Critica del testo e critica letteraria (original) (raw)
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Il formalismo aveva l'obbiettivo di creare una scienza letteraria basata sulle specifiche proprietà del materiale linguistico.
Quaderns d’Italià, 1996
Potremmo magari cominciare con una formula consacrata: in principio era l'originale, anzi l'archetipo… Infatti, per tutti i primi sessant'anni circa dei suoi sviluppi, certo inseparabili dal nome del grande classicista (ma anche editore del Nibelungenlied) Karl Lachmann, che fu, tra il secondo e il quinto decennio del secolo scorso, il razionalizzatore se non propriamente l'inventore del metodo ecdotico che porta il suo nome, la filologia testuale-in Europa come in Italia-ha privilegiato la ricerca di questa particolare entità, l'archetipo, appunto. Per chi non era strettamente addetto ai lavori, questa ricerca doveva presentare qualche tratto surreale, visto che ci si proponeva di individuare una realtà inattingibile per sua stessa definizione: ricordo infatti che, stando all'interpretazione più diffusa presso i seguaci di Lachmann, il termine archetipo indica un codice perduto, ma che nella sua più o meno lunga vita si era contraddistinto come portatore di errori contagiosi al punto da essersi attaccati-quasi una malattia infettiva-a tutta la tradizione superstite. Poi, se volessimo continuare con la parafrasi del Vangelo di Giovanni, dovremmo dire che non venne un solo uomo, ma ne vennero almeno tre: Joseph Bédier-francese, filologo romanzo-, Giorgio Pasquali-italiano, filologo classico-, Gianfranco Contini-ancora italiano, filologo romanzo. Con loro, l'arte dell'edizione critica ha perduto, almeno in parte, l'astrattezza quasi metafisica che l'aveva caratterizzata durante la fase del predominio della scuola lachmanniana. I manoscritti, e non il testo (men che meno il Testo, con la t maiuscola)-diceva Bédier-sono «notre bien»: alle loro lezioni dobbiamo assegnare la giusta fiducia, e non a quelle ipoteticamente ricostruite dai filologi e messe a carico di un archetipo che non rappresenta altro che «le lieu géométrique de leurs ignorances». Di una determinata tradizione, diceva per parte sua Pasquali, non va scartato o valutato superficialmente nessun testimone, in quanto ciascuno di essi è caratterizzato da una sua specifica fisionomia culturale e ci può illuminare su snodi cruciali della storia della cultura; in particolare, poi, non vanno trascurati quei testimoni tardivi che potrebbero rivelarsi fedeli latori di lezioni anche più corrette di quelle attestate in manoscritti di maggior antichità: la bella formula «recentiores non deteriores» la dobbiamo proprio a lui. «La critica testuale non scopre il "vero" se non in quanto caccia il "falso" o innovazione», affermava poi Contini, rifiutando la meccanicità della ricostruzione lachmanniana nonché l'ottimismo fideistico che ne sta alla base,
Dispositivi e critica letteraria
Si affronta il concetto di «dispositivo» attraverso l’analisi della relazione con i suoi antecedenti nel pensiero foucaultiano: «formazione discorsiva» e «positività». Definito il dispositivo come una ‘rete’ destinata a incrinarsi e superarsi, si chiarisce la teoria di questi punti di frattura attraverso le riflessioni sui tempi storici di Koselleck e Ricoeur. L’iniziativa (o «forza del presente») che permette a un sistema di trasformarsi è individuata, nell’ambito della critica letteraria, in una complessa funzione-autore, luogo di congiunzione e conflitto di un’ontologia delle intenzioni e un’ontologia degli eventi. Utilizzando i concetti di dispositivo e di funzione-autore si rilegge una delle più grandi opere critiche del XX secolo: Mimesis di Erich Auerbach. (Data di pubblicazione: 2010; Rivista: Enthymema).
L'editoria postmoderna è viceversa un'editoria senza editori (Schiffrin, 2000), vale a dire un'attività manageriale non più rivolta al prodotto ma esclusivamente al marketing e alla creazione di rappresentazioni. Può dunque fare a meno della mediazione intellettuale. Non a caso, proprio in questo periodo, il capitale extraeditoriale penetra a fondo nel mondo del libro e scompaiono i grandi editori-protagonisti italiani (Mondadori, Rizzoli, Bompiani, Feltrinelli, Einaudi) e anche i loro prestigiosi consulenti-critici e scrittori (come Vittorini, Sereni, Calvino) (cfr. Ferretti, 2004). Se, fino agli anni sessanta, resisteva ancora la figura del consulente-letterato, vale a dire un critico che partecipava alla politica editoriale, che manteneva rapporti con gli autori e che poteva proporre una propria idea di letteratura, a partire dagli anni settanta, invece, il consulente tende a perdere le proprie funzioni intermediarie tra scrittore, opera e lettore e tra valore testuale e strategie di mercato si determina un crescente cortocircuito, a completo vantaggio della mercificazione.
Tradizioni manoscritte e critica del testo
La scrittura ha giocato un ruolo importantissimo nel momento dell'alfabetizzazione delle culture, cioè del passaggio da una cultura orale ad una cultura fondata sulla parola scritta e sulle capacità di leggere e scrivere. Anzitutto occorre ricordare che presso i Germani fu in uso una tecnica di scrittura di origine discussa chiamata runica dal nome dei segni utilizzati, le rune. La scrittura runica condivide con le scritture tradizionali la tecnica di applicare un simbolo a forma di lettera ad ogni suono, ma si differenza da esse per il diverso ordine dei simboli e perchè ogni simbolo grafico identifica al tempo stesso un suono specifico e uno specifico referente esterno. Ad esempio il simbolo runico per la fricativa labiodentale è denominato feoh, cioè 'ricchezza'. Dalle sue prime manifestazioni la scrittura runica presenta forme diversificate a seconda che sia stata utilizzata in area continentale, settentrionale o insulare. Proprio in quest'ultima area si nota la tendenza ad adattare la scrittura ai suoni della lingua e soprattutto ad ampliare l'alfabeto runico con l'aggiunta di nuove rune alle 24 iniziali. Invece in Scandinavia si verifica la tendenza opposta, cioè a semplificare la scrittura runica con l'utilizzo di solo 16 simboli runici. Questa scrittura fu adoperata per iscrizioni, di norma brevissime, su pietra o altri materiali: armi, ornamenti, amuleti, ecc. Sebbene le rune abbiano resistito per lungo tempo alla forza espansionistica dell'alfabeto latino, è certo che esse non ebbero mai alcuna funzione nella trasmissione della tradizione letteraria. La realtà è che questa scrittura non fu mai adatta ad essere diffusa a causa delle sue difficoltà tecniche, che la resero legata ad un ceto sociale ristretto e specializzato. Le fonti storiche che attestano l'esistenza delle rune le collegano esclusivamente ad attività magiche e oracolari, per la cui decifrazione occorreva l'intervento di un mediatore. Lo stesso termine 'runa', che in tutte le lingue germaniche conserva il concetto di 'segreto/mistero', potrebbe alludere non tanto alla natura magica, quanto piuttosto al loro carattere di 'mezzo di comunicazione silenziosa' riservato, a differenza della parola, ad un piccolo gruppo di letterati. Comunque, il suo impiego fondamentale doveva essere quello di fare da supporto alla memoria in un mondo dove la comunicazione orale era l'unico mezzo di apprendimento, quindi la memoria era l'unico mezzo di conservazione delle tradizioni culturali.
L'edizione critica del testo letterario: GLOSSARIO FILOLOGICO
Si fornisce di seguito una breve spiegazione dei termini tecnici, o usati in accezione specifica, che sono contrassegnati da un asterisco (*) nel corso della trattazione principale ; funzionali ai temi sviluppati nei vari capitoli, le voci seguenti includono anche un minimo orientamento bibliografico, come al solito limitato alle pubblicazioni più recenti.
TEORIE DELLA CRITICA LETTERARIA
TEORIE DELLA CRITICA LETTERARIA I metodi non debbono essere considerati procedure rigide; sono, piuttosto, ipotesi di lavoro, tutte da verificare e nel caso da modificare nel corpo a corpo con un determinato testo o gruppo di testi.