La struttura industriale italiana e il vincolo degli investimenti (original) (raw)

LE IMPRESE ITALIANE NELLE RETI PRODUTTIVE INTERNAZIONALI

LE IMPRESE ITALIANE NELLE RETI PRODUTTIVE INTERNAZIONALI, 2018

Vari fattori hanno favorito negli ultimi decenni la frammentazione internazionale dei processi produttivi e la loro organizzazione in ‘’reti di produzione internazionali’’ (RPI) o catene del valore globali (GVC), formate da imprese leader, dalle loro affiliate estere e da reti di subfornitori, spesso localizzati in paesi diversi. Il primo capitolo di questo rapporto è dedicato al tema della misurazione delle RPI e a come sono posizionati i paesi maggiormente coinvolti negli scambi di beni intermedi “lavorati” (al netto delle materie prime). Seguono i risultati di tre casi aziendali, a cui hanno partecipato importanti imprese leader dei comparti mezzi di trasporto e apparecchi elettrici, e alcuni subfornitori; il terzo capitolo è dedicato alle politiche di sostegno, con un focus sulla domanda-offerta di servizi e le considerazioni espresse dalle imprese intervistate. Tra i risultati vi è un nuovo “indicatore di posizione relativa”, utile a misurare il diverso coinvolgimento dei paesi nelle reti produttive internazionali basandosi sui dati degli scambi di beni intermedi lavorati. Rispetto ad altre fonti statistiche, questi dati presentano il vantaggio di poter essere aggiornati costantemente. L’indicatore mostra i paesi maggiormente specializzati nelle fasi produttive a monte/a valle di alcune filiere e i cambiamenti intervenuti dal periodo pre-crisi. Vi si aggiunge un’analisi effettuata elaborando un set di micro-dati di imprese (di fonte Istat): rileva un coinvolgimento relativamente elevato nelle RPI delle imprese appartenenti ai settori tipici del made in Italy, che in larga parte sono sia importatori che esportatori. La sezione dedicata ai casi di studio mostra, anche grazie alla collaborazione di importanti imprese leader di filiera, il diverso grado di internazionalizzazione delle funzioni aziendali, evidenziando le differenze riscontrate tra il gruppo di PMI e quello delle imprese più grandi. Emerge con chiarezza l’importanza della funzione degli approvvigionamenti, che rappresenta intorno alla metà del fatturato aziendale (con circa il 30% degli input produttivi proveniente da altri paesi, in larga parte della stessa area geografica). Un ulteriore aspetto riguarda i legami tra imprese leader e subfornitori italiani ed esteri, dove spesso si riscontra un coordinamento simile a quanto accade nell’ambito di uno stesso gruppo. Queste evidenze forniscono anche importanti spunti di riflessione circa gli effetti delle recenti guerre commerciali sulle strategie organizzative delle imprese e sui costi derivanti dalla sostituzione dei fornitori. Various factors have favored the international fragmentation of production processes and their organization in '' international production networks '' (IPNs) or global value chains (GVCs), formed by leading companies, their foreign affiliates and networks of sub-suppliers, often located in different countries. The first chapter of this report is dedicated to the measurement of IPNs, and the relative position of countries most involved in the trade of "processed" intermediate goods (net of raw materials). In the second, we present the results of three case studies, with the participation of several important leading companies of the transport equipment and electrical appliances, as well as some sub-suppliers. The third chapter is dedicated to supporting policies, with a focus on the supply and demand of services and the opinions of the interviewed companies. We use a new "relative position indicator" to measure the different involvement of countries in international production networks based on data on the trade of intermediate processed goods. Compared to other statistical sources, these data have the advantage of being constantly updated. The indicator shows how the countries appear to be relatively specialized in upstream / downstream production phases, and the changes since the pre-crisis period. Furthermore, we show the results of an analysis carried out using a set of micro-data at company level (from the Italian National Statistics Institute): it reveals a relatively high involvement in IPNs of companies belonging to the typical Made in Italy sectors, as they are largely both importers and exporters. The section dedicated to the case studies shows, thanks to the cooperation of several leading companies, the different degree of internationalization across business functions, also highlighting the differences between a group of SMEs and of larger companies. It clearly shows the importance of the procurement function, which represents about half of the company's turnover with about 30% of the productive inputs coming from other countries (largely of the same geographical area). A further aspect concerns the links between the lead firms and their subcontractors, where coordination is often very similar to what happens within company groups. These results provide some evidence on the potential effects of recent trade wars on the organizational strategies of companies, giving some insights on the role of replacement-cost of the supplier base.

LE PMI COME " CUORE " DEI DISTRETTI INDUSTRIALI ITALIANI

Nel presente paper verrà fornita, dapprima, una definizione di Piccole Medie Imprese (" PMI "). Successivamente, si analizzeranno le problematiche della politica industriale strategica comune in Europa e la relativa implementazione a livello nazionale. Infine, si focalizzerà l'attenzione sulla massiccia presenza delle PMI e la loro importanza nei distretti industriali italiani legati al contesto territoriale. INTRODUZIONE Le PMI hanno richiamato, seppur tardivamente, l'attenzione del legislatore comunitario, per il ruolo economico che ricoprono all'interno della Comunità Europea (ora Unione). Da un'analisi della recente documentazione sul punto, emergono delle informazioni rilevanti: fino al 2013, 20,7 milioni di PMI avevano impiegato il 67% della forza lavoro nel settore privato, così favorendo la crescita economica e l'occupazione nel territorio europeo¹; si osserva, inoltre, che esse rappresentano il 99,8% delle imprese non finanziarie in Europa². Tali premesse permettono di comprendere l'azione del legislatore comunitario volta a tutelare tale tipologia di imprese attraverso la creazione di condizioni favorevoli alla loro sopravvivenza. Sebbene alcuni passi in tale direzione siano stati compiuti, le notevoli divergenze tra legislazioni nazionali esistenti rappresentano un ostacolo non indifferente allo sviluppo di un contesto giuridico uniforme che abbia ad oggetto le PMI.

RISCHI DELL'INTEGRAZIONE COMMERCIALE CINESE PER IL MODELLO DI SPECIALIZZAZIONE INTERNAZIONALE DELL'ITALIA

Introduzione. Questo articolo vuole studiare i rischi per il modello di specializzazione italiano che emergono dall'integrazione commerciale della Cina, un paese con una specializzazione sempre più simile a quella italiana ed elevate quote di mercato, in settori rilevanti anche per l'economia italiana. Secondo la teoria di Hecksher-Ohlin-Samuelson (HOS) o delle dotazioni fattoriali, i paesi si specializzano in beni intensivi nei fattori di produzione di cui sono abbondantantemente dotati. Di conseguenza, la loro specializzazione internazionale dipende dalla loro dotazione fattoriale, ma anche dall'integrazione commerciale dei concorrenti. Cioè, da un lato, essa è influenzata dall'accumulazione dei fattori produttivi e dal progresso tecnologico: i paesi che maggiormente investono in ricerca, tenderanno ad avere abbondanza di fattori produttivi più sofisticati e quindi a specializzarsi in produzioni più avanzate. Dall'altro, i vantaggi comparati possono cambiare perché l'integrazione di altri paesi nel commercio internazionale muta la dotazione relativa di fattori produttivi e quindi il loro costo. Ad esempio, l'integrazione dei paesi emergenti-e in particolare della Cina-con abbondanza di lavoro non qualificato, ha aumentato la dotazione mondiale di tale fattore, e ridotto quella relativa dei paesi più avanzati, che di conseguenza trovano meno conveniente produrre beni che lo usano intensivamente. La competitività internazionale di un paese non è indipendente dal suo modello di specializzazione. Se esso tende a polarizzarsi su produzioni a bassa crescita della domanda o che mostrano vantaggi di costo e di qualità decrescenti nel tempo, inevitabilmente la quota sul commercio internazionale tende a diminuire. In quest'ottica, la specializzazione internazionale italiana potrebbe essere il motivo della sua recente perdita di quote sulle esportazioni mondiali che, a prezzi costanti, sono calate dal 4,3% del 1993 al 3,6% del 2002. In Francia, dove la quota è rimasta stabile al 5,6-5,7%, e in Germania, dove essa è cresciuta dal 10,2% al 10,4%, non si

Territorialità e Made in Italy: vincoli e opportunità per le PMI italiane

Matteo Rossi, Elvira Martini

Le imprese che, sempre più numerose, scelgono di operare sui mercati esteri si trovano a fronteggiare un ambiente competitivo ed istituzionale molto complesso nascente da una rete sempre più fitta ed estesa di relazioni commerciali, produttive, finanziarie e comunicazionali, cui ci si riferisce spesso col termine di globalizzazione (Rispoli, 2002; Bauman, 1998). Tali cambiamenti rendono sempre più critiche le scelte di internazionalizzazione, in particolare per le imprese minori che necessitano di estendere la propria attività al di là del mercato domestico: lo sviluppo internazionale, infatti, non è solo un’opportunità da cogliere, ma sta diventando un’esigenza competitiva (Rossi, 2008). La concorrenza internazionale, pertanto, ha comportato una rivisitazione delle dinamiche competitive che pongono i territori al centro delle nuove sfide globali. Al fine di stabilizzare la presenza delle imprese italiane sul mercato mondiale, non a caso le strategie e le politiche per lo sviluppo hanno considerato fattori strettamente legati al territorio (capacità imprenditoriali, capitale umano e sociale, reti di infrastrutture), che rappresentato un tentativo di risposta all’esigenza di valorizzazione dell’identità italiana. In ambienti complessi, quali quelli fronteggiati dal Made in Italy all’estero, dove le condizioni mutano rapidamente, richiedendo un processo di interpretazione e modificazione del sapere precedente, le agglomerazioni di piccole e medie imprese (PMI), distrettuali (Becattini, 1998) e non, possono guadagnare un vantaggio competitivo in ragione del loro essere forme organizzative, flessibili di apprendimento esplorativo e che fondano la propria capacità competitiva sull’interazione con i territori di riferimento, intesi come luoghi ove si intrecciano società, economia e storia. Il consolidamento del Made in Italy, infatti, poggia necessariamente sull’equilibrio fra componenti tecnico-economiche e componenti territoriali-culturali e, di conseguenza, ogni prodotto è rappresentato dalla somma di elementi tangibili (materie prime) e intangibili (metodi di lavorazione, saperi sociali, conoscenza, territorio di origine). Sulla base di queste premesse, il lavoro si prefigge di analizzare la territorialità quale elemento caratterizzante il Made in Italy. Nel processo di globalizzazione, le PMI italiane, nel perseguire le tendenze sopra descritte, devono non solo preservare la propria tipicità locale, ma attivare anche collaborazioni con altri territori, esternalizzando le attività a minor valore aggiunto e conservando tutte quelle funzioni che, nascendo dal territorio, caratterizzano l’output come prodotto italiano di qualità (tradizioni, storia, stile, talenti). L’approccio glocalistico (Bauman, 2005) è favorito anche dal fatto che lo scenario internazionale offre oggi numerose occasioni di rilancio culturale, sociale e ambientale nel rispetto della sostenibilità economico-finanziaria (De Masi, 2006). Tuttavia, non tutte le esperienze produttive riescono in questo intento, restando legate a strategie competitive incapaci di aprirsi all’internazionalizzazione e, contestualmente, di bilanciare il legame tra prodotto e territorio; non solo, ma c’è anche da chiedersi fino a che punto può bastare la forte coscienza di luogo a reggere la sfida delle PMI nella globalizzazione. Infatti, seppur negli ultimi anni sembra essersi rotto, specie per le PMI meridionali, l’insidioso processo di “sviluppo senza autonomia” (Trigilia, 1992), bisogna tuttavia considerare che i limiti alla crescita economica sono ancora forti e tali da far correre il rischio di innescare un percorso inverso, ossia una retorica del localismo e del solo sviluppo dal basso, che potrebbe tradursi in autonomia senza sviluppo (Bonomi, 2006). Parole chiave: territorio, internazionalizzazione e capitale sociale