Stefano Bartolini - Academia.edu (original) (raw)
Books by Stefano Bartolini
Settegiorni, 2015
Oggi della mezzadria è rimasta un'eredità culturale, paesaggistica ed economica variegata insieme... more Oggi della mezzadria è rimasta un'eredità culturale, paesaggistica ed economica variegata insieme ad una memoria diffusa, a tratti mitizzata e nostalgica. Per secoli la famiglia mezzadrile insediata sul podere era stata una caratteristica del territorio. Intorno ad essa si era consolidata un'etica del fare ed una cultura materiale.
All'inizio del '900 profondi fermenti di rinnovamento ed attivismo iniziarono a percorrere le campagne, dando vita al movimento mezzadrile. Un fenomeno quasi sconosciuto prima di allora, che esplose nel secondo dopoguerra in seguito alle esperienze fatte con la Resistenza e con il nuovo quadro costituzionale nato con la Repubblica, e che si incontrò con uno sviluppo tecnologico senza precedenti.
L'esperienza storica dei mezzadri si è così trovata al crocevia tra la modernizzazione dell'agricoltura e la costruzione della democrazia, dando il proprio contributo fino all'esodo dalle campagne.
Il volume ripercorre le trasformazioni dell'agricoltura pistoiese e le tappe della fuga dalle campagne, ricostruendo la storia del movimento mezzadrile nel corso del secolo, dalle prime leghe contadine alle grandi strutture sindacali fino alla nascita delle cooperative ed al tentativo di imprimere una diversa linea allo sviluppo dell'agricoltura e dell'Italia, basandosi su fonti inedite, come l'archivio della Federmezzadri pistoiese.
Il lavoro è completato da una ricerca di storia orale, che indaga attraverso le testimonianze dei mezzadri i nodi problematici della memoria di queste vicende.
Stefano Bartolini, è curatore dell'archivio storico della Camera del Lavoro di Pistoia per conto della Fondazione Valore Lavoro. Ha pubblicato: Una passione violenta. Storia dello squadrismo fascista a Pistoia 1919-1923, Fascismo antislavo. Il tentativo di “bonifica etnica” al confine nord orientale, Vivere nel call center, in La lotta perfetta. 102 giorni all'Answers.
Francesca Perugi, è ricercatrice presso l'Istituto storico della Resistenza e dell'eta contemporanea. Ha curato il volume Sulle tracce della memoria. Percorsi pistoiesi nei luoghi della guerra.
Edizioni del Comune di Pistoia, 2011
Papers by Stefano Bartolini
HISTORIA MAGISTRA, 2018
Populism is the term which dominates every political and public discussion nowadays. However, wha... more Populism is the term which dominates every political and public discussion nowadays. However, what does one mean by “populism”? A movement? An ideology? A strategy? A communicative model? A dimension? Is populism something unitary, or is it liable to be divided into the classic political categories of right, centre and left, progressive and reactionary? The questions around this word seem to be endless. Also historical sciences are starting to wonder about this word. Can populism be an historic category, or not? Does a history of populism exist, and, if yes, is it a history of political movements or a history of ideas? This contribution tries to reconstruct the origin and the development of the studies of populism, the several attempts to categorize them made in the course of time by human and social sciences, and their links to the different historical periods in which they were produced, trying to arrange a discussion which is more open than ever.
Diacronie: Studi di Storia Contemporanea, 2021
HISTORIA MAGISTRA, 2017
In December 2016, a group of young activists and scholars - Stefano Bartolini, Michelangelo Di Gi... more In December 2016, a group of young activists and scholars - Stefano Bartolini, Michelangelo Di Giacomo, Paolo Gerbaudo, Samuele Mazzolini, Tommaso Nencioni, Stefano Poggi - created a "Manifesto for a Democratic Populism", a few days after the victory of Trump, inaugurated the online platform www.senso-comune.it and started a "Giro d’Italia" discussion on the topics of the document. In this article two of the authors of the Manifesto reflect on the political, social and cultural climate in which they enter their initiative. The thesis, based on the lesson of Ernesto Laclau, is that there is no populist ideology defined as such. There are instead "populist moments" that open up in the acute economic and institutional crisis. Getting on the ground of populism thus means fighting the hegemony, now escaped from the hands of neoliberal oligarchies, of reactionary projects, to reconstruct the bond between democracy and conflict.
Farestoria, 2019
Intervista collettiva sul 1968 e gli anni Settanta nel pistoiese
Officina della storia , 2020
Clionet, 2019
Labour Public History. Tracciare una rotta rivista.clionet.it/vol3/societa-e-cultura/lavoro/barto... more Labour Public History. Tracciare una rotta rivista.clionet.it/vol3/societa-e-cultura/lavoro/bartolini-labour-public-history-tracciare-una-rotta 2/19 l3/societa-e-cultura/lavoro/bartolini-labour-public-history-tracciare-una-rotta. Ultimo accesso 26-01-2020.
Diacronie, 2021
Nel contributo, dopo aver delineato come l’azienda LEGO ha rappresentato nei propri sets i temi s... more Nel contributo, dopo aver delineato come l’azienda LEGO ha rappresentato nei propri sets i temi storici e militari, esamineremo anzitutto il fenomeno socioculturale della “Lego History”, ovvero gli
appassionati lego che si dedicano a soggetti e a costruzioni a tema storico. Secondariamente, discuteremo alcuni possibili impieghi dei lego – in quanto “media” con una forte presa sul pubblico – ai fini della Public History, trattandone le problematicità, le metodologie e gli obbiettivi, e presentando alcuni progetti avviati all’estero. Infine, illustreremo il nostro progetto, Italian BrickHistory, un sito web che si propone come punto di incontro tra i “lego historical builders”, gli appassionati, gli storici e gli operatori culturali impegnati nella Public History attraverso i lego.
Report sulle attività archivistiche, culturali e di ricerca storica della FVL
Quaderni di Farestoria, 2018
Farestoria, 2019
Il fascicolo affronta il periodo storico compreso tra il 1968 e gli anni Settanta e mira a indaga... more Il fascicolo affronta il periodo storico compreso tra il 1968 e gli anni Settanta e mira a indagare come quegli anni incisero sulla cultura politica, sociale e religiosa degli italiani, con effetti visibili ancora oggi sulla società. Il numero si inserisce quindi nel dibattito storiografico sul tema del “lungo Sessantotto”, senza dare per scontato che quanto avvenne in Italia negli anni Settanta possa definirsi una diretta conseguenza delle proteste scoppiate in quell’anno. I contributi mettono in luce il cambiamento, in particolare sociale e culturale, che l’Italia affrontò alla fine degli anni Sessanta e nel decennio successivo.
Erodoto 108, 2014
Forse è la celebrazione della Resistenza più peculiare che si svolga in Italia. Transnazionale, e... more Forse è la celebrazione della Resistenza più peculiare che si svolga in Italia. Transnazionale, e un po' sospesa in un tempo tutto suo. A Basovizza, nei dintorni di Trieste, a una manciata di metri dal connne con la Slovenia, tutti gli anni all'inizio di settembre si svolge questo rito che è al tempo stesso una pratica di memoria e un'aaermazione forte di identità.
Negli ultimi anni in Italia abbiamo letteralmente assistito all'esplosione del fenomeno della Pub... more Negli ultimi anni in Italia abbiamo letteralmente assistito all'esplosione del fenomeno della Public history, con la nascita di un'associazione dedicata, l'AIPH, che ha dato vita dal 2017 a oggi a tre conferenze nazionali, capaci di mettere in mostra la ricchezza di esperienze presenti nel nostro paese in tutte le branche della disciplina storica. Questo successo si spiega anche con la circostanza che l'arrivo nella penisola del concetto di Public history-elaborato negli Stati Uniti fin dagli anni Settanta-ha risposto all'esigenza diffusa di dare un nome alle tante pratiche già poste in essere de facto dagli storici italiani e da un variegato universo di enti, musei, associazioni, fondazioni, biblioteche e archivi, che finalmente trovavano un contenitore concettuale capace sia di racchiuderle che di elevarle a una dignità che fino a quel momento faticavano a conquistare. Il "riconoscimento" ha poi stimolato, come era prevedibile, un effervescente dibattito che sta contribuendo a mettere a fuoco le specificità della Public history e la molteplicità di declinazioni che può assumere. La storia del lavoro non è stata assente dalla scena, ma nemmeno presente in maniera proporzionale alla sua effettiva consistenza. Nelle tre conferenze dell'AIPH infatti la storia del lavoro è stata partecipe con un panel promosso da un gruppo di archivi della CGIL, in altri sei sotto forma di singole relazioni e con un poster sugli archivi di mestiere, a cui si aggiungono una tavola rotonda e una relazione sul movimento cooperativistico nonché-ma con un focus diverso-un panel e una relazione sui musei d'impresa. Momenti in cui sono stati illustrati progetti e prodotti importanti nati negli ultimi anni, dal documentario Il polline e la ruggine al blog La CGIL nel Novecento, alle attività dell'Archivio del Lavoro e della Fondazione Valore Lavoro. Tuttavia la storia del lavoro può vantare un'articolazione molto più ampia, fatta da un arcipelago di musei, archivi e iniziative disparate. Potendone qui richiamare solo alcune, senza nessuna pretesa di esaustività, basti pensare all'organizzazione a Venezia del seminario Ascoltare il lavoro, giunto alla sua decima edizione, dalla chiara implicazione Public, alla realizzazione di un libro collettivo come Meccanoscritto (Alegre 2017), felice combinazione di letteratura, storia e lavoratori, alle attività dei numerosi archivi sindacali (in particolare quelli della CGIL) sparsi sul territorio, all'attenzione dedicata al tema dalla rivista Clionet, dichiaratamente di impostazione Public, fino all'organizzazione del primo Festival della storia del lavoro a Lecce. Quello che manca non sono quindi le pratiche e le esperienze, ma la concettualizzazione, anche in Italia, di una declinazione della storia del lavoro come storia pubblica capace di attivare una maggior consapevolezza in questo senso. Una mancanza che risalta ancor di più
Oral History, 2017
Stefano Bartolini, researcher at the Fondazione Valore Lavoro – a cultural research institute – i... more Stefano Bartolini, researcher at the Fondazione Valore Lavoro – a cultural research institute – introduces an oral history project in Pistoia, Tuscany, that he is undertaking together with Giovanni Contini.
Settegiorni, 2015
Oggi della mezzadria è rimasta un'eredità culturale, paesaggistica ed economica variegata insieme... more Oggi della mezzadria è rimasta un'eredità culturale, paesaggistica ed economica variegata insieme ad una memoria diffusa, a tratti mitizzata e nostalgica. Per secoli la famiglia mezzadrile insediata sul podere era stata una caratteristica del territorio. Intorno ad essa si era consolidata un'etica del fare ed una cultura materiale.
All'inizio del '900 profondi fermenti di rinnovamento ed attivismo iniziarono a percorrere le campagne, dando vita al movimento mezzadrile. Un fenomeno quasi sconosciuto prima di allora, che esplose nel secondo dopoguerra in seguito alle esperienze fatte con la Resistenza e con il nuovo quadro costituzionale nato con la Repubblica, e che si incontrò con uno sviluppo tecnologico senza precedenti.
L'esperienza storica dei mezzadri si è così trovata al crocevia tra la modernizzazione dell'agricoltura e la costruzione della democrazia, dando il proprio contributo fino all'esodo dalle campagne.
Il volume ripercorre le trasformazioni dell'agricoltura pistoiese e le tappe della fuga dalle campagne, ricostruendo la storia del movimento mezzadrile nel corso del secolo, dalle prime leghe contadine alle grandi strutture sindacali fino alla nascita delle cooperative ed al tentativo di imprimere una diversa linea allo sviluppo dell'agricoltura e dell'Italia, basandosi su fonti inedite, come l'archivio della Federmezzadri pistoiese.
Il lavoro è completato da una ricerca di storia orale, che indaga attraverso le testimonianze dei mezzadri i nodi problematici della memoria di queste vicende.
Stefano Bartolini, è curatore dell'archivio storico della Camera del Lavoro di Pistoia per conto della Fondazione Valore Lavoro. Ha pubblicato: Una passione violenta. Storia dello squadrismo fascista a Pistoia 1919-1923, Fascismo antislavo. Il tentativo di “bonifica etnica” al confine nord orientale, Vivere nel call center, in La lotta perfetta. 102 giorni all'Answers.
Francesca Perugi, è ricercatrice presso l'Istituto storico della Resistenza e dell'eta contemporanea. Ha curato il volume Sulle tracce della memoria. Percorsi pistoiesi nei luoghi della guerra.
Edizioni del Comune di Pistoia, 2011
HISTORIA MAGISTRA, 2018
Populism is the term which dominates every political and public discussion nowadays. However, wha... more Populism is the term which dominates every political and public discussion nowadays. However, what does one mean by “populism”? A movement? An ideology? A strategy? A communicative model? A dimension? Is populism something unitary, or is it liable to be divided into the classic political categories of right, centre and left, progressive and reactionary? The questions around this word seem to be endless. Also historical sciences are starting to wonder about this word. Can populism be an historic category, or not? Does a history of populism exist, and, if yes, is it a history of political movements or a history of ideas? This contribution tries to reconstruct the origin and the development of the studies of populism, the several attempts to categorize them made in the course of time by human and social sciences, and their links to the different historical periods in which they were produced, trying to arrange a discussion which is more open than ever.
Diacronie: Studi di Storia Contemporanea, 2021
HISTORIA MAGISTRA, 2017
In December 2016, a group of young activists and scholars - Stefano Bartolini, Michelangelo Di Gi... more In December 2016, a group of young activists and scholars - Stefano Bartolini, Michelangelo Di Giacomo, Paolo Gerbaudo, Samuele Mazzolini, Tommaso Nencioni, Stefano Poggi - created a "Manifesto for a Democratic Populism", a few days after the victory of Trump, inaugurated the online platform www.senso-comune.it and started a "Giro d’Italia" discussion on the topics of the document. In this article two of the authors of the Manifesto reflect on the political, social and cultural climate in which they enter their initiative. The thesis, based on the lesson of Ernesto Laclau, is that there is no populist ideology defined as such. There are instead "populist moments" that open up in the acute economic and institutional crisis. Getting on the ground of populism thus means fighting the hegemony, now escaped from the hands of neoliberal oligarchies, of reactionary projects, to reconstruct the bond between democracy and conflict.
Farestoria, 2019
Intervista collettiva sul 1968 e gli anni Settanta nel pistoiese
Officina della storia , 2020
Clionet, 2019
Labour Public History. Tracciare una rotta rivista.clionet.it/vol3/societa-e-cultura/lavoro/barto... more Labour Public History. Tracciare una rotta rivista.clionet.it/vol3/societa-e-cultura/lavoro/bartolini-labour-public-history-tracciare-una-rotta 2/19 l3/societa-e-cultura/lavoro/bartolini-labour-public-history-tracciare-una-rotta. Ultimo accesso 26-01-2020.
Diacronie, 2021
Nel contributo, dopo aver delineato come l’azienda LEGO ha rappresentato nei propri sets i temi s... more Nel contributo, dopo aver delineato come l’azienda LEGO ha rappresentato nei propri sets i temi storici e militari, esamineremo anzitutto il fenomeno socioculturale della “Lego History”, ovvero gli
appassionati lego che si dedicano a soggetti e a costruzioni a tema storico. Secondariamente, discuteremo alcuni possibili impieghi dei lego – in quanto “media” con una forte presa sul pubblico – ai fini della Public History, trattandone le problematicità, le metodologie e gli obbiettivi, e presentando alcuni progetti avviati all’estero. Infine, illustreremo il nostro progetto, Italian BrickHistory, un sito web che si propone come punto di incontro tra i “lego historical builders”, gli appassionati, gli storici e gli operatori culturali impegnati nella Public History attraverso i lego.
Report sulle attività archivistiche, culturali e di ricerca storica della FVL
Quaderni di Farestoria, 2018
Farestoria, 2019
Il fascicolo affronta il periodo storico compreso tra il 1968 e gli anni Settanta e mira a indaga... more Il fascicolo affronta il periodo storico compreso tra il 1968 e gli anni Settanta e mira a indagare come quegli anni incisero sulla cultura politica, sociale e religiosa degli italiani, con effetti visibili ancora oggi sulla società. Il numero si inserisce quindi nel dibattito storiografico sul tema del “lungo Sessantotto”, senza dare per scontato che quanto avvenne in Italia negli anni Settanta possa definirsi una diretta conseguenza delle proteste scoppiate in quell’anno. I contributi mettono in luce il cambiamento, in particolare sociale e culturale, che l’Italia affrontò alla fine degli anni Sessanta e nel decennio successivo.
Erodoto 108, 2014
Forse è la celebrazione della Resistenza più peculiare che si svolga in Italia. Transnazionale, e... more Forse è la celebrazione della Resistenza più peculiare che si svolga in Italia. Transnazionale, e un po' sospesa in un tempo tutto suo. A Basovizza, nei dintorni di Trieste, a una manciata di metri dal connne con la Slovenia, tutti gli anni all'inizio di settembre si svolge questo rito che è al tempo stesso una pratica di memoria e un'aaermazione forte di identità.
Negli ultimi anni in Italia abbiamo letteralmente assistito all'esplosione del fenomeno della Pub... more Negli ultimi anni in Italia abbiamo letteralmente assistito all'esplosione del fenomeno della Public history, con la nascita di un'associazione dedicata, l'AIPH, che ha dato vita dal 2017 a oggi a tre conferenze nazionali, capaci di mettere in mostra la ricchezza di esperienze presenti nel nostro paese in tutte le branche della disciplina storica. Questo successo si spiega anche con la circostanza che l'arrivo nella penisola del concetto di Public history-elaborato negli Stati Uniti fin dagli anni Settanta-ha risposto all'esigenza diffusa di dare un nome alle tante pratiche già poste in essere de facto dagli storici italiani e da un variegato universo di enti, musei, associazioni, fondazioni, biblioteche e archivi, che finalmente trovavano un contenitore concettuale capace sia di racchiuderle che di elevarle a una dignità che fino a quel momento faticavano a conquistare. Il "riconoscimento" ha poi stimolato, come era prevedibile, un effervescente dibattito che sta contribuendo a mettere a fuoco le specificità della Public history e la molteplicità di declinazioni che può assumere. La storia del lavoro non è stata assente dalla scena, ma nemmeno presente in maniera proporzionale alla sua effettiva consistenza. Nelle tre conferenze dell'AIPH infatti la storia del lavoro è stata partecipe con un panel promosso da un gruppo di archivi della CGIL, in altri sei sotto forma di singole relazioni e con un poster sugli archivi di mestiere, a cui si aggiungono una tavola rotonda e una relazione sul movimento cooperativistico nonché-ma con un focus diverso-un panel e una relazione sui musei d'impresa. Momenti in cui sono stati illustrati progetti e prodotti importanti nati negli ultimi anni, dal documentario Il polline e la ruggine al blog La CGIL nel Novecento, alle attività dell'Archivio del Lavoro e della Fondazione Valore Lavoro. Tuttavia la storia del lavoro può vantare un'articolazione molto più ampia, fatta da un arcipelago di musei, archivi e iniziative disparate. Potendone qui richiamare solo alcune, senza nessuna pretesa di esaustività, basti pensare all'organizzazione a Venezia del seminario Ascoltare il lavoro, giunto alla sua decima edizione, dalla chiara implicazione Public, alla realizzazione di un libro collettivo come Meccanoscritto (Alegre 2017), felice combinazione di letteratura, storia e lavoratori, alle attività dei numerosi archivi sindacali (in particolare quelli della CGIL) sparsi sul territorio, all'attenzione dedicata al tema dalla rivista Clionet, dichiaratamente di impostazione Public, fino all'organizzazione del primo Festival della storia del lavoro a Lecce. Quello che manca non sono quindi le pratiche e le esperienze, ma la concettualizzazione, anche in Italia, di una declinazione della storia del lavoro come storia pubblica capace di attivare una maggior consapevolezza in questo senso. Una mancanza che risalta ancor di più
Oral History, 2017
Stefano Bartolini, researcher at the Fondazione Valore Lavoro – a cultural research institute – i... more Stefano Bartolini, researcher at the Fondazione Valore Lavoro – a cultural research institute – introduces an oral history project in Pistoia, Tuscany, that he is undertaking together with Giovanni Contini.
Fare storia a Pistoia capitale della cultura, 2019
L'esplodere dell'attenzione in Italia intorno alla public history, a partire dal 2016, non poteva... more L'esplodere dell'attenzione in Italia intorno alla public history, a partire dal 2016, non poteva che incontrare l'apprezzamento da parte di chi-come il sottoscritto e la Fondazione Valore Lavoro (FVL) per cui opera-da tempo era impegnato su questo fronte, che in prima approssimazione, e semplificando molto le cose, potremmo definire come una "terra di mezzo" tra la ricerca storica e la divulgazione più commerciale. L'apertura del dibattito sulla public history infatti non solo forniva finalmente una cornice dentro alla quale inserire, dichiarandone la statura scientifica, le attività che noi-insieme a molti altri attori come si evince da questa pubblicazione-stavamo portando avanti, ma ha offerto anche tanti, ricchi e interessanti, spunti di riflessione sulla natura, l'utilità, la metodologia e il fine di una maniera di "fare storia" diffusa ma ancora percepita come poco convenzionale dagli addetti ai lavori, nonostante sia quella che più frequentemente incontra appunto il "pubblico". Questioni deontologiche e prassi operative, esempi di buone pratiche espositive e/o narrative e connessioni con il mondo della ricerca, uso di molteplici fonti-dagli oggetti ai documenti alle fotografie alle interviste orali-e rapporto con il pubblico, natura democratica e "partecipativa" della public history e tematiche dell'autorialità, abusi della storia e l'infinita discussione sulla Historia magistra vitae, per fare una rapida carrellata, sono state e sono a tutt'oggi le questioni aperte sulle quali siamo chiamati a ragionare e intorno alle quali si dipana il nostro modo di fare storia in pubblico e con il pubblico 2. La FVL aveva iniziato a interrogarsi in maniera operativa su tutti questi aspetti proprio sulla spinta delle proprie attività. Dalla mostra l'Archivio del paese del 2012, dedicata ai materiali conservati nell'archivio storico della Camera del Lavoro, fino al film documentario In cerca della felicità, un lavoro di storia orale sull'immigrazione nel pistoiese che ci aveva portato a ragionare intorno alla shared authority fra ricercatori e testimoni e sul come scrivere e raccontare la Storia attraverso il video 3. Con la Chiave a stella, secondo step di un percorso iniziato nel 2015 intorno al mondo contadino, abbiamo avuto l'occasione di mettere alla prova tutte le nostre ipotesi di lavoro dentro a un progetto che ha funzionato da raccoglitore per molteplici linguaggi e percorsi di avvicinamento alla Storia. Sulla scorta dell'esposizione La mezzadria nel Novecento. Lavoro, storia, memoria, che significativamente era lo spin off di un duplice lavoro di salvaguardia archivistica e ricerca storiografica-circostanza che ci rimanda subito a uno 1 Citazione tratta da E. J. Hobsbawm, Lavoro, cultura e mentalità nella società industriale, Torino, Einaudi, 1986, 2 Su questi temi vedi Public history. Discussioni e pratiche, a cura di P. B. Farnetti, L. Bertucelli, A. Botti, Milano-Udine, Mimesis, 2017. 3 Il progetto, che ha usufruito di un contributo della Fondazione cassa di risparmio di Pistoia e Pescia, è stato realizzato fra il 2016 e il 2017 in collaborazione con l'Associazione italiana di storia orale (AISO), con il coinvolgimento dell'allora presidente Giovanni Contini, e l'associazione Promo cinema-Festival Presente italiano, che ha fornito un valido consulente nella figura di Michele Galardini.
storia locale, 2018
Pistoia, 16 ottobre 1944: Circa un centinaio di donne, quasi tutte con bambini in tenera età in b... more Pistoia, 16 ottobre 1944: Circa un centinaio di donne, quasi tutte con bambini in tenera età in braccio, hanno inscenato dimostrazione protesta davanti al Municipio, alla R. Prefettura ed alla sede dell'AMG, gridando "abbiamo fame, vogliamo pane". S.E. il Prefetto ed il Commissario Provinciale dell'AMG hanno ricevuto commissione dimostranti, assicurando che al più presto sarà aumentata la razione pane che attualmente è di gr. 100. L'Arma intervenuta ha sciolto pacificamente i dimostranti. Nessun incidente 1. Questa scena, riportata in maniera asciutta ma toccante dai Carabinieri, non ci testimonia soltanto la drammatica situazione in cui venne a trovarsi la popolazione pistoiese all'immediato indomani della Liberazione, a guerra ancora in corso e con il fronte attestato sulla Linea Gotica, ma ci restituisce un quadro comune e diffuso nell'Europa che usciva, lentamente e in tempi diversi, dal secondo conflitto mondiale. Keith Lowe, descrivendo lo stato di distruzione e inselvatichimento in cui era piombato il continente, ce ne fornisce una valida raffigurazione: "Ci si poteva aspettare che la situazione alimentare in Europa migliorasse un po' a guerra finita, ma in molti luoghi in realtà le cose peggiorarono. Nei mesi immediatamente successivi alla resa tedesca, gli Alleati si diedero da fare disperatamente e senza successo per dar da mangiare ai milioni di affamati d'Europa". L'Italia e Pistoia non facevano eccezione. "Un anno dopo la liberazione del sud Italia, nonostante i 100 milioni di dollari di aiuti arrivati nel paese, le massaie continuavano a ribellarsi contro i prezzi degli alimentari a Roma, dove nel dicembre 1944 si tenne una "marcia della fame" per protestare contro l'insufficienza di cibo. Alla fine della guerra, secondo una relazione dell'UNRRA, le rivolte per il cibo continuarono in tutto il paese" 2. Con le infrastrutture dei trasporti in gran parte distrutte e inservibili, e con l'agricoltura depredata ed impoverita, la crisi alimentare continuò ad affliggere le popolazioni italiane ed europee a lungo, ben oltre la fine del conflitto. Come vedremo, nel pistoiese il problema alimentare continuerà ad essere ai primi posti delle preoccupazioni tanto delle autorità che della popolazione. Ma la dimostrazione delle donne è paradigmatica anche per un altro aspetto. La sua modalità operativa divenne uno standard negli anni seguenti. I dimostranti, fossero lavoratori che chiedevano adeguamenti salariali per il carovita, disoccupati o donne che reclamavano cibo, tesero sempre a presentarsi alle autorità, sindaci o prefetto, chiedendo udienza, talvolta affiancati da membri del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), dei partiti antifascisti o della Camera del Lavoro (CdL), talaltra costringendo questi ultimi ad esercitare un'opera di mediazione a fronte di proteste
Clionet, 2018
La fotografia sollecita gli storici a fare i conti con essa, con i problemi che innesca e per que... more La fotografia sollecita gli storici a fare i conti con essa, con i problemi che innesca e per quel
portato di ambiguità che si tira dietro e che non può mai del tutto essere eliminato. Al tempo
stesso però li stuzzica con la sua forza, da una parte in quanto fonte, dall’altra per le vastissime
possibilità che apre nel campo della scrittura storica – la storiografia – così come nell’ampio
paesaggio di pratiche che oggi definiamo di public history.
Storicizzare la precarietà e il sindacato Nell'iniziare un contributo come questo occorre porre p... more Storicizzare la precarietà e il sindacato Nell'iniziare un contributo come questo occorre porre prima di tutto una serie di avvertenze. La prima inerente al concetto stesso di " storicizzazione " , che non significa prendere un fenomeno del presente e collocarlo nel passato, né tantomeno occuparsi di temi e problemi chiusi in un tempo che ormai non è più in maniera irrimediabile. Storicizzare significa semmai recuperare una visione in prospettiva dei fenomeni, ben sapendo che dove esiste il cambiamento esiste anche il tempo e dunque la storia, o, detto in maniera più semplice, rintracciare nel passato fenomeni ancora ben visibili oppure in corso nel presente in cui viviamo, senza proiettare le immagini del presente sul passato o l'inverso, ma contestualizzandoli dentro al loro tempo e al loro spazio. Da questa prima avvertenza ne discende la seconda, che vuole mettere in guardia dalla tentazione a sovrapporre in maniera semplicistica concetti, categorie e situazioni del presente sul passato. Concetti e categorie come quelle di precario, atipico, parasubordinato, per come li usiamo noi oggi, non possono essere trasportati su figure del passato così come sono. Occorre semmai ricercare qualcosa come delle corrispondenze o delle similitudini in quelle situazioni e posizioni del passato che possono rappresentare l'equivalente di altre nelle nostre epoche. Non a caso la comparazione si fa sempre per differenze, non per analogie. La terza avvertenza riguarda il tipo di lettura della storia qui proposta, che cerca di mettere in dubbio tutta una serie di assunti dati comunemente per scontati, ma fortemente messi in discussione dagli studiosi di scienze sociali e storiche che si occupano di questi temi, e che riguardano da una parte la linea dello sviluppo storico – che troviamo frequentemente letta come progressiva, eredità di lungo periodo del cosiddetto positivismo della cultura di matrice socialista – e dall'altra la visione di cosa sia il lavoro e di chi siano i lavoratori, di quali siano le forme di lavoro moderne e quali no, e di riflesso di cosa significhi l'essere sindacato, rispetto a chi e con quali forme di azione. Nella nostra cultura diffusa di norma ci riferiamo a questi fenomeni utilizzando le nostre conoscenze empiriche, derivate dalle epoche più recenti e vicine a noi, che irradiano una loro influenza e determinano lo sguardo che abbiamo, ma non sono né ovvie né univoche né inevitabili. Sono suggestioni che hanno preso corpo a partire dagli anni '70, e che più in generale riflettono l'immagine di uno sviluppo determinatosi dentro alla storia repubblicana e letto in maniera lineare. Ma la storia repubblicana fino agli anni '80 copre solo una delle tante, e lunghe, fasi del capitalismo. Dentro alla Repubblica ne è iniziata una nuova che ancora stentiamo a riconoscere come tale. Necessitiamo dunque di un processo di aggiustamento, di riconsiderazione, di superamento e abbattimento di resistenze culturali, segnatamente di culture sindacali radicate. Non vuol dire fare rinunce, questa è la leva che usa il paradigma ideologico neoliberista, che accusa di conservatorismo chiunque tenda a difendere diritti e tutele, ma semmai essere innovativi a nostra volta dentro al solco della nostra storia e delle nostre posizioni, viste con un'ottica di più largo respiro temporale e spaziale. Le innovazioni, in risposta al mutato assetto sociale ed economico ed alle trasformazioni produttive, hanno sempre caratterizzato le organizzazioni dei lavoratori, che si sono in più occasioni adattate plasticamente al contesto in cui erano situate. Oggi è di nuovo necessario percorrere tale strada, stando sulle spalle della lunga esperienza del passato, e farlo con un'adeguata visione prospettica delle trasformazioni economiche-sociali e del sindacato. Precarietà e flessibilità sono due termini che faticano a trovare uno statuto proprio ancora oggi, proprio perché descrivono situazioni e figure sfuggenti. Le lingue latine sono state le prime a introdurre il termine precarietà. In Italia è usato già dai primi '70, in particolare per parlare dei lavoratori delle piccole imprese marginali, mentre nel mondo anglosassone entra nell'uso corrente agli inizi di questo secolo. La precarietà non è una condizione di lavoro in senso stretto (muratore, operaio, insegnante, commesso...) ma definisce le condizioni oggettive in cui figure diverse si trovano a lavorare ed in cui si trovano i lavoratori. Dal punto di vista soggettivo va posta anche nella relazione che il lavoratore precario ha con i lavoratori stabili, relazione che oggi è senz'altro diversa da quella che poteva avere un bracciante alla fine dell'800. Con il termine precarietà noi oggi tendiamo a indicare un insieme di situazioni caratterizzate da una marcata mancanza di tutele e inquadramenti dentro un contesto di frammentazione normativa, nonché dalla scadenza predeterminata del rapporto di lavoro, a cui fanno seguito uno spiccato senso di insicurezza individuale e, spesso, un progressivo impoverimento. Mentre il termine flessibilità dovrebbe avere un connotato più
«Se è errato ritenere che i lavoratori non abbiano patria, altrettanto fuorviante è ritenere che ... more «Se è errato ritenere che i lavoratori non abbiano patria, altrettanto fuorviante è ritenere che ne abbiano una sola, e che noi si sappia qual é». Così Eric J. Hobsbawm trent'anni fa poneva il tema delle identità nel suo libro Lavoro, cultura e mentalità nella società industriale. Più di recente Colin Crouch, che ci ha messo in guardia sui rischi della post-democrazia in un mondo governato da ideali tecnocratici, ha provato ad articolare queste identità multiple in un'immagine descrittiva, sostenendo che le identità nazionali o locali non stanno scomparendo, e non è nemmeno auspicabile che avvenga, ma per evitare che rispondano alle sollecitazioni che le insidiano con soluzioni reazionarie e xenofobe dobbiamo iniziare a immaginarle come inserite dentro a una matrioska. Questa visione implica l'attribuzione ad ogni livello di specifiche prerogative e poteri di governo, concepite in un mondo fondato sulle interconnessioni tra differenze che resistono all'omologazione capitalista. Si tratta di adottare un approccio basato sulla mutua collaborazione e non sull'economia di rapina e di dominio, connotato da un forte spirito solidaristico, in ultima analisi di un rinnovato internazionalismo, che si distingua da un vago cosmopolitismo proprio per la capacità di tenere insieme il riconoscimento della diversità identitarie e financo l'orgoglio di appartenenza ad una data storia-rigettando una mono-identità globale-in un progetto solidale e progressista. Sul nesso unità e diversità si muovono del resto molte riflessioni, dalle idee di Gramsci sull'unità dei subalterni alle "moltitudini" di Toni Negri e Michael Hardt, passando per il concetto di "popolo" come unificazione di rivendicazioni diverse elaborato da Ernesto Laclau e Chantal Mouffe fino alle teorie e pratiche che caratterizzano il movimento femminista e che oggi riprendono vigore anche grazie ai lavori di Nancy Fraser ed al suo Manifesto. Certo fra la teoria e la pratica le questioni aperte sono numerose, ed è a partire dal confronto su queste che l'edizione 2019 di CGIL Incontri intende muovere. Si tratta di coniugare un approccio alle vie nazionali alla democrazia, allo sviluppo e al benessere che rispetti i limiti ambientali e rifugga tanto il relativismo culturale o i rischi di sfociare in un razzismo differenzialista quanto un'idea neocoloniale di estensione del modello occidentale (come l'esportazione della democrazia), quanto, infine, forme di egemonismo da parte di singole potenze negli spazi regionali. Una volta preso atto che lo Stato non è destinato a scomparire e che il suo ruolo non è venuto meno la domanda per noi diventa: quali e quante prerogative questo può e deve esercitare? Quali e quante di queste possono essere affidate ad organismi internazionali, e con quali garanzie che non si risolvano nel mero esercizio di rapporti di forza? Domande che ci portano dritti al cuore di un problema sempre più pressante. Nelle strutture sovranazionali è possibile (è ancora possibile) costruire una pratica che tenga insieme interconnessioni e autodeterminazione nazionale, l'esercizio della sovranità popolare con il governo dell'economia, oppure queste sono condannate a forme di egemonismo, conformismo, tecnocraticismo e divisione internazionale del lavoro dettate dalla pura legge del più forte? È possibile contrattare i modi dello stare insieme, e se sì come?
Il tema della partecipazione è costitutivo tanto delle pratiche di storia orale che della public ... more Il tema della partecipazione è costitutivo tanto delle pratiche di storia orale che della public history, chiamando in causa quella che Michael H. Frisch ha chiamato la shared autorithy.
Installazione di un vagone ferroviario degli anni '40 in una piazza cittadina che contiene elemen... more Installazione di un vagone ferroviario degli anni '40 in una piazza cittadina che contiene elementi architettonici che la rendono la scenografia pubblica della storia italiana con all'interno una mostra con le testimonianze del viaggio verso i lager
Raccogliamo proposte di contributi relativi a ricerche che utilizzino le metodologie della storia... more Raccogliamo proposte di contributi relativi a ricerche che utilizzino le metodologie della storia orale e riflettano sull’oralità nell’esperienza sociale del lavoro e del sindacato per un convegno che si terrà a fine novembre 2021.
I temi e le linee di ricerca di particolare interesse sono i seguenti.
1. Come la storia orale consente di studiare:
- i sistemi di produzione e la costruzione del sindacato
- i rapporti di genere e/o generazionali nei luoghi di lavoro e all’interno di comunità di lavoratori
- il lavoro e la costruzione/acquisizione dei saperi e della conoscenza
- il lavoro e il territorio: le tre italie e le “periferie” produttive
- le ristrutturazioni, le crisi, la deindustrializzazione: lavoratori e lavoratrici di fronte alle trasformazioni dall’alto
- i nuovi lavori (gig economy, piattaforme, logistica, telelavoro e smart working).
2. Come le pratiche dell’oralità sono entrate ed entrano:
- nelle relazioni di lavoro e negli spazi di socializzazione tra lavoratori
- nell’organizzazione e nel conflitto: l’assemblea, il comizio, il congresso, la contrattazione, lo sciopero come ambiti della parola detta, ricordata, trascritta
- nella definizione delle identità e nella trasmissione della memoria dei “mondi del lavoro” sia del passato sia contemporanei.
Farestoria, 2021
Call for Paper per un numero monografico di Farestoria Rivista dell'Istituto storico della Resist... more Call for Paper per un numero monografico di Farestoria Rivista dell'Istituto storico della Resistenza e dell'età contemporanea di Pistoia Tra il 1999 e il 2003 lo scenario politico mondiale fu attraversato dal cosiddetto movimento "altermondista", un soggetto composito e internazionale che muoveva da istanze economico-sociali rivendicando una globalizzazione diversa e alternativa da quella che si stava imponendo dopo la fine della Guerra fredda, sintetizzata nello slogan "Un altro mondo è possibile". Definito anche come "il movimento dei movimenti", questa ondata di attivismo si caratterizzò per aver posto con forza una critica di sistema al modello di globalizzazione neoliberista (da cui l'altra definizione di "No global", fatta propria dagli attivisti) ma anche per una certa dose di indeterminatezza di prospettive. Al suo interno furono presenti numerosi aspetti, anche non lineari fra loro: dai Social forum agli "assedi" contro le grandi assisi degli organismi internazionali (WTO, G8, Consiglio europeo, Davos ecc.); componenti cattoliche, marxiste, ecologiste e anarchiche; uso dei nuovi media all'epoca emergenti (video e internet) e persistenza di forme di comunicazione politica novecentesca (volantini, musica attraverso la nuova formula dei sound system ecc.); un approccio spaziale alla dimensione dell'attivismo che tentava di coniugare la consapevolezza dell'interdipendenza planetaria con i limiti geografici di azione riassunta sempre con uno slogan, "pensa globale agisci locale"; crinale fra l'ultima mobilitazione del '900 e la prima del nuovo secolo ed incubatore di una nuova "estetica" della protesta e di forme di attivismo che si sarebbero poi manifestate di nuovo dopo la crisi economica del 2008 in Grecia e in movimenti come Occupy Wall Street e 15 Mayo (Indignados); infine, seppur intergenerazionale nella partecipazione-in particolare ai social forum-il movimento ebbe una forte componente e carica generazionale, tale da segnare i nati tra gli anni '70 e '80 del XX secolo. Un aspetto che tuttavia non sempre, e non ovunque, ha lasciato un'eredità e si è trasformato successivamente in una qualche forma di progetto e/o di organizzazione politica, come nel caso dell'Italia, paese tra i più coinvolti nelle mobilitazioni al tempo ma di cui è difficile ritrovare traccia di quel movimento e di quelle elaborazioni nello scenario politico già negli anni '10 del XXI secolo (a differenza di Spagna, Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti, Grecia).
Con piacere segnalo questa CFP su violenza e fascismo. L’Istituto storico della Resistenza e del... more Con piacere segnalo questa CFP su violenza e fascismo.
L’Istituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea di Pistoia ha deciso di riprendere, nel corso del 2019, le pubblicazioni della propria rivista, Farestoria, recuperando la tradizione del precedente omonimo periodico pubblicato dal 1981 al 1998 e lanciando una nuova serie che andrà a sostituire i Quaderni di Farestoria, usciti dal 1999 al 2018. La scelta è l’esito di un processo di rinnovamento interno all’Istituto e nella Redazione della rivista, che con l’occasione diventerà anche semestrale.
Per rimarcare la novità la Redazione ha scelto di lanciare una Call for paper per il primo numero, la cui uscita è prevista per luglio 2019 e che sarà incentrato sul fascismo italiano, stante la ricorrenza del centenario della fondazione dei Fasci di combattimento nel 1919.
Il tema individuato è quello della violenza, nella duplice accezione di violenza fascista e di violenza nel fascismo. Un aspetto che negli ultimi anni ha catturato un rinnovato interesse da parte degli studiosi e del quale la rivista si propone di presentare una rassegna.
Ereditata, praticata, celebrata, esaltata, teorizzata, osannata, raccontata, mitizzata ed infine negata, la violenza sta alle origini del fascismo stesso, quando lo squadrismo ne fece in maniera inedita uno strumento e un linguaggio politico dirompente. Lungo tutto l’arco dell’esperienza storica del movimento mussoliniano, da piazza San Sepolcro al crepuscolo della RSI, la violenza è stata un elemento centrale, declinato in forme diverse e rinnovatosi più volte, tanto dell’ideologia che della prassi politica del fascismo, sia come movimento politico che come Stato.
Quali e quante furono le sue forme specifiche, gli ambiti di azione e le sue declinazioni in epoca fascista? Quali equilibri si realizzarono storicamente fra gli obiettivi politici ricercati attraverso la violenza e la propensione connaturata dei fascisti e del fascismo al suo esercizio? Vi furono dei picchi temporali o settoriali nella concentrazione della violenza? Che bilancio storiografico possiamo trarre oggi dalle ricerche in merito?
Le linee di ricerca suggerite sono:
- La rappresentazione della violenza nella pubblicistica, nel discorso pubblico e nei linguaggi visuali come la fotografia, il cinema, il teatro, i monumenti ecc.
- La violenza nel sistema educativo e nella costruzione del consenso
- La violenza in prospettiva di genere
- La violenza come strumento di controllo politico e sociale
- La violenza come arma di politica interna
- La violenza come arma di politica estera
- La violenza nello spazio coloniale e imperiale fascista
- La violenza nazionalista e razzista
- La violenza in guerra
- La violenza nei sistemi di internamento fascisti
- La ritualità e il culto della violenza
Le proposte, di un massimo di 3000 caratteri spazi inclusi più un titolo, dovranno pervenire entro il 10 aprile 2019 insieme a un breve curriculum (2000 caratteri).
Alle persone selezionate sarà data tempestiva comunicazione dell’esito entro una settimana circa, insieme con le norme redazionali. Il lavoro finale, tra i 20 e i 50mila caratteri, dovrà essere consegnato entro il 3 giugno 2019.
Le proposte dovranno essere inviate all’indirizzo mail: ispresistenza@tiscali.it
Nel 2009 i dipendenti dell’allora call center Answers di Pistoia, 570, in maggioranza donne, 494,... more Nel 2009 i dipendenti dell’allora call center Answers di Pistoia,
570, in maggioranza donne, 494, entravano in assemblea
permanente, “occupando” di fatto l’azienda, per salvare il proprio
impiego e ottenere il pagamento degli arretrati. Un’esperienza che
alla fine durerà ben 102 giorni.
Una vicenda che poneva le premesse per affrontare anche un’altra
duplice sfida: indagare e raccontare una lotta collettiva dell’oggi
ma allo stesso tempo anche il lavoro nel call center, negli ultimi
anni sinonimo di dequalificazione e precarietà, ma raramente letto
oltre gli stereotipi che lo circondano. Il lavoro e il conflitto colti
insieme cioè, dentro a una storia del presente ma permeata
intrinsecamente da elementi di comparazione con il passato, sia
come quadro di riferimento immaginario, sia dal punto di vista
dell’immediato rimando interpretativo, sia, infine, per le
caratteristiche del lavoro in quanto tale.
Un altro 1969: i territori del conflitto in Italia, 2020
The book deals with the territorial dimension of social conflict and industrial relations during ... more The book deals with the territorial dimension of social conflict and industrial relations during the Italian "Autunno Caldo" of the late 1960s and early 1970s