BOATO A., Catene e ancoraggi metallici negli edifici storici genovesi, in Atti del Convegno “Scienza e beni culturali” XXXI, Metalli in architettura. Conoscenza, conservazione, innovazione (Bressanone 30 giugno-3 luglio 2015), Marghera (Venezia), 2015, pp. 409-418 (original) (raw)
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2015
Restore an historic building requires caution, careful in choosing materials and great reflection on the attitude to keep. The result of each intervention on the historical heritage depends on the resolution of some issues: the size relationship between 'completion' and ruin, treatment of the layers and material compatibility. It’s the choices of materials to qualify the contemporary language of the project. Among the projects that have been confronted in recent years with these issues, it was decided to select some whose common feature was that they had used, as matter prevalent, the corten steel. The selection includes projects which restore only missing parts and those that provide for the inclusion of new elements aimed to reuse. Corten steel combines the steel’s qualities to the further characteristic of a surface appearance 'ever changing', which refers to the passage of time. An element capable of introducing a contemporary language in historic buildings and rebuilding ties with ancient materials. The particular features of the material, aesthetically valuable, requires a lots of technological and constructive safeguards, aspects should not be underestimated. The analysis confirmed the corten’s great aesthetic and structural efficiency. Specifically its use helps to solve spatial and techniques issues respecting the historic materials. More problematic seem to be projects that use corten steel as a coating for new volumes added to the ruins of historic building’s.
«Melanges de l'Ecole Française de Rome. Italie et Méditerranée - MEFRIM», 119-2, 2007, L'écomonie de la construction dans l'Italie moderne, Roma, 2008, 2008
Gli elementi metallici nella carpenteria medievale abruzzese. Studio dei reperti, 2021
Tutti i popoli antichi facevano uso del legno nella realizzazione delle strutture edilizie. Allo stesso modo, o anche di più, accadeva nel medioevo: il carpentiere, il falegname, lo scalpellino erano alcuni dei ruoli più importanti all’interno di un cantiere. Gli strumenti e gli attrezzi legati alla carpenteria sono vari, comprendono diverse categorie e il loro studio può fornire informazioni utili ad approfondire le conoscenze dei contesti di rinvenimento, nonostante la difficoltà che reperti del genere recano con loro: ossia la loro scarsa utilità dal punto di vista cronologico, frutto di un processo evolutivo molto precoce nel tempo che ha permesso a questi oggetti di mantenere invariate nel corso dei secoli la loro funzione e le proprie forme. Le testimonianze archeologiche dell’attività edilizia, oltre che dagli edifici stessi, sono costituite da una serie di reperti metallici che vanno dai chiodi, da tetto e da infissi, alle cerniere (a coppiglia e non), per porte e finestre, dalle serrature ai ganci con diverse funzioni. Allo stesso modo il mobilio delle abitazioni non lascia traccia alcuna se non fosse per le sue parti metalliche. Alcuni dei reperti impiegati nell’edilizia svolgono le loro funzioni, in dimensioni ridotte, anche nel mobilio: chiodi da carpenteria per la realizzazione dei mobili e da decoro, serrature e boncinelli per la chiusura delle casse di legno, cerniere da mobilio. A questi reperti vanno poi aggiunti gli strumenti propriamente utilizzati nella lavorazione del legno, come la roncola, l’ascia da carpentiere, il coltello a petto. Lo studio che viene presentato in questa sede ha focalizzato l’attenzione su questa tipologia di reperti metallici legati alla lavorazione e all’uso del legno, provenienti dal territorio dell’Abruzzo interno, interessato da un ventennio di ricerche archeologiche condotte dall’Università degli Studi dell’Aquila.
2019
The rural culture of the Val di Chiana is still phisically represented by Leopoldine, the farms realised during the land drainage carried out by the Grand Duke Pietro Leopoldo di Lorena (1765-1790). As a part of a wider program of civil and administrative reforms, this architecture has been cornerstones of agricultural production management. Materials, construction techniques and the connection with the land identify the landscape of the Leopoldine drainage. Between the end of the nineteenth and the beginning of the twentieth century, the modernization in the agronomic field and the changes of social needed led to the abandonment of the farms. Currently the heritage of the reclamation, which survives in the Val di Chiana, has a lot of problems related to its conservation and sustainable use. In the Cortona's territory there are dozens of Leopoldine. They are in ruins and some of them are in renovation and conservative restoration process for their re- uses. The paper focuses on the case of Cortona, where there are several Leopoldine. Because of the change of the agricultural production and social transformations, strategies for the compatible and sustainable re-use are needed. At the present several steps were begun to protect the landscape by the public administration, but it is necessary a multidisciplinary sinergy to assure the values conservation and the sustainable development.
2015
Come erano distribuite le botteghe degli orefici nel tessuto urbano della Modena antica? In epoca medievale e rinascimentale si concentravano sulla piazza Grande, e più precisamente attorno alle absidi del Duomo e presso la sua torre Ghirlandina. Era infatti la piazza, compresa fra i due poli del potere religioso, rappresentato dal Duomo e dal Vescovado, e del potere civile con i palazzi della Comunità, il vero cuore della città. Le piccole botteghe degli orefici si collocavano, prevalentemente, al riparo delle arche sepolcrali, e cioè dei sarcofagi della Mutina romana che il sottosuolo andava restituendo durante scavi, e che venivano eretti appunto sulla piazza Grande, spesso addossati al Duomo, elevati su mensole o su colonne, orgogliosamente esibiti come monumenti celebrativi delle gloriose radici romane della città. All'anno 1680 erano registrati in Modena, capitale del ducato estense da quasi un secolo, venticinque gioiellieri di cui dieci appartenenti alla Comunità ebraica modenese. Nella piazza, già attorno al 1680 il settore meridionale del portico del Palazzo Comunale, verso la Ghirlandina, veniva detto "Portico degli Orefici". Ancora nel Settecento perdura la concentrazione delle botteghe degli orefici nella piazza Grande e nelle strade limitrofe, come il corso Canalchiaro e la via Castellaro. Dagli ultimi decenni del Settecento, con la riqualificazione della via Emilia negli anni sessanta del secolo, nell'ambito della riforma urbanistica ed edilizia voluta dal duca Francesco III d'Este, gli orefici vanno orientandosi verso quest'ultima arteria, con preferenza per il Portico del Collegio, l'elegante porticato del Collegio San Carlo o dei Nobili.