Un motore per il Sud: L’Alfa Romeo, Pomigliano d’Arco e il sogno di un’industria meridionale (original) (raw)

Alfa Romeo 1943-1944. Lo stabilimento aeronautico di San Martino a Pomigliano D'Arco

2023

Questo articolo analizza il ruolo dello stabilimento aeronautico Alfa Romeo di San Martino a Pomigliano d'Arco durante il biennio 1943-1944, un periodo segnato da devastanti bombardamenti, saccheggi e complesse operazioni di riconversione industriale sotto l'occupazione alleata. Il 30 maggio 1943, un massiccio attacco aereo alleato distrusse gran parte dell'impianto, causando centinaia di vittime e paralizzando le attività produttive. Nei mesi successivi, le truppe tedesche in ritirata completarono la devastazione. Attraverso documenti desecretati dal National Archives and Records Administration (NARA) e i fascicoli dell’Allied Control Commission (ACC), lo studio evidenzia le sfide affrontate dall'ingegnere Francesco Masera, direttore tecnico del sito, e dalle autorità italiane nel tentativo di riavviare la produzione. Le difficoltà logistiche, le interferenze angloamericane e i conflitti interni all'Alfa Romeo rendono questo caso uno spaccato significativo della storia industriale e sociale italiana durante la Seconda Guerra Mondiale.

Alfasud. Una storia italiana. La fabbrica di Pomigliano d'Arco dal fascismo alla globalizzazione.

Roma, Ediesse, 2014

Ci sono tante storie, dentro la storia dell’Alfasud di Pomigliano d’Arco. Il breve sogno industriale di Nicola Romeo, ma soprattutto la parabola dell’intervento pubblico in Italia: dalla nascita dell’IRI alla fine delle Partecipazioni statali, e poi ancora fino alla grande stagione delle privatizzazioni. Ci sono i tanti sforzi – e i tanti errori – per modernizzare il Mezzogiorno. C’è un secolo di industria e di politica: di tayloristi e fordisti, da Gobbato a Luraghi; di democristiani e comunisti, da Leone a Moro, da Berlinguer a Prodi. C’è un secolo di società italiana: dal grande boom al conflitto operaio, dal liberismo all’italiana fino all’ultima grande crisi. Questo saggio prova per la prima volta a tracciare un profilo complessivo della storia di Pomigliano, che non può essere ricostruito solo attraverso documenti d’archivio. Il dibattito che accompagna da sempre questa grande fabbrica del Mezzogiorno impone infatti di sfogliare cronache e studi, ascoltare protagonisti del mondo operaio e dell’industria, della politica e del sindacato. Per capire che questa non è una storia «meridionale», ma una grande storia italiana; e che riguarda il futuro, molto più del passato.

A. Visani, Alfa Romeo. Ascesa e declino di un mito italiano: appunti per una storia da scrivere

Dagli anni Cinquanta ai Settanta le automobili Alfa Romeo non avevano rivali. Il primato tecnologico di vetture quali la prima Giulietta, la Giulia, l'Alfetta era un fatto indiscutibile. L'intera vicenda della fabbrica milanese (allora proprietà dello Stato) si intreccia con alcuni momenti chiave della storia italiana: la ricostruzione, il talento di una generazione uscita dalla guerra e alla ricerca di riscatto, il boom economico, la motorizzazione di massa, gli anni Sessanta e poi ancora le lotte sindacali, la contrapposizione spesso violenta tra padroni e operai (come si usava dire al tempo), l'ingerenza della politica nelle scelte dirigenziali. In questi trent'anni di storia dell'Alfa Romeo è possibile individuare momenti importanti che vanno certo al di là di una specifica esperienza industriale. L'analisi delle premesse che hanno reso possibile il primato di un'azienda statale che sembrava destinata alla chiusura nell'immediato secondo dopoguerra (e che invece è stata capace di lasciare un'impronta indelebile) meriterebbe di essere vagliata a fondo. Al contrario, questa storia è stata scritta solo in maniera frammentaria o relegata ad una ricca pubblicistica per appassionati del prodotto Alfa Romeo, delle sue splendide vetture ancora oggi nel cuore di generazioni di italiani, ma nulla di più. La vicenda dell'Alfa non è solo una questione di auto: è la cartina tornasole con la quale misurare le ragioni di un'ascesa e i motivi del declino dell'intero sistema Italia.

Alfa Romeo. Ascesa e declino di un mito italiano.

Dagli anni Cinquanta ai Settanta le automobili Alfa Romeo non avevano rivali. Il primato tecnologico di vetture quali la prima Giulietta, la Giulia, l'Alfetta era un fatto indiscutibile. L'intera vicenda della fabbrica milanese (allora proprietà dello Stato) si intreccia con alcuni momenti chiave della storia italiana: la ricostruzione, il talento di una generazione uscita dalla guerra e alla ricerca di riscatto, il boom economico, la motorizzazione di massa, gli anni Sessanta e poi ancora le lotte sindacali, la contrapposizione spesso violenta tra padroni e operai (come si usava dire al tempo), l'ingerenza della politica nelle scelte dirigenziali.

Torpedo Blu vs. Topolino Amaranto. Appunti Per Una Storia Culturale Dell'Automobile

Ricerche Storiche, 2004

Nel 1950, non ancora conclusa la ricostruzione economica e sociale del paese all'indomani del secondo conflitto mondiale, l'Italia era ben lungi dall'essere motorizzata: vi era in circolazione appena un autoveicolo ogni 81,9 abitanti. L'espansione automobilistica iniziò ad assumere un ritmo travolgente fra il 1959 e il 1963 quando crebbe con un tasso di incremento medio annuo del 20,7%. Nel 1964 il numero delle automobili circolanti superò, per la prima volta, quello dei motocicli: le "quattro ruote" (4.674.644) sopravanzavano le "due ruote" (4.656.035) di 18.609 unità. Dal 1964 al 1974 il numero di automobili in circolazione crebbe costantemente con un tasso medio annuo dell'11,87%: nel 1974 le autovetture circolanti erano 14.303.761 e la densità automobilistica era di una vettura ogni 4 abitanti, seconda solamente a quella degli Stati Uniti (2), di Canada, Australia, Francia e Svezia (3) e pari a quella di Gran Bretagna, Germania Occidentale, Belgio, Danimarca, Svizzera, Olanda e Norvegia. Lo straordinario successo dell'autovettura è riconducibile, oltre al progressivo miglioramento del tenore di vita che permise alle famiglie di accedere ai nuovi beni di consumo, a due ragioni strettamente correlate fra loro: la funzionalità di impiego e le sue complesse connotazioni simboliche. Le motivazioni di natura utilitaristica ebbero certamente un ruolo primario nella diffusione della motorizzazione privata: l'auto rappresentava l'affrancamento dalla scomodità e dai rigidi orari del trasporto pubblico, permetteva di risparmiare tempo e denaro e poteva essere impiegata liberamente per le attività più diverse; nessun altro mezzo aveva mai offerto una simile flessibilità di utilizzo. Non possiamo sottovalutare, inoltre, le motivazioni culturali, edonistiche e di gratificazione personale: si acquistava una "1100" o una "Giulia" piuttosto che una "500" non solo per spostarsi, ma anche per piacere, per mostrare il proprio status, per sentirsi appagati, per "fare bella figura", per esibire il "prestigio" personale. Se analizziamo e valutiamo attentamente le motivazioni di ordine culturale e sociale-spesso sottovalutate dalle analisi dei fenomeni di consumo (in modo particolare da quelle statistico-quantitative e di taglio economico)-ci accorgiamo che, in fondo, la ragione per cui l'automobile ha avuto successo è persino banale: è un oggetto che, fin dai primi modelli commercializzati, ha attratto l'attenzione e lusingato i desideri. Oggi, come allora, l'auto continua a piacere, difficile affermare se per "TORPEDO BLU" VS. "TOPOLINO AMARANTO" APPUNTI PER UNA STORIA CULTURALE DELL'AUTOMOBILE 430

Formo al Sud. Etnografia di una azienda meridionale

Formo al Sud, 2018

L’etnografia è una pratica di ricerca, antropologica e socio- logica, che consiste nel prendere nota, scrivere, raccontare di comportamenti e abitudini che caratterizzano uno specifico gruppo sociale. Formo al Sud racconta un'azienda del Sud Italia, una radiografia organizzativa, negli appunti di un ricercatore manager.

Fiamminghi al Sud: un’introduzione

Collana "Papers of the Royal Netherlands Institute in Rome", Roma, Edizioni Quasar, (21x28 cm, pp. 328, ill. col.), 2023, vol. 73., 2023

5 L’Industria automotive in Emilia-Romagna

Ricerche per l’innovazione nell’industria automotive

Sommario 5.1 La composizione della filiera.-5.2 Caratteristiche delle imprese rispondenti.-5.3 I manager dell'automotive dell'Emilia-Romagna: spunti di riflessione.-5.3.1 Le competenze.-5.3.2 Comunicazione digitale, ma anche face-to-face.-5.3.3 Big data e creazione di valore.-5.3.4 Stampanti 3D.-5.3.5 Non solo robot.-5.3.6 Piccola dimensione e nicchie di mercato nella trasformazione in corso.-5.3.7 Dall'aftermarket al primo impianto per OEM stranieri.-5.3.8 Tecnologie di alta precisione richiedono interventi di manutenzione dedicata.-5.3.9 Concorrenza, poca, e collaborazione, aperta.-5.3.10 Ambiente e felicità dei lavoratori: i requisiti di OEM stranieri.-5.4 La trasformazione digitale: i risultati dell'analisi dei siti web.

Sud come Nord. Il Meridione nel cinema industriale degli anni Sessanta

QuAD Quaderni di Architettura e Design, 2020

Da diverso tempo lo studio del cinema industriale non è più relegato negli ambiti specifici della storia del cinema e del documentario, ma è entrato a far parte anche degli ambiti del design della comunicazione. Come evidenziato dai più recenti studi teorici, la natura del cinema industria- le non si esaurisce nei singoli film, ma costituisce un vero e proprio sistema di comunicazione, una rete mediatica, professionale e imprenditoriale. All’interno di questa prospettiva il cinema industriale degli anni Sessanta ha svolto un ruolo consistente nell’industrializzazione del Sud d’Italia. Se da un lato il “tecnofilm” industriale aveva il compito di mostrare e magnificare gli interventi nel Mezzogiorno, dall’altro aveva l’incarico di realizzare e proporre al pubblico un preciso immaginario del Sud e dei suoi futuri scenari di sviluppo economico e consumistico. A partire dall’analisi di alcuni dei film prodotti dalle maggiori imprese italiane, questo articolo intende esplorare, seppur sommariamente, i vari modi in cui il cinema industriale ha raccontato il Sud come metafora del rinnovamento del paese. For some time the study of what was once industrial cinema is no longer been confined to the spe- cific areas of the history of cinema and documentary, but has also become part of communication design. As has been highlighted by the most recent theoretical studies, the nature of corporate cinema does not end with its individual films, but constitutes a real communication system; a media, professional and entrepreneurial network. Within this perspective, industrial cinema in the Sixties played a significant role in the industrialization of Southern Italy. If on one hand the “tecnofilm” had the task of showing and magnifying the industrial intervention in the southern areas, on the other it was in charge of creating a precise imaginary of the South and its future scenarios of economic development. Starting from the analysis of some films produced by Italian major companies, this article intends to explore, albeit briefly, the various way in which the corporate cinema has narrated the South as a metaphor of the country renewal.

Re-immaginare il Sud. Le sfide del buongoverno per la metamorfosi dello sviluppo

Gli aspetti strutturali della attuale crisi devono essere affrontati come una metamorfosi dei protocolli di sviluppo, e le conseguenti soluzioni messe in campo devono essere sempre più interconnesse, richiedendo costanti sforzi di comprensione unitaria e chiamando ad una nuova alleanza tra politica ed economia, tra cultura ed ambiente, tra tecnica e società. La crisi ci obbliga a selezionare i capitali dello sviluppo, a riprogettare i percorsi, a darci nuove regole e a trovare nuove forme di impegno e di compartecipazione. La crisi diventa così occasione reale di discernimento e di nuova progettualità, poiché essa ha ormai travalicato i confini settoriali, ha tracimato dagli argini finanziari in cui abbiamo tentato di richiuderla al suo apparire per travolgere il nostro stesso stile di vita, richiedendo pertanto una risposta di ampio respiro che coinvolga i paradigmi di sviluppo e gli stili di vita, che ripensi l'economia e la politica e rinnovi il dominio dell'etica, sia pubblica che privata. Le arene in cui si dovrà combattere per affermare un rinnovato “Progetto Sud” sono tutte attraversate da una costante: la necessità di possedere tra gli strumenti per vincere le sfide da esse poste il rafforzamento del “capitale sociale”, cioè quel capitale ibrido formato dai capitali umano, intellettuale, cognitivo, relazionale, creativo e politico. La carenza di capitale sociale in termini di una cultura condivisa che limita i comportamenti opportunistici favorendo la cooperazione è una delle criticità da superare con coraggio per affrontare le sfide che attendono il Mezzogiorno. La ricostruzione del capitale sociale richiede di agire non solo attraverso un processo diffuso di responsabilizzazione e consapevolezza del ruolo che sappia agire in maniera verticale su tutte le stratificazioni della società, ma anche potenziando il tessuto comunitario, e restituendo sogni alle nuove generazioni e ambizioni a quelle più mature attraverso la concretezza del progetto di territorio. Al rafforzamento del capitale sociale dovrà naturalmente corrispondere un nuovo patto sociale tra i cittadini meridionali, ma anche tra Nord e Sud. Ripensare il Sud sotto il profilo del progetto, infatti, non vuol dire rinchiudersi nel locale, proteggersi entro nicchie identitarie perdendo il gusto dei grandi scenari e di contribuire alle traiettorie del futuro. Una vera autonomia che deriva dal federalismo delle responsabilità è basata su una crescita della cittadinanza da parte del Sud. L’autonomia non è un vessillo sotto le cui insegne ripararsi, ma deve essere un progetto politico che ambisca ad una ricostituzione del patto sociale tra Nord e Sud.