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- Freedom suits were lawsuits in the Thirteen Colonies and the United States filed by slaves against slaveholders to assert claims to freedom, often based on descent from a free maternal ancestor, or time held as a resident in a free state or territory. The right to petition for freedom descended from English common law and allowed people to challenge their enslavement or indenture. Petitioners challenged slavery both directly and indirectly, even if slaveholders generally viewed such petitions as a means to uphold rather than undermine slavery. Beginning with the colonies in North America, legislatures enacted slave laws that created a legal basis for "just subjection;" these were adopted or updated by the state and territorial legislatures that superseded them after the United States gained independence. These codes also enabled enslaved persons to sue for freedom based on wrongful enslavement. While some cases were tried during the colonial period, the majority of petitions for freedom were heard during the antebellum period in the border or the Southern United States. After the American Revolution, most northern states abolished slavery and were considered "free". The United States Congress prohibited slavery in some newly established territories, and some new states were admitted to the union as free states. The rise in travel and migration of masters with slaves between free and slave states resulted in conditions that gave rise to slaves suing for freedom. Many free states had residency limits for masters who brought slaves into their territory; after that time, the slave would be considered free. Some slaves sued for wrongful enslavement after being held in a free state. Other grounds for suit were that the person was freeborn and illegally held in slavery, or that the person was illegally held because of being descended from a freeborn woman in the maternal line. The principle of partus sequitur ventrem, first incorporated into Virginian law by a 1662 statute in the House of Burgesses, established that children's status was that of the mother. It was also adopted into law by all of the Southern colonies, and later the slave states of the United States. In Saint Louis, Missouri, records of nearly 300 petition cases have been found that were filed between 1807 and 1860, and in Washington, D.C., nearly 500 petition cases were filed in the same period. A large portion of cases, as much as one-third, either never went to trial or were settled out of court. In the early nineteenth century in St. Louis and in Washington, D.C., nearly half of the attorneys at the bar may have acted as counsel for slave petitions. In Missouri, the courts assigned an attorney to the petitioner if it accepted a freedom suit for hearing; some of the top attorneys in St. Louis defended slaves. After the 1830s, the number of petition cases gradually declined. But from 1800 to 1830, most of the bar in these cities tried a petition case. Before the end of the eighteenth century, some southern states began to make petitioning for freedom more difficult. Maryland, for example, in 1796 required that county courts serve as the court of original jurisdiction, rather than the General Court of the Western Shore, an appellate court. The county courts clearly would be more favorable to the interests and views of the local planters against whom these suits were often filed. The legislature also banned persons with known antislavery sympathies from serving on juries in freedom suits. Virginia passed a similar law on jury composition in 1798. But, for a few decades, courts in slave states such as Louisiana, Mississippi, and Missouri often respected the precedent of "once free, always free" established by free states. Until the early 1850s, they ruled that slaves who had been held in free states maintained their freedom even if brought back into slave states. Until the Civil War brought an end to slavery, thousands of freedom suits were tried in state courts across the country, with some slaves petitioning as high as the Supreme Court. (en)
- Le Freedom suits erano cause, nelle Tredici colonie e negli Stati Uniti d'America, intentate da schiavi contro degli schiavisti per rivendicare la libertà, spesso sulla base di discendenza da un antenato materno libero, o residente in uno Stato o territorio libero. Il diritto di petizione per la libertà discendeva dall'inglese Common law e consentiva alle persone di contestare la loro riduzione in schiavitù. I firmatari mettevano in discussione la schiavitù sia direttamente che indirettamente, anche se gli schiavisti consideravano generalmente tali petizioni come un mezzo per confermare anziché minare la schiavitù. Fin dalle colonie del Nord America, le assemblee legislative emanarono leggi sulla schiavitù che avevano creato una base giuridica per la "sudditanza"; queste vennero adottate o aggiornate dai parlamenti statali e dei territori che ne presero il posto quando gli Stati Uniti ottennero l'indipendenza. Questi codici consentivano tra l'altro agli schiavi di citare in giudizio i loro padroni per rivendicare la libertà basata sull'illecita schiavitù. Mentre alcuni casi vennero discussi durante il periodo coloniale, la maggior parte delle petizioni per la libertà vennero sollevate nel periodo precedente la guerra di secessione nelle zone di frontiera o nel sud degli Stati Uniti. Dopo la rivoluzione americana, la maggior parte degli Stati del nord abolì la schiavitù e gli schiavi vennero considerati "liberi". Il Congresso degli Stati Uniti vietò la schiavitù in alcuni territori di nuova costituzione, e alcuni nuovi Stati vennero ammessi nell'Unione come Stati liberi. L'incremento dei viaggi e la migrazione tra Stati di proprietari di schiavi portò a situazioni che fecero aumentare il numero di schiavi che citavano in giudizio i loro padroni per ottenere la libertà. Molti Stati liberi avevano limiti di tempo di residenza per i padroni che avevano portato schiavi nel loro territorio; dopo tali limiti, lo schiavo sarebbe stato considerato libero. Alcuni schiavi citarono in giudizio i loro padroni per illegale riduzione in schiavitù, dopo essere stati tenuti in uno Stato libero. Altri motivi del contendere erano che la persona era nata libera e tenuta illegalmente in stato di schiavitù, o che la persona era stata illegalmente tenuta in schiavitù nonostante fosse nata da una donna nata libera in linea materna. Il principio del partus sequitur ventrem, introdotto nella legge della Virginia da un decreto della House of Burgesses (assemblea dei rappresentanti) del 1662, stabiliva che i bambini ottenevano lo status della madre. Esso fu adottato da altre colonie inglesi e dagli Stati degli Stati Uniti. A Saint Louis nel Missouri, secondo le fonti, si verificarono quasi trecento casi di petizioni depositate tra il 1807 e il 1860, e a Washington quasi cinquecento casi vennero depositati nello stesso periodo. Una gran parte dei casi, circa un terzo, non andò mai a processo o finì con un accordo stragiudiziale. Nei primi anni del XIX secolo, a Saint Louis e Washington, si poteva stimare che circa la metà degli avvocati presso il tribunale aveva agito come consulente per le petizioni di schiavi. In Missouri, i tribunali assegnavano un avvocato al richiedente se decideva di far procedere la causa; alcuni dei migliori avvocati di Saint Louis difesero schiavi. Dopo il 1830 il numero di casi di petizione andarono gradualmente diminuendo. Ma tra il 1800 e il 1830 la maggior parte dei tribunali di queste città trattarono almeno una petizione. Prima della fine del XVIII secolo, alcuni Stati del sud cominciarono a rendere più difficile la petizione per la libertà. Il Maryland, ad esempio, nel 1796 richiese che fossero i tribunali di contea il foro competente, piuttosto che il tribunale di zona, ovvero la corte d'appello. I tribunali di contea chiaramente sarebbe stati più favorevoli agli interessi e ai punti di vista dei proprietari di piantagioni locali contro i quali queste petizioni erano depositate. Il legislatore vietava anche ai simpatizzanti anti-schiavisti di sedere nelle giurie per questo tipo di cause. La Virginia approvò una legge simile, sulla composizione delle giurie, nel 1798. Tuttavia, per qualche decennio, i tribunali di Stati schiavisti come la Louisiana, il Mississippi e il Missouri spesso rispettarono il precedente di "una volta libero, sempre libero" stabilito dagli Stati liberi. Fino ai primi anni 1850 i tribunali di questi Stati emisero sentenze che riconoscevano la libertà agli schiavi che l'avevano ottenuta in Stati liberi, anche se riportati in Stati schiavisti. Fino a quando la guerra di secessione pose fine alla schiavitù, migliaia di cause per la libertà furono discusse nei tribunali statali in tutto il paese, con alcuni schiavi che adirono la Corte suprema. (it)
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