"Il canone espositivo e il caso Ambiente/Arte" (The exhibitionary canon and the case of Ambient/Art) - Esposizioni - Convegno internazionale, CSAC, Abbazia di Valserena, Parma 27-28 gennaio 2017 (original) (raw)
Related papers
Ricerche di S/Confine, Università di Parma - Dossier 4, 2018, 2018
Nel testo A canon of exhibitions, Bruce Altshuler spiega come abbia stabilito i criteri che gli hanno permesso di individuare le mostre che potevano definirsi "canoniche" ed entrare in una storia delle esposizioni che egli stesso stava contribuendo a delineare a partire dal 1994. Seguendo questi criteri Ambiente/Arte: dal Futurismo alla Body Art risulta essere una mostra canonica esemplare: curata da Germano Celant e fulcro dell'intera edizione tematica della Biennale di Venezia del 1976, è stata la prima mostra a storicizzare l'arte installativa (dunque centrale per la storia dell'arte) oltre ad avere proposto un allestimento concettualmente così complesso da aprire innumerevoli narrative (dunque centrale per la metodologia curatoriale).Il mio intervento intende compiere una prima analisi di un caso studio emblematico ancora senza letteratura, proponendo un inquadramento del contesto nel quale la mostra Ambiente/Arte è stata concepita, spiegando i motivi della sua rilevanza e tracciando un bilancio critico che ricade su una questione metodologica e di messa in discussione degli strumenti interpretativi finora elaborati per la scrittura della Storia delle Esposizioni. In A canon of exhibitions, Bruce Altshuler explains how he established the criteria that allowed him to identify the exhibitions that could be defined as "canonical" and enter into a history of the exhibitions that he was helping to delineate starting from 1994. Following these criteria Environment / Art: from Futurism to Body Art turns out to be an exemplary canonical exhibition: curated by Germano Celant and fulcrum of the entire thematic edition of the 1976 Venice Biennale, it was the first exhibition to historicize the installation art and therefore it's central for the history of art, and for proposing a conceptually complex setup to open countless narratives in terms of curatorial innovation. My intervention intends to make a first analysis of an emblematic case study still without literature, proposing a framework of the context in which the exhibition Environment / Art was conceived, explaining the reasons for its relevance and drawing a critical balance that falls on a methodological question and questioning the interpretative tools developed up to now for the writing of the History of Exhibitions. Nel 2010 Bruce Altshuler pubblica A canon of exhibitions (Altshuler 2010), il testo in cui spiega quali fossero stati i criteri che gli permisero di individuare le mostre che potevano essere definite "canoniche" e quindi entrare di diritto in una storia delle esposizioni che lui stesso aveva iniziato a delineare con la pubblicazione, nel 1994, di The Avantgarde in Exhibition (Altshuler 1994). Il lancio della serie Exhibition histories di Afterall è del 2010 e tra il 2008 e il 2013 sono usciti i due tomi sulle mostre che hanno fatto la storia, editi da Phaidon, di nuovo a cura di Bruce Altshuler (Altshuler 2008, 2013). Dunque la questione del canone è piuttosto recente.
Convegno internazionale 'Esposizioni', Parma, Archivio-Museo CSAC, 27-28 gennaio 2017
Umanesimo, Disumanesimo nell'arte europea 1890/1980: allestimenti radicali tra avanguardia e spazi storici (Firenze, 1980) L’intervento indaga le originali scelte allestitive della manifestazione Umanesimo, Disumanesimo nell’arte europea 1890/1980 curata da Lara-Vinca Masini a Firenze nel 1980 all’interno del Palagio di Parte Guelfa e in varie sedi esterne del centro storico. Prendendo avvio dall’analisi della scala “anti-prospettica” realizzata da Piero Frassinelli/Superstudio quale filtro sia fisico che simbolico tra il percorso della mostra storica nel Palagio e l’itinerario delle installazioni site-specific diffuse nella città, si approfondirà il determinante ruolo giocato in questo evento sperimentale dal progetto di allestimento nel proporre una inedita e dirompente relazione tra arte d’avanguardia e spazi storici. Articolata su due livelli interconnessi e complementari in una serrata dialettica tra ambienti interni ed esterni fortemente connotati, l’organizzazione spaziale della manifestazione diviene parte fondante di una scrittura espositiva che si sostanzia attraverso l’apporto di approcci disciplinari diversi: critico-curatoriali, artistici e architettonici. A emergere è una messa in forma dello spazio dal forte assunto critico-concettuale che, in avvio del decennio degli Ottanta, segna il punto di massima consapevolezza e compimento della riflessione sull’eredità storica di Firenze da parte delle ricerche artistiche e architettoniche d’avanguardia.
2018
Una formidabile stagione di valorizzazione e di conoscenza per l’arte antica genovese matura nella prima metà del Novecento, quando in Italia e in Europa diversi momenti espositivi spettacolari contribuiscono a definirne la specificità storiografica (soprattutto tra Rinascimento e Barocco), affiancando tale vicenda alle più note e, in quella fase, già consolidate realtà toscane, romane e venete. Nel delta cronologico preso a riferimento, lo spazio ‘effimero’ della mostra si affianca a quello istituzionale del museo, spesso in gestazione, completandosi vicendevolmente in un progetto culturale unitario, davvero di portata internazionale. E’ Orlando Grosso, pittore e direttore dell’Ufficio Belle Arti di Genova, a tracciare il perimetro di un case study sino a quel momento praticamente inedito: l’approccio di Grosso è contraddistinto da un saper vedere ‘largo’, sicuramente condizionato dalla politica del tempo, ma utile anche a porre le basi per gli approfondimenti che si susseguiranno nel secondo dopoguerra. Procedendo per casi esemplari, il contributo intende tracciare le coordinate delle mostre e degli allestimenti museali genovesi attraverso l’attività di un intellettuale al centro di relazioni estese e sempre di notevole livello (Berenson, Longhi, Ragghianti, Geiger, Bernard). Quella di Grosso è stata una progettualità sofisticata, a sostegno di una politica espositiva capace di grandi aperture: dal 1908 al 1948, si moltiplicarono gli appuntamenti culturali da lui promossi, di cui si mantiene traccia attraverso i cataloghi, le recensioni sulle maggiori riviste di quegli anni, la documentazione archivistica e fotografica. Con Camille Enlhart, Ugo Ojetti e Corrado Ricci, in particolare, egli tratterà a lungo della creazione di un museo di arte italiana contemporanea a Parigi, tutto questo in parallelo alla prima apertura ‘moderna’ di Palazzo Bianco in Strada Nuova e alla creazione di quel sistema museale cittadino divenuto poi paradigma, nell’Italia della ricostruzione, con l’esperienza di Franco Albini e di Caterina Marcenaro.
2018
Nel 1516, esattamente cinque secoli anni fa, Thomas More pubblicava Utopia, libello ancora di notevole attualità per la sua visione immaginifica di una società – per l’appunto utopica – retta secondo la ragione naturale e dove la cultura domina e regola la vita degli uomini. Accanto a questa lettura, proprio quest’anno e per pura casualità, ho avuto occasione di percorrere le pagine di un ben più recente pamphlet (solo per dimensioni, sia ben inteso), a firma di Giuliano Volpe, dal titolo Patrimonio al futuro. Un manifesto per i beni culturali ed il paesaggio, Milano 2015. Pur a distanza di secoli, ho trovato che questi due libri, ovviamente diversissimi per impostazione e contenuti, potrebbero essere apparentati nel comune denominatore del titolo del “romanzo” Utopia, oltre che in una visione tutto sommato ottimistica delle sorti umane. Infatti, il termine “utopia”, da ben sondare nella sua densità semantica, non va inteso solo nella sua etimologia privativa (οὐ-τόπος) ma anche e, forse, soprattutto positiva (εὐ-τόπος). Di qui discende – ed ecco il trait d’union conceptuel – che i due libri non parlino di luoghi astratti, ovvero di non-luoghi, ma di contesti reali, possibili, oltre che sperabili. In questo le pagine in cui Volpe propone una proiezione futura sul patrimonio culturale italiano, costituito per l’appunto da luoghi, cose, contesti e paesaggi, oltre che da uomini e donne, in una visione globale, transdisciplinare dell’avvenire dei beni culturali del Paese, mi hanno incuriosito, inducendomi a una più diretta “esperienza” dell’utopia positiva di cui sopra, applicata a uno spazio museale a me noto, la Pilotta farnesiana di Parma (Fig. 1). [...]