Il panico morale come dispositivo di trasformazione dell'insicurezza (original) (raw)
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Criminalità e paura: la costruzione sociale dell'insicurezza
Molta della recente letteratura criminologica e sociologica si è impegnata nello studio e nella spiegazione della crisi delle politiche criminali, che sta affliggendo i paesi occidentali. Questi modelli spesso interpretano, come vedremo, in modo semplicistico tale fenomeno, avanzando come elemento caratteristico della situazione una diffusa, tenace e inestirpabile "paura del crimine". Tuttavia, l'eterogeneità di queste paure, preoccupazioni e claims è tale da impedire la completa affidabilità di un modello che spieghi la loro diffusione nei termini meccanicisti di una reazione all'aumento della criminalità. Piuttosto, il crimine potrebbe essere considerato un fenomeno attorno al quale si cristallizza una serie di preoccupazioni e ansie, indicatori particolari di più ampie difficoltà di integrazione sociale che le istituzioni non riescono ad affrontare in modo efficace [Robert P., Insecuritè, opinion publique et politique criminelle, in "Année Sociologique", 1985, 35, pp. 199-231].
I valori personali nelle reazioni all’insicurezza lavorativa
2012
Il presente articolo intende fornire un contributo alla letteratura in materia di insicurezza lavorativa. L’insicurezza lavorativa deriva dalla percezione di minaccia al proprio impiego ed è generalmente considerata come uno stressor capace di ledere l’esperienza soggettiva dell’individuo. Nel nostro studio abbiamo voluto indagare in primo luogo gli effetti dell’insicurezza su variabili intraorganizzative e variabili di benessere personale; successivamente abbiamo ricercato la relazione tra queste variabili e la struttura di valori personali. Sappiamo infatti che i valori costituiscono una “bussola” che dirige le scelte ed il comportamento individuali. Al fine di rilevare le variabili oggetto di studio abbiamo somministrato un questionario a 116 lavoratori. I risultati ottenuti, in linea con la letteratura, confermano gli esiti negativi dell’insicurezza sull’organizzazione e sul benessere personale e mostrano un effetto a carico dei valori nell’ “orientare” le reazioni all’incertezz...
Il rischio come cornice culturale dell’incertezza
Risk as a cultural frame for incertaity Why risk is a so important issue to understand contemporary societies? Any reflection about risk society and its possible overcoming must first face the relevance of this concept, literally dominating the cultural horizon and public debate agenda in Western societies. It had become relevant element of the contemporary social context, which increasingly affects a number of individual and collective choices. Thus, it is inevitable that any attempt to provide an explanation should start by a paradoxical contradiction: despite the fact that in all industrialized societies data show an increase in life expectancy , a general improvement in health conditions, a reduction of social conflict and crime, we feel increasingly besieged by fear to be exposed to new sources of risk. This results in a multiplicity of individual and collective strategies designed to protect us from risk, and therefore in a significant increase in demand for security. In other words, to better understand the centrality of risk is necessary to go beyond the alleged objectivity of threats to look out on the social scene to grasp the deep roots of this anxiety, which has become a hallmark of late modernity cultures. This results in a multiplicity of individual and collective strategies designed to protect us from risk, and therefore in a significant increase in demand for security. In other words, to better understand the centrality of risk is necessary to go beyond the alleged objectivity of threats to look out on the social scene to grasp the deep roots of this anxiety, which has become a hallmark of late modernity cultures. Recognizing of the relevance of these issues has led to the risk society definition, a formula that not only metaphorically ties the emergence of the risk to unintended consequences of the process of modernization, focusing on the dark side of well - being."""
Pubblico consumo. Beck e l'ansia produttiva come medium dell'insicurezza
This paper aims at investigating the role that the theory of the technical reproducibility of the work of art proposed by Walter Benjamin had in the construction of the sociology of risk pursued by Ulrich Beck, with particular reference to the connection between cultural uncertainty, informative standardization and identity removal. The risk society looms as the result of the medial inflation of contents, images and information, bound to develop an hyper-representation of the post-modern risks, interpreted by the actors in connection with the public ordeal. This kind of diffusion is tied to the technical reproducibility of the aesthetic experience, which determines the passing of the traditional values peculiar of the cultural heritage. This is one of the theoretical assumption of the sociology of risk drawn by Beck, who gives Benjamin the credit to have foreshadowed the connection between technical reproducibility of the collective meanings and the medial representation of the social risks, hanging between narration and uncertainty.
Metamorfosi della paura nell'età globale
2014
Metamorphosis of fear in the global age I shall begin from the assumption that the passions provide a fruitful slant from which to understand society and its transformations, since they enable us to highlight the motivations for social action. While it may be true that every epoch is characterized by the prevalence of some passions over others, it is undeniable that in the global age we are seeing a strong return of fear . But what type of fear are we talking about? What kind of metamorphosis does fear undergo in the global age? It is no longer the fear that, at the origins of modernity, was thematized in the Hobbesian paradigm as the emotional foundation of society and the State. In my opinion, we can single out two fundamental fears which characterize the global age: fear of the other and fear of the future . The first appears essentially as fear of he who is different (what I define as fear of contamination ) because of the formation of multicultural societies; the second is prom...
Divenire il mostro che si è. Atto filosofico/atto psicoanalitico
2015
La differenza cruciale tra atto filosofico e atto psicoanalitico è una differenza di "registro", nel senso tecnico che questa parola assume nel lessico lacaniano (o più precisamente, di composizione dei tre registri identificati da Lacan: reale, simbolico e immaginario, come altrettanti modi di articolare l'esperienza). Se l’atto psicoanalitico è un atto simbolico (un dire) che intende produrre una nuova e più adeguata postura (rispetto a quella che si esprimeva nella sofferenza del sintomo all’origine del percorso analitico) nei confronti del reale (l’insopportabile del sintomo) e mediante un’operazione immaginaria (il transfert), l’atto filosofico è un atto essenzialmente immaginario (uno scrivere), volto a ridurre il più possibile l’invadenza del reale (della vita), ricorrendo a un’operazione in senso stretto simbolica (la produzione e la fissazione di significati concettuali). In altre parole, l’atto psicoanalitico prova ad annodare i “pezzi staccati” dell’esperienza soggettiva ricorrendo all’amore – all’incontro speculare con un Altro (l’analista, in primis), vissuto tuttavia nel suo carattere di fallimento consapevole. L’atto filosofico, invece, muove dall’amore fallito per il sapere, per provare poi a neutralizzare la dimensione dello specchio e instaurare così quella di una discorsività che rende letteralmente e tendenzialmente impossibile l’incontro imprevisto e traumatico, fallendo sistematicamente (nel duplice senso di “ogni volta” e di “costruire un sistema”). Sono due operazioni estremamente diverse, per quanto ci voglia poco a comprendere che si tratta di due operazioni tra di loro in una relazione a sua volta speculare. Insomma, è lo specchio in quanto tale (ovvero, l’amore) a generare anche la differenza in questione. O almeno, questa differenza concerne la psicoanalisi nella sua declinazione strutturalista lacaniana, fondata sull’idea di inconscio come discorso dell’Altro, e la filosofia, nella sua forma metafisica classica – di tentativo di totalizzazione dell’esperienza mediante il linguaggio. Che cosa accade invece se si prova a pensare la barra che separa, nel titolo di questa giornata di studi, atto filosofico e atto psicoanalitico? Che cosa accade, insomma, se si prova a pensare lo specchio, ovvero l’amore in quanto tale? Lo si è visto: l’amore è sempre amore fallito (Lacan si serviva dell’omofonia: a-mur). Dunque, pensare l’amore – il pensiero come “amore dell’amore”, per dir così – è pensare il fallimento tout court. È provare a formulare un pratica e una teoria – ecco l’ipotesi – del fallimento in quanto strutturalmente irriducibile, in quanto struttura stessa dell’esperienza – un’esperienza, magari, né di desiderio, né di godimento, ma, molto semplicemente, di piacere. È fallire, ovviamente, in questo intento – se il fallimento è la struttura dell’esperienza –, ma forse come unica maniera di riuscire.
L’Istituto FdE di Mantova – Alta Scuola di Formazione in Scienze Criminologiche ha, in partnership con il Politecnico di Milano, il Comune di Mantova ed il Comune di Pegognaga (Mn), intrapreso il Progetto Europeo INNES | Intimate Neighbourhood Strengthening. Si tratta di una attività di ricerca triennale, commissionata dall’Unione Europea ed essenzialmente volta a studiare alcuni problemi emergenti e relativi alla sicurezza nei centri abitati. Il Progetto di ricerca, in particolare, è incentrato sullo studio e sulla applicazione della pratica del Rafforzamento dei Legami di Comunità. Si tratta di un costrutto piuttosto ampio (ed anche connotato da ambiguità e, talvolta, da pericoli) che raccoglie al suo interno una serie di iniziative e di esperienze molto diverse, sia per il tipo di interventi adottati, sia per i soggetti coinvolti, che per la specificità delle aree interessate e dei tempi presi in considerazione. Una prevenzione che sia in grado non solo di prevenire in concreto gli episodi delittuosi – e quindi poter assicurare una sicurezza oggettiva; ma che si dimostri idonea a conferire ai cittadini un senso di sicurezza (quindi sulla base di un versante soggettivo). Il sentire di sicurezza, sulla base di meditazioni e risultati che il gruppo di lavoro del Progetto INNES ha sinora conseguito, può essere raggiunto, o perlomeno avvicinato, mediante interventi di carattere informale. Ciò significa che il senso di sicurezza non si identifica necessariamente con il rafforzamento dell’apparato normativo, o con un suo orientamento in senso repressivo; ma che può essere conseguito attraverso il coinvolgimento della cittadinanza nella costruzione di una società più attenta e sensibile alle criticità, alle debolezze ed agli aspetti di carattere relazionale.
2017
RIPENSARE IL TERRORISMO VENT’ANNI DOPO l’11 SETTEMBRE 2001 IL CONTRIBUTO DELLA PSICOLOGIA E DEGLI PSICOLOGI Rileggere il testo GRATUITO, editato dall’Ordine degli Psicologi del Piemonte: LA VITA AI TEMPI DEL TERRORISMO. PSICOLOGIA E FIDUCIA PER GESTIRE LA PAURA E FRONTEGGIARE IL MALE Riflettere sugli eventi del passato e del presente, reimparare e aggiornare le tragiche lezioni, conoscere la realtà per prevenirne gli sviluppi negativi, costruire la cultura della pace. Cosa sono la paura, il terrore, il Male? Soprattutto oggi, nel XXI secolo, agli inizi del Terzo Millennio? Quanto vale la vita umana sotto l’incubo del terrorismo estremo? Si riesce a sopravvivere? Si riesce a vivere? Prevarrà l’insicurezza? Si riuscirà mai a tornare alla perduta sicurezza? Per soddisfare queste cruciali e quotidiane domande (implicanti non facili risposte) è necessario cominciare a chiarirsi le idee. Almeno qualcuna. A questo scopo il presente libro è stato pensato e realizzato, raccogliendo una serie di contributi provenienti da esperti con differenti competenze. Una task force di quindici autori si è messa al lavoro. Il significato e la finalità di questo volume sono evidenti: esso costituisce il contributo dell’Ordine degli Psicologi del Piemonte alla conoscenza del Terrorismo: su un problema di estrema attualità una chiave di lettura a beneficio dei professionisti, dei ricercatori e della popolazione tutta. Il Terrorismo, quindi. Che fare? Guardare o non guardare? Vedere o non vedere? Cercare di comprendere oppure ignorare? Il messaggio della psicologia è forte, chiaro, inequivocabile, coraggioso: una spinta con l’esplicito obiettivo di costruire una “Cultura contro il Male, per il Bene, per la Pace”. Quest’opera costituisce una immersione all’interno dello studio psicologico del terrorismo, nel senso che “capire è anche agire”. Prima la comprensione, che comunque è già azione. È già conforto, è già fiducia, è già rassicurazione.