Una teoria dell'ambivalenza mediale: la 'terza via' alla filosofia dei media di Sybille Krämer (original) (raw)
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Fantasie mediali: La storia dei media e la sfida dell’immaginario
One of the most fascinating and challenging questions for historians of communications media concerns the way technology stimulates expectations, fears, beliefs, and visions. Which is the place of human imagination in a discipline such as media history, whose main focus is on artefacts and machines? This paper aims to answer this question. The first three sections illustrate and discuss three examples of “media fantasies” from the history of media: the relationship between media technologies and beliefs in the supernatural; the use of anecdotes to relate the emergence of a given medium; and the prophecies which attempts to forecast the future of technology. In the fourth section, the area of media archaeology is discussed as potential theoretical frame to study the imaginary in media history. Focusing on aspects which are frequently neglected by traditional historical scholarship, media archaeology might provide scholars in media history with fruitful methodological and theoretical keys to address this topic.
Per un nuovo 'illuminismo digitale'. Pensare i media oggi. Intervista a Sybille Krämer
DoppioZero, 2020
In occasione della pubblicazione in traduzione italiana (2020) del suo libro del 2008, "Piccola metafisica della medialità. Medium, messaggero, trasmissione" (tr. a cura di F. Buongiorno, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2020), già tradotto in giapponese e in inglese, Sybille Krämer ripercorre in questa intervista alcuni temi fondamentali della sua proposta filosofica. Il percorso delineato culmina nella proposta di un lavoro filosofico comune per un nuovo ‘illuminismo digitale’ che, senza dimenticare la natura ambivalente dei media, permetta la maturazione di una coscienza critica diffusa che sappia riconoscere e assumere tale ambivalenza e sfruttarla nella costruzione di buone pratiche sociali, culturali e politiche.
LE PIZIE MEDIATICHE (saggio pubblicato sulla rivista Mondoperaio n°1 del 2018)
Mondoperaio, 2018
Siamo un paese che eccelle nella produzione di beni per l'export, che ha accumulato risparmi privati senza confronto con quelli di altri paesi occidentali: ma ampi settori del ceto medio hanno visto diminuire proventi e occasioni di lavoro. Sono cresciuti gli impieghi a bassa redditività, occupazioni che nascondono una proletarizzazione di settori sociali: dipendenti di supermarket aperti fino a mezzanotte e nei giorni festivi, dipendenti delle compagnie aeree low cost, operatori di call center, e altri se ne potrebbero aggiungere. La gran parte dei giovani non può aspirare a livelli economici migliori di quelle dei genitori; in troppi soffrono condizioni di lavoro che rimandano a tempi che sembravano dimenticati: stipendi bassi anche per i laureati, tanti lavori a tempo determinato mascherati da partite Iva. A livello locale è difficile trovare una capitale europea nelle stesse condizioni di Roma. L'attuale amministrazione brilla per la sua incompetenza, ma almeno quattro o cinque amministrazioni precedenti hanno fatto tutto il possibile per trasformare i servizi municipali in enti autoreferenziali: strutture impegnate a tutelare i dipendenti, non ad assolvere il loro compito. Manca una strategia per fare fronte ad una immigrazione senza precedenti: l'Africa nei prossimi decenni raddoppierà la sua popolazione, e in tanti pensano che l'Italia e l'Europa possano essere la valvola di sfogo di questo evento. Le élite appaiono incapaci di farsene carico: per vanità, perché vivono una vita agiata, per rigidità ideologica . E la loro scarsa propensione alle riforme è il migliore strumento di promozione del populismo. Sono anche lo specchio di una società che nella sua maggioranza propende a lasciare le cose come stanno: a gran voce si chiede che tutto cambi ma poi si critica ogni possibile intervento nel timore di perdere i vantaggi presenti. Più che riforme si vorrebbero dei miracoli indolori.
Le nuove tecnologie dell'informazione hanno accelerato esponenzialmente i processi di osmosi tra testi, generi e media. Se è assodato che la narrativa letteraria ha fatto sua la de-scrittività propria delle arti figurative e della fotografia, che il cinema e la serialità televisiva si sono appropriati di forme e contenuti originari della narrativa letteraria e della musica, meno ovvio è il fatto che la narrativa letteraria degli ultimi decenni sia incessantemente rimodellata dalle nuove forme di mimesi e dai nuovi immaginari generati dai media audio-visivi e dalla rete. Entro una cornice di riflessione ampia e stratificata sull'intermedialità, il volume si divide in due parti: una prima incentrata sulle ibridazioni del racconto audiovisi-vo, una seconda sulle contaminazioni di quello letterario.
La mediazione critica nell’era della disintermediazione
2018
What could happen to theatre criticism in the era of disintermediation? Theatre appears obsolete, old fashioned, and elitist. Critical attitude seems uncool in a mediasphere ruled by images and emotional responses. On the other hand, critical activity on the web is quite intense and widespread, and the community of actors and audience could give us a useful insight into the visualisation processes we are experiencing. The critic, more than a consumer, becomes a witness of the creative process and of the theatrical event.
Il mito della parola scritta. Filosofia [dei] nuovi media (Livello 0 – beta version)
in "Lessico di etica pubblica", n. 1, pp. 157-178, 2022
The paper is part of a larger project which aims to build a philosophy of new media. It starts stressing that the current transition from literacy to digitalisation involves philosophical discourse in not only an extroverted but also an introverted direction: philosophers are challenged to investigate how public discourse and the world at large are changing in the light of the new media, but also how the philosophical world and discourse themselves are changing, to the point of questioning whether they are destined to remain as such, discursive (§ 0). In order to open up an explicit confrontation with such a problem, I first discuss the state of the art of the philosophy “of” the image within the field of visual culture studies (§ 1), and then claim that philosophical activity is grounded on the “myth of the written word”, describing it both as a practical habit (§ 2) and as a mental habit (§ 3). After that, I examine some apparent exceptions to this consolidated attitude (§ 4), and conclude by pointing out the need to start paying attention to the graphic dimension of philosophical thought (§ 5).
Mediare l’incommensurabile. Note sul rapporto tra filosofia e traduzione
Mediare l’incommensurabile. Note sul rapporto tra filosofia e traduzione, «Teoria», 2020
Both post-structuralist and hermeneutical thinking have recognized tran- slation as the very essence of philosophy. However, they also reached the con- clusion that translation – i.e., the λόγος as it was shaped during centuries of philosophical tradition – is untenable. In their view, philosophy held possible to establish an equivalence between different meanings (an equivalence which translation necessarily implies) either without taking properly into account the problematic existence of the incommensurable, or deliberately avoiding it. Another objection has it that the λόγος never fully detached itself from the pre- philosophical world of myth. The essay will show that it is sacrifice, and not the λόγος, that presupposes the equivalence between meanings without proble- matizing the incommensurable. Moreover, λόγος is actually opposed to myth in its unrepentant denunciation of the innocence of all sacrificial victims.