Franco Fabbri | University of Huddersfield (original) (raw)
Most Recent Papers by Franco Fabbri
I worked as a composer of game music in the late 1980s, as part of a broader interest in electron... more I worked as a composer of game music in the late 1980s, as part of a broader interest in electronic music and computer music, in the age of 8-bit home computers. Some of my pieces can still be found in archives of ‘classic’ games for the Commodore 64. I also wrote two books on the usage of Commodore 64 as a music instrument and started the first course on this subject in an Italian music school. At the Ludomusicology conference in Mataró I presented this work, framing it into the context of my other activities during that period: as a composer and member of a rock band, as a performer of electronic music and author of computer-assisted audio-visual projects, and also as a musicologist (my early articles on genre theory and my participation in the establishment of popular music studies belong to the same years).
The topics covered in my presentation are: 1) a brief, general overview of the sound capabilities offered by 8-bit computers in the early 1980s; 2) an aesthetic and technical coverage of my works with the DAI and the Commodore 64; 3) a comment on the integration of home computing into my other musical works based on more traditional electronic instruments (synthesizers, sequencers, etc); 4) a brief presentation of the resources used for game music composing, and of the requests by game programmers. Music examples will be included.
Jazz Under State Socialism, Vol. 11, Ubuntu Fusion Music, ed Yvetta Kajanová, 2024
Macchina Maccheronica is the seventh studio album by the Italian group Stormy Six, recorded in 19... more Macchina Maccheronica is the seventh studio album by the Italian group Stormy Six, recorded in 1979 and released in 1980; Macchina Maccheronica was also an alternative name for the band: an effort to switch to Italian from the rather obsolete name created when the band was formed in 1965. ‘Latino maccheronico’ (macaronic Latin) was a way, in the late Middle Ages and early Renaissance, to mix Latin and vernacular Italian, and it became a literary genre. ‘High’ and ‘low’ were also the basic ingredients of Stormy Six’s music and lyrics at the end of the 1970s. As a matter of fact, Stormy Six travelled across genres along their whole career: from r&b to psychedelic pop, to country rock, to folk and protest songs, to progressive folk and progressive rock, and to alternative rock. When the material for Macchina Maccheronica was composed, Stormy Six were one of ‘the five rock groups the record companies don’t want you to hear’, as a poster went in 1978, announcing the first Rock In Opposition Festival in London. Ironically, Macchina Maccheronica has become one of the canonic examples of RIO, a sub- genre of progressive rock which emerged after the demise of the league of independent bands (Henry Cow/ Art Bears, Univers Zero, Samla Mammas Manna, Etron Fou Leloublan, Art Zoyd, and Stormy Six) that gave birth to that acronym. Both the album and the genre are a good field to investigate musical and lyrical creative processes based on the interaction of different materials and models: folk and vernacular, structured (written) composition, improvisation, rock, jazz, cabaret. In 1980 Macchina Maccheronica was awarded the Preis der deutschen Schallplattenkritik for best rock record of the year. The Police scored second.
Music Borrowing And Copyright Law. A Genre-by-Genre Analysis, edited by Enrico Bonadio and Chen Wei Zhu , 2023
My Kind of Sound: Popular Music and Audiovisual Culture, edited by Enrique Encabo, 2021
Note tricolori. La storia dell'Italia contemporanea nella popular music, a cura di Paolo Carusi e Manfredi Merluzzi, 2021
La rivista il Mulino, 2021
Il bardo di Duluth compie 80 anni. Franco Fabbri sottolinea il ruolo di Dylan non solo come autor... more Il bardo di Duluth compie 80 anni. Franco Fabbri sottolinea il ruolo di Dylan non solo come autore di canzoni, ma anche come musicista. Una caratteristica troppo spesso dimenticata dalla critica di Franco Fabbri
Il tempo di una canzone è una raccolta di saggi sulla popular music, ai quali Franco Fabbri ha la... more Il tempo di una canzone è una raccolta di saggi sulla popular music, ai quali Franco Fabbri ha lavorato negli ultimi dieci anni e fino a tempi recentissimi. Soprattutto, più della metà sono stati scritti e pubblicati in altre lingue ed erano finora inediti in italiano: fra questi, alcuni sono in assoluto i più letti – nella lingua originale – da un vasto pubblico internazionale. La popular music è studiata dal punto di vista storico (dalla canzone napoletana e statunitense nella prima metà dell’Ottocento, fino al rebetico, e poi al rock, al beat, e alla canzone d’autore, dagli anni Cinquanta del Novecento ai giorni nostri), analitico (il sound delle surf bands, del progressive rock, di Peter Gabriel, di De André, della musica ascoltata in cuffia e in streaming), teorico (le classificazioni per generi, le diverse tendenze degli studi musicali, il plagio). C’è spazio anche per saggi sulla musica da film, per l’impatto delle tecnologie sulla produzione e sul consumo di musica, per riflessioni sull’industria editoriale e discografica e sul diritto d’autore.
Introduzione
Cos’è la popular music? E cosa non è? Un resoconto,
dopo trent’anni di popular music studies
Cosa intendiamo per «empirico»?
La popular music a Napoli e negli USA prima della «popular music»: da Donizetti a Stephen Foster,
da Piedigrotta a Tin Pan Alley
Un triangolo mediterraneo: Napoli, Smirne, Atene
Culture del suono nei panighiria di Tilos (Dodecaneso):
spazi, riti, tecnologie e stili del confronto popolare/popular
Come nascono, cambiano, muoiono i generi?
Convenzioni, comunità e processi diacronici
Quale musicologia per la canzone?
Suoni e segni. Un resoconto. Alla memoria di Luca Marconi
«Le canzoni che avrei scritto io avrebbero dovuto essere così». Influenze transnazionali tra poeti, compositori, cantautori
Sound studies e popular music studies: a proposito
di nuovi spazi disciplinari e clamorosi silenzi (con Marta García Quiñones)
Ascoltando gli Shadows, quarant’anni dopo e per la prima volta (con Marta García Quiñones)
And the Bitt Went On
Il progressive rock in Italia negli anni Sessanta e Settanta: comunità, stili, rapporti con altri generi e scene
«Orchestral manoeuvres» negli anni Settanta: la Cooperativa l’Orchestra, 1974-1983
L’epoca dell’ascolto binaurale
«Vorrei che il mio disco avesse questo suono qui…».
Peter Gabriel e le tecnologie audio
«Questo silenzio non mi convince!» Il silenzio nel suono
cinematografico
Quando il cinema incoronava la musica. Due casi esemplari: Anatomia di un Omicidio ed Exodus
Un pianeta proibito: il cinema di fantascienza
e la musica elettronica
Il plagio. È la prova del budino della musicologia?
Il tempo di una canzone
Bibliografia
Fonti
Indice dei nomi
L'Indice dei libri del mese, 2020
N ella sua troppo breve vita Bruno Maderna (Venezia 1920-Darmstadt 1973 non sentì il bisogno di d... more N ella sua troppo breve vita Bruno Maderna (Venezia 1920-Darmstadt 1973 non sentì il bisogno di dare forma scritta alla ricchezza di conoscenze e riflessioni, al pensiero che faceva vivere nella duplice, intensissima attività di compositore e direttore. Centinaia di pagine di "scritti, frammenti e interviste" possono sembrare un paradosso per un protagonista che non scrisse quasi nulla; ma ciò si deve alla mole e alla natura (disuguale, non sistematica e non sintetica) del materiale su cui con rigore e acribia hanno compiuto un enorme lavoro i curatori di questo libro per farci ritrovare la voce di Maderna. Le tracce verbali del suo pensiero sono state cercate e raccolte soprattutto in interviste stampate o registrate, in conversazioni o dibattiti: era necessaria una selezione, che è stata compiuta con intelligenza larghezza.
Załącznik Kulturoznawczy 7, 2020
Courses on popular music were sparsely introduced in Italian universities in the late 1900s – ear... more Courses on popular music were sparsely introduced in Italian universities in the late 1900s – early 2000s, and are still included under the umbrellas of other disciplines (ethnomusicology, media and communication studies, sociology). An official disciplinary sector including popular music does not exist. However, research on popular music has existed in Italy at least since the 1960s, two important international conferences took place in Italy (as early as in 1983, and in 2005), and Italian popular music scholars are known internationally and have been members of associations, editorial boards, scientific committees. To explain this contradiction, a long historical period has to be overviewed. It’s a very specific Italian story. Or maybe not.
L'Indice dei libri del mese, 2020
Recensione di: Alan Lomax, MISTER JELLY ROLL Vita, fortune e disavventure di Jelly Roll Morton, ... more Recensione di:
Alan Lomax,
MISTER JELLY ROLL
Vita, fortune e disavventure di Jelly Roll Morton, creolo di New Orleans, “Inventore del Jazz”
a cura di Claudio Sessa, ed. orig. 1950, trad. dall’inglese di Giuseppe Lucchesini, pp. 368, € 25, Quodlibet, Macerata 2019
INDICE Non è musica leggera p. 9 Das Lied von der Erde: il messaggio di un addio p. 19 Il roma... more INDICE
Non è musica leggera p. 9
Das Lied von der Erde: il messaggio di un addio p. 19
Il romanzo della Nona p. 25
Geografie della passione p. 33
Quale opera? E quali soldi? p. 43
Avere naso e non far finta di niente p. 55
Richard Strauss. Metamorphosen, Studio (versione per 50 archi) p. 67
Arnold Schönberg. Trio per violino, viola e violoncello, Op. 45 p. 71
«Atmosfere» o paesaggi sonori? p. 77
Da un Einstein all’altro, fino a Wall Street p. 83
L’America, la morte, il bisogno di comunicare, qualcosa
da costruire. A Quiet Place and Trouble in Tahiti
di Leonard Bernstein p. 103
Il Requiem polacco: religione e spettacolarità nella musica
di Krysztof Penderecki p. 113
«... au théâtre à faire le reste»: genesi o spiegazione dell’Orfeo p. 119
L’esattezza, e altre ossessioni p. 131
Witold Lutosławski: necessità del caso p. 137
Un granello di sax p. 145
Musiche da The Yellow Shark p. 151
Zappa e l’elettroacustica p. 157
C’è un’altra Grecia p. 169
I nomi delle musiche p. 175
La musica come forma dell’interrelazione sociale p. 181
Sonde: la direzione del nuovo p. 205
La linea, il corpo, la politica p. 223
Il corpo nella mente musicale p. 239
La musica: un falso molto autentico, veramente fasullo p. 253
Folle in marcia: i Carmina Burana e la musica pop p. 269
La musica di strada, il senso comune, le buone intenzioni p. 279
L’inganno della «ricerca»: l’Art Research e la sopravvivenza
delle Humanities nella crisi finanziaria e politica
degli anni 2010 p. 287
Bibliografia p. 299
Fonti p. 309
Indice dei nomi p. 313
L’Autore p. 323
Cartographier la chanson contemporaine, ed. Perle Abbrugiati et al., pp. 347-356, 2019
Controculture italiane, a cura di Silvia Contarini e Claudio Milanesi, Franco Cesati Editore, Firenze, 2019
La memoria del lungo Sessantotto è immancabilmente legata alla musica. Il senso comune vuole che ... more La memoria del lungo Sessantotto è immancabilmente legata alla musica. Il senso comune vuole che le “rivoluzioni” musicali degli anni Sessanta abbiano preparato la strada ai movimenti politici giovanili della fine di quel decennio, ed è difficile pensare al Sessantotto senza evocare le immagini visive e sonore di singole canzoni, cori di piazza, raduni e festival. Ma la storia è più complessa, e sarebbe altrettanto facile sostenere che – almeno per un certo periodo – musica e politica siano scivolate su binari paralleli, quasi ignorandosi. Ciò che accadde nei primi anni Settanta a Milano – città di grande rilevanza per l’editoria musicale, la discografia, lo spettacolo, oltre che punto focale dell’autunno caldo, della strategia della tensione, del movimento studentesco e dei gruppi extraparlamentari, e anche dei beatnik italiani e di Re Nudo – è oggetto in questo intervento di una riflessione-testimonianza.
Lingue e Culture dei Media, 2019
I casi di plagio musicale, di tanto in tanto, emergono all’attenzione pubblica. È meno noto, tutt... more I casi di plagio musicale, di tanto in tanto, emergono all’attenzione pubblica. È meno noto, tuttavia, che a occuparsene (oltre a giudici e avvocati esperti di diritto d’autore) siano docenti di musica e musicologi, in qualità di periti di parte o di ufficio. Ciò che viene messo a confronto, oltre a frammenti di canzoni, melodie, sequenze armoniche, ritmi, sonorità, sono le teorie in base alle quali è possibile sostenere la somiglianza o l’estraneità delle musiche coinvolte nel giudizio. In sostanza, ogni causa di plagio implica un confronto fra diverse interpretazioni dei concetti fondativi dello studio della musica. Non è un’esagerazione, dunque, affermare che il plagio sia la prova del budino della musicologia: un terreno di confronto consistente e articolato, spesso più sostanzioso di secolari controversie teoriche.
Music History and Cosmopolitanism, edited by Anastasia Belina, Kaarina Kilpiö and Derek B. Scott, Routledge, Jul 4, 2019
What we now call ‘popular music’ isn’t simply the Anglo-American mainstream from the Tin Pan Alle... more What we now call ‘popular music’ isn’t simply the Anglo-American mainstream from the Tin Pan Alley era (or even the 1950s) onward, with the optional addition of a handful of local genres, styles, and scenes: it’s an extremely varied set of music events that became visible and audible almost simultaneously in many places around the world since the early decades of the Nineteenth century. If we accept this idea, then a popular music historian has to face a number of challenging questions.
Which sources are available? How reliable are they? In which languages were they conceived, written or recorded? Within which theoretical framework can they be studied? It’s a huge work, but it must also produce a manageable output, in the form of handbooks, audiovisual products, web pages, and other material suitable for teaching and dissemination.
Musica/Realtà, 2019
Il titolo si riferisce sia alla brevità caratteristica delle canzoni, rispetto ad altre forme mus... more Il titolo si riferisce sia alla brevità caratteristica delle canzoni, rispetto ad altre forme musicali e artistiche (in letteratura, teatro, cinema, danza, eccetera), sia alle diverse temporalità che possono essere istituite – con mezzi musicali e verbali – all’interno di una canzone.
L'Indice dei libri del mese, 2019
Q ualcuno potrebbe domandarsi se la canzone politica esista ancora. Sarebbe legittimo: i generi m... more Q ualcuno potrebbe domandarsi se la canzone politica esista ancora. Sarebbe legittimo: i generi musicali nascono, vivono, scompaiono, a volte del tutto, a volte provvisoriamente. Per esempio, c'era qualche esponente della canzone politica al concerto del primo maggio a Roma, promosso dai sindacati confederali? Quanti ce ne sono stati, da quando il "concertone" è stato istituito nel 1990? E non intendiamo l'occasionale cantautore, gruppo rock, rapper, noto per le sue posizioni politiche e autore di qualche canzone "di parte" (uno o due ci sono sempre): no, qualche cantante, musicista, che il pubblico, sulla base delle convenzioni del genere, riconosca come uno/una che fa "canzone politica", quel contesto di "canzoni politico-popolari" al quale già si riferivano Gianni Bosio e Roberto Leydi in un articolo del 1965 pubblicato sul "Nuovo Canzoniere Italiano". Il genere al quale ascriveremmo, per fare qualche esempio nazionale e internazionale in ordine cronologico sparso, Ivan al "concertone" è stata invitata una volta, perché aveva appena partecipato a un album con Francesco De Gregori. Alcuni non ci sono più, da tempo, altri sono in piena attività ancora oggi, ma dal 1990 in poi ci sarebbe stata più di un'occasione per invitarne anche solo un paio, no?
L'indice dei libri del mese, 2018
Come mai interessa così tanto la musica del Sessantotto? Immagino che una delle ragioni sia la no... more Come mai interessa così tanto la musica del Sessantotto? Immagino che una delle ragioni sia la normalissima frenesia per gli anniversari, così radicata nelle pratiche dei media e delle istituzioni, ma anche in quelle personali. Ci si emoziona tanto per il cinquantesimo compleanno, ma non per il quarantanovesimo o qualunque altro nella decina precedente o successiva. C'è un'attenzione spasmodica per le cifre tonde: vi ricordate il Duemila (c'era anche l'incubo fasullo del "millennium bug")? Tutto questo nonostante che gli avvenimenti importanti abbiano il vizio di presentarsi in anni qualsiasi: il 1492, il 1789, il 1861, il 1917, il 2001. Perfino Gesù è nato fra il 7 e il 4 avanti Cristo. Ma poi, quando è che si ricordano quegli avvenimenti con maggiore fervore? Un numero intero di decine di anni dopo: nel decennale, nel cinquantennale, nel centenario, e multipli relativi. Abbiamo dieci dita nelle due mani. Gli ottopodi del film Arrival quando commemorano? E dire che uno dei sistemi di numerazione ormai più diffusi è quello esadecimale: forse gli informatici celebreranno gli anniversari basandosi sul numero FF? Quest'anno è l'FF-nario del 1763, anno in cui Joseph Haydn compose tre sinfonie: perché non fare una bella settimana haydniana alla radio? Ma basta così: anni fa (sedici, ovvero 00001000 in binario, o 10 in esadecimale: bei numeri) per la mia antipatia verso le ricorrenze mi bruciai una carriera di conduttore radiofonico. Scrissi su un quotidiano che una certa settimana mozartiana mi aveva dato la nausea, come una torta al limone, e il direttore della radio chiese a un collaboratore: "Ma questo qui lavora per noi?" Col '68 però è diverso. Perché allora avevo diciott'anni, e non si ha quell'età più di una volta nella vita. Il '68, però, non il Sessantotto. Questo è durato una decina di anni, non si sa bene quando sia finito (qualcuno a volte mi dice: "Ma non ti sei accorto che il Sessantotto è finito?"), e nemmeno quando sia cominciato. Per di più, quando in Italia si parla della musica del Sessantotto, i ricordi vanno in gran parte a musiche degli anni Settanta già inoltrati. Lasciamo, quindi, che si celebri il cinquantenario de "La locomotiva" nel 2022, di "Stalingrado" nel 2023, di "Gioia e rivoluzione" nel 2025. Tre altre canzoni, secondo me, primeggiano nel ricordo del 1968. La prima, quasi inevitabilmente, è "Contessa", di Paolo Pietrangeli, che fu composta due anni prima, ma che secondo tutte le testimonianze (anche quelle dell'autore, e quelle che ho trovato o raccolto) era cantata nel '68 in tutte le manifestazioni. Lo stesso autore ha curato nel 2005 un dvd, Ignazio, al quale partecipano fra gli altri Ettore Scola, Giovanna Marini, Daniele Silvestri; contiene un bel montaggio con riprese di Pietrangeli che la canta, e altro materiale. È visibile anche su YouTube, e rende più giustizia alla
I worked as a composer of game music in the late 1980s, as part of a broader interest in electron... more I worked as a composer of game music in the late 1980s, as part of a broader interest in electronic music and computer music, in the age of 8-bit home computers. Some of my pieces can still be found in archives of ‘classic’ games for the Commodore 64. I also wrote two books on the usage of Commodore 64 as a music instrument and started the first course on this subject in an Italian music school. At the Ludomusicology conference in Mataró I presented this work, framing it into the context of my other activities during that period: as a composer and member of a rock band, as a performer of electronic music and author of computer-assisted audio-visual projects, and also as a musicologist (my early articles on genre theory and my participation in the establishment of popular music studies belong to the same years).
The topics covered in my presentation are: 1) a brief, general overview of the sound capabilities offered by 8-bit computers in the early 1980s; 2) an aesthetic and technical coverage of my works with the DAI and the Commodore 64; 3) a comment on the integration of home computing into my other musical works based on more traditional electronic instruments (synthesizers, sequencers, etc); 4) a brief presentation of the resources used for game music composing, and of the requests by game programmers. Music examples will be included.
Jazz Under State Socialism, Vol. 11, Ubuntu Fusion Music, ed Yvetta Kajanová, 2024
Macchina Maccheronica is the seventh studio album by the Italian group Stormy Six, recorded in 19... more Macchina Maccheronica is the seventh studio album by the Italian group Stormy Six, recorded in 1979 and released in 1980; Macchina Maccheronica was also an alternative name for the band: an effort to switch to Italian from the rather obsolete name created when the band was formed in 1965. ‘Latino maccheronico’ (macaronic Latin) was a way, in the late Middle Ages and early Renaissance, to mix Latin and vernacular Italian, and it became a literary genre. ‘High’ and ‘low’ were also the basic ingredients of Stormy Six’s music and lyrics at the end of the 1970s. As a matter of fact, Stormy Six travelled across genres along their whole career: from r&b to psychedelic pop, to country rock, to folk and protest songs, to progressive folk and progressive rock, and to alternative rock. When the material for Macchina Maccheronica was composed, Stormy Six were one of ‘the five rock groups the record companies don’t want you to hear’, as a poster went in 1978, announcing the first Rock In Opposition Festival in London. Ironically, Macchina Maccheronica has become one of the canonic examples of RIO, a sub- genre of progressive rock which emerged after the demise of the league of independent bands (Henry Cow/ Art Bears, Univers Zero, Samla Mammas Manna, Etron Fou Leloublan, Art Zoyd, and Stormy Six) that gave birth to that acronym. Both the album and the genre are a good field to investigate musical and lyrical creative processes based on the interaction of different materials and models: folk and vernacular, structured (written) composition, improvisation, rock, jazz, cabaret. In 1980 Macchina Maccheronica was awarded the Preis der deutschen Schallplattenkritik for best rock record of the year. The Police scored second.
Music Borrowing And Copyright Law. A Genre-by-Genre Analysis, edited by Enrico Bonadio and Chen Wei Zhu , 2023
My Kind of Sound: Popular Music and Audiovisual Culture, edited by Enrique Encabo, 2021
Note tricolori. La storia dell'Italia contemporanea nella popular music, a cura di Paolo Carusi e Manfredi Merluzzi, 2021
La rivista il Mulino, 2021
Il bardo di Duluth compie 80 anni. Franco Fabbri sottolinea il ruolo di Dylan non solo come autor... more Il bardo di Duluth compie 80 anni. Franco Fabbri sottolinea il ruolo di Dylan non solo come autore di canzoni, ma anche come musicista. Una caratteristica troppo spesso dimenticata dalla critica di Franco Fabbri
Il tempo di una canzone è una raccolta di saggi sulla popular music, ai quali Franco Fabbri ha la... more Il tempo di una canzone è una raccolta di saggi sulla popular music, ai quali Franco Fabbri ha lavorato negli ultimi dieci anni e fino a tempi recentissimi. Soprattutto, più della metà sono stati scritti e pubblicati in altre lingue ed erano finora inediti in italiano: fra questi, alcuni sono in assoluto i più letti – nella lingua originale – da un vasto pubblico internazionale. La popular music è studiata dal punto di vista storico (dalla canzone napoletana e statunitense nella prima metà dell’Ottocento, fino al rebetico, e poi al rock, al beat, e alla canzone d’autore, dagli anni Cinquanta del Novecento ai giorni nostri), analitico (il sound delle surf bands, del progressive rock, di Peter Gabriel, di De André, della musica ascoltata in cuffia e in streaming), teorico (le classificazioni per generi, le diverse tendenze degli studi musicali, il plagio). C’è spazio anche per saggi sulla musica da film, per l’impatto delle tecnologie sulla produzione e sul consumo di musica, per riflessioni sull’industria editoriale e discografica e sul diritto d’autore.
Introduzione
Cos’è la popular music? E cosa non è? Un resoconto,
dopo trent’anni di popular music studies
Cosa intendiamo per «empirico»?
La popular music a Napoli e negli USA prima della «popular music»: da Donizetti a Stephen Foster,
da Piedigrotta a Tin Pan Alley
Un triangolo mediterraneo: Napoli, Smirne, Atene
Culture del suono nei panighiria di Tilos (Dodecaneso):
spazi, riti, tecnologie e stili del confronto popolare/popular
Come nascono, cambiano, muoiono i generi?
Convenzioni, comunità e processi diacronici
Quale musicologia per la canzone?
Suoni e segni. Un resoconto. Alla memoria di Luca Marconi
«Le canzoni che avrei scritto io avrebbero dovuto essere così». Influenze transnazionali tra poeti, compositori, cantautori
Sound studies e popular music studies: a proposito
di nuovi spazi disciplinari e clamorosi silenzi (con Marta García Quiñones)
Ascoltando gli Shadows, quarant’anni dopo e per la prima volta (con Marta García Quiñones)
And the Bitt Went On
Il progressive rock in Italia negli anni Sessanta e Settanta: comunità, stili, rapporti con altri generi e scene
«Orchestral manoeuvres» negli anni Settanta: la Cooperativa l’Orchestra, 1974-1983
L’epoca dell’ascolto binaurale
«Vorrei che il mio disco avesse questo suono qui…».
Peter Gabriel e le tecnologie audio
«Questo silenzio non mi convince!» Il silenzio nel suono
cinematografico
Quando il cinema incoronava la musica. Due casi esemplari: Anatomia di un Omicidio ed Exodus
Un pianeta proibito: il cinema di fantascienza
e la musica elettronica
Il plagio. È la prova del budino della musicologia?
Il tempo di una canzone
Bibliografia
Fonti
Indice dei nomi
L'Indice dei libri del mese, 2020
N ella sua troppo breve vita Bruno Maderna (Venezia 1920-Darmstadt 1973 non sentì il bisogno di d... more N ella sua troppo breve vita Bruno Maderna (Venezia 1920-Darmstadt 1973 non sentì il bisogno di dare forma scritta alla ricchezza di conoscenze e riflessioni, al pensiero che faceva vivere nella duplice, intensissima attività di compositore e direttore. Centinaia di pagine di "scritti, frammenti e interviste" possono sembrare un paradosso per un protagonista che non scrisse quasi nulla; ma ciò si deve alla mole e alla natura (disuguale, non sistematica e non sintetica) del materiale su cui con rigore e acribia hanno compiuto un enorme lavoro i curatori di questo libro per farci ritrovare la voce di Maderna. Le tracce verbali del suo pensiero sono state cercate e raccolte soprattutto in interviste stampate o registrate, in conversazioni o dibattiti: era necessaria una selezione, che è stata compiuta con intelligenza larghezza.
Załącznik Kulturoznawczy 7, 2020
Courses on popular music were sparsely introduced in Italian universities in the late 1900s – ear... more Courses on popular music were sparsely introduced in Italian universities in the late 1900s – early 2000s, and are still included under the umbrellas of other disciplines (ethnomusicology, media and communication studies, sociology). An official disciplinary sector including popular music does not exist. However, research on popular music has existed in Italy at least since the 1960s, two important international conferences took place in Italy (as early as in 1983, and in 2005), and Italian popular music scholars are known internationally and have been members of associations, editorial boards, scientific committees. To explain this contradiction, a long historical period has to be overviewed. It’s a very specific Italian story. Or maybe not.
L'Indice dei libri del mese, 2020
Recensione di: Alan Lomax, MISTER JELLY ROLL Vita, fortune e disavventure di Jelly Roll Morton, ... more Recensione di:
Alan Lomax,
MISTER JELLY ROLL
Vita, fortune e disavventure di Jelly Roll Morton, creolo di New Orleans, “Inventore del Jazz”
a cura di Claudio Sessa, ed. orig. 1950, trad. dall’inglese di Giuseppe Lucchesini, pp. 368, € 25, Quodlibet, Macerata 2019
INDICE Non è musica leggera p. 9 Das Lied von der Erde: il messaggio di un addio p. 19 Il roma... more INDICE
Non è musica leggera p. 9
Das Lied von der Erde: il messaggio di un addio p. 19
Il romanzo della Nona p. 25
Geografie della passione p. 33
Quale opera? E quali soldi? p. 43
Avere naso e non far finta di niente p. 55
Richard Strauss. Metamorphosen, Studio (versione per 50 archi) p. 67
Arnold Schönberg. Trio per violino, viola e violoncello, Op. 45 p. 71
«Atmosfere» o paesaggi sonori? p. 77
Da un Einstein all’altro, fino a Wall Street p. 83
L’America, la morte, il bisogno di comunicare, qualcosa
da costruire. A Quiet Place and Trouble in Tahiti
di Leonard Bernstein p. 103
Il Requiem polacco: religione e spettacolarità nella musica
di Krysztof Penderecki p. 113
«... au théâtre à faire le reste»: genesi o spiegazione dell’Orfeo p. 119
L’esattezza, e altre ossessioni p. 131
Witold Lutosławski: necessità del caso p. 137
Un granello di sax p. 145
Musiche da The Yellow Shark p. 151
Zappa e l’elettroacustica p. 157
C’è un’altra Grecia p. 169
I nomi delle musiche p. 175
La musica come forma dell’interrelazione sociale p. 181
Sonde: la direzione del nuovo p. 205
La linea, il corpo, la politica p. 223
Il corpo nella mente musicale p. 239
La musica: un falso molto autentico, veramente fasullo p. 253
Folle in marcia: i Carmina Burana e la musica pop p. 269
La musica di strada, il senso comune, le buone intenzioni p. 279
L’inganno della «ricerca»: l’Art Research e la sopravvivenza
delle Humanities nella crisi finanziaria e politica
degli anni 2010 p. 287
Bibliografia p. 299
Fonti p. 309
Indice dei nomi p. 313
L’Autore p. 323
Cartographier la chanson contemporaine, ed. Perle Abbrugiati et al., pp. 347-356, 2019
Controculture italiane, a cura di Silvia Contarini e Claudio Milanesi, Franco Cesati Editore, Firenze, 2019
La memoria del lungo Sessantotto è immancabilmente legata alla musica. Il senso comune vuole che ... more La memoria del lungo Sessantotto è immancabilmente legata alla musica. Il senso comune vuole che le “rivoluzioni” musicali degli anni Sessanta abbiano preparato la strada ai movimenti politici giovanili della fine di quel decennio, ed è difficile pensare al Sessantotto senza evocare le immagini visive e sonore di singole canzoni, cori di piazza, raduni e festival. Ma la storia è più complessa, e sarebbe altrettanto facile sostenere che – almeno per un certo periodo – musica e politica siano scivolate su binari paralleli, quasi ignorandosi. Ciò che accadde nei primi anni Settanta a Milano – città di grande rilevanza per l’editoria musicale, la discografia, lo spettacolo, oltre che punto focale dell’autunno caldo, della strategia della tensione, del movimento studentesco e dei gruppi extraparlamentari, e anche dei beatnik italiani e di Re Nudo – è oggetto in questo intervento di una riflessione-testimonianza.
Lingue e Culture dei Media, 2019
I casi di plagio musicale, di tanto in tanto, emergono all’attenzione pubblica. È meno noto, tutt... more I casi di plagio musicale, di tanto in tanto, emergono all’attenzione pubblica. È meno noto, tuttavia, che a occuparsene (oltre a giudici e avvocati esperti di diritto d’autore) siano docenti di musica e musicologi, in qualità di periti di parte o di ufficio. Ciò che viene messo a confronto, oltre a frammenti di canzoni, melodie, sequenze armoniche, ritmi, sonorità, sono le teorie in base alle quali è possibile sostenere la somiglianza o l’estraneità delle musiche coinvolte nel giudizio. In sostanza, ogni causa di plagio implica un confronto fra diverse interpretazioni dei concetti fondativi dello studio della musica. Non è un’esagerazione, dunque, affermare che il plagio sia la prova del budino della musicologia: un terreno di confronto consistente e articolato, spesso più sostanzioso di secolari controversie teoriche.
Music History and Cosmopolitanism, edited by Anastasia Belina, Kaarina Kilpiö and Derek B. Scott, Routledge, Jul 4, 2019
What we now call ‘popular music’ isn’t simply the Anglo-American mainstream from the Tin Pan Alle... more What we now call ‘popular music’ isn’t simply the Anglo-American mainstream from the Tin Pan Alley era (or even the 1950s) onward, with the optional addition of a handful of local genres, styles, and scenes: it’s an extremely varied set of music events that became visible and audible almost simultaneously in many places around the world since the early decades of the Nineteenth century. If we accept this idea, then a popular music historian has to face a number of challenging questions.
Which sources are available? How reliable are they? In which languages were they conceived, written or recorded? Within which theoretical framework can they be studied? It’s a huge work, but it must also produce a manageable output, in the form of handbooks, audiovisual products, web pages, and other material suitable for teaching and dissemination.
Musica/Realtà, 2019
Il titolo si riferisce sia alla brevità caratteristica delle canzoni, rispetto ad altre forme mus... more Il titolo si riferisce sia alla brevità caratteristica delle canzoni, rispetto ad altre forme musicali e artistiche (in letteratura, teatro, cinema, danza, eccetera), sia alle diverse temporalità che possono essere istituite – con mezzi musicali e verbali – all’interno di una canzone.
L'Indice dei libri del mese, 2019
Q ualcuno potrebbe domandarsi se la canzone politica esista ancora. Sarebbe legittimo: i generi m... more Q ualcuno potrebbe domandarsi se la canzone politica esista ancora. Sarebbe legittimo: i generi musicali nascono, vivono, scompaiono, a volte del tutto, a volte provvisoriamente. Per esempio, c'era qualche esponente della canzone politica al concerto del primo maggio a Roma, promosso dai sindacati confederali? Quanti ce ne sono stati, da quando il "concertone" è stato istituito nel 1990? E non intendiamo l'occasionale cantautore, gruppo rock, rapper, noto per le sue posizioni politiche e autore di qualche canzone "di parte" (uno o due ci sono sempre): no, qualche cantante, musicista, che il pubblico, sulla base delle convenzioni del genere, riconosca come uno/una che fa "canzone politica", quel contesto di "canzoni politico-popolari" al quale già si riferivano Gianni Bosio e Roberto Leydi in un articolo del 1965 pubblicato sul "Nuovo Canzoniere Italiano". Il genere al quale ascriveremmo, per fare qualche esempio nazionale e internazionale in ordine cronologico sparso, Ivan al "concertone" è stata invitata una volta, perché aveva appena partecipato a un album con Francesco De Gregori. Alcuni non ci sono più, da tempo, altri sono in piena attività ancora oggi, ma dal 1990 in poi ci sarebbe stata più di un'occasione per invitarne anche solo un paio, no?
L'indice dei libri del mese, 2018
Come mai interessa così tanto la musica del Sessantotto? Immagino che una delle ragioni sia la no... more Come mai interessa così tanto la musica del Sessantotto? Immagino che una delle ragioni sia la normalissima frenesia per gli anniversari, così radicata nelle pratiche dei media e delle istituzioni, ma anche in quelle personali. Ci si emoziona tanto per il cinquantesimo compleanno, ma non per il quarantanovesimo o qualunque altro nella decina precedente o successiva. C'è un'attenzione spasmodica per le cifre tonde: vi ricordate il Duemila (c'era anche l'incubo fasullo del "millennium bug")? Tutto questo nonostante che gli avvenimenti importanti abbiano il vizio di presentarsi in anni qualsiasi: il 1492, il 1789, il 1861, il 1917, il 2001. Perfino Gesù è nato fra il 7 e il 4 avanti Cristo. Ma poi, quando è che si ricordano quegli avvenimenti con maggiore fervore? Un numero intero di decine di anni dopo: nel decennale, nel cinquantennale, nel centenario, e multipli relativi. Abbiamo dieci dita nelle due mani. Gli ottopodi del film Arrival quando commemorano? E dire che uno dei sistemi di numerazione ormai più diffusi è quello esadecimale: forse gli informatici celebreranno gli anniversari basandosi sul numero FF? Quest'anno è l'FF-nario del 1763, anno in cui Joseph Haydn compose tre sinfonie: perché non fare una bella settimana haydniana alla radio? Ma basta così: anni fa (sedici, ovvero 00001000 in binario, o 10 in esadecimale: bei numeri) per la mia antipatia verso le ricorrenze mi bruciai una carriera di conduttore radiofonico. Scrissi su un quotidiano che una certa settimana mozartiana mi aveva dato la nausea, come una torta al limone, e il direttore della radio chiese a un collaboratore: "Ma questo qui lavora per noi?" Col '68 però è diverso. Perché allora avevo diciott'anni, e non si ha quell'età più di una volta nella vita. Il '68, però, non il Sessantotto. Questo è durato una decina di anni, non si sa bene quando sia finito (qualcuno a volte mi dice: "Ma non ti sei accorto che il Sessantotto è finito?"), e nemmeno quando sia cominciato. Per di più, quando in Italia si parla della musica del Sessantotto, i ricordi vanno in gran parte a musiche degli anni Settanta già inoltrati. Lasciamo, quindi, che si celebri il cinquantenario de "La locomotiva" nel 2022, di "Stalingrado" nel 2023, di "Gioia e rivoluzione" nel 2025. Tre altre canzoni, secondo me, primeggiano nel ricordo del 1968. La prima, quasi inevitabilmente, è "Contessa", di Paolo Pietrangeli, che fu composta due anni prima, ma che secondo tutte le testimonianze (anche quelle dell'autore, e quelle che ho trovato o raccolto) era cantata nel '68 in tutte le manifestazioni. Lo stesso autore ha curato nel 2005 un dvd, Ignazio, al quale partecipano fra gli altri Ettore Scola, Giovanna Marini, Daniele Silvestri; contiene un bel montaggio con riprese di Pietrangeli che la canta, e altro materiale. È visibile anche su YouTube, e rende più giustizia alla
Le forme della narrazione nel Novecento: letteratura, cinema, televisione, fumetto, musica. Atti delle Rencontres de l’Archet. Morgex, 10-15 settembre 2012. pp. 94-129. ISBN 978889046145, 2013
There can be little doubt that the usage of the concept of genre remains widespread in discourses... more There can be little doubt that the usage of the concept of genre remains widespread in discourses around music, cinema, theatre, literature. However, for a long period of time, musicologists have paid little attention to genre, which is considered to be an outdated legacy of positivism: a concept belonging to amateurish criticism or daily musical practice – and incompatible with the hegemonic ideology of ‘absolute music’. In the commentary that follows, the history of my own efforts to bring genre back to the theoretical core of musicological debate is outlined, and intertwined with the work of other scholars (sociologists, cultural theorists, anthropologists) who helped re-define genre as a useful concept in the scholarly study of music. Popular music, as a set of genres from which paramusical elements – and related social conventions – were never expelled as spurious (as formalist musicology did with respect to Western art music), was obviously my main focus, although in some writings I deal with classical music, electronic music and traditional (folk) music.
After examining at some length the development of my theory of genre (definitions, ‘rules’ and conventions, inter-genre relations and intra-genre diachronic development), the commentary focuses on a number of studies of specific (mostly popular) genres, music scenes, forms, artists, where genre is an underlying concept. One of the most delicate aspects of any theory about genre, and one that has been at the centre of my investigation for so long, is that of diachronic development; as a consequence, the history of popular music became at some point a favourite subject for my study – my contributions are outlined in the commentary which can be read in conjunction with my writings on the subject. Finally, a section is dedicated to my writings on music technology, music industry, and media. In the conclusions my work on genre is contextualised nationally and internationally, with some considerations on linguistic issues; the commentary ends with a brief outline of my future research plans.
Popular Music Worlds, Popular Music Histories. Conference Proceedings, ed. Geoff Stahl, Alex Gyde. ISSN 22250301, 2012
Musiikki, 2. ISSN 03551059, 2010
‘What Is Popular Music’ was the title of the Second International Conference on Popular Music Stu... more ‘What Is Popular Music’ was the title of the Second International Conference on Popular Music Studies, held in Reggio Emilia (Italy) in 1983. IASPM (the International Association for the Study of Popular Music) already existed then, but IASPM’s Executive Committee members didn’t find it inappropriate to ask scholars from many countries to reflect about ‘what popular music really is’.
Later on, it appeared that the question had found an answer: not just in the names and titles of institutions and journals, but especially in the common sense of scholars. At some point, PMS (Popular Music Studies) became a familiar acronym, indicating an interdisciplinary practice that didn’t seem to need any further explication. ‘We all know what popular music studies are’, one could hear saying. So, there came to be not only a commonsense recognition of what popular music is, but also of the dominant practices involved in its study.
However, under the thin crust of such an apparently wide agreement, magmatic currents are still moving and clashing, and emerge here and there during scholarly meetings, in blogs and mailing lists, in institutional debates.
This article addresses a number of issues that seem to me to be related both to that surface agreement and to those deep streams of disagreement about the identity of the popular music universe. Here are a few examples:
1. The linguistic issue: how does the expression ‘popular music’ translate into other languages? Although it is clear that many communities of scholars accepted to use the English expression anyway, how do ‘local’ terms (like música popular, musica popolare, populäre Musik, musique populaire, musique de varietés, etc.) affect the perception of this/these ‘kinds of music’?
2. The ethnocentric vs. multicultural issue: is popular music just the Anglo-American pop-rock mainstream? What is ‘world music’, then?
3. The ‘popularity’ issue: is popular music just any kind of mainstream? Does ‘unpopular popular music’ really exist?
4. The ‘modern media’ issue: is popular music just media-related music? What about nineteenth century fado, Stephen Foster’s Ethiopian songs, ‘classic’ Neapolitan song? What makes ‘media music’ popular? And is the concept of ‘media’, accepted when the expression ‘popular music’ was adopted, still valid now?
5. The socio-conceptual issue: what is ‘the people’, and what is ‘popular’?
My approach to these issues will be based mainly on: 1) a cognitive/semiotic critique of musical concepts and categories; 2) a close conceptual examination of the evolution of music dissemination (and/or ‘popularity’) in the past three decades.
I don’t think that it would be easy (or useful) to find a new name for the music that until thirty years ago, and in some countries much more recently, wasn’t studied in academic institutions: ‘popular music’ for me is still probably the best conventional term to indicate such a complex set of musical cultures and practices. However, I suggest that its conventional character shouldn’t be underemphasized, and that quiet assumptions about what popular music is and what popular music studies are should be treated very carefully.
L'italiano nella musica del mondo, a cura di Ilaria Bonomi e Vittorio Coletti, 2015
Musica/Realtà, 2018
Quando si parla di canzone, o più in generale di popular music, si sottintende che gli aspetti mu... more Quando si parla di canzone, o più in generale di popular music, si sottintende che gli aspetti musicali – che sono tutt’altro che secondari, anche nei generi nei quali il testo verbale ha particolare importanza – possano o debbano essere studiati dai musicologi. Formalmente è vero, sia perché la musicologia dovrebbe avere come oggetto “la musica”, sia perché altri studiosi (linguisti, sociologi, studiosi delle culture, eccetera) non necessariamente hanno avuto una formazione musicale di qualunque tipo. Ma spesso si trascura un aspetto essenziale, quello della storia della musicologia e della sua gerarchia di valori. Schematizzando (ma non troppo) si può dire che la corrente della musicologia largamente egemone in molti Paesi europei, che alcuni autori chiamano “musicologia convenzionale”, sia apertamente contraria allo studio della popular music; lo statuto ontologico di questa corrente maggioritaria identifica l’opera musicale con la partitura, ed è ancora ampiamente legata alla nozione ottocentesca di “musica assoluta”, dove l’eventuale testo verbale è un elemento spurio; per le stesse ragioni, la musica non ha potenziale semantico, e la ricerca di un rapporto fra testo e musica può avere senso soltanto secondo una prospettiva formale, sintattica. Gli appelli ai musicologi perché contribuiscano allo studio della canzone, quindi, sono in larga parte destinati a cadere nel vuoto. Per la musicologia convenzionale la popular music, in quanto oggetto privo di qualunque valore estetico, può e deve essere studiata dai sociologi e da studiosi di altre discipline non musicali: e se non capiscono granché di musica, poco importa.
Capitolo 1 - Premesse per una storia della popular music Capitolo 2 - Precursori: Stephen Foster... more Capitolo 1 - Premesse per una storia della popular music
Capitolo 2 - Precursori: Stephen Foster, il minstrel show, la nascita di Tin Pan Alley
Capitolo 3 - I sogni di Edison, l’industria di Berliner
Capitolo 4 - La canzone napoletana
Capitolo 5 - Dal Salone Margherita al Cafè Aman. Aristide Bruant e la canzone francese
Capitolo 6 - Origini del flamenco, del fado, del tango
Capitolo 7 - Ragtime, blues, jazz
Capitolo 8 - Musiche del Mediterraneo orientale
8.1 Il rebetico
8.2 Umm Kulthum e la canzone araba
Capitolo 9 - Il Kabarett
Capitolo 10 - Il cinema sonoro. Canzoni e musica da film
Capitolo 11 - L’età dell’oro del musical e gli «American Classics»
Capitolo 12 - Voci e musiche alla radio
Capitolo 13 - Race, hillbilly, crooners: le voci dell’America al microfono
Capitolo 14 - Musica leggera in Italia nel Ventennio
Capitolo 15 - Il dopoguerra negli USA: dal rhythm & blues al rock ’n’ roll
Capitolo 16 - Il trionfo del rock ’n’ roll
Capitolo 17 - Il dopoguerra in Italia. Il Festival di Sanremo
Capitolo 18 - Nuovi poeti, nuovi disturbi: gli «chansonniers», la bossa nova
Capitolo 19 - Cantacronache, cantautori, il Nuovo Canzoniere Italiano
Capitolo 20 - Dopo il rock ’n’ roll: dalle alternative «perbene» a Dylan
Capitolo 21 - L’era dei gruppi
Capitolo 22 - L’Italia del boom e del bitt
Capitolo 23 - L’«estate dell’amore»
Capitolo 24 - La «Woodstock Nation» e l’altra «altra America»
Capitolo 25 - Canzone politica e canzone d’autore, intorno al ’68
Capitolo 26 - Cantautori in America Latina
Capitolo 27 - Cantautori in Europa
Capitolo 28 - Psichedelici, sperimentatori: da Zappa ai Pink Floyd, al progressive rock
Capitolo 29 - Musiche urbane e post-coloniali dopo la crisi del petrolio
Capitolo 30 - Compact disc, campionatori, videoclip
Capitolo 31 - Il potere di «rappresentare»: rap e rock a confronto
Capitolo 32 - Il mondo entra in scena
Capitolo 33 - Bricolage elettronico: techno, rave, musica sulla rete
Bibliografia
Indice delle canzoni, degli album, delle trasmissioni radiofoniche e televisive, dei film, delle pubblicazioni
Indice dei nomi
Suono/Immagine/Genere, ed. Ilario Meandri, Andrea Valle. ISBN 9788889908600, 2011
Il cinema di fantascienza è stato tra i primi generi ad accogliere nelle proprie colonne sonore g... more Il cinema di fantascienza è stato tra i primi generi ad accogliere nelle proprie colonne sonore gli strumenti elettronici e la musica concreta ed elettronica. L'associazione tra suoni tecnologici e civiltà del futuro, terrestri o extraterrestri, era già stata sperimentata nella letteratura fantascientifica, talora con funzioni narrative fondamentali (come nel caso del Visisonor, lo strumento multimediale che ha tanta parte nella Trilogia galattica di Isaac Asimov). Come è noto, negli Stati Uniti non c’erano, negli anni Cinquanta del secolo scorso, grandi distanze tra i musicisti sperimentali e i realizzatori di colonne sonore di film di fantascienza, come dimostrano i rapporti tra John Cage e Louis e Bebe Barron. Ma un rapporto tra cinema di fantascienza e musica elettronica si istituì inevitabilmente anche nel senso comune degli ascoltatori, creando codici interpretativi che suggerivano decodifiche aberranti nei confronti della musica elettronica “pura”, forzatamente associata a immagini aliene o futuribili anche quando non erano minimamente intese dai compositori. L’emancipazione reciproca tra musica elettronica e cinema fantascientifico è stata faticosa, e in parte ottenuta grazie all’innovazione tecnologica: quando i suoni sintetici sono entrati nella pratica quotidiana della popular music, e contemporaneamente la fantascienza si è riappropriata (di nuovo all’avanguardia nel cinema) del suono dell’orchestra sinfonica.
Critical Musicological Reflections, ed. S. Hawkins. ISBN 9781409425601, 2012
Musical genres do exist. Nineteenth century positivist musicologists even treated them (or what w... more Musical genres do exist. Nineteenth century positivist musicologists even treated them (or what was then conceived as genre) as living entities. Such biological metaphors – implying concepts of birth, infancy, growth, maturity, death – were soon abandoned, in the wake of the hegemony of formalist musicology, and its devaluation of any concept related to function, context, community. However, genres continued to ‘live’ and are still flourishing: their ‘life’ today is in the domains of culture, of commonsense, in the semiosphere, i.e. in the discourses of musicians, critics, fans, concert promoters, record industry executives, sales people, web designers, etc.
As cultural units (and not metaphysical categories), genres are rooted in history: which also means that for each genre that comes to our mind, there must have been a time when it didn’t exist yet. It’s an obvious observation, but one that doesn’t seem to have troubled many of the scholars (not so many anyway) who have dealt with the subject. On the contrary, I believe that no genre theory – be it a ‘strong’ theory or a simple description of how the concept is used in contemporary communities – can be valid if it doesn’t take genre formation and diachronic processes into consideration.
According to different theoretical approaches, which tend to overlap and/or complement (rather than contradict and oppose) each other, the ‘birth’ of a genre can be located in the establishment of conventions and norms within a community, in the ‘semiotic act’ of naming, in the acknowledgement of ‘family resemblances’, in the acceptance of prototypes. All such processes, however, do not take place in a void, but within a system or network of existing genres: which also means that some or all of them are often activated, or catalyzed, or polarized by existing genres, to which the new genre is opposed, or put on their side as a variant.
What does it mean, then, to study the birth of a new genre? It means: 1) to look into any kind of document for the earliest traces of the genre’s name as a label; 2) to investigate the genre’s community or communities (to many respects, communities defining and accepting genres have structural and processual similarities to communities at the base of national formation), and evaluate recurring behaviors, norms, codes, prototypes (within the framework of other existing genres, so evaluating oppositional functions); 3) to look for traces of same or similar behaviors, etc., before the genre’s name was accepted. For many genres in history (and my idea of ‘genre’ includes inevitably sets of genres, like ‘popular music’) it seems that practice anticipated naming, that is, a general acceptance of styles, social practices, functions, etc., under a specific name, followed years, decades, maybe even centuries of similar music activities, like with fado, flamenco, tango, the blues, jazz, rebetiko, up to rock ‘n’ roll.
As it was suggested for other fields (cinema studies, for example) such an investigation can be benefited by an historical approach based on the methods of the École des Annales, or, in other terms, by an interdisciplinary convergence of musicology, sociology, semiotics, historical linguistics, historiography.
XXI secolo. Comunicare e rappresentare, ed. T. Gregory., 2009
L'alta fedeltà come fenomeno di massa Il pubblico iniziò ad associare l'aggettivo digitale al suo... more L'alta fedeltà come fenomeno di massa Il pubblico iniziò ad associare l'aggettivo digitale al suono e alla musica negli anni Settanta del secolo scorso. Gli appassionati di alta fedeltà ebbero occasione di conoscere il termine a partire dal 1972, quando in Giappone vennero prodotte le prime apparecchiature per la registrazione digitale e furono realizzati i primi dischi con questo nuovo sistema.
Etymologically, nostalgia is a longing to return home. Music, as a temporal art, has numerous way... more Etymologically, nostalgia is a longing to return home. Music, as a temporal art, has numerous ways of suggesting or magnifying a vanished past, whether fantasized or actually experienced. This issue of Volume! offers a whole scope of various insights on the phenomenon of nostalgia, within a diversity of genres: French chanson, Canadian country song, cold wave… In turns a generational phenomenon, a marketing tool or an aesthetic cement for diverse musical communities, the protean aspect of nostalgia is investigated by the international contributors to this issue from a broad spectrum of social sciences. This issue aims at taking part in the pluridisciplinary debate on the central importance of nostalgia within popular music.
Le forme della canzone, ed. Enrico Careri and Giorgio Ruberti, ISBN 9788870967920, 2014
Visualizzare la struttura di una canzone: metodi, vantaggi, problemi Ho iniziato a servirmi di gr... more Visualizzare la struttura di una canzone: metodi, vantaggi, problemi Ho iniziato a servirmi di grafici per visualizzare la struttura di brani musicali, a fini di ricerca, nel 1995, sicuramente prendendo a modello i grafici su carta millimetrata che avevo studiato una quindicina di anni prima nel corso di musica elettronica del Conservatorio di Milano, e che avevo anche utilizzato per qualche composizione. 1
Milano, laboratorio musicale del Novecento. Scritti per Luciana Pestalozza, ed. Oreste Bossini. ISBN 9788877685261, 2009
Introduzione alla terza edizione Introduzione alla seconda edizione Istruzioni per l’uso Perch... more Introduzione alla terza edizione
Introduzione alla seconda edizione
Istruzioni per l’uso
Perché la chiamiamo popular music?
Musiche nel Novecento
Musiche nel XXI secolo
Che genere di musica?
I generi musicali e i loro metalinguaggi
Generi in trasformazione: l’elettrificazione di alcune musiche
nel Mediterraneo
Musiche, categorie, e cose pericolose
Tipi, categorie, generi musicali. Serve una teoria?
Il re è nudo: il campo musicologico unificato e la sua articolazione
Abbiamo un riff, o due
Forme e modelli delle canzoni dei Beatles
Questo pacchetto ti soddisferà: qualche cenno su From Me To You
(Verse)/Chorus/Bridge Revisited
Don’t Bore Us – Get To The Chorus. Serve la «noia» alle canzoni?
Complessità progressiva nella musica dei gruppi angloamericani, 1960-1967
Acquiring the Taste
De André il progressivo
La musica seria di Keith Jarrett
Vero o falso? Estetica della musica «riprodotta»
Il suono di chi? Popular music e tecnologia
Cucina elettronica e paesaggi immaginari
You’re pushing the needle to the red, ovvero della prospettiva, arte dell’illusione
Diavolo d’un Gabriel?
Come la vuole, la sfumatura?
Mai dire mai
Cuffia o altoparlanti?
Le «bolle musicali»: musica e automobile
Soluzioni criptiche
Traduzioni milionarie
Forza Milan!
Diritto, diritti e dritti: la Siae divide (e impera)
Muzak per le nostre orecchie
La bassa fedeltà è indigesta
Frank Zappa e gli altri ragazzacci
Organizzare il sound
Come il disco
Il Prometeo di Luigi Nono: l’occhio colpisce ancora
Il gesto e la musica automatica
Dalla musica automatica a quale cinema?
Bibliografia
Fonti
Indice dei nomi
Quattro anni da leggere, e da ascoltare L’ascolto tabù La scena: gente che balla La musica, l’... more Quattro anni da leggere, e da ascoltare
L’ascolto tabù
La scena: gente che balla
La musica, l’elettroacustica, i pensieri musicali
Per una critica del fallacismo musicologico
Studiare la popular music, in Italia
Paint It Black, Cat: rock, pop e Mediterraneo
Musiche del mondo
Serve la musica, alle canzoni?
Il cielo in una stanza
Mettere in musica la poesia: una bella storia
Essere cantautore oggi
Il cantautore con due voci (e con molte mani)
Quello che le parole non dicono
Sanremo, il festival
L’industria della musica
Le canzoni, la politica, la guerra
Storie della radio
Bibliografia
Fonti
Indice dei nomi
Questa nuova edizione de L’ascolto tabù contiene circa il 40% di testo in più rispetto alla prima... more Questa nuova edizione de L’ascolto tabù contiene circa il 40% di testo in più rispetto alla prima, introvabile da tempo. Il libro era uscito nel 2005 in una collana e in un formato che il Saggiatore ormai ha abbandonato, quindi aveva poco senso ristampare il volume tale e quale. Inoltre, sono passati più di dieci anni da quella prima pubblicazione, così ho accettato molto volentieri il consiglio dell’editore di prepararne una nuova stesura.
Mentre riflettevo su quali materiali aggiungere, mi sono anche domandato se ci fosse qualche testo che potesse essere eliminato. In particolare, ci sono alcune sezioni nell’ultima parte del libro che hanno un chiaro carattere giornalistico, e che sono molto legate all’attualità dei primi anni duemila: la guerra in Afghanistan, l’evoluzione dell’industria discografica, il Festival di Sanremo e il Mantova Musica Festival, le polemiche sulla direzione di Radio Tre negli anni successivi alla vittoria elettorale della Casa delle Libertà nel 2001. Alcuni di questi nomi, già da soli, mi procuravano qualche spiazzamento: Casa delle Libertà? Mantova Musica Festival? Industria discografica? Ma rileggendo (e spero che condividerete quest’impressione) mi sono reso conto che alcune di quelle «storie» non sono mai finite, o hanno lasciato tracce profonde nella situazione attuale, o meritano comunque di non passare nell’oblio, perché non si sa mai: potrebbero anche ripetersi. In ogni caso, mi è parso che valesse la pena di leggere con gli occhi di oggi commenti su vicende che distano da noi al massimo quindici anni: in alcuni casi sono stato un buon profeta (non è sempre facilissimo, mi darete atto), in altri ho sbagliato di grosso, in altri ancora è cambiato ben poco. In uno dei testi si parla del «videotelefonino», ma dovete aver pazienza se non l’ho chiamato smartphone: l’articolo era del 2003, e Steve Jobs ha presentato l’iPhone nel 2007.
Alla fine, ho deciso di lasciare quelle parti pressoché intatte, aggiungendo qualche nota, correggendo errori che mi erano sfuggiti, modificando espressioni giornalistiche che non sopporto più. Gli altri testi, quelli di carattere saggistico, mostrano molto meno i segni del tempo. Un po’ per il loro carattere più meditato, un po’ perché assomigliano alle cose che ho scritto in seguito: più o meno dall’epoca della prima edizione de L’ascolto tabù, infatti, ho smesso di fare il giornalista, mentre ho intensificato il lavoro di saggista, dedicandomi sempre più alla ricerca e all’insegnamento. Questo mi ha guidato anche nella scelta del materiale da aggiungere nella nuova edizione: ho voluto inserire testi che ampliassero gli argomenti già elaborati nella prima edizione, tralasciando invece studi più specialistici, che probabilmente meritano di essere raccolti in un volume di carattere diverso.
Ecco, dunque, cosa ho aggiunto: «Comprendere e fare popular music», testo di una relazione presentata nel 2012 a un convegno della Società italiana per l’educazione musicale, nella quale si sviluppano temi – il titolo è esplicativo – in parte trattati nella prima sezione del libro; «non toccare le manopole», altra relazione (mai presentata, in realtà, perché gli altri partecipanti al convegno avevano sforato i tempi…) che affronta il tema a me caro dell’ascolto di musica registrata nell’università, nei conservatori, nelle occasioni accademiche; «Sui nomi delle musiche», un breve saggio preparato su richiesta dell’Accademia della Crusca nel 2015, che idealmente completa la prima parte de L’ascolto tabù, dedicata ad aspetti teorici e politici dello studio della popular music (ringrazio l’Accademia della Crusca e l’editore GoWare per avermi concesso di riprodurlo qui).
Segue un’ampia sezione che potrei definire di «casi di studio», che ho deciso di far iniziare con un testo pubblicato nel 2007 in un libro curato da Riccardo Bertoncelli e Franco Zanetti (che ringrazio, assieme all’editore Giunti): «A chi piaceva “Lovely Rita”?», una riflessione su Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band dei Beatles e sulla sua ricezione in Italia. Più avanti, alla fine di una serie di testi sulle musiche di tradizione orale e sulla world music che si concludeva con un racconto del funerale di Roberto Leydi, ho aggiunto un articolo breve, preparato per L’Indice dei libri del mese, scritto nel 2016 poco dopo la scomparsa di Umberto Eco (che del funerale di Leydi fu uno dei protagonisti). Il nome di Eco ritorna spesso nel libro, anche e soprattutto in relazione al suo saggio sulla «canzone di consumo» del 1964, che di recente ho tradotto in inglese per la rivista Popular Music (era uno dei pochissimi saggi di Eco non ancora tradotti). Più avanti, sempre nei «casi di studio», ho inserito «Il suonatore Faber», il più ampio dei saggi che ho dedicato a suo tempo (nel 2003) a Fabrizio De André, che avrebbe potuto far parte della prima edizione di questo libro se non fosse stato pubblicato poco tempo prima in un volume collettivo, curato da Riccardo Bertoncelli (che ringrazio di nuovo).
In coda a un gruppo di testi dedicati a «Le canzoni, la politica, la guerra» ho aggiunto un’intervista che Jacopo Costa, dottorando all’università di Strasburgo, mi ha fatto nel 2014, nella quale parlo diffusamente di Rock in Opposition e di alcuni aspetti del lavoro degli Stormy Six. Di questi argomenti mi sono occupato nel mio Album bianco, e in modo accademicamente più rigoroso in alcuni saggi pubblicati all’estero: mi è parso che l’intervista di Costa (che ringrazio) potesse completare efficacemente alcuni spunti già presenti nella prima edizione di questo libro, senza sbilanciarne l’equilibrio.
Infine, prima della sezione sulla radio (e soprattutto su Radio Tre negli anni dopo il 2001), ho aggiunto «Il Trentennio: “musica leggera” alla radio italiana, 1928-1958», testo preparato per un convegno del 2009 e successivamente pubblicato in un volume di Bulzoni curato da Angela Ida De Benedictis (che ringrazio), che crea un collegamento secondo me efficace fra la prima parte de L’ascolto tabù (quella sulle questioni politico-accademiche intorno alla nomenclatura dei generi musicali e sul «comprendere e fare» popular music) e l’ultima parte. C’è un filo, purtroppo mai davvero interrotto, che lega il tabù dell’«intrattenimento», le origini del concetto di «musica leggera», la sua stabilizzazione durante il Ventennio fascista, la ripresa di quel concetto negli anni della Rai democristiana, e le trasformazioni introdotte dalla «rivoluzione» tecnologica degli anni novanta e duemila. All’ombra sottile di quel filo si vede anche altro: provate a leggere le polemiche (apparentemente antidiluviane) intorno al Mantova Musica Festival del 2004 e vedrete consolidarsi – in piena era berlusconiana – le prime tracce del renzismo. Anche a questo serve capire la musica.
Vórtex, 2017
Este estudo está dividido em três partes. Na primeira, a definição de "gênero musical" é exposta ... more Este estudo está dividido em três partes. Na primeira, a definição de "gênero musical" é exposta e comentada: a partir dessa base, observações e exemplos são elaborados acerca dos tipos de regras que contribuem para a definição de um gênero e das maneiras que eles são aceitos pelas várias comunidades. Na segunda parte, é feita uma análise dos gêneros caracterizados pela forma canzone na Itália atualmente, no sentido mais amplo que a palavra canzone possa ter. Tal análise sincrônica é feita através da explicação da estrutura de uma parte substancial do sistema musical italiano atual e também da demonstração de uma possível distinção entre gêneros similares normalmente confundidos sob o termo "canção leve". Na terceira parte, um desses gêneros musicais, a canzone d'autore, tem sua trajetória no tempo analisada; esta análise diacrônica é pretendida através da investigação das maneiras pelas quais um gênero é codificado e de suas possíveis transformações.
Il 22 febbraio 2014 Philip Tagg ha compiuto settant'anni. Gli dedichiamo, con gli auguri più af f... more Il 22 febbraio 2014 Philip Tagg ha compiuto settant'anni. Gli dedichiamo, con gli auguri più af fettuosi, questo saggio riassuntivo (anche se deliberatamente parziale) sugli sviluppi della se miotica della musica negli ultimi decenni, ai quali il lavoro e la visione critica del musicologo in glese hanno tanto contribuito. Il saggio è pubblicato anche in tedesco nella Zeitschrift für Semiotik, diretta da Roland Posner.
Journal of Mediterranean Studies, 21/2. ISSN 1016-3476, 2012
Amongst all Mediterranean music cultures, rebetiko offers one of the best examples of ‘translatio... more Amongst all Mediterranean music cultures, rebetiko offers one of the best examples of ‘translation’,,, whatever meaning is attached to the term. It is a migrant music culture, supposedly born on Anatolian ground (where the earliest usages of the name can be traced) and developed in Greece after the 1922–1923 katastrofí. It was initially the expression of a marginalized subculture, unavoidably linked to the mainstream way of life of Ottoman communities in Constantinople, Smyrna and other coastal towns in Turkey. It became a vastly popular genre in Greece, where even today the majority of the population knows dozens of songs. It used to be considered the musical icon of the failure of Greek nationalists’ Great Idea, until one of the songs in the genre became an unofficial national anthem As a genre, it evolved from melismatic to syllabic singing, from ‘modal’ to ‘tonal’, from additive to straight meters, from the usage of Ottoman, Arab and Central Asian instruments, in various mixtures, to almost fixed ensembles based on bouzoukis and Western instruments, from celebrating the underworld to night life in clubs. Yet, it has been considered as one genre, beloved by many, hated and persecuted by a few, disregarding (in both cases) subtler distinctions.
In this paper, rebetiko will be used as a testing device for genre theories and musical categorizing processes. It will be argued that, rather than pigeonholing fixed identities, genres adapt to change, and translation is a key concept to describe such adaptation, and even genre formation.
Se dobbiamo descrivere un evento musicale che non è presente nel momento in cui parliamo, possiam... more Se dobbiamo descrivere un evento musicale che non è presente nel momento in cui parliamo, possiamo accomunarlo a un altro che il nostro interlocutore probabilmente conosce. Se è simile perché sembra svolgersi secondo le stesse «regole del gioco» parliamo di un genere; se è simile perché sembra costruito alla stessa maniera parliamo di uno stile; se è simile perché è tipico di uno stesso luogo o di una stessa comunità parliamo di una scena. Ma «esistono» questi concetti? «Esiste» il rock progressivo, lo stile classico, il sound di Bristol? «Esiste» la chanson francese?
Quando ci si pongono queste domande, occorre tener presente lo statuto di realtà delle unità culturali, dei concetti. «In ogni cultura una unità culturale è semplicemente qualcosa che quella cultura ha definito come unità distinta diversa da altre e dunque può essere una persona, una località geografica, una cosa, un sentimento, una speranza, una idea, una allucinazione», come ha scritto David M. Schneider nel 1968, citato da Umberto Eco nel suo Trattato di semiotica generale. E dunque un genere, uno stile, una scena esistono se una cultura (cioè una comunità, che in quella cultura si identifica) ha convenuto che esistano. Un’unità culturale, si potrebbe dire, è il primo passo verso la realizzazione di un desiderio: che in quell’unità culturale esista, appunto. Un modello letterario che si può citare a questo proposito è quello del Cavaliere inesistente di Italo Calvino: un’armatura vuota che sta insieme solo perché la volontà popolare lo richiede.
Mi servirò della nozione di desiderio per sviluppare l’argomento centrale del mio discorso, e cioè l’influenza della chanson francese (o dell’opera di un certo numero di auteurs – compositeurs – interprètes) su altre scene nazionali in Europa degli anni Cinquanta del secolo scorso in poi. Con l’ipotesi che molto di ciò che è nato in altri Paesi corrispondesse almeno inizialmente al desiderio di creare qualcosa di simile alla chanson francese. O anche, se quella chanson era un esempio di canzone di alta qualità letteraria e di rilevanza sociale, al desiderio che una canzone così esistesse anche in altre culture.
Quella che segue è la scansione del dattiloscritto originale di una relazione presentata al 4° Co... more Quella che segue è la scansione del dattiloscritto originale di una relazione presentata al 4° Congresso Nuova Canzone, organizzato dal Club Tenco, nell'ambito della 7a Rassegna della Canzone d'Autore (Sanremo, 27-30 agosto 1980). Il testo è inedito. Lo pubblico su Academia perché, sia pure schematicamente, abbozza alcuni aspetti della teoria dei generi musicali che ho sviluppato negli anni successivi, e rende conto del dibattito all'interno del quale quella teoria è nata.
Zeitschrift für Semiotik, 34, 1/2. ISSN 0170-6241, 2013
The author provides a critical review of Umberto Eco’s thoughts on the semiotics of music, especi... more The author provides a critical review of Umberto Eco’s thoughts on the semiotics of music, especially popular music, in the 1960s and 1970s. He refers to the differing outline of a semiotic of music by Gino Stefani as well as to Philip Tagg’s semiotic theory of musical communication and he proposes that music as sound and its semiotic quality provides a far more adequate and larger category for semiotic analysis – covering the vast majority of all contemporary and recent musical productions – than conventional musicology’s category of music as notated work, and related methods of score analysis, which only affect a rather minor quantity of all music produced these days.
Relazione presentata alla conferenza internazionale "Woody Guthrie e la dignità dell 'uomo. Stori... more Relazione presentata alla conferenza internazionale "Woody Guthrie e la dignità dell 'uomo. Storia, letteratura, musica, immagini", Johns Hopkins University, Bologna, 21-23 maggio 2008 Chissà se gli equivoci e il caso riescono a essere produttivi, anche questa volta? Franco Minganti a suo tempo mi ha invitato a partecipare a questo convegno, in una delle tre sessioni previste. Ha descritto quella nella quale mi avrebbe inserito come "più musicale (anche con ascolti opportunamente guidati)", intendendola come distinta da quella introduttiva e storica e da quella "più letteraria".
Veinticinco años después de mi primera aproximación teórica a los géneros musicales (A Theory of ... more Veinticinco años después de mi primera aproximación teórica a los géneros musicales (A Theory of Musical Genres: Two Applications, era el título de mi intervención en la conferencia de Amsterdam de 1981, donde se fundó la Iaspm) me parece útil volver sobre aquellas ideas. No se trata solo de revisar de manera crítica, como es lógico, un tema que desde entonces ha sido abordado por otros autores y ha recibido contribuciones muy importantes de otras disciplinas, para verificar si el planteamiento teórico es aún válido. Se trata también de ver si el sentido común sobre los géneros y otras tipologías musicales ha cambiado. De hecho, una teoría de los géneros musicales no ha de ser necesariamente normativa, sino al contrario. He hecho muchos esfuerzos Fabbri, F., 1981, "I generi musicali. Una questione da riaprire", en Musica/Realtà n. 4, Dedalo, Bari.
Rivista di estetica, 31, Falsi, contraffazioni, finzioni, ed. Paolo D’Angelo. ISSN 00356212 , 2006
LA MUSICA: UN FALSO MOLTO AUTENTICO, VERAMENTE FASULLO
Sound Tracks, ed. F. D’Amato. ISBN 8883531302, 2001
Musik und Bildung, 7/8. ISSN 00274747, 1983
World Music, Politics And Social Change, ed. S. Frith. ISBN 9780719028786, 1989
This article proposes some thoughts on formal and computational models in and for popular music b... more This article proposes some thoughts on formal and computational models in and for popular music by focusing on Beatles songs. After a brief presentation of some systematic approaches in the analysis of musical form and of some theoretical tools used in the geometric representation of musical structures and processes (the Tonnetz and other Neo-Riemannian constructions), the authors deal with the questions raised by the analysis of a collection of Beatles songs once they are studied either from a formal or a computational viewpoint. Even though the form and the structure of Beatles songs can be studied without using mathematical tools, the computer-aided modelling of the segmentation process of a musical piece, as well as the techniques belonging to the field of Music Information Retrieval, allow to give a quantitative, computational-oriented interpretation of Pop songs. At the same time, this approach opens the question of the singularity of this repertoire with respect to other popular music pieces.
Musiques. Une encyclopédie pour le XXI siècle, tome 1: ‘Musiques du XX siècle’, ed. J.J. Nattiez. ISBN 9782742742042, 2003
Enciclopedia della musica. Volume primo. Il Novecento, ed. J.J. Nattiez. ISBN 8806158406, 2001
Mediterranean Postcards, ed. G. Plastino and J. Sciorra. Lanham, MD: Rowman & Littlefield. ISBN 9780810881594., 2016
Naples, Smyrna (Izmir), and Athens are currently among the most populous and modern cities in the... more Naples, Smyrna (Izmir), and Athens are currently among the most populous and modern cities in the Mediterranean. During the last two decades of the nineteenth century, when “classic” Neapolitan song was born, Naples was the former capital of a backward-looking absolute monarchy evolving with the rest of the region into unified capitalist Italy; Smyrna was a cosmopolitan assembly of cultures and diverging imperialist interests; and Athens was little more than a small rural town.
It is feasible that Neapolitan songs—either performed by visiting Italian artists or in the form of gramophone records—were part of Smyrna’s lively musical scene at least until 1922, when the “Great Catastrophe” brought the cosmopolitan character of the city to an abrupt end. By 1923, about a million and a half Orthodox Greeks and former Ottoman citizens were forced to leave Asia Minor. Many came to live on the outskirts of Athens, which suddenly became a large city. Rebetiko, a marginal song genre apparently born in Ottoman Turkey and developed in suburban districts
around Athens and Piraeus, became the most popular urban-music style in Greece. From its supposedly original “oriental” (anatolikós, in Greek) character, rebetiko evolved in the 1940s and 1950s into a milder Westernized style, where song forms, harmony, and the singing style were influenced by Italian—mostly Neapolitan—models. Although ethnomusicologists and rebetiko historians seem to agree that
Italian and Neapolitan models were important in the stylistic evolution of the genre from the 1940s onward (Manuel 1989), it can also be argued that they had an influence even from the very beginning of the rebetiko era.
Musica e società, Volume 3, Dal 1830 al 2000, ed. Virgilio Bernardoni and Paolo Fabbri, 2016
Musica e società, Volume 3, Dal 1830 al 2000, ed. Virgilio Bernardoni and Paolo Fabbri, 2016
Musica e società, Volume 3, Dal 1830 al 2000, ed. Virgilio Bernardoni and Paolo Fabbri, 2016
The Singer-Songwriter in Europe: Paradigms, Politics and Place, ed. I. Marc and S. Green, 2016
It wasn’t until 2004 that Bob Dylan revealed (in his Chronicles, Volume One) that he had been str... more It wasn’t until 2004 that Bob Dylan revealed (in his Chronicles, Volume One) that he had been strongly influenced by Bertolt Brecht, especially by “Pirate Jenny”, one of the ballads in The Threepenny Opera (1928), to which he was exposed during an off-Broadway performance of Brecht songs. After listening to that and other pieces, dismounting and re-assembling them many times, during weeks, Dylan composed such songs as “A Hard Rain’s A Gonna Fall”, “The Times They Are A-Changin’”, “Mr. Tambourine Man”: in 2004 he maintained that without Brecht’s example those songs would never have been born. In the same autobiographical book, Dylan wrote that he was (at about the same time) influenced by French existentialist playwright and novelist Jean Genet: “The songs I’d write would be like that […]”
None of Dylan’s critics, before 2004, ever dared to suggest an influence on Dylan by the best known German communist poet in the Twentieth century, or by one of the exponents of the Parisian intellectual scene that had produced engagé songs by the likes of Boris Vian, Georges Brassens, Léo Ferré. Surprise was the reaction by those who had been writing essays and books on how Woody Guthrie, Robert Johnson, Elvis Presley, Johnny Cash, or William Blake and the Bible, had moulded Dylan’s poetry and music.
This chapter is about such unjustified surprises, and begins with some theoretical reflections on how and why models are chosen in artistic work. It goes without saying that in the history of music (and of poetry) individual artists, as well as genres, styles, scenes, schools, became the models for others: in some cases the influence is obvious (Italian opera, Austro-German instrumental music, French operetta, tango, jazz, rock ‘n’ roll, the British Invasion bands, hip-hop) in others less so (like the way French chanson was taken as a model in late Nineteenth-century Austria and Germany, giving birth to Kabarett, or how Greek éntechno laikó traghoudi was based on a similar attempt to make “art” out of an urban popular tradition, that of rebetiko). Focusing especially on Europe, the chapter inevitably takes into consideration examples from other continents, like the influence of Dylan himself (and of the US folk revival scene) on British, French, Spanish, Italian, German, Greek singer-songwriters, as well as influences by Latin American singer-songwriters (from bossa nova artists like Tom Jobim, Chico Buarque and others, to Carlos Puebla, Daniel Viglietti, Victor Jara, Silvio Rodríguez, Atahualpa Yupanqui) on Spanish and Catalan cantautores, and Italian cantautori. Intra-European influences include the widespread adoption of the Rive Gauche A.C.I model from Spain to Russia (and Italy, and Germany), the long-standing influence of Brecht-Weill and Brecht-Eisler songs on Italian, French, British political song and “committed” rock, the way British folk revival (Ewan MacColl) and singer-songwriters (from the Beatles to Cat Stevens, Peter Gabriel, Elvis Costello, Sting, Nick Drake, Richard Thompson and others) were received in other European countries by lyricists, composers and singers who thought: “The songs I’d write would be like that.”
The Cambridge Companion to the Singer-Songwriter, ed. K. Williams and Justin A. Williams, 2016
‘Canzone d’autore’ is the name that a vast community of Italian music critics, authors, performe... more ‘Canzone d’autore’ is the name that a vast community of Italian music critics, authors, performers, producers agreed upon in the mid-1970s, to describe the Italian singer-songwriter genre. Singer-songwriters, who had been missing from Italian popular music – with very few exceptions – until the late 1950s, had become increasingly popular after 1958, and were dubbed ‘cantautori’ in 1960. The term, which propagated to Spain, Catalonia, and Latin America, is still in use, but ‘canzone d’autore’ superseded it as a genre label, highlighting the connections between authorship and artistic value, implied in the already established notion of ‘Cinéma d’auteur’ from which it was derived.
The expression ‘entechno laiko tragoudi’ (‘art-folk song’) was coined in Greece by Mikis Theodorakis in the 1950s, to describe a new music genre combining the urban-folk musical idiom with lyrics coming from high-art poetry. Although the origins of the genre are tied to the work of composers like Theodorakis and Hatzidakis who did not perform as singers, from the 1970s onwards entechno became the privileged field of new generations of Greek singer-songwriters. Dropping ‘laiko’ (folk) from its label, entechno expanded its musical influences outside the urban-folk repertory and transformed into the more all-encompassing contemporary ‘art song’.
Il cantautore, numero unico del Club Tenco Sanremo in occasione del Tenco 2014, Oct 2014
La musica alla radio, 1924-1954. Storia, effetti, contesti in prospettiva europea, ed. Angela Ida De Benedictis, ISBN 978-88-7870-971-3, 2014
Empire of Song: Europe and Nation in the Eurovision Song Contest, ed. Dafni Tragaki, 2013
Italy in Australia’s Musical Landscape, ed. Linda Barwick, Marcello Sorce Keller. ISBN: 9780734037756 , 2012
La canzone napoletana. Le musiche e i loro contesti, ed. Enrico Careri, Anita Pesce. ISBN 9788870966619, 2011
L’espressione «popular music» ha cominciato a circolare nel mondo anglofono intorno a metà dell’O... more L’espressione «popular music» ha cominciato a circolare nel mondo anglofono intorno a metà dell’Ottocento, con connotazioni peggiorative. Presto ha iniziato ad essere impiegata per denotare quel «terzo stile» (come lo ha chiamato il musicologo britannico Derek Scott), o quel terzo grande insieme di generi (come ho provato a descriverlo io stesso qualche anno fa), che si è venuto a definire nell’arco dell’Ottocento, diverso e contrapposto dalla musica delle classi colte e dalla musica di tradizione popolare. C’è ormai un certo consenso intorno alla nozione che la nascita di una categoria come quella che oggi chiamiamo «popular music» sia contestuale a un processo generale di ristrutturazione delle categorie musicali nel mondo occidentale, lo stesso processo che porta alla definizione della musica «classica» (o colta), e alla nuova definizione del «popolare» in senso folklorico.
Di quel processo il fenomeno che chiamiamo «canzone napoletana» è parte integrante ed essenziale: se ne può estrapolare, dunque, che la nascita della canzone napoletana sia uno dei momenti più importanti della nascita della popular music.
Da una trentina d’anni, come è noto, «popular music» è anche l’espressione convenzionalmente usata per indicare un campo di studi interdisciplinare, che ha per oggetto le musiche che hanno ampia circolazione attraverso i media, in larga parte concepite proprio attraverso e per i media. Musiche che storicamente si collegano a quel «terzo stile» di cui sopra, e delle quali si può dire che costituiscano l’evoluzione (nell’arco di due secoli) della nuova categoria musicale emersa dalla ristrutturazione ottocentesca dell’universo musicale occidentale. Al punto che l’espressione «popular music» può essere usata restrospettivamente, ante litteram, per riferirsi a generi e culture musicali che precedono non solo l’invenzione di media come il fonografo e il grammofono, il cinema, la radio, eccetera, ma anche l’uso della stessa espressione: possiamo vedere la canzone francese, il fado portoghese, il flamenco andaluso, il tango argentino, come forme dalla popular music. E naturalmente anche il minstrel show, le aethiopian songs, il blues.
Tutto questo per dire che la questione se la canzone napoletana sia popular music nemmeno si pone: lo è, fin dal principio, in largo anticipo rispetto alle primissime registrazioni su cilindro o su disco. Le forme del commercio editoriale, l’organizzazione economica dello spettacolo, le funzioni dell’intrattenimento musicale nel contesto urbano, sono tutti fenomeni che concorrono alla definizione della nuova categoria, in varie parti del mondo. Dunque, credo che abbia senso (e una certa utilità) confrontare il processo di sviluppo della canzone napoletana nell’Ottocento con quello di altri generi e tradizioni nazionali, in particolare con la popular music negli Stati Uniti, che offre spunti interessanti e a volte sorprendenti, soprattutto nell’interazione tra mondo popolare/folklorico, musica delle classi colte ed evoluzione dell’economia musicale.
Se la canzone napoletana, anche quella «classica» è popular, si possono trarre anche alcune indicazioni metodologiche, e contribuire a svincolare lo studio della canzone napoletana dal paradigma storico-filologico a lungo dominante.
Enciclopedia della musica. Volume primo. Il Novecento, ed. J.J. Nattiez. ISBN 8806158406, 2001
Making Music, Making Society, ed. Josep Martí and Sara Revilla Gútiez, Cambridge: Cambridge Scholars Publishing, ISBN 978-1-5275-0369-4, 2018
How can a musicologist explain music by means of an understanding of human relations, and vice-ve... more How can a musicologist explain music by means of an understanding of human relations, and vice-versa? The question that prompted the discussion that follows is clear and reasonable. I must say, without any intention to insult those who formulated it (on the contrary), that it has the clear and reasonable tone of questions asked by children, to which adults are strangely unable to answer, as they get lost in a labyrinth of distinctions, parentheses, reservations, etc. I fear that this could happen to me too.
Il Cantautore, 2017
Lo ha detto il ministro Franceschini: "I testi dei cantautori andrebbero insegnati nelle scuole p... more Lo ha detto il ministro Franceschini: "I testi dei cantautori andrebbero insegnati nelle scuole perché sono una forma d'arte, e oltretutto le parole delle canzoni dei grandi artisti internazionali e italiani sono un pezzo della formazione culturale dei valori che hanno accompagnato intere generazioni." È più che ragionevole. Quando un ministro dice una cosa così, non indugia nei particolari: non c'è tempo di soffermarsi su tutte le implicazioni.
Bloomsbury Encyclopaedia of Popular Music of the World – Volume XI Genres: Europe, Edited by Paolo Prato and David Horn, 2017
Musical Identities and European Perspective. An Interdisciplinary Approach, edited by Ivana Perkovic and Franco Fabbri. Frankfurt am Main: PL Academic Research, 2017
European popular music is not at all a sub-cultural phenomenon originated from the dominance of A... more European popular music is not at all a sub-cultural phenomenon originated from the dominance of Anglo-American popular music (since the 1950s, or the late nineteenth century), but a substantial component of Europe’s music culture, since the early decades of the nineteenth century. Fado, flamenco, chanson, canzone, popular song, and all other similar genres – including salon and vernacular dances – flourishing everywhere in Europe since the age of the cafè chantant, café cantante, cafè concert, music hall, cabaret, Kabarett, and so on, as well as in bourgeois households from Portugal to Finland, from Britain to the cosmopolitan cities of the Ottoman Empire, and up to the most recent developments. As far as popular music is concerned, European integration is not an aim for the future: it is a process that has been going on in the past two centuries, at least.
Musica/Realtà, 2017
Suono organizzato»: anche se è stata usata da molti come una nuova definizione di «musica», quell... more Suono organizzato»: anche se è stata usata da molti come una nuova definizione di «musica», quella suggerita da Edgard Varèse era in realtà una nuova denominazione. Varèse trovava che «suono organizzato» riflettesse meglio la duplicità delle pratiche con e intorno ai suoni, in quanto arte e in quanto scienza, e soffriva il legame della parola «musica» con la tradizione concertistica occidentale (Varèse 1985). Anche Bertolt Brecht, senza alcun riferimento a Varèse, trovava che «musica» fosse una parola vecchia, che rimandava in modo troppo evidente alla tradizione del passato, e propose, come alternativa, «Misuk». John Cage adottò il termine di Varèse (prendendolo direttamente da lui, in questo caso), ma lo usò in modo definitorio, intendendo che la musica consistesse nella produzione di suoni, e che dunque producendo suoni (qualunque tipo di suono) si facesse musica (Cage 1966). Varèse era contrario, e polemizzò con Cage in uno scambio di lettere. John Blacking parlò di musica come «suono umanamente organizzato», anche in questo caso in senso definitorio, con l'intenzione di allargare il campo semantico di «musica» al di là delle implicazioni esteticizzanti ed etnocentriche dell'uso comune (Blacking 1973).
La consolidación a nivel internacional de un campo de estudios sobre el sonido o “sound studies” ... more La consolidación a nivel internacional de un campo de estudios sobre el sonido o “sound studies” (Sterne 2012, Pinch & Bijsterveld 2013, Bull 2013) plantea la cuestión de su relación con el estudio de las músicas populares y, en particular, con el estudio de las músicas populares urbanas o “popular music”. En efecto, la noción misma de sonido o “sound” recoge hoy en día no solo el significado más general relativo al fenómeno físico, sino también su dimensión tecnológica, producida, que remite a los procesos de trabajo de la industria discográfica y a una identidad musical reconocible para los oyentes (Théberge 1997). Sin embargo, dejando a un lado algunas contribuciones recientes que parecen querer rescatar la dimensión popular del sonido (Papenburg & Schulze 2016), la “popular music” ha ocupado hasta ahora un espacio más bien marginal dentro del nuevo campo (Powers 2013). En esta comunicación intentaremos trazar un mapa provisional de la configuración actual de los estudios sobre sonido y examinar las posibles razones e implicaciones de la problemática inscripción en este de las músicas populares urbanas. Empezaremos por preguntarnos hasta qué punto y de qué manera los estudios sobre sonido podrían representar una ampliación o una puesta en crisis del campo de los “popular music studies” (García Quiñones 2016) para analizar después qué es lo que se perdería al ignorar no solo las contribuciones de ese campo, sino su objeto de estudio. Finalmente reflexionaremos sobre las eventuales consecuencias de esta operación.
Relazione presentata al convegno "La popular music nell'università italiana: cose fatte e da fare.
Ciminiera: periodico di poesia, narrativa, musica, arte, teatro, cinema, 2013
Ciminiera: periodico di poesia, narrativa, musica, arte, teatro, cinema, raccolta nell'ottobre 20... more Ciminiera: periodico di poesia, narrativa, musica, arte, teatro, cinema, raccolta nell'ottobre 2003. 1
Disciplinary definitions and ‘boundaries’ are cultural constructs, context-based and subject to c... more Disciplinary definitions and ‘boundaries’ are cultural constructs, context-based and subject to conventions. Historical, technical, cultural, gender, social, political conditions are among the forces that shape the multidimensional space of such definitions. Rules and regulations often dismiss complexity, or have to reduce it. The division between ‘hard science’ and ‘humanities’ is one of the results, but more detailed examples can be found in the history and practice of individual disciplines, like musicology. Among scholars involved in ‘humanities’ in Europe and Northern America there has been a growing feeling that their disciplines be under attack, and that the only path to survival be the acceptation of ‘hard science’ as a model. The risk that such a strategy may bring to an impoverishment of scholarship, favoring an ill-defined and ineffective form of empiricism, must be considered, especially if one looks at the long-term plans of institutions like the European Research Council. In this paper, I will try to place the subject into the more ample framework of the changes in political and economical systems in the West from the 1970s (which brought to the current economical crisis), of the ongoing processes aiming to reduce or abolish public welfare, including public universities.
Partecipo regolarmente a conferenze, convegni, seminari, tavole rotonde, incontri, lezioni sulla ... more Partecipo regolarmente a conferenze, convegni, seminari, tavole rotonde, incontri, lezioni sulla musica da almeno trentatré anni. In grande maggioranza quelle occasioni pubbliche hanno riguardato la popular music, o comunque musica prevalentemente diffusa (in tempo reale o differito) attraverso altoparlanti. So che la "musica di tutti i giorni", la musica che fa parte della vita quotidiana, può essere prodotta anche da altre fonti (spesso ascolto nella metropolitana di Milano un bravissimo suonatore di santúr, anche se molti suoi colleghi ambulanti hanno un amplificatore nello zainetto), e che non necessariamente si tratta di popular music, ma credo che nel mondo industrializzato contemporaneo la "musica di tutti i giorni" sia prevalentemente prodotta per, distribuita a, diffusa attraverso sistemi di altoparlanti: un fenomeno che oggi riguarda non solo la popular music, ma anche musiche di altro tipo. Chi mi conosce un po' saprà che da molto tempo mi batto per contrastare l'identificazione tra popular music e musica tecnologicamente mediatizzata, sostenendo insieme ad altri (come Derek B. Scott, 2008) che il concetto di popular music nasce ben prima del fonografo di Edison, e che d'altra parte molte musiche sono mediatizzate ma non popular; ciononostante sono ben consapevole del ruolo fondamentale che hanno avuto il fonografo, il grammofono, la radio, l'elettrificazione degli apparati fonografici e l'alta fedeltà, il cinema sonoro, la televisione, il registratore a nastro, la stereofonia, la musicassetta, le cuffie, la registrazione digitale, il Walkman, il compact disc e i successivi registratori e riproduttori digitali nel trasformare il nostro rapporto con tutte le musiche, e con la popular music in particolare. I miei studenti lo sanno (o dovrebbero saperlo) fino alla nausea. E, tornando a quei trentatré anni, su questi argomenti ho scritto parecchio: addirittura, il mio libro forse più noto, pubblicato per la prima volta nel 1996 e contenente articoli e saggi scritti fin dal 1981, si intitola Il suono in cui viviamo.
Musica/Realtà, 102, Nov 2013
Made in Italy. Studies in Popular Music, ed. F. Fabbri, G. Plastino, ISBN 9780415899765 , 2013
Rotonda "L'analisi della popular music oggi. Quale analisi? Quale popular music?", 5 ottobre 2013... more Rotonda "L'analisi della popular music oggi. Quale analisi? Quale popular music?", 5 ottobre 2013, Istituto Musicale Pareggiato "G. Lettimi", Rimini.
When popular music studies emerged in the Seventies, they weren't the consequence of an interest ... more When popular music studies emerged in the Seventies, they weren't the consequence of an interest by academic institutions. They derived from different streams, whose sources could be traced to music practices, like the need to understand new elaborate forms of rock, the need to instruct educators so that they could deal with the music their students were listening to, the need to discuss ideological and political aspects of the mass media, etc. (for an historical overview of popular music studies and related bibliography see Fabbri 2010). It is no surprise that, with few exceptions, early popular music scholars belonged to the same generation(s) and subcultures as the musicians whose work they studied, or were even music practitioners themselves.
Made in Spain. Studies in Popular Music, ed. S. Martinez, H. Fouce. ISBN: 9780415506403, 2013
Journal of European Popular Culture, 4/1, ISSN: 20406134 , 2013
Is European popular music actually ‘popular music’? Of course it is, especially if we consider th... more Is European popular music actually ‘popular music’? Of course it is, especially if we consider that the United Kingdom is part of Europe. But perhaps the question should be formulated as follows: ‘Is continental European popular music actually “popular music”?’ Yes, if we consider that the first conference on popular music research was held in Amsterdam and offered a number of papers on non-Anglophone popular music, that IASPM was established in Sweden, that its second conference (titled What is Popular Music?) was held in Italy, that many popular music scholars are based in continental European countries, and many of them study their local genres and scenes. However, those genres and scenes are not called, in local languages, ‘popular music’, and only a semi-informal international convention made continental
European scholars adopt the English term for their object of study. On the other hand, there are also many signs that Anglophone scholars, when they use the expression ‘popular music’, tend to refer to Anglo-American popular music, and incline to call other popular musics ‘world music’. Of course, the issue is not just about linguistic usage: in the article examples both from the media and the academia are commented, and their ideological implications are discussed.
Relazione presentata al Convegno Nazionale di Studio SIEM "Tutta la musica per tutti: tra fare e ... more Relazione presentata al Convegno Nazionale di Studio SIEM "Tutta la musica per tutti: tra fare e capire", Milano, 1011 novembre 2012.
La tonalità di tutti i giorni, by Philip Tagg. ISBN 9788842816690, 2011
Trans, 15. ISSN 16970101, 2011
Musica/Realtà, 89, 2009
Come può il musicologo comprendere la musica attraverso la comprensione delle relazioni umane, e ... more Come può il musicologo comprendere la musica attraverso la comprensione delle relazioni umane, e viceversa? 2 La domanda che mi ha portato alle riflessioni che seguono è chiara e ragionevole. Devo dire, senza alcun intento offensivo nei confronti di chi l'ha formulata (anzi!) che ha l'aspetto chiaro e ragionevole delle domande che fanno i bambini, alle quali gli adulti sono incredibilmente incapaci di rispondere, perdendosi in una quantità incontrollabile di distinguo, parentesi, riserve. Ho paura che capiti anche a me.
Popular Music Studies Today, Proceedings of the International Association for the Study of Popular Music 2017, ed. Julia Merrill, 2017
Stereophonic headphones were first marketed in the USA in 1958. Binaural listening (via headphone... more Stereophonic headphones were first marketed in the USA in 1958. Binaural listening (via headphones) became one of the favorite ways for fans to listen to rock albums in the late 1960s and early 1970s. Stereophonic mixes, however, were not meant for binaural listening. Sound engineers rarely used headphones, and generally refused to mix wearing headphones, explaining they couldn’t get a proper balance if they didn’t listen to the studio monitors. Often they would listen to the result of a mix with cheap shelf loudspeakers, or even car loudspeakers, claiming that those would be the most common sound sources used by the audience; strangely enough, headphones were not used for this purpose in the studio. While the association and historical overlap of stereophonic mixes, advances in studio technology and consumer audio, and the rise of psychedelia and progressive rock have been commented (more in accounts on or by individual artists/bands/producers than in general terms) the issues of binaurality, of stereophony, and of their relations with popular music has seldom been explored. The paper focuses on the musicological aspects of binaurality and stereophony, both at poiesic and aesthesic levels.
Music and Technologies 2, ed. Darius Kučinskas and Georg Kennaway, ISBN 978-1-4438-7074-0, 2014
Stereophonic sound, and its mass dissemination since the late 1950s, has been commented by audio ... more Stereophonic sound, and its mass dissemination since the late 1950s, has been commented by audio engineers and music critics, but quite scarcely by musicologists. Stereophonic sound has often been considered as a ‘trick’ by record companies and music scholars alike, and even thorough analyses of recordings and/or components in the audio chain have given just passing attention to stereo, as if nothing had changed in high-fidelity since the age of mono. Even if digital technologies have largely enhanced the potential of sound spatialisation, stereo remains to date as something that is ‘given’, and music commentators seem to be interested in it only when writing (nostalgically or ironically, or both) about the exaggerated stereo effects of mid- to late-1960s pop records. A cultural and musicological assessment of stereo still remains to be done.
Un secolo di suoni, i suoni di un secolo. L'Istituto Centrale per i Beni Sonori ed Audiovisivi, ed. Massimo Pistacchi, Peppino Ortoleva. ISBN 9788873813750, 2012
A partire dagli ultimi anni dell'Ottocento, prima nelle grandi città del mondo industrializzato, ... more A partire dagli ultimi anni dell'Ottocento, prima nelle grandi città del mondo industrializzato, poi nelle zone rurali, poi gradatamente in tutto il mondo, il rapporto individuale con il fenomeno che chiamiamo «musica» iniziò ad essere mediato da membrane vibranti, azionate da un congegno meccanico o elettromeccanico. Alla fine del Novecento questa mediazione era diventata largamente prevalente: si ascoltava molta più musica, e per molto più tempo, che avesse come fonte uno o più altoparlanti, che da qualsiasi altra fonte. La cifra di quindici miliardi di nuovi altoparlanti installati ogni anno all'inizio del ventunesimo secolo (il dato, riferito al 2002, si trova in Sella 2003) non richiede molti commenti. Forse vale la pena di soffermarsi di più sul fatto che questo aspetto dell'antropologia e dell'economia del suono sia stato largamente sottovalutato nelle riflessioni novecentesche, di gran lunga sopravanzato dalla questione della «riproducibilità». Solo verso la fine del secolo la questione della qualità dell'esperienza dell'ascolto acusmatico (del suono, cioè, che si sente senza individuarne la causa originaria) si è imposta all'attenzione. Dunque, anche per l'autorevolezza dei filosofi, dei musicologi, dei sociologi che se ne sono occupati, e per il continuo rimbalzo delle opinioni da uno all'altro, il tema della riproducibilità del suono, e quindi dell'inevitabile contrapposizione fra un'opera d'arte umanamente interpretata e per questo nobile e autentica, e un prodotto industriale confezionato in serie, alienante e ripetitivo, ha tenuto il centro della scena.
Peter Gabriel, From Genesis to Growing Up, ed. Michael Drewett, Sarah Hill, Kimi Kärki. ISBN 9780754665212 , 2010
Relazione presentata al convegno "Frank Zappa domani", Tivoli, 2 luglio 1999.
Sound as Popular Culture. A Research Companion, edited by Jens Gerrit Papenburg and Holger Schulze, 2016
As it will be shown commenting a well-known piece by Pink Floyd, distinctive sound effects have t... more As it will be shown commenting a well-known piece by Pink Floyd, distinctive sound effects have to be categorized and named in order for the producing community to exchange ideas about them and develop standard procedures to re-create them. A common communication behaviour consists in the usage of metaphors, based on multi-sensorial experiences: sounds are defined in terms of vision, feel, taste, smell, balance, etc. Such metaphors sometimes are shared within the vast international community of producers and musicians, sometimes are confined within linguistic boundaries, sometimes form local idiolects, known only by a small community of studio users, or even by people involved in a specific recording project. As sound artifacts may be associated with meaning (they are used every day as meaningful cultural objects), the knowledge of how semantic space is structured during production can offer useful hints in the study of the meaning of sound in media culture.
Sound as Popular Culture. A Research Companion, edited by Jens Gerrit Papenburg and Holger Schulze, 2016
The issue of fidelity emerged in the early age of sound reproduction, in the nineteenth century. ... more The issue of fidelity emerged in the early age of sound reproduction, in the nineteenth century. By the 1920s it was already one of the core elements in discourses within the recording industry and among listeners/consumers. Early debates about fidelity (until the 1930s) weren’t based on any technical data, as relevant measuring technology wasn’t available yet. Although the issue of ‘high’ fidelity has been central during the entire development of the recording industry and of consumer electronics, it will be argued that a better understanding of the role of fidelity can be obtained focusing, rather than on ‘high’ fidelity, on ‘right’ fidelity: on the ‘mass standards’ that emerge as a compromise between the technological trends towards the highest fidelity of recording and playback equipment, and the often typical ‘low-fi’ environment experienced by users. Different concepts of fidelity are established within different communities: the ‘hi-fi’ concept is just one.
Ubiquitous Musics, ed. M. García Quiñones, A. Kassabian, E. Boschi. ISBN 9781409451334, 2013
L'istinto musicale, by Philip Ball. ISBN 9788822002525, 2011
Senso comune e creatività. Nuove prospettive della comunicazione sociale, ed. Ave Appiano. ISBN 9788889671139, 2010
La preparazione di questo mio testo -che definirei un ragionamento ad alta voce più che una lecti... more La preparazione di questo mio testo -che definirei un ragionamento ad alta voce più che una lectio, come molto generosamente è stato presentato -è stata accompagnata da uno scambio di corrispondenza con la Biennale, con il suo direttore e con il curatore scientifico delle «incursioni antropologiche» di cui viene a far parte. Vi risparmio la lettura di quella corrispondenza, del tutto innocua, e chiarisco subito che il riferimento alla medesima è privo di qualsiasi intenzione polemica. Ma quei pochi che mi conoscono già sanno che ho il vizio di prendere sul serio i titoli delle manifestazioni, dei dibattiti, dei saggi, e perfino i testi dei comunicati stampa e delle presentazioni, e che cerco di estrarne qualche illuminazione per le cose che voglio discutere. Lo farò di nuovo.
Música, ciudades, redes. Creación musical e interacción social, ed. Rubén Gómez Muns, Rubén López Cano. ISBN 9788461271412, 2009
La música que no se escucha. Aproximaciones a la escucha ambiental, ed. M. García Quiñones., 2008
La Valle dell’Eden, 25-26. ISSN 19706391, 2011
Otto Preminger, regista. Generi, stile, storie, ed. G. Carluccio. ISBN 9788889908266, 2009
Popular Music, 26/3. ISSN 02611430 , 2007
L' Orchestra, a cooperative established in 1974/75, based in Milan, Italy, was a unique organisat... more L' Orchestra, a cooperative established in 1974/75, based in Milan, Italy, was a unique organisation, involving musicians, sound and lighting engineers, music critics and teachers, and concert managers. It was started as a kind of artists' union, a federation of folk, rock, political song, jazz, avant-garde groups, but in a few months it became a concert agency and a record company; it held music courses for amateurs and published music tutorials; it helped managing the first multipurpose art/social centre in Milan. L'Orchestra promoted studies along various disciplinary perspectives (sociology, music education, ideological criticism, semiotics) that in some respects embody and in others help explain the development of popular music studies and of the International Association for the Study
Nuova Rivista Musicale Italiana, 3. ISSN 00296228, 2001
Musica e sistema dell’informazione in Europa, ed. F. Rampi, 1985
Musica/Realtà, 1, 1980
Nel 1968, confine arbitrario di questo nostro articolo che più volte sarà necessàrio superare, la... more Nel 1968, confine arbitrario di questo nostro articolo che più volte sarà necessàrio superare, la canzone politica è già da tempo e in modo stabile quel genere musicale al quale da allora ad oggi ci si è riferiti: un genere che ha indubbie parentele con gli inni socialisti, anarchici e comunisti che si rintracciano lungo la storia del movimento operaio italiano fino alla guerra di Spagna, alla Resistenza, al primo dopoguerra, e che anzi aspira a dimostrarsi legittimo erede di tutta la cultura delle classi subalterne.
Brand Milano. Atlante della nuova narrativa identitaria, ed. Stefano Rolando, Milano, Mimesis Edizioni, 2017
Il paesaggio sonoro di Milano è inconfondibile: i rumori del traffico, quelli associati al traspo... more Il paesaggio sonoro di Milano è inconfondibile: i rumori del traffico, quelli associati al trasporto pubblico (comprese le voci degli annunci nelle stazioni e sui mezzi), i suoni della natura confinati nelle zone verdi e in quelle adiacenti, lo scorrere delle acque (dalle fontanelle alle chiuse dei Navigli) e naturalmente le voci u-mane, negli ambienti chiusi e all'aperto, e forse soprattutto in quegli spazi semichiusi così caratteristici del centro, le gallerie. Un orecchio attento non può sbagliare: dove si può sentire un campanello del tram ugua-le a quello delle vecchie vetture "a carrelli" milanesi? In quale altra città le vie risuonano (amplificando e filtrando il rumore del traffico o i suoni della natura) secondo la configurazione geometrica radiale tipica di Milano? Perfino le voci sintetiche degli annunci ("Caiazzo, fermata Caiazzo!", "Allontanarsi dalla linea gial-la!") conservano un po' di accento locale. E c'è una sensibilità comune (seppure non completamente omo-genea) sul livello di una conversazione al ristorante, che ci fa capire di essere a Milano, e non a Lugano, o a Roma. Ma il paesaggio sonoro, lentamente o con accelerazioni improvvise, cambia, come quello visivo. Se ne sono andate molte attività industriali e artigianali che segnavano con le loro marche sonore intere vie o quartieri. La Stazione Centrale non suona più come prima che fosse ristrutturata, che i vecchi locomotori fossero sostituiti dai treni ad alta velocità, che i verificatori smettessero di martellare sui freni, che fossero installati i monitor (con relativi altoparlanti) che diffondono pubblicità, e che i tabelloni digitali prendessero il posto di quelli che si aggiornavano con un fruscio di lamelle metalliche. Il suono di Porta Nuova non è più lo stesso, da quando ci sono i grattacieli, e lo stesso è accaduto alla Darsena, da quando è tornata l'acqua. E, soprattutto, il traffico ha cambiato rumore: spesso il rotolamento dei pneumatici si fa sentire più dei mo-tori (tanto più sul porfido, là dove è rimasto, di certe vie del centro così milanesi). Di tutte le identità, e di tutte le trasformazioni, quelle del paesaggio sonoro sono le meno controllate. Non perché siano imprevedibili o ingovernabili, ma perché la sensibilità delle istituzioni -non solo a Milano: dappertutto -è bassa e quella dei cittadini un po' sonnecchiante. Bisogna proprio che si costruisca o si mo-difichi un aeroporto, che si faccia passare una superstrada, che si facciano lavori straordinari per la metro-politana, o che un vicino suoni il pianoforte o il flauto alle dieci di sera, perché ci si metta a discutere, e sempre solo di "rumori" -anche la musica lo diventa, se è indesiderata -e sempre solo in termini quantita-tivi. Ma a discutere la qualità acustica dell'ambiente urbano non siamo educati (come anche alla musica, del resto). Per questo il paesaggio sonoro di Milano sfugge, di solito, ai ragionamenti su ciò che sta cam-biando nella città. Imparare a leggerlo e a progettarlo è uno dei compiti ai quali non dobbiamo sfuggire. Ma il suono di Milano potrebbe essere anche altro. Soprattutto se dicessimo il sound di Milano. Esiste? Cer-tamente è esistito. Milano è stata, insieme a Roma, la capitale dell'industria discografica italiana: c'erano molti studi di registrazione, dei quali ormai ne restano pochissimi. E i dischi registrati a Milano, negli anni d'oro della discografia, avevano un loro suono, che soprattutto oggi, retrospettivamente, è distinguibile: era il risultato dell'interazione fra le apparecchiature (che per un po' non furono proprio aggiornatissime, sempre alla rincorsa delle innovazioni d'oltreoceano), della competenza dei tecnici e dei primi produttori (Nanni Ricordi, uno su tutti), e di un gruppo non amplissimo di sessionmen professionisti che lavoravano per tutti, da Gaber e Jannacci, a Mina, alla Vanoni, a Bindi, al primo Tenco, al primo De André. Era un sound pastoso, non nitido come quello della americanissima RCA di via Tiburtina (gli arrangiamenti di Morricone per Meccia, Vianello, Paoli). Poi l'industria della registrazione ha cominciato a delocalizzarsi, e dalla fine de-gli anni novanta ha cominciato a subire l'omogeneizzazione digitale. Oggi la maggioranza delle registrazioni si fa usando gli stessi pacchetti software (Pro--Tools, Cubase) sugli stessi laptop, trattando il materiale con gli stessi effetti, in Turchia come in Marocco, a Cuba come in Finlandia, a Oristano come a Milano. Ma è anche vero che Milano è particolarmente ricca di corsi dove si formano tecnici, dj, sound designer (Accademia del Suono, CPM, IED, SAE, anche nelle università, e c'è un master in arte sonora all'Accademia di Brera), ed è possibile che nel circuito delle sfilate di moda, delle discoteche, delle sonorizzazioni di eventi si stia consoli-dando uno stile riconoscibile, sia pure esposto alle continue rielaborazioni che la circolazione della musica in rete permette e obbliga. Anche e soprattutto nel sound, le barriere fisiche e i limiti caratteristici di un certo ambiente non esistono più: probabilmente, in questo senso, l'identità di Milano rispetto al sound
L'Indice dei libri del mese, 2017
La scorsa estate si è scritto abbastanza su Tilos, "la perla del Dodecanneso", come recitava il t... more La scorsa estate si è scritto abbastanza su Tilos, "la perla del Dodecanneso", come recitava il titolo di un quotidiano. La notizia era che l'isola diventerà autonoma grazie alle energie rinnovabili, prima a raggiungere l'obiettivo in tutto il Mediterraneo. Tilos è un'isola piccola, con una superficie di circa 64 chilometri quadrati (meno di Pantelleria, più di Ischia), e scarsamente popolata (d'inverno ha 400 abitanti): non ha bisogno di molta energia, è baciata per sei
The Idea of the Mediterranean – Filbrary Series #38
Historians, anthropologists, sociologists, and other scholars who have approached the Mediterrane... more Historians, anthropologists, sociologists, and other scholars who have
approached the Mediterranean as a geographical, cultural, and political concept have shown that the idea of “the Mediterranean” is less straightforward than it seems. Similarly, “popular music” is an obvious category only to those who have never been asked to clarify what they mean by that term. As a result, the idea of a Mediterranean (popular) music, a concept that is peacefully accepted by musicians, audiences, critics, DJs, and radio hosts in many countries, presents a serious challenge for musicologists and ethnomusicologists as well as scholars of jazz and
popular music. However, contemplating the interaction between two rather fuzzy concepts such as “the Mediterranean” and “popular music,” i.e., the idea of Mediterranean music accepted in many communities, may give useful hints regarding the way to approach these and other clouds of meaning in contemporary society. This article is a comparative overview of popular music in various Mediterranean countries, highlighting differences, common traits, and influences.
How does insularity affect the transmission of and changes in musical traditions? The case of Til... more How does insularity affect the transmission of and changes in musical traditions? The case of Tilos, a Greek island in the Dodecanese, and of some of the musicians that in the past fifteen years have provided music for the local religious festivals (paniyria), suggests interesting pat-terns, different from the conventional schemes based on continued local oral transmission and episodes of acculturation from “outside”.
In fact, the concept of insularity itself needs at least some adjustment, in the age of superfast ferries and Internet: islanders are as mobile as the inhabitants of big metropolitan areas, and experience mobility in a very similar way.
We could think of a kind of “distributed insularity” as a condition shared in today’s life.
It may happen, then, that the preservation of local musical traditions be entrusted to musicians from other islands, while one of the factors promoting change may consist in the occasional inter-ruption of that external contribution, as it happened in Tilos recently.
Legacies of Ewan MacColl: The Lost Interview, ed. A. Moore and G. Vacca ISBN 9781409424307, 2014
Popular music e musica popolare. Riflessioni ed esperienze a confronto, ed. Alessandro Rigolli, Nicola Scaldaferri. ISBN 9788831707442, 2010
La vita musicale dell’isola di Tilos, nel Dodecaneso, può offrire agli etnomusicologi e agli stud... more La vita musicale dell’isola di Tilos, nel Dodecaneso, può offrire agli etnomusicologi e agli studiosi di popular music numerosi spunti di riflessione; in un microcosmo popolato nei mesi invernali da non più di cinquecento persone, e anche nella stagione turistica da un paio di migliaia, convivono pratiche e culture eterogenee e apparentemente distanti, che pongono inevitabilmente la questione dei «confini»: cosa è tradizionale (o popolare), e cosa è popular? Appena si entra nel vivo degli eventi sonori che animano l’isola e la sua popolazione mista di residenti (anche non greci), emigrati che rientrano per le vacanze, pellegrini e turisti, ci si rende conto che i criteri-guida che aiutano il senso comune a distinguere tra ciò che appartiene alla tradizione e ciò che è mediatizzato e «modernizzato» sono insufficienti. In alcune occasioni si può addirittura assistere a una transizione tra i due mondi, seguendo un cammino (nel senso più concreto) che li collega e li divide: sfere di suono dai contorni sfumati, continuamente attraversate da uomini e donne di ogni età, difficilmente compatibili con le separazioni tassonomiche schematiche e semplicistiche che presiedono agli studi musicologici.
Antropologia della musica nelle culture mediterranee. Interpretazione, performance, identità, ed. P. V. Bohlman, M. Sorce Keller, L. Azzaroni. ISBN 9788849131666, 2009
Finito di stampare nel mese di dicembre 2008 da Legoprint -Lavis (TN) Tutti i diritti sono riserv... more Finito di stampare nel mese di dicembre 2008 da Legoprint -Lavis (TN) Tutti i diritti sono riservati. Questo volume è protetto da copyright. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta in ogni forma e con ogni mezzo, inclusa la fotocopia e la copia su supporti magnetico-ottici senza il consenso scritto dei detentori dei diritti. Volume pubblicato con il contributo
Music & Anthropology, 10, 2005
Mediterranean Mosaic. Popular Music And Global Sounds, ed. Goffredo Plastino. ISBN 9780415936552, 2002
Music & Anthropology, 6. ISSN: 1825-621X, 2001
Réécriture et chanson dans l'aire romane, ed. Perle Abbrugiati, 2017
Intervento alla giornata di studi "Réécriture et Chanson", 17 novembre 2014, Centre Aixois d'Étud... more Intervento alla giornata di studi "Réécriture et Chanson", 17 novembre 2014, Centre Aixois d'Études Romanes, Aix--en--Provence. Il termine cover (e anche cover song, o cover version) significa in inglese "a new performance or recording of a previously recorded, commercially released (or unreleased) song, by some-one other than the original artist or composer", 1 cioè una nuova esecuzione o registrazione di una canzone precedentemente registrata e distribuita sul mercato (o non distribuita), da par-te di qualcuno che non è l'interprete originale o il compositore. 2 Il termine ha valenza giuridi-ca nelle leggi sul copyright statunitensi (fin dal Copyright Act del 1909), stabilendo che se di un brano esiste già una registrazione pubblicata chiunque può realizzarne una cover senza chiedere permesso all'autore - pagando la somma corrispondente allo statutory rate a coper-tura dei diritti fonomeccanici -ma che l'autore ha il diritto monopolistico di decidere chi rea-lizza la prima registrazione. 3
Popular Music Perspectives, 2, ed. D. Horn. ISBN 9187030004, 1985
"Una cosa era sicura: che i miei testi avevano toccato un nervo mai toccato prima, ma se le mie c... more "Una cosa era sicura: che i miei testi avevano toccato un nervo mai toccato prima, ma se le mie canzoni si riducevano alle parole allora perché Duane Eddy, il grande chitarrista di rock and roll, ne aveva registrato un album di versioni puramente strumentali? I musicisti l'avevano sempre saputo che nelle mie canzoni c'era qualcosa di più che non le sole parole, ma la maggior parte della gente non fa il musicista." Così ha scritto Bob Dylan nel suo Chronicles, Volume I (Feltrinelli, 2004). È difficile non essere d'accordo: ma quanti di quelli che parlano di Dylan sono musicisti (o hanno letto Chronicles)? La scelta di Eddy, poi, è suggestiva: non un arrangiatore o direttore d'orchestra raffinato, non un musicista "colto", ma uno degli inventori del rock strumentale, un pioniere della ricerca del sound in studio e dal vivo, un modello per un'intera generazione di chitarristi rock e pop.
Bloomsbury Encyclopaedia of Popular Music of the World – Volume XI Genres: Europe, Edited by Paolo Prato and David Horn, 2017
Bloomsbury Encyclopaedia of Popular Music of the World – Volume XI Genres: Europe, Edited by Paolo Prato and David Horn, 2017
Reflexionen zum Progressive Rock, ed. Martin Lücke and Klaus Näumann, Apr 2016
Prog Rock in Europe. Overview of a Persistent Musical Style, ed. Philippe Gonin, 2016
How was the type of music we now call «progressive rock» named in Italy when it first emerged? Ac... more How was the type of music we now call «progressive rock» named in Italy when it first emerged? According to various sources (the music press, broadcasts, reports from members of the relevant music community) it was «pop», at least until the early 1970s. Stormy Six – the group the author of this chapter belonged to – are now credited as one of the representatives of RIO, an alleged sub-genre of progressive rock, but they were almost never associated with progressive rock until the late 1970s. Although Stormy Six were somehow problematic (by choice) with respect to genre and other musical taxonomic concepts, the usage of «pop» instead of «progressive» affected in Italy bands like PFM, Banco, Osanna, and others (the core of «Italian prog»), and English paradigmatic progressive bands like King Crimson, ELP, Jethro Tull, Yes, etc. «Progressive» definitely became a tag for those bands and their music when they started becoming less popular in Italy, under the attack of punk and of a new generation of music critics fascinated by «authenticity» and by artists willing to «break» or «go across» «genre boundaries».
Such evidence proves that taxonomic concepts like genre are not fixed, and that they develop with time, as sets of conventions accepted by communities. It offers a chance to re-assess crucial aspects of genre theory, as well as to reconsider narrative strategies in music criticism and popular music historiography, like an attitude to create from scratch alleged pre-histories, and to view music from the past from an ex-post perspective. In the final section, some suggestions are offered on how «norms» or «parameters» associated with genre descriptions can be formalized and visualized for critical or didactical purposes.
Volume! 11-1 (online edition) Souvenirs, souvenirs. La nostalgie dans le musiques populaires. Ed. Hugh Dauncey & Chris Tinker, 2014
Like many guitarists in the early 1960s, Franco Fabbri started his career trying to copy the styl... more Like many guitarists in the early 1960s, Franco Fabbri started his career trying to copy the style of Hank B. Marvin, soloist of The Shadows. Marta García Quiñones doesn’t play guitar and had few chances to listen to records by The Shadows until recently. Both authors have interests in listening models, music analysis, and cognitive and emotional responses to music. The paper was suggested by a listening experience by Fabbri, who one night, unable to sleep while travelling, listened for three hours (in shuffle mode, with headphones) to a large portion of his collection of mp3 files of Shadows’ recordings. Probably due to his semi-hypnotic state, the experience struck deeply, as he shifted back to his teens, when he first listened to The Shadows and started playing their instrumental pieces. Then, Fabbri sent a brief report about that experience to García Quiñones, who was moved to ask questions about how that music was listened to in the early 1960s, and decided to listen to The Shadows (almost) for the first time. The paper is an expanded version of the correspondence that was initiated by that listening act. It tries to demonstrate that understanding any music event demands to unfold and reconstruct multiple layers of perceptual, emotional, analytic and performative experiences, present and past, which seem to be inscribed both in our bodies and in our minds.
Volume! 11-1 - Souvenirs, souvenirs. La nostalgie dans le musiques populaires. Ed. Hugh Dauncey & Chris Tinker, Dec 2014
Comme beaucoup de guitaristes des années 1960, Franco Fabbri a commencé sa carrière en essayant d... more Comme beaucoup de guitaristes des années 1960, Franco Fabbri a commencé sa carrière en essayant de copier le style de Hank B. Marvin, guitare solo des Shadows. Marta García Quiñones ne joue pas de la guitare et jusqu'à une date récente avait eu peu d’occasions d'écouter les disques des Shadows. Les deux auteurs s’intéressent aux modèles d'écoute, à l’analyse musicale, et aux réponses cognitives et émotionnelles à la musique. À l’origine de cet essai, une expérience d'écoute faite par Fabbri, qui, une nuit d’insomnie en voyage, a écouté pendant trois heures (en mode aléatoire, avec casque) une grande partie de sa collection de fichiers mp3 d'enregistrements des Shadows. Probablement en raison de son état semi-hypnotique, l'expérience l’a profondément frappé, lorsqu’il s'est mentalement déplacé à l’époque de son adolescence, quand il a écouté les Shadows pour la première fois et a commencé à jouer leurs morceaux instrumentaux. Fabbri a envoyé ensuite un bref rapport sur cette expérience à Marta García Quiñones, qui lui a posé des questions sur la façon dont cette musique était normalement écoutée dans les années 1960, et elle a décidé d'écouter le groupe (presque) pour la première fois. Cet essai est une version élargie de la correspondance initiée par cet acte d'écoute. Il tente de démontrer que la compréhension de tout événement musical exige de reconnaître et de reconstruire multiples strates d’expériences diverses : perceptives, émotionnelles, analytiques et performatives, présentes et passées, qui semblent être inscrites à la fois dans nos corps et dans nos esprits.
Made in Italy. Studies in Popular Music, ed. F. Fabbri, G. Plastino, ISBN 9780415899765, 2013
Made in Italy. Studies in Popular Music, ed. F. Fabbri, G. Plastino, ISBN 9780415899765, 2013
Per quanto esistano versioni pop e rock complete dei Carmina burana, come quella «autorevole» del... more Per quanto esistano versioni pop e rock complete dei Carmina burana, come quella «autorevole» del tastierista dei Doors Ray Manzarek (co-prodotta da Philip Glass), quando si parla dell’opera di Orff in un contesto popular ci si riferisce quasi esclusivamente al primo (e ultimo) brano, «O fortuna». Ne sono state realizzate decine di interpretazioni, arrangiamenti, varianti, campionature, con esiti diversi. È naturale domandarsi le ragioni di questo successo, che probabilmente risalgono a possibili convergenze tra la scrittura di Orff e alcuni stili del rock e della dance music. In maniera simile, anche altri compositori del Novecento sono stati altrettanto se non più influenti sulla popular music, dallo Stravinsky di Petrushka al Bartók dei Quartetti, fino allo Steve Reich della Music for eighteen musicians. Ma c’è di più. «O fortuna» sembra vibrare in sintonia con altri aspetti della popular culture, che trascendono le pure questioni stilistiche, suggerendo una conclusione suggestiva: che «O fortuna» sia (o sia percepita come) popular music, senza alcun bisogno di tastiere elettroniche, computer, campionatori.
In quanto popular music, e nonostante la sua specificità storica e -se vogliamo -geografica, il r... more In quanto popular music, e nonostante la sua specificità storica e -se vogliamo -geografica, il rock è legato intimamente alla storia delle altre musiche, in particolare di quella europea, e all'interno di questa della musica vocale e della tradizione rappresentativa istituita dal melodramma e dall'«opera» in senso stretto. La cosiddetta contaminazione, insomma, è inscritta nel codice genetico del rock, che dall'opera ha ereditato materiali, forme, funzioni, sotto certi aspetti ricreandone nella seconda metà del ventesimo secolo le condizioni primitive, via via sottomesse (nel corso del diciannovesimo secolo, e oltre) dalla trasformazione dell'opera intesa come spettacolo in opera intesa come opus, come Werk. Con tutte le cautele possibili, si può dunque suggerire che il rock costituisca un aspetto importante della sopravvivenza dell'opera (dei suoi materiali, delle sue forme, delle sue funzioni) nella seconda metà del ventesimo secolo, a sua volta soggetto all'estetizzazione e alla trasformazione in «opera d'arte». Processo del quale sono ottimi esempi (per la loro significativa ridondanza) i tentativi di realizzare «opere rock».
Volammo davvero. Un dialogo ininterrotto, ed. E. Valdini. ISBN 9788817015035, 2007
Sgt. Pepper. La vera storia, ed. R. Bertoncelli, F. Zanetti. ISBN 9788809052154, 2007
Cantami di questo tempo. Poesia e musica in Fabrizio De André, ed. in A. Cannas, A. Floris, S. Sanjust. ISBN 9788887636970, 2007
"Non al primo ascolto." Complessità progressiva nella musica dei gruppi angloamericani, 1960-1967... more "Non al primo ascolto." Complessità progressiva nella musica dei gruppi angloamericani, 1960-1967. La scelta di non usare il termine "rock" nel titolo di questo mio intervento, ma di riferirmi genericamente alla "musica dei gruppi angloamericani", non è un vezzo e non è casuale. Il termine "rock" da solo, slegato dalla locuzione "rock'n'roll", comincia ad essere usato regolarmente proprio alla fine del periodo considerato, raggruppando e riclassificando musiche che nella prima metà degli anni Sessanta erano state chiamate diversamente (e con differenze non trascurabili tra Gran Bretagna e Stati Uniti, per non dire di Italia, Francia e altri paesi). La musica dei primi Beatles era "beat" -anche se il loro repertorio includeva classici del rock 'n' roll -e molti dei gruppi della British Invasion (1965) erano abitualmente classificati come "r&b", mentre i loro rivali americani si trovavano soprattutto fra le "surf bands". Il termine "rock" permette di ricondurre questi (e altri) generi a un sovrainsieme, che verrà presto identificato con l'espressione musicale della controcultura: la sua adozione procede di pari passo all'emergere di sottogeneri che qualificano la diversa appartenenza al contesto: psychedaelic rock, folk rock, country rock, blues rock, hard rock, classic rock, art rock, progressive rock. La stessa adozione dell'espressione "progressive rock" rispetto ad altre etichette che in una prima fase descrivevano il genere del quale qui ci occupiamo (costruite intorno alla radice "pop") rende conto dell'affermarsi del modello ideologico secondo il quale la musica giovanile (bianca!) della fine degli anni Sessanta è il rock, articolato in sottogeneri. 1 L'oggetto del mio interesse e di questa relazione -un oggetto minimo, e se volete minimalista -non è tutta la musica inglese dal 1960 al 1967 (quella che oggi spesso, con proiezione retroattiva e scarsamente filologica viene chiamata rock), ma un processo che in quell'arco di tempo si può individuare nella produzione di alcuni gruppi (complessi, combos) inglesi e anche (a volte in modo determinante al fine degli sviluppi di cui dirò) nordamericani. Un processo che ho cercato di riassumere riferendomi all'effetto che produceva, in quegli anni, nel pubblico che di quei gruppi comprava e ascoltava i dischi: che sempre più spesso -in modo progressivo, cioè con modalità crescente -il piacere dell'ascolto venisse rimandato a un'occasione successiva alla prima. Una musica che non si gustava (o non si capiva?) "al primo ascolto", sulla base di un rapporto di complicità tra musicisti e pubblico, tale che i primi cercavano di introdurre in ogni nuovo brano che registravano elementi che stupissero, disorientassero, incuriosissero il pubblico, e questo a sua volta seguisse con interesse soprattutto i musicisti che perseguivano questa ricerca. Ciò implicava un'attenzione del pubblico alla "musica in sé", almeno sotto alcuni aspetti: la difficoltà esecutiva, il virtuosismo e l'originalità del sound (intesi ovviamente in relazione al livello medio della popular music giovanile dell'epoca). Un'attenzione estetica, accompagnata a una tendenza a considerare quella musica e quei musicisti meritevoli di un ascolto concentrato, solitario o per lo più in compagnia, intorno a una fonovaligia, indicandosi, spiegandosi e discutendo le parti innovative, difficili, originali. Non voglio dimostrare che questo processo abbia una relazione di continuità diretta con il fenomeno che oggi genericamente si chiama progressive rock, né tantomeno che abbia con quello un rapporto di causa ed effetto. Ma, almeno, che alcuni elementi costitutivi delle pratiche e delle aspettative che caratterizzano il progressive rock e i suoi diretti antecedenti erano presenti nella musica dei gruppi angloamericani da circa un decennio e non sembrano avere collegamenti con la controcultura hippy che alcuni considerano dominio esclusivo o privilegiato del progressive rock.
Belin, sei sicuro? Storia e canzoni di Fabrizio de André, ed. Riccardo Bertoncelli. ISBN 8809028538, 2003
Musica/Realtà, 86, 2008
È da molto tempo che non si sente parlare di Nuova Musica (o Neue Musik), se non come di un gener... more È da molto tempo che non si sente parlare di Nuova Musica (o Neue Musik), se non come di un genere o un contesto storico della vita musicale europea della seconda metà del Novecento. Che il nuovo in musica stesse invecchiando se ne sono accorti i protagonisti più autorevoli di quella stagione, quando era ancora prospera. E anche la nuova musicologia (New Musicology) si deve essere interrogata sull’essenza fallace del nuovo, visto che per la rivista on-line che ne raccoglie alcuni dei rappresentanti più noti è stato scelto il titolo di Radical Musicology. La nozione di «nuovo» è così legata alla modernità che il suo impiego acritico nell’era della postmo-dernità suscita diffidenze legittime. «Nuovo» e «innovazione» sono per lo più etichette com-merciali, icone già pronte (con tanto di luccichìo) per essere inserite su siti web e inserzioni pubblicitarie. Noi vorremmo parlare, naturalmente, del «nuovo autentico», ma anche la nozione di autenticità nel nostro tempo offre pochissime garanzie. Il nodo centrale della questione sta nel fatto che occorrerebbe risalire a una definizione letterale del nuovo, ma evidentemente la nostra società è incapace di prendere atto dei risultati di quest’operazione. C’è un nuovo incompatibile con l’esistente, c’è un nuovo che esige una ridefinizione dell’esistente, e dunque costituisce un tabù. Il fenomeno riguarda anche la musica, ma è del tutto generale: è il segno di quest’epoca.
La vera novità, se così si può dire, è la necessità di prendere atto che il nostro pianeta è un sistema chiuso e interconnesso. Il termine «globalizzazione» ha molte connotazioni infelici (soprattutto nella misura in cui viene concepito come un processo da combattere o da favorire), al punto da essere quasi inutilizzabile, ma di questo si tratta: dal clima all’economia, dalla politica alla cultura, dal diritto di accedere alle risorse a quello di scegliere la propria residenza, la consapevolezza di essere tutti coinvolti nello stesso destino è precisamente ciò che si impone all’attenzione, e che molti cercano di rifiutare. Le musiche non possono sfuggire a questa dinamica, se non rifugiandosi nelle nicchie della conservazione. Le pratiche consolidate, i generi, rischiano di perdere la loro funzione comunicativa e sociale essenziale, per diventare strumenti della separazione e della negazione del nuovo. Non si tratta di invocare nuovamente (come trent’anni fa) l’abbattimento delle barriere, la trasversalità, l’equiparazione dell’incomparabile: si tratta di adeguare il linguaggio alla nuova realtà, di concepire l’universo musicale come (a sua volta) uno spazio interconnesso, dove lo specialismo non sia uno stru-mento di conservazione dello status quo ma una sonda per esplorare il cambiamento. È possibile che ciò che avvenga mantenendo invariata la partizione esistente degli studi, delle istituzioni, delle carriere musicali? È possibile che il nuovo si manifesti nella più conservatrice tra le aree disciplinari accademiche? È tollerabile che il nuovo sia concepito, oggi, come variante prevista di un sistema immobile?
Conferenza tenuta alla Biennale Musica di Venezia, 5 ottobre 2007
Letteratura e musica. Atti delle Rencontres de l'Archet. Morgex, 9-14 settembre 2013 ISBN 9788890461668, 2014
Letteratura e musica. Atti delle Rencontres de l’Archet. Morgex, 9-14 settembre 2013 ISBN 9788890461668, 2014
Nearly half a century after Luciano Berio praised the Beatles in his “Commenti al Rock” (1967), t... more Nearly half a century after Luciano Berio praised the Beatles in his “Commenti al Rock” (1967), this special issue of Volume! surveys the research carried out on the band that was, according to John Lennon, “more popular than Jesus”. In light of an impressive bibliography covering the first 50 years of what we now call “Beatles Studies”, one learns, for example, that the British Invasion originated in Paris, that Popular Music Studies began with the musicological study of popular music, that the theory of harmonic vectors can help analyze pop music or that Marshall McLuhan's concepts shed an interesting light on albums such as Abbey Road.
… social: del 6 al 9 de …, Jan 1, 2008
Este panel parte de la comprensión del papel fundamental de la escucha dentro del proceso de crea... more Este panel parte de la comprensión del papel fundamental de la escucha dentro del proceso de creación de sentido que tiene lugar en cualquier evento musical, así como del reconocimiento de la naturaleza prescriptiva de buena parte de las teorías sobre la escucha heredadas de la tradición musicológica. Atendiendo a la diversidad de situaciones musicales que conviven hoy en día en nuestras ciudades y a los múltiples modos de escucha que permiten, desde la escucha distraída hasta la plena participación corporal, los participantes se preguntan de qué manera es posible investigar la escucha desde sus distintas perspectivas disciplinares, con qué herramientas de descripción y análisis podemos contar para ello.
Made in Italy. Studies in Popular Music, edited by Franco Fabbri and Goffredo Plastino, New York and Abingdon: Routledge, 2014
There must be music Italians listen to. Stereotypical representations of Italians in Hollywood fi... more There must be music Italians listen to. Stereotypical representations of Italians in Hollywood films or TV soaps almost invariably place music in the background: arias, mandolins, and the unavoidable accordion spreading its sound around a Baroque fountain, in immortal Rome. Yes, Italy is famous for its theatres, for its operatic singers (from Enrico Caruso to Beniamino Gigli to Luciano Pavarotti), for its conductors (
Revista Vortex, 2017
Este estudo esta dividido em tres partes. Na primeira, a definicao de "genero musical" ... more Este estudo esta dividido em tres partes. Na primeira, a definicao de "genero musical" e exposta e comentada: a partir dessa base, observacoes e exemplos sao elaborados acerca dos tipos de regras que contribuem para a definicao de um genero e das maneiras que eles sao aceitos pelas varias comunidades. Na segunda parte, e feita uma analise dos generos caracterizados pela forma canzone na Italia atualmente, no sentido mais amplo que a palavra canzone possa ter. Tal analise sincronica e feita atraves da explicacao da estrutura de uma parte substancial do sistema musical italiano atual e tambem da demonstracao de uma possivel distincao entre generos similares normalmente confundidos sob o termo "cancao leve". Na terceira parte, um desses generos musicais, a canzone d'autore, tem sua trajetoria no tempo analisada; esta analise diacronica e pretendida atraves da investigacao das maneiras pelas quais um genero e codificado e de suas possiveis transformacoes.
This paper, delivered at the First International Conference on Popular Music Studies (Amsterdam, ... more This paper, delivered at the First International Conference on Popular Music Studies (Amsterdam, 1980), was originally printed in Popular Music Perspectives (ed. D. Horn and P. Tagg; 1981, Goteborg and Exeter: International Association for the Study of Popular Music, p. 52-81). Page turns in the original are marked between braces, e.g. “{52-53}” as the boundary between pages 52 and 53. Please note that Fabbri has considerably expanded the ideas presented below in his book Il suono in cui viviamo (1996, Milan: Feltrinelli) under the headings “Che genere di musica?” (p. 7-32) and “I generi musicali e i loro metalinguaggi” (p. 33-41).
Expriencia Musical Cultura Global Ix Congres De La Societat D Etnomusicologia 2008 Isbn 978 84 96069 83 1 Pags 223 232, 2008
Antropologia Della Musica Nelle Culture Mediterranee Nterpretazione Performance Identita Alla Memoria Di Tullia Magrini 2009 Isbn 9788849131666 Pags 181 190, 2009
Trans Revista Transcultural De Musica, 2011
Los artículos publicados en TRANS-Revista Transcultural de Música están (si no se indica lo contr... more Los artículos publicados en TRANS-Revista Transcultural de Música están (si no se indica lo contrario) bajo una licencia Reconocimiento-NoComercial-SinObraDerivada 2.5 España de Creative Commons. Puede copiarlos, distribuirlos y comunicarlos públicamente siempre que cite su autor y mencione en un lugar visible que ha sido tomado de TRANS agregando la dirección URL y/o un enlace a este sitio: www.sibetrans.com/trans. No utilice los contenidos de esta revista para fines comerciales y no haga con ellos obra derivada. La licencia completa se puede consultar en http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.5/es/deed.es All the materials in TRANS-Transcultural Music Review are published under a Creative Commons licence (Attribution-NonCommercial-NoDerivs 2.5
Rivista di estetica, 2006
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Popular Music, 2008
and London with those of a religious pilgrimage, during which he defines the Beatles as ‘four ind... more and London with those of a religious pilgrimage, during which he defines the Beatles as ‘four individuals who were transformed into something far greater than the sum of their individual selves – a band, a group, a cultural unity. Time, individuality and the collective . . . lie at the heart of the Beatles’ appeal’ (p. 173). His description, with its emphasis on then and now, continuity and change, the singular and the plural, the musical and the cultural, might be taken as an apt summary of the book’s intentions. However, like many books about the Beatles, it never quite resolves the contradictions, which are overtly addressed in some of the chapters, between the past ( ‘the music was only a part’) and the present ( ‘the music is all we have left’ ). The book is therefore best seen, rather like the music of the Beatles themselves, as offering possibilities rather than providing answers.
Rivista di estetica, 2006
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Volume!, 2016
This article proposes some thoughts on formal and computational models in and forpopular music by... more This article proposes some thoughts on formal and computational models in and forpopular music by focusing on Beatles songs. After a brief presentation of some systematic approaches in the analysis of musical form and of some theoretical tools used in the geometric representation of musical structures and processes (the Tonnetz and other Neo-Riemannian constructions), the authors deal with the questions raised by the analysis of a collection of Beatles songs once they are studied either from a formal or a computational viewpoint. Even though the form and the structure of Beatles songs can be studied without using mathematical tools, the computer-aided modelling of the segmentation process of a musical piece, as well as the techniques belonging to the field of Music Information Retrieval, allow to give a quantitative, computational-oriented interpretation of Pop songs. At the same time, this approach opens the question of the singularity of this repertoire with respect to other popul...
Volume! 11-1 - Souvenirs, souvenirs. La nostalgie dans les musiques populaires. Ed. Hugh Dauncey & Chris Tinker, Dec 1, 2014
Comme beaucoup de guitaristes des années 1960, Franco Fabbri a commencé sa carrière en essayant d... more Comme beaucoup de guitaristes des années 1960, Franco Fabbri a commencé sa carrière en essayant de copier le style de Hank B. Marvin, guitare solo des Shadows. Marta García Quiñones ne joue pas de la guitare et jusqu'à une date récente avait eu peu d’occasions d'écouter les disques des Shadows. Les deux auteurs s’intéressent aux modèles d'écoute, à l’analyse musicale, et aux réponses cognitives et émotionnelles à la musique. À l’origine de cet essai, une expérience d'écoute faite par Fabbri, qui, une nuit d’insomnie en voyage, a écouté pendant trois heures (en mode aléatoire, avec casque) une grande partie de sa collection de fichiers mp3 d'enregistrements des Shadows. Probablement en raison de son état semi-hypnotique, l'expérience l’a profondément frappé, lorsqu’il s'est mentalement déplacé à l’époque de son adolescence, quand il a écouté les Shadows pour la première fois et a commencé à jouer leurs morceaux instrumentaux. Fabbri a envoyé ensuite un bre...
Volume! 11-1 - Souvenirs, souvenirs. La nostalgie dans les musiques populaires. Ed. Hugh Dauncey & Chris Tinker, Dec 1, 2014
Comme beaucoup de guitaristes des années 1960, Franco Fabbri a commencé sa carrière en essayant d... more Comme beaucoup de guitaristes des années 1960, Franco Fabbri a commencé sa carrière en essayant de copier le style de Hank B. Marvin, guitare solo des Shadows. Marta García Quiñones ne joue pas de la guitare et jusqu'à une date récente avait eu peu d’occasions d'écouter les disques des Shadows. Les deux auteurs s’intéressent aux modèles d'écoute, à l’analyse musicale, et aux réponses cognitives et émotionnelles à la musique. À l’origine de cet essai, une expérience d'écoute faite par Fabbri, qui, une nuit d’insomnie en voyage, a écouté pendant trois heures (en mode aléatoire, avec casque) une grande partie de sa collection de fichiers mp3 d'enregistrements des Shadows. Probablement en raison de son état semi-hypnotique, l'expérience l’a profondément frappé, lorsqu’il s'est mentalement déplacé à l’époque de son adolescence, quand il a écouté les Shadows pour la première fois et a commencé à jouer leurs morceaux instrumentaux. Fabbri a envoyé ensuite un bre...
… social: del 6 al 9 de …, 2008
Información del artículo Modelos y contextos de la escucha.
Música, ciudades, redes: creación musical e interacción social. Actas del X Congreso de la SIBE. Sociedad de Etnomusicología, 2008
Este panel parte de la comprensión del papel fundamental de la escucha dentro del proceso de crea... more Este panel parte de la comprensión del papel fundamental de la escucha dentro del proceso de creación de sentido que tiene lugar en cualquier evento musical, así como del reconocimiento de la naturaleza prescriptiva de buena parte de las teorías sobre la escucha heredadas de la tradición musicológica. Atendiendo a la diversidad de situaciones musicales que conviven hoy en día en nuestras ciudades y a los múltiples modos de escucha que permiten, desde la escucha distraída hasta la plena participación corporal, los participantes se preguntan de qué manera es posible investigar la escucha desde sus distintas perspectivas disciplinares, con qué herramientas de descripción y análisis podemos contar para ello.
La consolidación a nivel internacional de un campo de estudios sobre el sonido o “sound studies” ... more La consolidación a nivel internacional de un campo de estudios sobre el sonido o “sound studies” (Sterne 2012, Pinch & Bijsterveld 2013, Bull 2013) plantea la cuestión de su relación con el estudio de las músicas populares y, en particular, con el estudio de las músicas populares urbanas o “popular music”. En efecto, la noción misma de sonido o “sound” recoge hoy en día no solo el significado más general relativo al fenómeno físico, sino también su dimensión tecnológica, producida, que remite a los procesos de trabajo de la industria discográfica y a una identidad musical reconocible para los oyentes (Théberge 1997). Sin embargo, dejando a un lado algunas contribuciones recientes que parecen querer rescatar la dimensión popular del sonido (Papenburg & Schulze 2016), la “popular music” ha ocupado hasta ahora un espacio más bien marginal dentro del nuevo campo (Powers 2013).
En esta comunicación intentaremos trazar un mapa provisional de la configuración actual de los estudios sobre sonido y examinar las posibles razones e implicaciones de la problemática inscripción en este de las músicas populares urbanas. Empezaremos por preguntarnos hasta qué punto y de qué manera los estudios sobre sonido podrían representar una ampliación o una puesta en crisis del campo de los “popular music studies” (García Quiñones 2016) para analizar después qué es lo que se perdería al ignorar no solo las contribuciones de ese campo, sino su objeto de estudio. Finalmente reflexionaremos sobre las eventuales consecuencias de esta operación.