Il corpo nella poesia del Novecento (original) (raw)

Presenze della Divina Commedia nella poesia del Novecento

Perché il linguaggio resista, sottrarne le schede al Medioevo che avanza; serbare l'archetipo con monacale pazienza; farsi -da istrione -archivista. (Vittorio Gassman, Vocalizzi) Nei poeti italiani del Novecento vistosi e decisivi sono i fenomeni di intertestualità con il Dante della Commedia. La circostanza è risaputa, ma i critici che hanno affrontato negli ultimi decenni il tema, con repertori a largo raggio o concentrandosi su un preciso autore, hanno notato che fino agli anni Settanta esiste una certa resistenza a riconoscerne la portata nel rinnovamento dei temi e del linguaggio contemporanei 1 . Mario Petrucciani, per esempio, ha sottolineato che i Rondisti nel 1921 sulla loro rivista, nonostante corresse il centenario dantesco, puntavano piuttosto su Leopardi e che ancora nel 1922 accostavano Dante a Leopardi, preferendo alla Commedia il Convivio e il De vulgari, ove Dante figura padre della lingua 2 . Ma ben oltre l'esaurirsi delle derive del novecentismo e del-Maria Antonietta Grignani Presenze della Divina Commedia nella poesia del Novecento 1 Cito per tutti G. Getto, Dante e il gusto del Novecento, in Id., Poeti, critici e varie cose del Novecento, Firenze, Sansoni, 1953, pp. 208-221; G. Barberi Squarotti, L'ultimo trentennio, in Dante nella letteratura italiana del Novecento, Roma, Bonacci, 1979, pp. 245-277: 245: «[…] non profonda traccia ha lasciato Dante nella letteratura del secondo dopoguerra: quanto più numerosi e nuovi sono stati gli interventi critici […] tanto meno vasta e varia sembra essere stata l'utilizzazione di modi e forme e suggestioni dantesche […] come spunti e occasioni del discorso letterario». A. Dolfi, Dante e i poeti del Novecento, in «Studi danteschi», LVII, 1986, pp. 307-342 fa un bilancio negativo dell'apporto, circa l'influsso di Dante, ad opera di critici come Silvio Ramat, Piero Bigongiari, Adelia Noferi, Luigi Blasucci, osservando poi che l'utilizzo di tessere dantesche è spesso «stravolto dal suo contesto originario e ricondotto piuttosto […] alla preminente esaltazione di valori fonici o puramente linguistici», anche per il lessicalizzarsi di Dante nella mediazione di D'Annunzio. Posizione rispettabile, che tuttavia problematizza il tutto all'insegna di altezze incommensurabili dell'allegoria dantesca rispetto alla moderna analogia (p. 319). 2 M. Petrucciani, Due paragrafi per Dante e il Novecento, in Dante nella letteratura italiana del Novecento cit., pp. 163-202. 70 Maria Antonietta Grignani 3 Penso naturalmente a Introduzione alle «Rime» di Dante 1939, Dante come personaggio-poeta della «Commedia» 1957, Dante oggi 1965, tutti in Varianti e altra linguistica, Torino, Einaudi, 1970. 4 Z. Barański, The Power of Influence: Aspects of Dante's Presence in Twentieth-century Italian Culture, in «Strumenti Critici», n.s. I, 1986, pp. 343-376. Dello stesso si veda anche Dante and Montale: The Threads of Influence, in Dante Comparison. Comparative Studies of Dante and: Montale, Foscolo, Tasso, Chaucer, Petrarch, Propertius and Catullus, ed. by E. Haywood and B. Jones, Dublin, Irish Academic Press, 1985, pp. 11-48. Repertori di luoghi dell'intertestualità tra Dante e poeti moderni sono in L. Scorrano, Presenza verbale di Dante nella letteratura italiana del Novecento, Ravenna, Longo, 1994 e in D.M. Pegorari, Vocabolario dantesco della lirica italiana del Novecento, Bari, Palomar, 2000. Presenze della Divina Commedia nella poesia del Novecento 71

Le figure della contraddizione nella poesia italiana del Novecento

Se nella lingua la musica non è tutto, nemmeno la logica è tutto. Leo Spitzer La sua caratteristica principale [scil. della letteratura] non è neppure quella di avvicinarsi e penetrare, più di altri strumenti, nella vita profonda delle passioni e delle emozioni. La sua funzione è più specifica, e 1 In modo esplicito: «L'ossìmoro o ossimòro è un'unione paradossale di due termini antitetici, una sorta di corto circuito semantico, che si forma in quanto uno dei due componenti esprime una predicazione contraria o contraddittoria rispetto al senso dell'altro, mentre costituisce con questo una funzione sintattica» (BICE MORTARA GARAVELLI, Manuale di retorica, Bompiani, Milano 1997 2 , p. 243); o più implicitamente: «Oxymoron est cum idem de seipso negatur» (GIAMBATTISTA VICO, Institutiones oratoriae, a cura di Giuliano Crifò, Istituto Suor Orsola Benincasa, Napoli 1989, p. 382). 2 STEFANO COLANGELO, Come si legge una poesia, Carocci, Roma 2003, p. 7. 3 FLAVIA RAVAZZOLI, Il testo perpetuo. Studi sui moventi retorici del linguaggio, Bompiani, Milano 1991, p. 18.

Sull’oscurità della poesia italiana del Novecento

Edito in in "La lirica moderna. Momenti, protagonisti, interpretazioni" (atti del xxix Convegno Interuniversitario del Circolo filologico-linguistico padovano, Bressanone/Brixen - Innsbruck, 7-10 luglio 2011), a cura di F. Brugnolo e R. Fassanelli, Esedra, Padova, 2012, pp. 413-28.

L'Alcyone e la poesia del Novecento

L'«Alcione» e noi: questo era il titolo dello scritto di Sergio Solmi nel numero speciale che «Letteratura» dedicava a D'Annunzio nel 1939, per il primo anniversario della morte del poeta. Solmi stilava un bilancio personale e insieme generazionale, dipingendo un quadro chiaroscurato, in cui s'intrecciavano continuità e fratture, adesione e repulsione. E lo riproponeva, poi, nell'edizione dei suoi studi, riuniti nel 1963, Scrittori negli anni; nel titolo del saggio e in quello del libro è implicitamente formulato un metodo critico e storiografico ed un discreto e fermo invito a vagliare la durata della poesia nel tempo. Che forma prenderebbe, oggi, un discorso su Alcyone e noi? Certo, l'approccio novecentesco al linguaggio dannunziano nel suo complesso fu cauto o decisamente improntato al diffidente distacco o al gioco ironico che si riservano a un modello lessicale troppo sussiegoso e autoritario, con le sue dorature classicheggianti e déco. Non stupisce perciò che, nel virtuosistico rifacimento italiano degli Exercices de style di Raymond Queneau, Umberto Eco sia ricorso alla pàtina dannunziana (lo dichiarava espressamente) per rendere il registro «précieux» dell'estroso transalpino: «C'était aux alentours d'un juillet de midi. Le soleil dans toute sa fleur régnait sur l'horizon aux multiples tétines […] Un autobus à la livrée verte et blanche, blasonné d'un énigmatique S, vint recueillir du côté du parc Monceau un petit lot favorisé de candidats voyageurs aux moites confins de la dissolution sudoripare», suonava il modello; ed Eco: «Era il trionfo del demone meridiano. Il sole accarezzava con accecante virilità le opime mammelle dell'orizzonte ambrato. […] Carro falcato, cocchio regale, gravido di enigmatica e sibilante impresa, l'automotore ruggì a raccoglier messe umana molle di molli afrori, dissolta in esangui foschie al parco che tu chiami Monceau, o Ermione». Come un inconfondibile sigillo, il nome di Ermione richiama la raccolta alcionia, il libro esemplare della poesia dannunziana. La «durata» di quel testo è riscontrabile anche nella società televisiva, sia pure attraverso la deformazione parodica: un filo d'aceto piove sulle verdure, mentre una voce suadente parafrasa la Pioggia nel pineto, sostituendo alle ginestre fulgenti e ai mirti divini qualche cetriolino o peperone. Da un verso dell'Onda aveva mutuato il nome uno shampoo, qualche anno fa: «libera e bella, / numerosa e folle, / possente e molle, / creatura viva / che gode / del suo mistero fugace». La notorietà del testo è necessaria al suo uso pubblicitario e al volgarizzamento musicale: «Vorrei trovare / parole nuove / ma piove piove / sul nostro amor», recita la canzonetta riprendendo le «parole più nuove / che parlano gocciole e foglie / lontane» nella Pioggia nel pineto, nella poesia che si è prestata più d'altre al rimaneggiamento, destinata com'era all'esercizio mnemonico nella scuola d'un tempo e cavallo di battaglia per le recite degli aspiranti attori. Il suo controcanto più celebre è La pioggia sul cappello (1922) di Luciano Folgore: «piove sul melo e sul tiglio, / piove sul padre e sul figlio, / piove sui putti lattanti, / sui sandali rutilanti, / su Pègaso bolso, / sull'orïolo da polso, / piove sul tuo vestitino / che m'è costato un tesauro». Ma persino Montale, s'intende il Montale di Satura, opera sulla lirica dannunziana l'unico suo deciso remake parodico, un Piove del 1969: «Piove / non sulla favola bella / di lontane stagioni, / ma sulla cartella / esattoriale, / piove sugli ossi di

Sa sedurre la carne la parola - il corpo nella poesia di Patrizia Valduga

La ricerca si concentra sul tema del corpo nella poesia di Patrizia Valduga. Essa si apre con una panoramica sulla tematica del corpo nel Novecento, e in particolare nella poesia italiana degli anni Sessanta, Settanta e Ottanta, con autori come Antonio Porta, Valerio Magrelli, Gabriele Frasca, Patrizia Cavalli. In seguito, dopo aver indagato in quale modo la poetessa si inserisce all’interno di questo scenario, si passa ad analizzare la medesima tematica nella sua produzione, focalizzandosi sul rapporto tra corpo e parola. La parola poetica, infatti, assume per la poetessa un ruolo di fondamentale importanza, in quanto si pone, soprattutto nella prima raccolta, "Medicamenta", come medicina per le sofferenze della vita, come quella rappresentata dall’amore non ricambiato, che è forse però solo un pretesto per indicare una più generale condizione di vuoto e di mancanza, che fa da sottofondo a tutta la poesia valdughiana. Il piacere prodotto dalla parola poetica, nel suo ruolo di farmaco, giunge talvolta a sovrapporsi e confondersi con il piacere della carne, proprio perché sa anche farsi carne la parola: la parola, così come il corpo, è infatti sia uno strumento di indagine conoscitiva dell’io, sia una potente arma di seduzione, capace di irretire l’amante. Come si delinea poi maggiormente nelle "Poesie erotiche", e in particolare nelle "Cento quartine", ma anche in "Lezione d’amore" e nella seconda centuria di quartine, dove l’aspetto erotico diventa via via più esplicito, anche attraverso l’utilizzo di un linguaggio sempre più diretto, la parola poetica diventa anche un mezzo per produrre piacere, non soltanto dell’intelletto, ma anche fisico, fino ad arrivare a sedurre la carne. Nel mondo duale di Valduga l’aspetto del corpo e della seduzione non mancano però di confondersi con l’elemento del pudìco e del sacro (soprattutto nella "Tentazione"), così come al piacere si mescolano sempre il dolore e il tormento, e l’esperienza dell’amore (non solo fisico, ma anche sentimentale) arriva a fondersi con quella della morte ("Donna di dolori").

L’invettiva nella poesia italiana del secondo Novecento

2016

Either as a proper literary genre or rather as a various rhetorical code, in the poetry of 20th century the political and moral invective had its principal models in the post-war invectives by Saba, as his Opicina 1947 – whose echoes arrive to Sereni’s Saba and Caproni’s Anarchiche – and Pasolini, starting from his Epigrammi and Poesie incivili (1959-’61). The invectives of several politically committed poets, such as as Leonetti, Roversi, Pagliarani, Raboni, D’Elia, will be shaped mainly on that poetry by Pasolini. On the other side, a more playful and parodistic invective is shaped by Sanguineti, particularly in a erotic key - as in his Novissimum Testamentum ‒ which will be present also in other poets, such as Bellezza, in his Invettive e licenze , or Valduga in her Donna di dolori . The years of Berlusconi’s power gave new impulse to the political invective, in both a parodistic and serious key: including Sanguineti and his Malebolge 1994 ‒ similar to the “acid and ascetic a...