Dalla caduta della Repubblica Veneta all'età napoleonica (original) (raw)

Venezia contro Napoleone, 1796-97 morte di una repubblica: introduzione

Venezia contro Napoleone, 1796-97 morte di una repubblica, 2019

Il biennio 1796-97 ricostruito come mai è stato tentato finora: al di fuori di qualunque visione di parte, come e perché la repubblica Serenissima è finita nell’occhio del ciclone dei grandi conflitti euro-mondiali. Verità certe e lezioni utili oggi per noi, che occupiamo la medesima posizione geografica e siamo eredi della sua vicenda millenaria. Perché la geopolitica non è uno strano gioco di società bensì la strumento necessario per analizzare i fatti e compiere scelte consapevoli partendo dalla realtà geografica e storica. Esistono delle costanti di lungo periodo, infatti, indispensabili da conoscere per poter agire. Le stesse dominate dai grandi statisti veneziani dal Duecento al Quattrocento per costruire un impero e delle quali i discendenti nel Settecento, invece, sono rimasti vittime. The period 1796-97 reconstructed as never before has been attempted: outside of any partisan vision, how and why the Serenissima republic ended up in the eye of the storm of the great Euro-world conflicts. Certain truths and useful lessons for us today, which occupy the same geographical position and are heirs to his thousand-year history. Because geopolitics is not a strange game of society but the necessary tool to analyze the facts and make informed choices starting from the geographical and historical reality. There are long-term constants, in fact, indispensable to know in order to act. The same dominated by the great Venetian statesmen from the thirteenth to the fifteenth century to build an empire and of which the descendants in the eighteenth century, however, remained victims.

L'Ager Veientanus in Età Repubblicana

Papers of the British School at Rome, 1984

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Stato, Guerra e Finanza Nella Repubblica DI Venezia Fra Medioevo e Prima Età Moderna

storiamediterranea.it

Agli inizi degli anni Settanta del Cinquecento Battista D'Agnolo del Moro dipinse un quadro da collocare nella Camera dell'Armamento, uno dei più importanti uffici amministrativi della flotta. Esso raffigura in primo piano, fra pesanti sacchi di monete, tre provveditori all'armar che, sotto lo sguardo attento di San Marco, consegnano del denaro a un soldato in fogge da antico romano. Sullo sfondo il doge e alti dignitari della Repubblica salutano truppe che, al suono di tamburi e trombe, stanno imbarcandosi sulle galee 1. L'opera ha un chiaro valore allegorico: da un lato San Marco e il soldato romano sottolineano la sacralità della guerra e la continuità con le glorie di Roma; dall'altro lato si evidenzia lo stretto legame, molto più prosaico, fra il denaro e la guerra. Il quadro illustra scene abbastanza usuali per un veneziano, ma che assumevano un grande valore per l'intensità ideologica e per la mobilitazione di mezzi e risorse che il governo intraprendeva. La storia di Venezia è strettamente legata al mare: sul mare Venezia è sorta, e sul mare si è fatta la sua fortuna, conseguendo un potere politico ed economico di grande rilievo. La simbiosi fra la città lagunare e il mare è stata considerata talmente forte e coinvolgente che, non appena i veneziani si furono rivolti verso la terra, si parlò di crisi di identità, di tradimento, di declino morale ed economico. La terra, tuttavia, non era la concorrente del mare: i due elementi si integravano. La conquista di un'ampia area nella Valle Padana agli Luciano Pezzolo STATO, GUERRA E FINANZA NELLA REPUBBLICA DI VENEZIA FRA MEDIOEVO E PRIMA ETÀ MODERNA Il presente saggio riprende, con notevoli ampliamenti, il testo presentato alla conferenza su «Navies and state formation», tenutasi a Volos il 9-12 settembre 2004. Desidero ringraziare Guido Candiani per i suoi commenti.

22 marzo 1848 Rinasce la Repubblica Veneta

Quali erano i veri obiettivi dell'insurrezione veneziana?" chiese W. Nassau a Daniele Manin negli anni del suo esilio parigino "Preferivamo essere una Repubblica indipendente confederata con gli altri stati italiani" la risposta del protagonista principale di quella straordinaria esperienza chiamata Repubblica Veneta e durata quasi un anno e mezzo, dal 22 marzo 1848 al 24 agosto 1849. E Daniele Manin continua nelle sue riflessioni denunciando: "Se Carlo Alberto si fosse presentato come un uomo disinteressato; se non avesse fatto una guerra egoistica per l'ingrandimento del Piemonte...il Piemonte usava il pretesto di una guerra di liberazione per fare in realtà una guerra di ambizione e di conquista". Purtroppo siamo sempre più coinvolti in una bolgia di retorica di chi cerca disperatamente di far passare una guerra di conquista in una guerra di liberazione, e i professionisti della retorica patriottarda sono gli stessi che cercano di annacquare la nobile figura di Daniele Manin nella macedonia del risorgimento tricolore, di quella macedonia che pretende di presentare i moti del 1848 inserendoli nella prima guerra d'indipendenza. Nel Veneto non fu così. Nel Veneto anche nel 1848 si gridava "Viva San Marco!" e "Viva la Repubblica (Veneta, naturalmente)", nella nostra Terra di parlava di "confederazione", di rapporto paritario con gli altri popoli, altro che l'annessione espansionistica savoiarda basata sui plebisciti-truffa. Ed è un personaggio che non si può certamente definire "venetista" come Giovanni Spadolini che esalta la dimensione "federalista" del Nostro: "Era piuttosto la Repubblica in lega con gli altri stati d'Italia nella grande federazione allora sognata. Federazione italiana, e poi europea (secondo un'intuizione che in Manin -personaggio sotto ogni profilo europeo-fu più perentoria e lampeggiante che non in molti altri uomini del risorgimento)" Daniele Manin nacque a Venezia il 3 giugno 1804 in campo Sant'Agostino da famiglia ebraica convertita al cristianesimo. Gli storici si dividono sul cognome originario: secondo alcuni fu Fonseca, secondo altri Medina. Quando fu battezzato gli fu imposto il cognome del padrino, come si usava all'epoca, fratello dell'ultimo Doge della Serenissima, Ludovico Manin: quasi un presagio. Secondo alcuni autori, la portata storica della rivoluzione veneta del 1848-49 fu sminuita anche per la consistente presenza di ebrei fra i più stretti collaboratori di Daniele Manin; di certo il periodico italiano la "Difesa della Razza" nel 1939 scrive che "i quaranta proscritti dall'Austria dopo la capitolazione di Venezia erano tutti ebrei, più o meno convertiti". La madre fu Anna Maria Bellotto di Padova dalla quale ereditò una caratteristica profondamente veneta, la semplicità, quel suo modo di porsi che portò lo statista francese Ippolito Carnot a definirlo "eroe di saggezza, di coraggio e di semplicità".

Dalla Repubblica Napoletana all'unità d'Italia

Il Risorgimento italiano si porrà tre problemi: 1) indipendenza; 2) libertà; 3) unità territoriale del paese. Indipendenza significa indipendenza dallo straniero, attraverso la distinzione tra cos’è italiano e cosa non lo è, ed attraverso la dotazione di soldati autonomi. L’unità significa superamento della divisione in Stati. Indipendenza, libertà e unità sono i tre ideali incarnati nel Piemonte di Cavour. I soggetti politici che porteranno avanti queste istanze sono diversi e se ne fanno portatori in tempi diversi. Il panorama è estremamente complesso. È errato vedere nella cultura illuminista un segno dell’unità, ma c’è il tentativo di rifare degli Stati italiani, cioè il tentativo di modernizzazione delle realtà politiche all’interno degli Stati uniti dalla pace di Aquisgrana. Tentativi attuati da sovrano illuminati come Leopoldo II di Toscana e Carlo III a Napoli.

Una nuova Coblenza. Venezia e egli emigrati francesi al tramonto della Repubblica

Ateneo Veneto, 2019

At the end of the Eighteenth century Venice had become a primary pole of attraction for émigrés fleeing from revolutionary France, in the view of the French chargé d’affaires. Was he right? This contribution answers to this question by analysing French presence in Venice and by examining how Venetian authorities dealt with the ‘émigrés problem’.

Veneziani a Costantinopoli alla fine del XVI secolo

Veneziani in Levante, Musulmani a Venezia, Quaderni di Studi Arabi, 15 supplemento, 1997

Venerdì 24 muharrem 1004 (29 settembre 1595) il noto predicatore Mevlâna Muhyiddin efendi, parlando nella moschea di Santa Sofia, tuonò che occorreva convincere il sultano a precludere la conduzione dello stato alle donne e che, se ciò non fosse avvenuto in breve tempo, ne sarebbe conseguita sicuramente la rovina dell'Impero. 1 Circa nove mesi erano passati dalla morte di Murad III, quando per le vie della capitale si era visto passare il lunghissimo e mesto corteo formato dalle quaranta favorite del defunto che, con i loro servi e le loro masserizie, lasciavano il Serraglio; altre sette, gravide, erano state appena uccise assieme ai diciannove fratelli del nuovo sovrano, Mehmed III. Più di millecinquecento persone avevano abbandonato in quei giorni il Palazzo, ma il modo di far politica non era cambiato. Si era allora nel pieno di quel periodo che la penna di Ahmed Refik definì con felice espressione kadınlar saltanatı (il sultanato delle donne), influenzando con la sua visione misogina gli storici che vennero dopo di lui. Effettivamente tra la metà del Cinquecento e quella del Seicento l'harem imperiale, con i suoi intrighi e i suoi personaggi che agivano all'ombra del sultano, fu spesso in grado di controllare il governo. Per fare politica non era più sufficiente agire in un mondo esclusivamente maschile; occorreva bensì rivolgersi a nuovi e potenti intermediari: in primo luogo alla sultana vâlide, la madre del sovrano regnante, poi a tutta una cerchia di donne, convertite, musulmane ed ebree, oppure a eunuchi, buffoni e nani, che tenevano i contatti tra l'interno del Serraglio e quanti ne vivevano al di fuori. Con la morte di Nur 1

Oltre la leggenda. Il 421 d.C. nella Venetia

Ateneo Veneto, 209, p. 81-104, 2022

Adopting a critical and interdisciplinary approach, this essay contributes to the debate on the foundation myth of Venice from the perspective of ancient history. First, we deconstruct the legend dating the foundation of Venice to 25 March 421 CE, exploring its genesis and identifying its features as a forgery in terms of chronology, as well as the identity of the putative founders and the offices that they allegedly held. By adding new data to the discussion, we also confirm that the legend was partly inspired by the textual tradition of Livy. Second, we rehearse the general historical coordinates of 421 CE, a year that was dominated by the figure of the Augusta Galla Placidia and that may be considered in many ways insignificant for Roman macro-history. To conclude, we examine the historical situation of the Venetia region including, in particular, of Altinum between the end of the 4th and the first half of the 5th centuries CE, in the light of literary narratives and documentary evidence, paying specific attention to recently discovered epigraphic sources. This new information helps to better contextualise the historical significance of the region in a crucial time between Late Antiquity and the Early Middle Ages.

Dagli eventi politici alle feste cretesi durante il dominio veneziano, in Atti del convegno: Le usate leggiadrie. I cortei, le cerimonie, le feste e il costume nel Mediterraneo tra il XV e XVI secolo (Napoli, 14-16 dicembre 2006), a cura di Gemma Teresa Colesanti, Montella 2010, 263-277.

Quando i Veneziani arrivarono a Creta nel 1211, trovarono probabilmente un consolidato sistema cerimoniale e lo modificarono adattandolo alle proprie esigenze e necessità. Prevalse dunque il calendario festivo della Repubblica veneta 1 al posto di quello bizantino, anche se i due calendari prima dello scisma coincidevano nelle grandi feste cristiane e nella commemorazione dei santi. Così a Creta si trapiantarono le feste cattoliche, come quella del Corpus Domini 2 , o quelle relative a importanti avvenimenti della storia veneziana che sono l'obiettivo della presente relazione. Cominciamo dal festeggiamento del Giovedì Grasso con cui culminavano le manifestazioni in occasione del Carnevale 3 . L'usanza veneziana di festeggiare il Giovedì Grasso fu trasferita dalla metropoli a Creta, in seguito alla vittoria della Serenissima e per la ricorrenza di un tale evento. Nel 1162, giorno del Giovedì Grasso, il doge Vitale Michiel II sconfisse il patriarca di Aquileia Ulrico, il quale con l'appoggio di alcuni feudatari del Friuli attaccò e conquistò Grado costringendo il patriarca Enrico Dandolo a fuggire a Venezia. Il doge prima contrattaccò Ulrico sconfiggendo il suo esercito, poi distrusse alcuni castelli friulani e infine catturò il patriarca e i dodici canonici. Questi furono portati prigionieri a Venezia, ma grazie all'intercessione del papa furono liberati, a condizione che il patriarca inviasse ogni anno a Venezia un toro e dodici maiali -i quali, secondo la tradizione, dovevano rappresentare Ulrico e i dodici canonici -che 1 Sul calendario delle festività veneziane vd. trAmontin -niero -musolino -cAndiAni (1965), pp. 277-327.

La “caduta” dell’Impero Romano nella percezione dei contemporanei

2002

Secondo la tradizione, l'impero romano d'occidente sarebbe "caduto", per usare l'espressione entrata in uso, i primi giorni di settembre dell'anno 476 d.C., a seguito della "deposizione" del suo ultimo sovrano, Romolo Augusto(lo), da parte di un capo barbaro, ma inquadrato nelle forze armate romane, di nome Odoacre. Ma cosa accadde effettivamente in quei lontani giorni e, soprattutto, quale percezione ne ebbero i contemporanei? In buona sostanza: ci fu qualcuno che si rese conto della "caduta dell'impero romano"? E "quando" se ne sarebbe reso conto? A che distanza dai fatti? E poi, che cosa rimane? Di quali fonti disponiamo? Cosa sappiamo di questa percezione e, soprattutto, quali risultati avrebbe avuto tale "caduta"?