkov twn ouj th/ tucouv sh/ boulomev nwn te aj posteilai eij " Delfouv ", fqev ggetai hJ kefalh; tou` paidiv ou ej pi; tou` ej dav fou" keimev nh kai; lev gei crhsmw/ ta; aj pobhsov mena: w\ poluuv mnhton naiv wn cqov na lao; " aj peiv rwn, mh; steic∆ ej " Foiv bou tev meno" naov n te quwv dh: ouj gav r soi kaqarai; cev re" ai{ mato" aij qev r∆ e[ cousin, aj lla; muv so" propav roiqe podwǹ e[ ntosqe keleuv qou. frav zeo d∆ ej x ej mev qen, triv podo" d∆ aj pov eipe kev leuqon: mantosuv nh" pasan ga; r ej fetmhv n soi katalev xw.