GIUSTIZIA PREDITTIVA (original) (raw)

GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA

La segnalazione certificata di inizio attività (detta s.c.i.a. e nata nel 2010 o, ancor prima, denuncia, d.i.a.), contemplata dall'articolo 19, legge n. 241/1990, rappresenta un travagliato istituto di c.d. semplificazione procedimentale: il fondamento dell'istituto consiste nel fatto che il privato può "sostituire" a tutta una serie di provvedimenti autorizzatori una segnalazione, corredata di autocertificazioni attestanti il possesso dei requisiti richiesti per lo svolgimento di un'attività normalmente soggetta a regime autorizzatorio (ad eccezione dei settori di attività economiche in ragione della delicatezza degli interessi pubblici coinvolti).

GIUSTIZIA DI GENERE

2015

I propose, defend and illustrate a principle of gender justice meant to capture the nature of a variety of injustices based on gender: A society is gender just only if the costs of a gender-neutral lifestyle are, all other things being equal, lower than, or at most equal to, the costs of gendered lifestyles. I defend the principle by appeal to the values at the core of liberal egalitarian justice: equality of access and the good of individual choice. I illustrate my case through a discussion of the injustice of a gendered division of labor. Some feminists doubt that liberal egalitarianism has the theoretical resources to recognize the unjust nature of the gendered division of labor. I argue that it does. If the principle advanced here is correct, then gender injustice is pervasive. At the same, it does not affect only women but also men. Liberal egalitarianism is capable of acknowledging this fact without denying that, overall, gender norms oppress women more than they oppress men: Arguably, women who wish to lead a gender-neutral lifestyle have to pay higher costs that men who wish to do the same.

ARGOMENTI DI GIUSTIZIA DISTRIBUTIVA

Fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall'art. 68, comma 4 della legge 22 aprile 1941, n. 633 ovvero dall'accordo stipulato tra SIAE, AIE, SNS e CNA, CONFARTIGIANATO, CASA, CLAAI, CONFCOMMERCIO, CONFESERCENTI il 18 dicembre 2000.

I PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI NELL'ARGOMENTAZIONE GIUDIZIARIA

2022

Il contributo analizza alcune principali varianti di argomentazioni giuridiche che utilizzano i precedenti giudiziari. Lo studio affronta alcune vexatae quaestiones circa la idea che la giurisprudenza sia fonte di diritto e difende la tesi secondo cui il c.d. argomento del precedente cela, in realtà, una famiglia di argomenti eterogenei e molto più diffusi nella prassi di quanto non risulti dalle tassonomie classiche. Inoltre, lo studio difende la tesi che la giurisprudenza-per ragioni pragmatiche inerenti al ragionamento giuridico-sia inevitabilmente una fonte del diritto.

GIUSTIZIA PENALE RIPARATIVA DPP

2023

Il varo di una normativa organica dedicata alla giustizia penale riparativa costituisce una rimarchevole novità della riforma processuale portata a compimento con il D.Lgs. 150/2022. La procedura vi è regolata come articolazione separata dall’ordinaria procedura penale, eppur destinata a condizionare gli esiti di quest’ultima. La base comunitaria che ne costituisce il fondamento apre scenari inediti e problematici già sul piano organizzativo, oltre che con riguardo alle partecipazioni soggettive, alle dinamiche procedimentali proprie della mediazione e alle interferenze con l’ordinaria procedura penale. Pur definita come “organica”, la disciplina in questione lascia ampi spazi alle pratiche dei mediatori esperti sull’abilità e preparazione dei quali grava, in buona misura, il destino di un’ardita scommessa.

GIUSTIZIA COSTITUZIONALE (DIRITTO COMPARATO)

2006

SOMMARIO: 1. Le origini della giustizia costituzionale. -2. Lo sviluppo della giustizia costituzionale nel ventesimo secolo. -3. I prototipi: modello statunitense e modello austriaco. -4. Il modello europeo: giudizio concreto e «privilegio del legislatore». -5. La legittimazione della giustizia costituzionale. 1. Le origini della giustizia costituzionale La nascita della giustizia costituzionale -intesa come tecnica di difesa giurisdizionale della costituzione nei confronti di atti e comportamenti dei poteri pubblici, compresa la legge del parlamento [G. ZAGREBELSKY (IV.3), p.11 ss.] -si fa tradizionalmente risalire alla sentenza Marbury v. Madison (1803), con la quale il controllo di costituzionalità delle leggi è stato per la prima volta realizzato da un giudice, negli Stati Uniti, nella forma del judicial review of legislation. Con tale, celebre decisione, la corte suprema rilevò che, in presenza di una costituzione rigida, rientra nei poteri interpretativi dei giudici la soluzione delle antinomie che, eventualmente, sorgano tra leggi ordinarie e norme costituzionali, attraverso la disapplicazione delle leggi contrarie alla costituzione. Come ebbe ad affermare il Chief Justice Marshall, «o la costituzione controlla ogni atto legislativo contrario ad essa, o il legislativo può alterare a propria discrezione la costituzione con una legge ordinaria. Tra queste alternative, non c'è via di mezzo [...]. Se la prima ipotesi è quella vera, allora un atto legislativo contrario alla costituzione non è legge; se è vera la seconda, allora le costituzioni scritte sono tentativi assurdi, da parte del popolo, per limitare un potere per sua natura illimitabile. In realtà tutti coloro che hanno elaborato costituzioni scritte guardano ad esse come ad una legge suprema e fondamentale e, di conseguenza, principio fondamentale di questi governi sarà necessariamente quello di considerare nullo un atto legislativo contrario alla costituzione». Nel corso del diciannovesimo secolo questo tipo di impostazione, che ebbe un certo successo in America latina (diffondendosi ad esempio in Repubblica dominicana 1844; Messico 1847; Venezuela 1858; Argentina 1860; Brasile 1891), non riuscì invece ad affermarsi in Europa, con poche eccezioni, quali alcuni isolati casi di disapplicazione di leggi incostituzionali rintracciabili in Grecia (1847), Norvegia (1866), Portogallo. Tradizionalmente si fa risalire l'origine della giustizia costituzionale in Europa alla costituzione austriaca del 1920, e al suo ispiratore, Hans Kelsen. Più in generale, occorre riferirsi agli anni immediatamente successivi alla prima guerra mondiale: in tale epoca, infatti, vedono la luce anche altre esperienze di giustizia costituzionale, come quella cecoslovacca (addirittura precedente alla austriaca, dato che il relativo tribunale costituzionale iniziò a operare il 29 febbraio del 1920, mentre quello austriaco soltanto il successivo 1° ottobre) o quella della Germania di Weimar (ove, dal 1925, in assenza di un esplicito divieto costituzionale, la magistratura si riconobbe il potere di sindacare le leggi del Reich). Già nel corso dell'ottocento, tuttavia, nelle organizzazioni statali di tipo federale, come Svizzera, Impero austroungarico, Impero tedesco, aveva iniziato ad affermarsi un particolare «tipo» di giustizia costituzionale, la Staatsgerichtsbarkeit, che mira all'ordinata convivenza tra i diversi livelli di potere politico all'interno dello Stato [per la distinzione tra Verfassungsgerichtsbarkeit e Staatsgerichtsbarkeit v. A.PIZZORUSSO (III.2), p. 27 ss]: infatti alcuni tribunali federali avevano il compito di difendere le norme costituzionali sul riparto di competenze tra federazione e Stati membri, attraverso la risoluzione di conflitti di attribuzione. Quello che invece, fino al ventesimo secolo, non fu possibile realizzare, nonostante vari tentativi e proposte in questo senso (a partire dal jury constitutionnaire di Siéyès del 1795 fino ad arrivare al «Verfassungsgerichtshof für Österreich» di Jellinek del 1885) è il tipo di giustizia costituzionale che mira alla garanzia di diritti, individuali e sociali, capacità di tutelare i diritti costituzionalmente garantiti. BIBLIOGRAFIA

DEVIANZA MINORILE E GIUSTIZIA RIPARATIVA

Cassazione penale, 2022

L'autore illustra la particolare attitudine della Restorative Justice a fornire risposta al problema della criminalità minorile, sottolineando le peculiarità di questo modello di giustizia rispetto agli istituti penal-processuali che si basano sull'elemento della "riparazione". The author illustrates the particular attitude of Restorative Justice to provide an answer to the problem of juvenile crime, underlining the peculiarities of this model of justice with respect to criminal-procedural institutes that are based on the element of "reparation".

LA TUTELA PRETORIA E L'ETÀ GIUSTINIANEA

La Lex Aquilia e il Damnum iniuria datum, 2018

La giurisprudenza romana fu, costantemente, impegnata nell'ampliamento della tutela aquiliana a condotte diverse da quelle originariamente previste dalla legge. Come si è visto, l'estensione dell'ambito di applicazione della lex Aquilia avvenne, in primis, tramite un'interpretazione letterale, volta ad estendere la portata semantica dei verbi previsti dalla legge; in secundis, tramite l'interpretazione evolutiva del termine iniuria. Ciò nonostante, nell'applicare la tutela aquiliana in via diretta, i giuristi romani si sentirono vincolati tendenzialmente da due principi: il danno doveva essere realizzato con l'attività fisica del danneggiante e, quindi, con il corpo (damnum suo corpore datum); l'attività lesiva doveva essere diretta al corpus della res (damnum corpore corpori datum). Il danneggiamento doveva, perciò, essere cagionato con il corpo e al corpo. 1 Qualora non fosse possibile esperire l'azione diretta, il danneggiato poteva, però, ottenere una tutela pretoria. Col passare del tempo, infatti, i giuristi suggerirono di adattare l'azione diretta, modellata sul testo normativo, a situazioni più o meno distanti da quelle da essa tutelate, al fine di garantire una tutela completa del danno, colmando le eventuali lacune. Dalla disamina delle fonti giunteci, emerge che le azioni pretorie sono state variamente denominate come actiones utiles, actiones in factum, actiones in factum accomodatae legis Aquiliae, actiones ad exemplum legis Aquiliae. In particolare, Gaio 2 qualificava come utiles tutte le azioni concesse in caso di damnum alio modo dato. Paolo 3 , invece, affermava che per i danni, rispetto ai quali non si era tenuti in forza della lex Aquilia, veniva concessa un'azione in factum. Ancora Nerazio, per l'ipotesi di animali costretti a stare in luoghi angusti, si esprimeva in termini di actio in factum ad exemplum.

PROUST O LA FAGOCITAZIONE DEL DESIDERIO

Benjamin ha parlato, a proposito del mondo di Proust, di una «calza arrotolata nel cassetto», che è «insieme borsa e contenuto» di se stessa; e come i bambini «non si saziano di trasformare queste due cose: la borsa e quello che c’è dentro, con un rapido movimento, in una terza cosa: la calza, così Proust non si stancava di afferrare il tranello, l’Io, per svuotarlo e ritrovare sempre di nuovo quella terza cosa: l’immagine, che placava la sua […] nostalgia. Straziato dalla nostalgia egli giaceva sul letto». Nel mutuo, violento, inarrestabile, diabolico gioco tra Io-subiectum e immagine frammentariamente indigente, dove l’uno non è più concepibile senza l’altra e viceversa, si dispiega l’impasse, la tensione, la ricerca di chi beve il proprio sangue, quella «simbiosi di creatività e sofferenza» della quale si è eretta, «per la seconda volta, […] un’impalcatura come quella di Michelangelo, su cui l’artista, con la testa arrovesciata, dipingeva la creazione nel soffitto della Sistina: il letto di malato, dove Marcel Proust ha dedicato alla creazione del suo microcosmo gli innumerevoli fogli che egli ricopriva con la sua scrittura, nell’aria». Il divorare di Proust è già il suo esser-divorato, e se scrivere è «l’interminabile, l’incessante», allora è proprio in quest’intrico infinito che Proust, l’asmatico cronico terribilmente affamato di jalousie, si situa e situa il suo ex-sistere; egli esiste scrivendo, perché non può esistere altrimenti (o altrove) che lì, ovvero nello spazio-tempo ad-teso dell’esperienza radicalmente originaria della scrittura e del ricordo. Ma parimenti, appunto, il suo esser-divorato è già anche il suo divorare: Proust, quest’aruspice tracotante in cerca di stelle, non è mera vittima innocente o sacrificale, se non nella misura in cui, simultaneamente, è egli stesso carnefice - carnifex, in primo luogo, di sé e del Sé.

CRISTIANESIMO PRIMITIVO

. Se Dio ritrae lo spirito vitale, ecco che gli uomini tornan,o alla polvere, dalla quale provengono ; e se egli dà lo spirito, ecco che essi risorgono e Dio rinnova il volto della terra (Sal. 104, 29 seg.). J ahvè, nostro padre sei tu, noi siamo l'argilla, tu il nostro artefice tutti noi siamo opera· delle tue mani (Is. 64, 7). Così la fede nella creazione significa abbandonarsi totalmente a Dio: Guai a chi contende col suo creatore, egli rottame fra i rottami dei vasi di terra! Anche l'argilla dirà al vasaio : « Che fai? » e l'opera sua: « Non hai mani? » Guai a colui che dice a suo padre: « Perchè hai generato? » e a sua madre: « Perchè partorisci? » . Così dice J ahvè, il santo di Israele e suo creatore: «Voi pretendete d'interrogarmi str .ciò che vérrà e darmi degli ordini a proposito dell'opera delle mie mani? . lo ho fatto la ,terra e gli uomini su di essa, ·io, le mie mani hanno spiegato i cieli . e comandai a tutto il loro esercito » (Is. 45,(9)(10)(11)(12). E così parla il credente : « Le tue mani mi hanno fatto e formato--Ammaestrami in modo che io apprenda i tuoi comandamenti» (Sal. 119, 73). L'uomo dunque davanti a Dio non è, nulla, 5 e il profeta ode la voce: « Predica: ogni carne è come erba e tutto il suo splendore è come il fiore del campo. L'erba si secca, il fiore appassisce perchè il soffio di J ah v è vi è passato sopra ... 12 L'eredità dell'Antico Testamento L'erba si secca, il fiore appassisce, ma la p11-rola del nostro Dio dura in eterno » (Is. 40, 6-8). Ma questa fede ispira . anche fiducia e gratitudine. « Se io guardo il cielo, opera delle tue dita, luna e stelle che vi hai disposto,che cosa è l'uomo che tu ti sia ricordato di lui, il figlio dell'uomo, che tu gli abbia rivolto il tuo sguardo! 18 L'eredità dell'Antico Testamento prattutto conoscenza di ciò che Dio esige. La sapienza di Israele è sapienza di proverbi. La sua proposizione fondamentale è: sapienza è timor di Dio. · Il timore del Signore è l'inizio della conoscenza, gli stolti disprezzano sapienza e istruzione (Prov. l, 7). Il timore del Signore è la scuola della saggezza e l'umiltà va avanti all'onore (Prov. 15, 33). Il profeta ammonisce a coltivare il timor di Dio : Santificate J ahvè degli eserciti! Egli sia il vostro timm·e, egli sia il vostro terrore, {ls. 8, 13). Analoga è l'aiQ.monizione della Legge: Dovete segui1·e Jahvè, vostro Dio, lui dovete temere, i suoi comandamenti dovete osservare e ascoltare la sua voce. Lui dovete servire, a lui tenervi stretti (Deut. 13, 5). E Dio promette attraverso il profeta: « Voglio dar loro un altro cuore e un'altra via, perchè mi temano sempre ... V o gli o mettere nel loro cuore il timore di me, perchè non si allontanino da me» (Ger. 32, 39 seg.) . . Questo timor di Dio non. è paura, esso anzi libera l'uomo proprio dalla .paura, dandogli un senso di sicurezza. È il rispetto che si inchina alla volontà di Dio, che ci si presenta nei suoi ordini non meno che nel destino. L'uomo per l'appunto non deve aver timore davanti a Dio. «Non aver paura, chè io ti ho redento. Ti ho chiamato per nome; sei mio» (ls. 43, l). Dio e il mondo se non mangia,re e bere e darsi al bel tempo in mezzo alle fatiche (2, 24). Mangia con gioia il tuo pane bevi il tuo vino con cuore lieto ... porta sempre vesti bianche e non far mancare olio al tuo capo, godi la vita con la donna che ami 23 per tutti i giorni vani che ti sondati sotto il sole (9, 7-10). Se una tale rassegnazione si avvicina all'ateismo pratico, l'estremo opposto appare invece nel libro di Giobbe. Qui, nella dura lotta con questo problema, la risposta che viene trovata consiste nella tacita sottomissione alla volontà di· vina la cui sapienza trascende ogni umana comprensione. Di fronte agli amici che insistono a sostenere che le soffe· renze di Giobbe devono essere la punizione per una sua colpa, egli persiste nella coscienza della propria innocen• za e si avvede con raccapriccio che Dio gli fa violenza. Se anche avessi ragione, non troverei ascolto, dovrei invocare la grazia del mio avversario. Se lo invocassi -mi risponderebbe? Non crederò mai ch'egli mi ascolti. Egli che ìni piomba addosso nel frastuono della tempesta, mi infligge tante ferite senza motivo; che non mi lascia mai riprendere fiato, no, che mi sazia d'amarezza. Se si tratta della forza del più forte, -lui ne ha! e se si tratta del diritt9 -chi lo citerà in giudizio?. Se anche ho ragione, -la mia bocca mi condanna; se anche sono innocente -egli mi dichiara colpevole (9,(15)(16)(17)(18)(19). Ma non trova pace; deve esigere giustizia da Dio, -non la sua ricompensa, ma il riconoscimento. No, all'Onnipotente voglio parlare, contendere con Dio, questo è il mio desiderio (13, 3). 24 'L'eredità dell'Antico Testamento Dio è grato ,ad avvocati che vogliano dimostrare il diritto di Dio affermando che Giobbe è in colp,a! Dite il falso per amore di Dio? In suo favore sostenete l'inganno? Prendete partito per l'Onnipotente? Sostenete la causa di Dio con le menzogne? (13, 7 seg.). Le vostre sentenze sono sentenze di cenere, è di argilla ciò che voi replicate. Ma tacete dunque e fatemi parlare, mi succeda quel che mi deve succedere! Prenderò la mia carne fra i denti e. metterò l'anima mia sulle mie mani! ·che mi uccida! Non ho niente da sperare! Solo la mia condotta esporrò davanti a lui (13, 12-15). O sapessi dove poterlo trovare, . potessi giungere al suo trono! Esporrei la mia causa davanti a lui e riempirei la bocca di prova, conoscerei le parole che mi replicherebbe, sentirei le parole che mi direbbe. Lotterebbe con me con tutta la sua forza? Oh no! mi presterebbe attenzione. Li disputerebbe con lui un uomo retto, e io finalmente mi libererei del mio giudice (23, 3-7). Prega Dio di consegnargli il suo atto di accusa per poterne dimostrare l'inconsistenza. Veramente, io lo porterei sulla spalla, me lo cingerei come un diadema intorno alla fronte! Gli renderei conto di ciascuno dei miei passi e lo affronterei arditamente come un principe! (31, 36 seg.). Dio accetta la sfida; appare a Giobbe e risponde. Risponde chiedenc:lo a Giobbe: Dio e il mondo Dove eri quando io fondavo la terra? Dillo, se hai tanta intelligenza! Chi ne fissò le dimensioni, se tu lo sai? Chi vi ha teso sopra la corda· per misurarla? ... L'avversario dell'Onnipotente si ritirerà, adesso; colui che censura Dio, ha da replicare? Vuoi annientare il mio giudizio, condannarmi per_ giustificare te stesso? Hai tu un braccio come quello di Dio, o una voce che tuoni come la sua? Adornati pure di superbia e grandezza, rivestiti di splendore e màestà! ... Allora anch'io ti riconoscerò, -~ perchè la tua destra t'avrà dato la vittoria 25 (40, 4 seg. 8-10. 14). Giobbe ammutolisce davanti a lui: Sì, sono stato precipitoso, che cpsa potrei rispondere? Mi metto la mano sulla. bocca; ho parlato una volta, ma non risponderò di nuovo, una seconda volta, ma non lo farò più. Ho riconosciuto che tu sei onnipotente e che nessun tuo pensiero è irrealizzabile. Sì, senza capire ho. parlato di cose che per me sono troppo alte e mi sono ignote. Di te . ho sentito parlare, ma ora il mio occhio ti ha visto. Perciò mi sciolgo in ,lagrime e soltanto sospiro, fra la cenere e la polvere (40, 4 seg.; 42, 2 seg., 5 seg.). Di fronte all'onnipotenza e all'imperscrutabile sapienza di Dio l'uomo deve quindi ammutolire; una risposta alla sua domanda sul senso della propria sofferenza non l'ot-· tiene. Ma gli vien detto che, come uomo, non può porre la domanda, ma si deve inchinare davanti a Dio. Il poeta ha reso evidente ciò anche inserendo ]a propria poesia 26 L'eredità dell'Antico Testamento nella cornice della vecchia storia del pio Giobbe che, quando tutto gli vien tolto, dice umilmente: « Nudo sono uscito dal corpo di mia madre, e nudo vi torno. Dio l'ha dato e Dio l'ha tolto. Lodato sia il nome di Dio!» (1, 21), e che dice alla sua donna che si lagna : « Il bene lo prendiamo da Dio e il male non lo dovremmo prendere?» (2, 10). Il libro di Giobbe è un'eccezione nell'Antico Testamento, nel senso che per il poeta l'immagine corrente della giu· stizia divina che si ~ivelerebbe nel destino dell'uomo, viene meno. Il poeta ha scoperto che anche l'innocenza deve soffrire. Eppure il poeta rimane nell'ambito della con· cezione antico-testamentaria. Egli non perde la fiducia in Dio e quanto meno riesce a comprendere la propria soffe· renza sulla base della sua idea di Dio, tanto più l'idea di Dio conserva della sua forza, anzi diventa sempre più assoluta: l'onnipotenza di Dio non ha limiti e la sapienza di Dio, nel suo apparente arbitrio, è imperscrutabile. Cosi non resta all'uomo che ammutolire. 23 In tal modo viene sviluppato fino all'estremo un motivo che di per sè rientra nella fede antico-testamentaria in Dio: la sottomissione alle imperscrutabili decisioni di Dio -una rinunzia che si può peraltro congiungere anche con la fiducia nel fatto che Dio farà sorgere un futuro di beati· tudine e proprio allorchè l'uomo avrà rinunziato a una. volontà e a dei progetti autonomi e saprà attendere Dio. Così sorge una particolare idea della fede. Credere in Dio non significa ritener vera la sua esistenza, ma aver fiducia in lui in umile sottomissione ai suoi piani, in silente attesa. Questo è il senso del canto del salmista: Ma io resto sempre vicino a te, tu mi tieni con la tua destra. tu mi guidi col tuo consiglio, incoraggi l'anima mia per questa via. Che cosa ho in cielo? Al di fuori di te non desidero niente sulla terra. Il mio corpo e la mia anima possono venir meno, J ahvè sarà in eterno la mia parte.