"Sulla soglia della Chiesa". Note per una lettura "religiosa" dell'opera di C. Pavese (original) (raw)
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In Impegno, 28 (2017) 2
Il silenzio del mondo. Una lettura filosofica del «Carcere» di Pavese
In «Critical Hermeneutics», VI, 1, 2022, pp. 151-176, ISSN: 2533-1825 The purpose of this essay is to analyse Pavese's novel The Political Prisoner in a philosophical-hermeneutic key. It intends to show how Pavese traces an existential phenomenology (albeit anomalous respect to common experience) of life in prison, which brings to light some philosophical categories that mark living in freedom and in prison. Nevertheless the suspension, bewilderment and precariousness of life in prison show some of the essential elements that make existence worthy and authentic. In The Political Prisoner, it is as if we see the negativeness of life itself, a great cosmic metaphor which Pavese reflects on and gives some solutions to.
Questo saggio riporta alla luce l’importanza di Carlo Levi come scrittore e come scrittore-pensatore e la ricolloca nella prospettiva adatta per fare della sua opera una delle esperienze culturali più interessanti del ’900, da mettere accanto a quella di Cesare Pavese, per il discorso mitico, e a quella di un certo De Martino e di un certo Pasolini per il discorso sulla trasformazione antropologica delle culture popolari. Il concetto di sacro e le sue implicazioni con le culture del modernismo, il fondo biblico e teologico della formazione di Levi, i risultati in campo artistico e la loro relazione con la scrittura, il tema del tempo, le letture psicanalitiche (in particolare quella junghiana), gli accostamenti con il pensiero di Benjamin: questi sono solo alcuni dei nuclei che contraddistinguono la ricerca e le conferiscono qualità nuove, originali, non del tutto illuminate dalla critica precedente.
Varcare la soglia. Il simbolismo della porta. Antropologia – Liturgia – Cultura
La religione sin dai suoi esordi elabora un immaginario creativo dal quale emergono varie dimensioni della vita culturale. Per l’homo religiosus la divinità abita i luoghi e i tempi; si manifesta nei simboli della sua presenza. Il divino trascendente ed eterno è allo stesso momento immanente, vicino, legato alla storia e alla terra dell’uomo. L’emergenza dei simboli e dei riti è legata alla manifestazione del divino, alla sua irruzione nel tempo e spazio. L’origine dei simboli, spazi, oggetti sacri va ricercata in una manifestazione del divino nel mondo. Il cristianesimo con i suoi simboli e riti, con le sue pratiche religiose e tradizioni, fa parte di questa universale tradizione del sacro. Inoltre, il cristianesimo accoglie le strutture antropologiche, le incorpora e porta l’umanità e la cultura dell’uomo all’apertura verso Dio. In realtà, come vedremo, la verità della porta corrisponde alla verità dell’uomo come essere storico e corporeo. Noi siamo esseri collocati nel mondo; siamo un corpo, un tempo, una cultura. E proprio a partire da questa nostra “casa dell’umanità” incontriamo il sacro, apriamo l’esistenza al divino. La porta è un segno visibile di questo incontro. Partendo da queste premesse, la riflessione sulla porta/portale intende non solo leggere e interpretare il significato della forma simbolica, ma ripensare le strutture che regolano dal di dentro questo simbolo nella pratica religiosa e nell’esperienza umana. La riflessione si muove quindi su due binari: si tratta di cogliere sia le categorie che sono di ordine teologico-liturgico (che vuol dire ‘la porta’ nella prospettiva teologica e rituale?) sia quelle di ordine antropologico-culturale (come si articola la simbolica della porta nell’ordine della coscienza/esperienza dell’uomo e della sua cultura?). Ritrovare il senso dello spazio sacro e delle sue componenti – nel nostro caso della porta/portale – significa comprendere i legami tra la struttura dell’uomo e le strutture della religione, specialmente visibile nella simbolica rituale. Queste coordinate tracciano l’itinerario della mia relazione: tende alla comprensione della porta come realtà teologica includendo i suoi risvolti antropologici e culturali.
Sulla soglia del rito.Note fenomenologiche sulla liminalità
Rivista liturgica, 2024
La nozione di liminalità ha accompagnato in maniera rilevante recenti sviluppi negli studi liturgici. Com'è ben noto, questa categoria analitica, originariamente coniata dalle teorie antropologiche con le quali sono stati interpretati riti di passaggio (A. Van Gennep) e successivamente performance culturali (V. Turner), è stata diffusa nelle varie discipline fino ad essere accolta nelle ricerche teologiche interessate alla ritualità liturgica. Il concetto designa una metamorfosi con il quale un soggetto passando da uno stato all'altro assume una nuova forma di identità/esistenza accogliendo l'ethos della comunità a cui viene aggregato. Implicanze antropologiche, psicologiche, sociali che derivano dall'esperienza liminale, numerose e complesse, sono state ampiamente documentate negli studi e ricerche pluridisciplinari.