Festival dell'Archeologia e del Turismo Vibo Valentia VIBO VALENTIA AULA MAGNA LICEO VITO CAPIALBI (original) (raw)
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Dal collezionismo alla storia. Vito Capialbi e i Brettii a Vibo Valentia
Vito Capialbi e Vibo Valentia: vecchie scoperte e nuove ricerche archeologiche Vito Capialbi esponente illuminato di una delle più antiche famiglie di Vibo Valentia nella prima metà dell’ottocento mosso dalla “brama d’illustrar la patria” e spinto dal disaggio di vivere in “tempi tutt’altro che favorevoli alle muse” si lascia guidare dal “santo fuoco del sapere”. Tutto ciò che è antico suscita nel conte curiosità. Se in un primo periodo il suo interesse per l’archeologia prende le mosse da rinvenimenti legati al mero gusto del collezionismo successivamente la sua attività è tutta finalizzata alla rigorosa e dettagliata documentazione di ogni piccola traccia del passato. Possiamo seguire il suo fare affannoso nei cantieri urbani nel tentativo di raccogliere quante più informazioni possibili sulla storia della sua Montelione. E ancora oggi, nonostante la parzialità dei dati editi, i suoi resoconti di scavo riescono a fornire spunti inattesi alle nostre riflessioni archeologiche. Nel corso di questo studio l’attenzione è stata incentrata sullo scavo delle necropoli al Cofinello, dove ad oggi il conte è l’unico archeologo ad aver operato. Grazie alle sue riflessioni di scavo e ad un’attenta analisi della ceramica a vernice nera della Collezione Capialbi è stato possibile ipotizzare una ben caratterizzata fase d’uso italiota di quest’area cimiteriale. Sui Brettii e sulla loro presenza a Vibo Valentia ancora avvolta nel mistero sono gli scritti del Capialbi che ci aiutano ad identificare tracce tangibili. Nell’attesa che la moderna ricerca archeologica riesca a compiere ulteriori quanto assolutamente indispensabili passi avanti è ancora il conte Vito a guidarci in molti dei capitoli della millenaria storia della sua amata Montelione.
2005
Quando Vito Capialbi (1790-1853) crea a Vibo Valentia, in Calabria, la sua collezione antiquaria che riunisce ceramiche, iscrizioni e soprattutto un ricchissimo medagliere, a testimoniare il passato glorioso di Hipponion e dell'intera Magna Grecia, sembra guardare specialmente a Napoli, principale sede e baricentro della cultura erudita e accademica in Italia meridionale. Ai primi decenni dell 'Ottocento, era naturale che l'interesse e il "gusto" per le antichità trovassero il loro sostegno nelle accademie e alimento in un'attività di scavo pressoché incontrollata. Tuttavia le molte raccolte locali, segno di un collezionismo minore e diffuso, erano destinate a una rapida dispersione o, nel migliore dei casi, a confluire nel Reale Museo Borbonico. Era l'effettonon il solo, non il principaledel profondo divario sociale che all'epoca separava Napoli, e gli intellettuali dell'ambiente di corte, dalle province del regno dove eruditi, ecclesiastici e nobili si sforzavano di indagare la classicità greca e romana sugli oggetti oltre che sui testi. Perciò la collezione è interessante innanzitutto per la sua sostanziale integrità, fatta eccezione per alcune perdite recenti. Rimasta quale in origine l'aveva concepita Capialbi, essa è in grado di chiarire la formazione, il gusto e le attese culturali del suo promotore, che fu certamente un antiquario e un numismatico, ma prima ancora un bibliofilo attentissimo e un poligrafo di stampo settecentesco: tutti questi aspetti, nel loro insieme non contraddittori, emergono dalle sue opere, poche delle quali ebbero un carattere esclusivamente archeologico. In definitiva si tratta di quelle che, per le notizie in esse contenute, meritano ancora la nostra attenzione: il Cenno sulle mura d 'Ipponio recante in appendice Il Giornale degli scavi di Montelione nelle "Memorie dell'Instituto di Corrispondenza Archeologica" (1832); alcuni brevissimi scritti antiquari apparsi in periodici siciliani o calabresi, e poi compresi negli Opuscoli varii, t. I (1840); la preziosa silloge epigrafica dal titolo Inscriptionum Vibonensium specimen (1 845); Di un 'ara dedicata alla Giunone Lacinia (1846); per finire con l'epistola Mesma , e Medama furon due , o una città dell'antica Italia? Si aggiungono i Nuovi motivi comprovanti la dualità delle medesime (1 848, in quarta edizione, sempre a spese dell'autore). Sono operette d'argomento magnogreco confinato però all'ambito locale o al massimo regionale, che furono scritte di pari passo con l'ampliarsi della raccolta archeologicaappellata da Capialbi con apparente noncuranza la "mia collezioncina", il "mio cimelio", il "mio museolo domestico" -. Ma in pari tempo egli definiva e stringeva epistolarmente, senza quasi mai allontanarsi da Vibo Valentia, i contatti personali: dalle lettere selezionate e raccolte negli Opuscoli varii, t. III (1849) viene allo scoperto la sua preoccupazione d'evitare l'isolamento culturale e la conseguente necessità d'intessere un'ampia e fittissima rete di relazioni non solo con i tanti esperti antiquari da lui non dissimili, ma soprattutto con i più grandi studiosi del suo tempo, da Bartolomeo Borghesi a Theodor Mommsen. Non può dunque meravigliare che Vito Capialbi ambisse precocem ente a stringere legami con l'ambiente accademico napoletano. Le attestazioni di stima fanno da cornice alla prima citazione della raccolta inserita nel resoconto di un viaggiatore scozzese, Craufurd Tait Ramage,
Vibo Valentia tra Cinquecento e Settecento
Il Dispaccio, 2021
Il prestigioso riconoscimento ottenuto da Vibo Valentia, proclamata "Capitale italiana del libro per il 2021" dal ministro della Cultura Dario Franceschini, offre lo spunto per ricordare le descrizioni dell'antica Monteleone fatte da autori di età moderna come Barrio, Mazzella, Marafioti, Fiore, Pacichelli e Alfano. Articolo pubblicato su «Il Dispaccio» del 25 maggio 2021.