E. Venturelli, Le ceramiche Loretz al Museo Civico di Pavia. La rinascita della graffita tra Ottocento e Novecento, “Ceramica Antica”, 2006, 6, pp. 10-23. (original) (raw)
Related papers
U n collezionista è spesso apprezzato per l'intuizione che lo spinge ad acquistare manufatti pregevoli quando sono ancora facilmente reperibili e poco costosi. La sua, per certi versi, è una scommessa sulla direzione che prenderà la cultura negli anni a venire; un azzardo che in seguito potrà riservare all'appassionato d'arte un doppio riconoscimento, intellettuale ed economico. A fronte però di numerosi casi in cui il collezionista gode in vita dell'esito felice della sua scommessa, in molti altri il riconoscimento sopraggiunge più tardi del previsto, quando, magari, la raccolta si è ormai dissolta nelle mani degli eredi. Ma può anche capitare che il riconoscimento intellettuale preceda di anni quello economico, che divenga cioè chiaro a tutti il valore storico e culturale della collezione, mentre le quotazioni dei manufatti, pur apprezzati, rimangono basse e deludenti. Quest'ultimo è il caso della collezione di ceramiche graffite di Carlo Loretz: una ragguardevole raccolta costituita soprattutto da frammenti di scavo, in gran parte rinvenuti tra Lombardia e Veneto negli ultimi tre decenni dell'Ottocento. Per quasi trent'anni Carlo Loretz raccolse e studiò tali reperti pressoché in solitudine e in controtendenza rispetto agli interessi del tempo. Solo al volgere del secolo la collezione cominciò ad attirare l'attenzione degli esperti; come si vedrà, fu premiata all'Esposizione di Lodi del 1901, e ne venne raccomandato l'acquisto ai musei. Tuttavia, il figlio, Giano Loretz, riuscì a cedere la collezione paterna al Museo Municipale del Castello Sforzesco solo nel 1917, dopo ben quattro tentativi di vendita andati a vuoto e un intero quindicennio speso a convincere commissioni e direttori del valore di quei manufatti. Carlo Loretz (1) , pittore lodigiano ma residente a Milano, cominciò a collezionare frammenti di ceramiche tra il 1871 e il 1872, mentre era al lavoro nella sua città d'origine, incaricato di decorare le dimore di alcune figure di spicco della società lodigiana. Uno dei committenti era Antonio Dossena (2) , proprietario della maggiore fab-
Carlo Loretz junior era ancora bambino quando il padre Giovanni detto Giano morì improvvisamente, non ebbe quindi modo di apprendere da lui l'arte della ceramica 1 . Al contrario, Giano Loretz (Milano, 1869 aveva goduto appieno di tale opportunità, che gli aveva permesso di crescere nella bottega del padre, Carlo Loretz senior (Lodi 1841 -Milano 1903) 2 , e di diventare a tutti gli effetti suo allievo; lui stesso, del resto, si definì in tal modo quando scrisse di aver appreso a Lodi, nello studio paterno, la decorazione e l'arte ceramica 3 .
From Renaissance to Regent Street: The Della Robbia Pottery WilliamsonArt Gallery & Museum, Birkenhead (UK) 8 June - 4 September 2016 https://www.artinliverpool.com/events/williamson-art-gallery-renaissance-regent-street-della-robbia-pottery/ Liverpool University Press has published a book of essays to accompany the exhibition, edited by Julie Sheldon of Liverpool John Moores University, with additional contributions from Sandra Penketh, Colin Simpson, Enrico Venturelli and Colin Trodd.
La selezione di ceramiche Loretz, che qui si presenta, è la più importante finora nota, e costituirà certamente un importante stimolo ad approfondire un importante episodio dell'eclettismo colto nel nostro Paese. Un ulteriore elemento di interesse di questi materiali, tra l'altro di grande impatto decorativo, è dato dalla loro provenienza: in parte dalla collezione della famiglia di uno dei finanziatori della fabbrica Loretz, Temistocle Castelli, patriota, poeta e noto avvocato milanese, ed in parte da quella della famiglia Loretz stessa. Sono esempi, spesso firmati e datati, di vasellame decorativo e da parata, campionature di "credenze", in molti casi a decoro araldico. La manifattura Loretz -o meglio, per l' esattezza, della società "C.lo G.no Loretz & C. " -viene fondata nel 1896 da Carlo Loretz, lodigiano ma di origine svizzera: nel 1859 si era trasferito a Milano, dove aveva frequentato l' Accademia di Brera iniziando una attività di decoratore d'interni. Nel 1871 è a Lodi per decorare la casa di Antonio Dossena, proprietario di una importante fabbrica di ceramica, che gli propone di dipingere le maioliche di sua produzione. A trent'anni, e nell'arco di un decennio, diventerà un rinomato ceramista: la sua fabbrica, che dirige con il figlio Giovanni, detto Giano (nato a Milano nel 1869) è a Milano, in via Molino delle Armi, e produce soprattutto ceramiche ingobbiate graffite, ma anche maioliche a gran fuoco, oltre che pezzi con decorazioni a piccolo fuoco. La ditta partecipa a numerose esposizioni, vincendo nel 1898 la medaglia d'oro a Torino e nel 1900 la medaglia d'argento a Parigi. Nei primi anni del nuovo secolo la ditta è assai nota ed ottiene importanti incarichi da committenze prestigiose come testimoniano i rapporti con committenti come i Borromeo, i Colleoni, e, come appare da alcune fonti, i Sanseverino di Crema, i Fontana di Lodi, ed i milanesi Bagatti Valsecchi: in occasione dell'Esposizione Universale di Parigi del 1900 il South Kensington Museum (ora Victoria and Albert) acquista tre ceramiche Loretz. Purtroppo l'affacciarsi dell' Art Nouveau, restia allo storicismo di imitazione, comporta per il lavoro dei Loretz una brusca battuta di arresto. Giano (il padre Carlo muore nel 1903) cerca di adattarsi alle novità e per l'Esposizione Internazionale di Milano del 1906 produce una originale serie di ceramiche graffite caratterizzate da forme e decorazioni Liberty. Ma il padiglione dedicato alle Arti Decorative, incluso lo stand Loretz, viene distrutto da un incendio e il danno è tale da imporre, nello stesso anno, la chiusura della fabbrica. Giano si dedicherà da allora all'insegnamento e alla scultura (alcune sue opere sono tuttora visibili presso il Cimitero Monumentale di Milano, tra cui i sepolcri della famiglia di Temistocle Castelli) e, nell'ultimo decennio di vita (scompare prematuramente nel 1918), a nuovi esperimenti ceramici, soprattutto nell'uso degli smalti, creando opere concepite come pezzi unici e firmate con il nome per esteso. La grande eredità culturale dei Loretz (parte di una stagione milanese fatta da nomi come quelli dei Bagatti Valsecchi, di Poldi Pezzoli, di Bertini) consiste nella loro capacità di riportare in vita, con affascinanti risultati, la tecnica della ceramica ingobbiata graffita, diffusasi in Italia tra XIII e XIV secolo, pressoché abbandonata all'inizio del XVII secolo e del tutto dimenticata nell'Ottocento fino alla riscoperta da parte di Carlo nel 1871. Sono anni durante i quali si consideravano le ingobbiate "primitive", antecedenti alle maioliche, e tipicamente medioevali: perfette, in un periodo affascinato dal Medioevo, per ricreare ambienti di vita quotidiana dei secoli bui (Alfredo D' Andrade considera le ceramiche ingobbiate graffite le più adatte per arredare il Borgo Medioevale di Torino inaugurato nel 1884) Le "Ceramiche Medioevali" dei Loretz non sono semplici imitazioni: Carlo e Giano utilizzano in più modi i motivi e le tecniche che traevano dai frammenti della loro collezione di graffite antiche (dal 1916 nei Musei del Castello Sforzesco di Milano) o dagli esemplari di altre raccolte pubbliche e private. In qualche caso cercano la ricostruzione rigorosa dell'originale perduto, altre volte creano oggetti originali accostando motivi decorativi provenienti da frammenti diversi, ottengono forme nuove modificando le dimensioni dell'oggetto imitato o si cimentano nell'imitazione accurata degli esemplari integri più belli e complessi. E infine arrivarono ad ottenere, come nel caso di alcuni grandi piatti, una resa per così dire pittorica dell'incisione su ingobbio: con risultati chiaramente apprezzabili in due degli esemplari qui proposti, raffiguranti rispettivamente San Girolamo e una scena di banchetto.
Nell'Anno santo del 1600, una grande riforma monetaria colpì il taglio più piccolo e più usato nello Stato pontificio. Papa Clemente VIII, per porre rimedio alla svalutazione e alla perdita di valore del quattrino, composto da una lega con bassissimo contenuto d'argento, anche su richiesta delle Corporazioni delle Arti, decretò la soppressione della debole moneta-di sovente falsificata-e l'emissione di un nuovo conio più pesante in puro rame. A partire dal mese di settembre, i vecchi quattrini scomparvero dal circuito monetario, furono rimborsati a ragione di 9 giuli per scudo con una conseguente perdita del 10% del valore. Ma lo stesso Tesoro avrebbe subito gravi perdite con tale tasso, essendo il valore reale delle monete di molto inferiore a quello per il quale erano cambiate. Il governo decise pertanto di istituire una tassa provvisoria destinata a compensare la perdita subita dalla Camera apostolica ovvero, come era chiamata in quegli anni, la tassa del quattrino...
PREFAZIONI ALLA COLLANA DEI "QUADERNI" "Il museo è un'istituzione permanente, senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo. E' aperto al pubblico e compie ricerche che riguardano le testimonianze materiali e immateriali dell'umanità e del suo ambiente; le acquisisce, le conserva, le comunica e soprattutto, le espone a fini di studio, educazione e diletto". E' con la definizione di museo fornita dall'ICOM (International Council of Museums) che desidero introdurre, quale auspicio di buon lavoro al servizio della collettività, la collana dei Quaderni del Sistema museale del lago di Bolsena, progettata dai direttori dei musei del comprensorio lacustre nell'ambito di un lavoro di promozione culturale di ampio respiro.
Uno dei documenti più noti nella storia della maiolica italiana è conservato a Roma nell'Archivio storico capitolino. Fu pubblicato per la prima volta da Antonino Bertolotti nel 1881 e poi ripreso pressoché in ogni libro degli anni successivi come testimone della diffusione del gusto per la maiolica istoriata ( 1 . Si tratta della ricevuta di un pagamento datata «in Roma […] 27 gennaro 1550» probabilmente autografa del vasaio Luca da Urbino che dichiara di aver avuto 20 scudi per una «credenza di vasi hystoriati di terra» commissionatagli dal cardinale Lenoncourt. Fino ad oggi sono noti due soli pezzi di maiolica istoriata riferibile stilisticamente agli anni '40/'50 del Cinquecento segnati con le armi di Robert de Lenoncourt (d'argento alla croce dentata di rosso) cardinale dal 1538 fino al 1561, anno della sua morte (fig. 2): una fiasca decorata con storie d'Europa, a Londra nel Victoria & Albert Museum già collezione Fountaine 2 (figg , e un piatto in passato nella collezione Paul Dean poi Pannwitz, con scena di storia biblica, di cui si erano perse le tracce per oltre un secolo fino alla ricomparsa sul mercato antiquario nel novembre 2016 3 (figg. 5-6). Entrambi sono decorati con uno stile individuale e distintivo dal medesimo vasaio, cioè quel «Luca vasar da Urbino» che ci ha lasciato dettagliata ricevuta autografa proprio di questo suo lavoro. I caratteri principali della pittura di Luca sono evidenti anche ad un'analisi sommaria: in generale egli costruisce le scene secondo una corretta e puntuale successione dei piani prospettici, disponendo le figure in ordine regolare rispetto agli assi principali delle superfici da decorare. I concitati gesti di molti personaggi conferiscono una singolare tensione alla scena, ricorrente in ogni sua opera. Nel particolare ricorrono i profili dalla fronte alta e sfuggente, le folte capigliature e barbe degli uomini puntualmente dipinte ciocca per ciocca, le complesse pettinature femminili con trecce legate da nastri ai lati del capo, e quel vezzo del dito indice alzato quasi a rappresentare il segno di paternità dell'autore.