stefano montes | Università degli Studi di Palermo (original) (raw)

Papers by stefano montes

Research paper thumbnail of Sono arrabbiato e sono antropologo. Blues lévi-straussiano su un’emozione furente

In questo saggio, mi ‘lascio andare’, volutamente e direttamente, nel loro intreccio d’insieme e ... more In questo saggio, mi ‘lascio andare’, volutamente e direttamente, nel loro intreccio d’insieme e interrelato, alle seguenti questioni: la semantica della rabbia in un contesto vissuto personalmente, l’uso di una scrittura meno convenzionale ai fini di un maggior scavo interiore, l’esemplificazione letteraria come contrappunto e verifica tematica ed esistenziale, la possibilità di descrizione del tempo e dello spazio nell’arco stesso della prossimità del vissuto, il contrasto tra ‘forme di vita concepite per fini da raggiungere’ e ‘forme di vita concepite nella liminalità’, la riflessione sull’oscillazione autoriale di un Lévi-Strauss preso tra strutturalismo e soggettivismo, la riformulazione in metodo più generale della – da me definita – ‘distillazione-partecipante’ (da sviluppare in concomitanza con l’osservazione-partecipante), l’insistenza sull’intreccio inestricabile tra emozioni, sensi e cognizioni (viste soprattutto nel loro aspetto di flussi magmatici e incontrollati), il tentativo di ridefinizione di un’emozione socio-individuale quale la rabbia. Parole chiave: collera, auto-etnografia, Lévi-Strauss, antropologia dell’esistenza, antropologia delle emozioni, forme di vita

Research paper thumbnail of La narrativité de l'aspect dans L'attente de Borges. Une étude sémio-anthropologique de la phénonologie du "moment présent

Research paper thumbnail of L'ethno-anthropologie comme genre.pdf

L’analyse porte sur un certain nombre d’études ethnographiques et vise à mettre en relief les pro... more L’analyse porte sur un certain nombre d’études ethnographiques et vise à mettre en relief les procédés énonciatifs et énoncifs qui en font des textes appartenant à un genre spécifique, l’« ethno-anthropologie ». Au lieu d’assimiler l’énonciation à une trace, je parle de textes (et de genres textuels) qui se présupposent et se renvoient les uns aux autres par des procédures hiérarchisées d’embrayage et de débrayage. J’essaie par conséquent de montrer que l’efficacité de l’ethno-anthropologie (saisir l’autre et traduire sa culture) réside dans un mécanisme sémiotique plus complexe qu’une simple dichotomie opposant énonciation et énoncé ou qu’une modélisation préconçue du schéma de la communication. En adoptant la perspective de Foucault, plutôt que de réfléchir sur le sujet de l’énonciation en soi (un sujet qui énonce des acteurs, des espaces et un temps mais ne se laisse lui-même saisir que comme « trace »), je repère des formes de subjectivité liées à des effets d’énonciation et à des structurations narratives émanant du découpage du procès même de recherche sur le terrain. Contrairement à la perspective dominante qui veut que l’énoncé présuppose toujours l’énonciation, à la manière de Greimas je conçois l’énonciation et l’énoncé comme des textes en co-référence qui contiennent des formes d’actantialisation distinctes. Parallèlement, la « trace » (et par conséquent l’énonciation en tant que trace) apparaît comme un programme narratif résultant de l’accomplissement de la quête d’un sujet qui laisse dans son discours l’empreinte de son faire. Finalement, plutôt que de privilégier la dimension relative à l’« appropriation de l’appareil formel » d’une langue, je mets l’accent sur le procès (au sens hjelmslevien) et sur la diffusion globale et pluri-isotopique le long de la chaîne syntagmatique (aussi bien narrative que discursive).

Research paper thumbnail of Scatto da etnografo situato. Foto-etnografia di un attraversamento

Che vuol dire attraversare? Quali categorie e pratiche sono chiamate in cause nell’attraversament... more Che vuol dire attraversare? Quali categorie e pratiche sono chiamate in cause nell’attraversamento di un luogo? Cerco di rispondere a queste domande attraversando effettivamente – in prima persona – Siena da una parte all’altra, scattando foto e prendendo appunti, diventati in seguito questo saggio foto-etnografico. Il primo punto che affronto, nel saggio e nell’attraversamento stesso, riguarda proprio il ruolo della fotografia. Più che un’icona, un indizio o un simbolo in sé, considero le foto elementi narrativi che ‘interagiscono’ in maniera complessa con la narrazione scritta. Questa assegnazione di ruoli semantici e pragmatici diversi alla fotografia è già di per sé motivo di discussione e analisi che intenzionalmente non affronto, se non implicitamente, nel saggio il cui intento manifesto è invece di recuperare (e discutere) ‘il situarsi’ del soggetto nello spazio, nella foto e nel testo stesso. Come si traducono, reciprocamente, questi tre elementi? A questo fine, tengo conto dell’impostazione sartriana (situazione) e geertziana (prossimità) relativa a un soggetto che attraversa un luogo e al contempo pone in questione altre categorie: inizio e fine, scritto e visivo, ordinario e ritualizzato, posizionato e in divenire, paradigmatico e sintagmatico. In ultima analisi, l’attraversamento spaziale di una città da parte di un soggetto – me stesso – viene trasformato in un attraversamento di categorie in cui una funzione di rilievo viene assunta dall’opposizione – da me sfumata – tra teoria e pratica, tra il situarsi e l’estrarsi da un contesto. In definitiva, più che ricorrere al concetto di indessicalizzazione in maniera univoca, faccio capo a concetti quali traduzione intersemiotica (Jakobson), figurativizzazione (Greimas), spiegazione come fare (Valéry). Riferimenti antropologici di rilievo sono Malinowski, Firth, Leiris, Geertz, Crapanzano. Riferimenti teorici d’altro tipo sono soprattutto Deleuze, Bateson, Barthes, De Certeau, Jullien.

Research paper thumbnail of Cosa scrivere da antropologo, come scrivere sull'Alzheimer

In questo saggio pongo deliberatamente in essere un modo non convenzionale di scrivere al fine di... more In questo saggio pongo deliberatamente in essere un modo non convenzionale di scrivere al fine di mettere a fuoco sulle operazioni mnestiche di un soggetto: me stesso in trasferta sofferta. Faccio un elogio della memoria: della sua capacità di renderci umani, della sua forza instauratrice di interazioni. Mi trasformo in narratore che si lascia narrare (Derrida) per affondare nel mistero del vivere che rasenta l’ovvio e pur tuttavia è magico. Interrogo il mio passato – sotto forma di saggi scritti – e mi concedo alle ibridazioni concettuali, procedendo allo stesso tempo per gradi bathomologici (Barthes). Non oppongo resistenza al lavorio del tempo: lasciando che disincantate sensazioni impregnino nudi pensieri in corsa; lasciando che il ricordo, simile a raggi di sole, indichi – nello scorrere della vita – ciò che è di primo acchito poco visibile. Il “tempo per [i Nuer] è una relazione tra le attività” (Evans-Pritchard). E così è per me: intreccio relazioni tra attività disseminate nel passato, nel presente, riconvertite, tradotte in testo. Scrivo per non pensare alla memoria che si azzera: all’Alzheimer, alla memoria dimentica di se stessa, alla cancellazione delle radici, alla revoca progressiva dell’identità, all’oblio di sé, d’altri. E io scrivo: per tenere a bada i pensieri che corrono all’Alzheimer e alla memoria intaccata di mia madre priva della sua identità d’un tempo. Scrivo sull’Alzheimer e mi disorienta perché sono posto di fronte all’essenza del tempo, alla vulnerabilità rispetto al suo essere scorta verso il morire. Non c’è possibilità di scelta per l’individuo ammalato di Alzheimer, non c’è possibile oscillazione tra (recupero del) passato e (proiezione nel) futuro: non c’è il piacere di risiedere nel presente e di goderselo con la coscienza di chi può dondolare ancora nel futuro o nel passato. E io scrivo: sul ricordo in quanto traccia d’assenza che implica una effettiva mancanza, nonché sgretolamento del senso dell’essere persona. Scrivo per cominciare ad azzerare – doveva succedere – il mio conto con la memoria, con il passato, mettendo a fuoco su una persona cara, nel disagio della malattia, facendomene carico da antropologo: per averne consapevolezza. Non è forse questo il senso dell’antropologia? Produrre consapevolezza. Passo allora in rassegna la memoria che avevo di alcuni miei saggi valutando – ripensando ai – vantaggi e svantaggi prodotti dallo scegliere un tema piuttosto che un altro. Pensandoci, mi lascio andare al ‘gioco linguistico’ di una più consapevole scrittura automatica che consente una maggiore libertà rispetto alle costrizioni imposte da una coscienza pianificatrice. In quale modo adempiere meglio a questo presupposto se non attraverso l’uso del verbo al condizionale che consente al contempo di mettere in prospettiva un atto realizzandolo già, in qualche modo, nel processo stesso dettato dalla condizione? Quale migliore espediente per volgere un intero testo – nonché la persona che lo scrive e forse pure il lettore che lo legge – nella direzione dell’oscillazione, del dondolio liberatore?

Research paper thumbnail of I corpi nel testo e l'indeterminazione della cultura. Un romanzo fiume di Manganelli come campo

Stefano Montes, “I corpi nel testo e l’indeterminazione della cultura. Un romanzo fiume di Mangan... more Stefano Montes, “I corpi nel testo e l’indeterminazione della cultura. Un romanzo fiume di Manganelli come campo”, in Daniele Monticelli e Licia Taverna, a cura di, Testo e metodo. Prospettive teoriche sulla letteratura italiana, Tallinn University Press, Tallinn, 2011, 281-344

Piuttosto che arrestare l’attenzione su un testo e commentarne gli sviluppi interpretativi da un solo punto di vista (interno al solo soggetto indagatore), mi concentro su un breve romanzo fiume di Manganelli al fine di esternare il triplice nodo che s’intreccia nell’analisi: i. lo sguardo del soggetto; ii. il metodo utilizzato; iii. la cultura di riferimento.

Discutere la pertinenza dell’antropologia – come disciplina atta all’analisi del testo – in relazione al singolo che se ne serve e alla regolazione che offre la cultura, rappresenta per me, in questo saggio, un’occasione per ‘differire’ verso temi strettamente connessi:

a. il posizionamento spazio-temporale del soggetto (che desidera insinuarsi con consapevolezza nelle pieghe barocche del testo) e l’inarrestabile comunicazione differita del processo;

b. il tentativo di recupero del divenire (attraverso l’inscrizione del corpo) e la sua messa in scena enunciativa;

c. la difficoltà dell’inizio e il piacere aspettualizzato del non-concludere;

d. le metafore della ‘superficie’ e dello ‘scavo’ intese come costrutti culturali e strumenti di analisi;

e. il dinamismo simmetrico dei concetti di ‘estrazione’ e ‘situazione’.

La questione centrale è: fino a che punto si può, da antropologi, differire verso altro e fino a che punto la pregnanza del testo scritto costituisce un ostacolo – o un sostegno – all’assenza/presenza del soggetto indagatore colto nel differire? All’epoca in cui ho scritto il saggio leggevo e rileggevo – allo stesso tempo e costantemente – Derrida e Lévi-Strauss. E questo ha lasciato tracce e disseminazioni che continuano, stranamente, a sedimentare nella mia scrittura odierna.

Research paper thumbnail of Les logiques de la persuasion entre anthropologie et rhétorique

Dans ce colloque nous entendons étudier les logiques de la persuasion dans une perspective anthro... more Dans ce colloque nous entendons étudier les logiques de la persuasion dans une perspective anthropologique et rhétorique, en échangeant savoirs et points de vue. Bien que la rhétorique et l’anthropologie soient définies historiquement de manières multiples, elles partagent de fait un présupposé commun à partir duquel on peut entamer une discussion fructueuse : atteindre les individus en utilisant des messages efficaces et persuasifs. Quelle est, aujourd’hui, la valeur particulière de ces messages et de quelles manières sont-ils pris en compte en rhétorique et/ou en anthropologie, ainsi que dans les autres sciences sociales ? Plus spécifiquement, de quelles manières l’anthropologie, ainsi que les autres sciences sociales, se servent de procédures rhétoriques afin d’être plus efficaces ? Et de quelle manière la rhétorique vient à être – ou pourrait être – conçue dans une optique interculturelle ? Qu’est-ce qu’on entend, enfin, par rhétorique efficace ? Est-il possible, somme toute, de faire une anthropologie de la rhétorique et/ou une rhétorique de l’anthropologie ? À ce but, nous avons repéré, à titre purement indicatif, quatre sections où les intervenant(e)s pourraient interagir en échangeant perspectives et interrogations.

Research paper thumbnail of The logics of persuasion. Between anthropology and rhetoric

In this conference, we'll study the logics of persuasion according to anthropological and rhetori... more In this conference, we'll study the logics of persuasion according to anthropological and rhetorical perspectives, exchanging insights and viewpoints. Even though anthropology and rhetoric are historically defined in multiple ways, as a matter of fact they share a common presupposition opening a potentially rich dialogue between disciplines: an effort to reach individuals and groups through effective and persuasive messages. What is the particular value of these messages nowadays and how are they taken into account by rhetoric, anthropology and other social sciences? More specifically, in what ways do anthropology and other social sciences make use of rhetorical procedures in order to be more effective? Furthermore, how can rhetoric be conceived in an intercultural world? And what do we mean by effective rhetorical strategy? Finally, is it possible to do an anthropology of rhetoric and/or a rhetoric of anthropology? To this end, we propose four sections from which social scientists and rhetoricians can freely draw to exchange viewpoints and interrogations.

Research paper thumbnail of Call for papers Le logiche della persuasione tra antropologia e retorica

Research paper thumbnail of Call for papers Le logiche della persuasione tra antropologia e retorica

In questo convegno studieremo le logiche della persuasione in chiave antropologica e retorica, sc... more In questo convegno studieremo le logiche della persuasione in chiave antropologica e retorica, scambiando saperi e prospettive. Nonostante siano storicamente definite in modo molteplice, infatti, la retorica e l’antropologia condividono almeno un presupposto comune a partire dal quale potere avviare discussioni: tentare di arrivare all’altro usando messaggi efficaci e persuasivi. Qual è la valenza particolare di questi messaggi oggigiorno e in che modo essi sono presi in conto in retorica e/o in antropologia, nonché nelle altre scienze sociali? In che modo, più specificamente, l’antropologia, così come pure le altre scienze sociali, si avvalgono di procedure retoriche al fine di essere più efficaci? E in che modo la retorica, da parte sua, viene a essere – o potrebbe essere – concepita in ambito interculturale? È possibile, in sostanza, fare un’antropologia della retorica e/o una retorica dell’antropologia, eventualmente rintracciando le tracce dell’una nell’altra? Cosa si intende per strategia retorica efficace? A questo fine, a titolo puramente propositivo, abbiamo individuato quattro sezioni in cui studiosi di retorica e scienze sociali possono interagire, scambiandosi punti di vista e interrogazioni.

Research paper thumbnail of L'anthropologie des reponses de Kourouma

Montes Stefano, “L’anthropologie des réponses de Kourouma. L’altérité, la langue, le dire, la quê... more Montes Stefano, “L’anthropologie des réponses de Kourouma. L’altérité, la langue, le dire, la quête”, in Un donsomana pour Kourouma, Pierre Kadi Sossou et Bernadette Kassi-Krécoum (sous la dir. de), Wissenschaftlicher Verlag, Berlin, 2007, 99-122.

Quel rapport y a-t-il entre la littérature d’Ahmadou Kourouma et l’anthropologie, entre un écrivain et une discipline qui s’occupe de la culture dans son ampleur ? Tout en étant un écrivain qui sait jouer sur les registres multiples de la créativité, Kourouma conçoit la littérature comme un vrai combat discursif, comme une réponse à la mauvaise conscience de l’Occident : une réponse à l’incapacité de l’Occident à saisir une altérité. Selon l’écrivain ivoirien, la littérature n’est pas un questionnement uniquement métaphysique ou intérieur, mais aussi un défi (lancé contre les clichés et contre les malentendus sur l’Afrique) et un dialogue ininterrompu (entre l’Occident et l’Afrique). A partir de ces positions de Kourouma et de l’analyse de l’un de ces textes les plus connus (d’Allah n’est pas obligé), je propose des chemins théoriques qui établissent de liens entre littérature (francophone) et anthropologie culturelle et existentielle. Une voie, possible et riche, consiste à adopter une critique post-colonialiste afin de mettre à nu (et de combattre) la construction des codes coloniaux, leur caractère tyrannique et mono-logique, leur nature de contrainte non révélée : une critique post-colonialiste peut sans doute privilégier l’explicitation de l’énonciation individuelle et collective (Jean-Marc Moura, Littératures francophones et théorie postcoloniale), mais on peut aussi bien rechercher, plus sémiotiquement, les formes de mise en intrigue différentes de ces énonciations et de ces énoncés corrélés (Paul Ricœur, Temps et récit). Une troisième option, plus anthropologique, consiste à rendre compte des formes que prennent les dialogues interculturels dans les divers auteurs de la littérature francophone : il ne s’agit donc pas de réduire un roman francophone à une sorte d’essai d’anthropologie camouflé en littérature de surface, mais de révéler la prégnance que prennent les définitions (narratives et descriptives) des frontières identitaires, la conception de l’Autre, les regroupements des multiples ‘nous’ et ‘eux’ qu’on retrouve dans les fictions utilisées. Ces trois voies d’analyse (la mise en relief de l’ancrage énonciatif, l’étude de la mise en intrigue et l’explicitation des formes de dialogue interculturel) ne sont pas forcément séparées ou exclusives l’une de l’autre : le plus souvent elles se superposent et se renvoient réciproquement aussi bien d’un point théorique que d’un point de vue de l’application spécifique. De ma part, j’ai analysé un roman (et une préface de Kourouma) comme s’il s’agissait de problèmes anthropologiques condensés, des problèmes qui sollicitent un questionnement conjoint du métalangage utilisé et de l’objet culturel visé : l’inégalité de la parole des actants, l’asymétrie du dialogue interculturel, la définition sans cesse renouvelée de la notion de littérature imposée par la francophonie, la modélisation sémiotique de la production et de la réception, la dissonance entre les langues et les cultures francophones.

Research paper thumbnail of Aspettare e aspettualizzare. Uno sguardo semioantropologico su esistenza e fieldwork

Perché studiare l’attesa? Perché l’attesa la fa da padrona nella maggior parte del tempo, nei mom... more Perché studiare l’attesa? Perché l’attesa la fa da padrona nella maggior parte del tempo, nei momenti più ordinari e meno ordinari dell’esistenza, attraverso le forme aspettualizzate del vissuto (il compiuto e l’incompiuto, il perfettivo e l’imperfettivo, etc.): di fatto, aspettiamo al panificio e dal dottore, al supermercato e dal meccanico, al pronto soccorso e in parrocchia, davanti un ascensore e dietro un semaforo, al cospetto di un tizio e alle spalle di un altro, al botteghino di un teatro e aspettano pure, molte volte, i migranti dopo lo sbarco, infreddoliti, scampati alla traversata in mare aperto. Aspettiamo noi, aspettano gli altri. La domanda che rivolgo a me stesso e al lettore, allora, è la seguente: che vuol dire, oggigiorno, in un’epoca pensata da molti studiosi come estremamente mobile, indugiare nell’attesa e nell’ascolto? Prendendo piede da questa osservazione, a partire da un vissuto in parte autoetnografico, prendo in conto congiuntamente la nozione di attesa e di aspettualizzazione al fine di mostrarne una valenza talvolta inaspettatamente positiva, comunque fondativa dal punto di vista antropologico. Parlo dunque concretamente dell’attesa e dell’aspettualizzazione della temporalità mettendole in scena nell’intreccio prodotto con l’intersecarsi di alcuni miei spaccati di vita (al bar, dopo un convegno; nella sala d’attesa di un medico) e ricorrendo al contempo ad alcuni usi dell’attesa praticati da parte di due antropologi: Malinowski e Clifford. Se per Malinowski la ricerca sul campo si svolge all’insegna del perfettivo, del concluso e puntuale che annulla il valore positivo dell’attesa, per Clifford al contrario la ricerca è dell’ordine dell’imperfettivo e del non concluso, durativo e iterativo; se per Malinowski la ricerca è aspettualizzata dall’ordine della programmazione che annulla il valore del caso e dall’ostentazione dell’azione che offuscherebbe il valore dell’attesa, per Clifford la ricerca è aspettualizzata dal caso e dai processi polifonici in atto. Su questa base comparativa, il mio saggio è volutamente costruito in modo da tenere il lettore – man mano che vengono esposti alcuni principi di base dell’attesa e dell’aspettualizzazione – sul filo della narrazione e dell’attendere. Alcune strategie retoriche da me utilizzate allo scopo sono la digressione e l’intercalare dell’enunciazione, l’indugiare e l’esitazione, il ‘pensiero che si pensa’ (Lotman) e il ‘pensiero al di fuori di sé’ (Foucault): in questo modo, l’attesa è introdotta praticamente nel meccanismo stesso di produzione e ricezione del saggio che il lettore legge. Per quanto riguarda l’attesa stessa intesa dal punto di vista esistenziale, propongo di assaporarne il valore di ‘azione in sé che tende a risolversi in un suo compimento che indugia invece nel suo stesso darsi’. A questo fine, vengono da me discussi alcuni studiosi dell’attesa che ne prospettano definizioni ‘politiche’ e ‘retoriche’: Greimas (l’attesa come fondamento della sintassi emotiva), Barthes (l’attesa come scenografia del luogo in cui si attende l’amato), Bourdieu (l’attesa come forma di imposizione del proprio potere sull’altro), Van Gennep (l’attesa come componente fondamentale dell’agire nella sua forma ritualizzata), Crapanzano (l’attesa come forma di anticipazione cristallizzata dalla speranza). Infine, proponendo il neologismo concettuale di ‘aspettatività’, indico alcune vie da perseguire al fine di meglio cogliere la dimensione temporale e agentiva implicita nell’agire e non-agire umano. L’essere umano, per gradi diversi, è infatti dotato di aspettatività: cioè di una qualche competenza ad aspettare che ingloba il sapere sull’azione. Di conseguenza, nella mia ipotesi, l’attesa va pensata in potenza e in atto: come un preliminare pratico del grado di agentività individuale e sociale. Questo affondo teorico mi serve, inoltre, a mettere a fronte una nozione di vita intesa linearmente e una nozione di vita più magmatica – quella che io prediligo – in cui si mostra tutto il valore della torsione zigzagante del tempo e del caso. Ma non è tutto. Oltre che per riflettere sul valore dell’attesa in antropologia e nell’esistenza, ho scritto questo saggio con un altro intento meno evidente: fare riferimento a quelle citazioni d’altri autori che, in passato, nei miei scritti, avevo già utilizzato per meglio spiegare il mio pensiero. Questo mio espediente mi apparenta al modo di concepire la scrittura da parte dei membri dell’Oulipo i quali si imponevano di redigere i loro testi a partire da una o più costrizioni testuali e letterarie. Nel mio caso, la costrizione a cui ho fatto capo è la citazione d’altri autori già da me stesso utilizzati in altri miei scritti. A che può valere in antropologia, ci si può chiedere, questo espediente apparentemente letterario? Direi che le costrizioni testuali sono sovente anche costrizioni d’ordine cognitivo. Redigere un testo a partire da ‘invarianti legate’ obbliga, infatti, a pensare/pensarsi per decentramenti. Dal mio punto di vista, questo principio è essenziale: la forza dell’antropologia risiede proprio nella capacità di continuo decentramento teorico ed esistenziale. E, concettualmente e operativamente, recuperare il valore dell’attesa negli studi antropologici significa rivedere innovativamente, nel bene e nel male, il modo in cui la dimensione cognitiva si intreccia con quella agentiva ed emotiva nel mondo odierno.

Research paper thumbnail of La Sicile de Maupassant, la sémio-anthropologie des incipit et le nomadisme de la pensée

A reflection on a travel to Sicily by Maupassant becomes an occasion to discuss the category cont... more A reflection on a travel to Sicily by Maupassant becomes an occasion to discuss the category continuous/discontinuous and the symmetric notion of beginning. The starting question is: how can we define a beginning? To answer this question, I adopt a double strategy: on the one side, I resort to some specialists in this field (Lotman, Said, Aragon and Gracq) who allow me – by deferring to some other concepts, authors and theories – to focus on the notion of existence itself and on the nomadism of thinking developed by Deleuze; on the other hand, I concentrate more analytically on a beginning by Maupassant and on a beginning by Malinowski in order to underline the importance of interdisciplinary comparison for an epistemology of literary and ethnographic genres. A basic goal of my essay lies in the displacement of the notion of beginning as a written text towards its larger existential dimension. A complementary goal can also be found in the emphasis given to the semantic deferral of concepts such as travel, literature, culture, translation, existence. From this point of view, references to various authors (Augé, Balandier, Bateson, Clifford, Lévi-Strauss, Van Gennep) prove useful to show the significance of a reflection on the beginning.
Keywords: beginning, travel, nomadism, Maupassant, Malinowski, Deleuze

Une réflexion sur le voyage de Maupassant en Sicile devient l’occasion pour discuter en parallèle la catégorie continu/discontinu et la notion symétrique d’incipit. La question de départ est : de quelle manière peut-on concevoir l’incipit ? Pour répondre à cette question, j’adopte une double démarche sémio-anthropologique. D’une part, j’ai recours à des spécialistes du domaine de l’incipit (Lotman, Said, Aragon et Gracq) qui me permettent – par le renvoi à d’autres concepts, auteurs et théories – de focaliser sur l’existence elle-même et le nomadisme de la pensée dont parle Deleuze. D’autre part, je me concentre, de manière plus analytique, sur un incipit de Maupassant et sur un incipit de Malinowski afin de souligner l’importance de la comparaison interdisciplinaire pour une épistémologie des genres littéraires et ethnographiques. Une finalité de l’essai réside dans le déplacement de la notion d’incipit en tant que texte écrit vers sa dimension plus largement existentielle. Une finalité complémentaire réside dans la mise en relief d’une démarche basée sur le renvoi sémantique de concepts tels que voyage, littérature, culture, traduction, existence. Dans cette perspective, se justifient les références à des spécialistes tels qu’Augé, Balandier, Bateson, Clifford, Lévi-Strauss, Van Gennep.
Mots clés : incipit, voyage, nomadisme, Maupassant, Malinowski, Deleuze

Research paper thumbnail of Existence as Fieldwork organized by Stefano Montes and Albert Piette

Research paper thumbnail of In contrattempo, per stereotipi e incidenti. Antropologia di un frammento di esistenza

È un saggio forse un po’ sperimentale, un po’ troppo deleuziano: con riferimenti dissimulati ad a... more È un saggio forse un po’ sperimentale, un po’ troppo deleuziano: con riferimenti dissimulati ad antropologi del presente e del passato, nonostante la forma narrativa sia pervadente. Mostra troppe linee di fuga, è vero. Ma se dovessi riscriverlo lo scriverei nello stesso modo, nel corso degli anni, usandolo proprio come ancora di riflessione e di interrogazione epistemologica. Questo saggio non è infatti il risultato di una trascrizione di qualche idea del momento trasposta immediatamente in testo. Tutto il contrario: sono tornato, nel tempo, a lavorare su questo breve saggio (iniziato a scrivere sotto forma di appunto di campo circa dieci anni fa, a Tallinn, in seguito a un fatto effettivamente accadutomi) allo scopo di affinare la riflessione antropologica e meglio cogliere i nessi posti tra pianificazione degli eventi e loro sgretolamento dovuto agli incidenti ordinari o straordinari. A una prima lettura, questo saggio potrebbe parere incentrato essenzialmente su due questioni: i. l’ordine narrativo che assume un appunto etnografico dilatato nel tempo della scrittura; ii. gli incastri possibili tra stereotipi temporali e forme del contrattempo. E in parte è così. In realtà, però, il nesso che mi ha letteralmente ossessionato – in tutti quei momenti in cui sono tornato a ricomporre l’appunto etnografico, negli anni, in luoghi diversi – riguarda soprattutto l’articolazione in divenire tra i modi della riflessione di un antropologo su un incidente (a cui è scampato per caso) e i modi di ‘prendere piega in esteso’ di un frammento di esistenza (che non vuol saperne di cristallizzarsi in testo scritto). Di che si tratta in sostanza? Diversi anni fa, a Tallinn, mentre attraverso distrattamente una strada, stavo per essere investito. Sono scampato all’incidente e mi sono chiesto, in prima persona, cosa significhi essere parte di un evento senza averne avuto l’intenzione e i tratti caratteristici minimi di agentività regolarmente appartenenti a un individuo. Così, quasi senza volerlo inizialmente, questo incidente è stato l’occasione, nel corso degli anni, per rivolgere l’attenzione alle forme di discontinuità – la coincidenza, il contrattempo, il fortuito, etc. – che si producono, volenti o nolenti, nel quotidiano. Le difficoltà con cui mi sono scontrato sono state diverse e lascio al lettore il piacere di scoprirle. Sottolineo soltanto il fatto che un incidente non è facile da definire antropologicamente perché, interrompendo il flusso degli eventi e la loro pianificazione coerente, introduce elementi di disordine e di caos a cui cerchiamo di sottrarci. Di fatto, un incidente tende a sganciarsi – a sganciarci – dal quotidiano e dai suoi automatismi correnti. Nostro malgrado. Detto questo, per le ragioni già esposte, un’antropologia dell’incidente sarebbe opportuna proprio per meglio definire la dimensione temporale della nostra esistenza e i rapporti posti tra i flussi di continuità e di discontinuità, tra pianificazioni di vita e elementi di casualità.

Research paper thumbnail of Il sistema dei media. Le forme della persuasione organizzato da M. C. Addis e A. Prato.pdf

Research paper thumbnail of Sommaire

Research paper thumbnail of Montes Introduction La transversalité des seuils comme enjeu anti-disciplinaire.pdf

Il s’agit de l’introduction que j’ai écrite pour un volume, d’auteurs basés en Estonie, qui tourn... more Il s’agit de l’introduction que j’ai écrite pour un volume, d’auteurs basés en Estonie, qui tourne autour de la question débattue des incipit et explicit. L’idée plus générale consiste à focaliser l’attention sur ces ‘lieux stratégiques’ que sont les incipit et explicit en les considérant, de plus, comme des formes mobiles de continuité et discontinuité pouvant se situer à l’intérieur et à l’extérieur d’un texte (ou bien dans des textes précédents du même auteur ou d’autres auteurs) et entretenir ainsi des relations sémantiques complexes – non linéaires, pas seulement fixées au début et à la fin des textes – avec d’autres noyaux sémantiques moins manifestes, proches et lointains. Si on essaye de mettre en relief leurs prérogatives plus sémiotiques et anthropologiques, philologiques et rédactionnelles, et si on ne les ancre pas d’une manière fixe et stable à une partie initiale ou finale du texte, la définition de ce qu’on doit entendre par incipit et explicit devient plus ardue et floue. C’est justement le défi que les différents auteurs participant à ce volume ont essayé de relever : déplacer une définition restreinte d’incipit et d’explicit – les reliant au début et à la fin d’un texte écrit – vers une définition qui se donne surtout grâce aux réseaux de concepts autour desquels le ‘commencer’ et le ‘finir’ se constituent par renvoi et superposition, par dissémination et contraction.

Montes S., « Introduction : La transversalité des seuils comme enjeu anti-disciplinaire », in L’incipit et l’explicit. Perspectives interdisciplinaires, Synergies Pays Riverains de la Baltique, numéro coordonné par S. Montes, D. Monticelli, n. 11, année 2017, 7-16

Research paper thumbnail of TRADUIRE L'AUTRE PRATIQUES INTERLINGUISTIQUES ET ÉCRITURES ETHNOGRAPHIQUES Colloque international organisé par Antonio Lavieri et Danielle Londei

Stefano Montes Traduire les Kaloulis et les Samoans. Pratiques interlinguistiques ou intersémio... more Stefano Montes

Traduire les Kaloulis et les Samoans. Pratiques interlinguistiques ou intersémiotiques ?

Dans ma communication, il s’agira de réfléchir à des exemples tirés de textes ethnographiques afin de montrer la diversité des pratiques interlinguistiques. Plutôt que d’en parler de manière abstraite, je vais me référer surtout à deux ethnographies exemplaires : celle de Feld (chez les Kaloulis) et celle de Duranti (chez les Samoans). Le cas de Feld est exemplaire puisqu’il fait son terrain en Nouvelle-Guinée, publie son ethnographie en anglais et la retraduit avec ses informateurs indigènes, afin de vérifier la valence effective de son écriture dans la langue native ; particulièrement intéressante, entre autres, c’est la manière de concevoir le « traduire » chez les Kaloulis. Le cas de Duranti est également intéressant parce qu’il se concentre sur la manière des Samoans de traduire la promesse qui paraît, naïvement, avoir la portée d’un sémantisme universel et qui est au contraire un concept relatif et culturellement donné. La littérature ethnographique est très riche en exemples montrant la diversité des cultures et des manières de pratiquer la traduction (Darnell 2001). Si je prends en compte deux anthropologues spécifiques, c’est pour mieux montrer en outre ce va-et-vient qui s’instaure entre les pratiques interlinguistiques du traduire et les théories qui les accompagnent (chez Duranti l’ethnopragmatique et la question des intentions ; chez Feld l’anthropologie dialogique et la question du son). Cette question fera partie intégrante de ma communication ainsi que la problématisation des oppositions « interlinguistique » vs « intersémiotique », « pratique » vs « théorique ». Ma communication pourrait bien s’inscrire dans l’axe 2 ou l’axe 3.

Bibliographie essentielle
Darnell R., “Translation”, in Key Terms in Language and Culture, sous la direction de A. Duranti, Blackwell, Malden, 2001, 248-251
Duranti A., Etnografia del parlare quotidiano, NIS, Roma, 1992
Duranti A., The Anthropology of Intentions. Language in a World of Others, Cambridge University Press, Cambridge, 2015
Feld S., Sound and Sentiment: Birds, Weeping, Poetics and Song in Kaluli Expression, University of Pennsylvania Press, Philadelphia, 1982
Feld S., “Dialogic Editing: Interpreting How Kaluli Read Sound and Sentiment”, Cultural Anthropology, 2:2, 1987, 190-210
Feld S., Brenneis D., “Doing Anthropology in Sound”, American Ethnologist, 31, 2005, 461-474

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Wittgenstein è stato giustamente considerato un grande filosofo, annoverato tra quegli studiosi d... more Wittgenstein è stato giustamente considerato un grande filosofo, annoverato tra quegli studiosi del Novecento che hanno prodotto un pensiero innovativo nel campo del linguaggio. Nel mio saggio, proprio per meglio mettere in evidenza la forza agentiva del suo pensiero ‘in atto e situato’, prendo le distanze da un’impostazione disciplinare univoca, concentrandomi soprattutto sulle Ricerche Filosofiche in quanto testo risultante da un modo di ‘pensare autoriale’ non lineare, non generalizzato, non essenzialistico: un pensare, quello di Wittgenstein, messo dunque concretamente in forma attraverso strategie operative, sistemi figurativi e insiemi combinati di metafore concettuali, da mettere opportunamente in risalto analiticamente per una comprensione più antropologica, a tutto tondo, del suo lavoro. Dopo una breve introduzione, in cui metto l’accento sulle difficoltà insite nel processo di ricezione di Wittgenstein (dovuto proprio alla sua opera ‘in divenire’, quasi mai concepita come un punto fermo della sua attività di pensiero), mi concentro sul suo modo di pensare-scrivere in quanto modalità non lineare, costituiva del suo essere autore, realizzata attraverso il frammento e l’annotazione, molto vicina alla prassi etnografica. Nel produrre questo spostamento di attenzione (da un pensiero generalizzato al pensare per flussi e frammenti come strategia di scrittura del pensare), mi ispiro alla nozione di funzione-autore formulata da Foucault. Per meglio prendere in conto Wittgenstein nelle sue molteplici funzioni, insisto sulle seguenti questioni: 1. sull’autore Wittgenstein come testo e effetto di ricezione della sua produzione (non solo filosofica, ma anche artistica e antropologica); 2. sullo spostamento prodotto da Wittgenstein, in termini di aspettualizzazione, dal pensiero come ‘forma rappresentativa e risultativa’ al pensare come ‘attività in situazione e processuale’.

Research paper thumbnail of Sono arrabbiato e sono antropologo. Blues lévi-straussiano su un’emozione furente

In questo saggio, mi ‘lascio andare’, volutamente e direttamente, nel loro intreccio d’insieme e ... more In questo saggio, mi ‘lascio andare’, volutamente e direttamente, nel loro intreccio d’insieme e interrelato, alle seguenti questioni: la semantica della rabbia in un contesto vissuto personalmente, l’uso di una scrittura meno convenzionale ai fini di un maggior scavo interiore, l’esemplificazione letteraria come contrappunto e verifica tematica ed esistenziale, la possibilità di descrizione del tempo e dello spazio nell’arco stesso della prossimità del vissuto, il contrasto tra ‘forme di vita concepite per fini da raggiungere’ e ‘forme di vita concepite nella liminalità’, la riflessione sull’oscillazione autoriale di un Lévi-Strauss preso tra strutturalismo e soggettivismo, la riformulazione in metodo più generale della – da me definita – ‘distillazione-partecipante’ (da sviluppare in concomitanza con l’osservazione-partecipante), l’insistenza sull’intreccio inestricabile tra emozioni, sensi e cognizioni (viste soprattutto nel loro aspetto di flussi magmatici e incontrollati), il tentativo di ridefinizione di un’emozione socio-individuale quale la rabbia. Parole chiave: collera, auto-etnografia, Lévi-Strauss, antropologia dell’esistenza, antropologia delle emozioni, forme di vita

Research paper thumbnail of La narrativité de l'aspect dans L'attente de Borges. Une étude sémio-anthropologique de la phénonologie du "moment présent

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L’analyse porte sur un certain nombre d’études ethnographiques et vise à mettre en relief les pro... more L’analyse porte sur un certain nombre d’études ethnographiques et vise à mettre en relief les procédés énonciatifs et énoncifs qui en font des textes appartenant à un genre spécifique, l’« ethno-anthropologie ». Au lieu d’assimiler l’énonciation à une trace, je parle de textes (et de genres textuels) qui se présupposent et se renvoient les uns aux autres par des procédures hiérarchisées d’embrayage et de débrayage. J’essaie par conséquent de montrer que l’efficacité de l’ethno-anthropologie (saisir l’autre et traduire sa culture) réside dans un mécanisme sémiotique plus complexe qu’une simple dichotomie opposant énonciation et énoncé ou qu’une modélisation préconçue du schéma de la communication. En adoptant la perspective de Foucault, plutôt que de réfléchir sur le sujet de l’énonciation en soi (un sujet qui énonce des acteurs, des espaces et un temps mais ne se laisse lui-même saisir que comme « trace »), je repère des formes de subjectivité liées à des effets d’énonciation et à des structurations narratives émanant du découpage du procès même de recherche sur le terrain. Contrairement à la perspective dominante qui veut que l’énoncé présuppose toujours l’énonciation, à la manière de Greimas je conçois l’énonciation et l’énoncé comme des textes en co-référence qui contiennent des formes d’actantialisation distinctes. Parallèlement, la « trace » (et par conséquent l’énonciation en tant que trace) apparaît comme un programme narratif résultant de l’accomplissement de la quête d’un sujet qui laisse dans son discours l’empreinte de son faire. Finalement, plutôt que de privilégier la dimension relative à l’« appropriation de l’appareil formel » d’une langue, je mets l’accent sur le procès (au sens hjelmslevien) et sur la diffusion globale et pluri-isotopique le long de la chaîne syntagmatique (aussi bien narrative que discursive).

Research paper thumbnail of Scatto da etnografo situato. Foto-etnografia di un attraversamento

Che vuol dire attraversare? Quali categorie e pratiche sono chiamate in cause nell’attraversament... more Che vuol dire attraversare? Quali categorie e pratiche sono chiamate in cause nell’attraversamento di un luogo? Cerco di rispondere a queste domande attraversando effettivamente – in prima persona – Siena da una parte all’altra, scattando foto e prendendo appunti, diventati in seguito questo saggio foto-etnografico. Il primo punto che affronto, nel saggio e nell’attraversamento stesso, riguarda proprio il ruolo della fotografia. Più che un’icona, un indizio o un simbolo in sé, considero le foto elementi narrativi che ‘interagiscono’ in maniera complessa con la narrazione scritta. Questa assegnazione di ruoli semantici e pragmatici diversi alla fotografia è già di per sé motivo di discussione e analisi che intenzionalmente non affronto, se non implicitamente, nel saggio il cui intento manifesto è invece di recuperare (e discutere) ‘il situarsi’ del soggetto nello spazio, nella foto e nel testo stesso. Come si traducono, reciprocamente, questi tre elementi? A questo fine, tengo conto dell’impostazione sartriana (situazione) e geertziana (prossimità) relativa a un soggetto che attraversa un luogo e al contempo pone in questione altre categorie: inizio e fine, scritto e visivo, ordinario e ritualizzato, posizionato e in divenire, paradigmatico e sintagmatico. In ultima analisi, l’attraversamento spaziale di una città da parte di un soggetto – me stesso – viene trasformato in un attraversamento di categorie in cui una funzione di rilievo viene assunta dall’opposizione – da me sfumata – tra teoria e pratica, tra il situarsi e l’estrarsi da un contesto. In definitiva, più che ricorrere al concetto di indessicalizzazione in maniera univoca, faccio capo a concetti quali traduzione intersemiotica (Jakobson), figurativizzazione (Greimas), spiegazione come fare (Valéry). Riferimenti antropologici di rilievo sono Malinowski, Firth, Leiris, Geertz, Crapanzano. Riferimenti teorici d’altro tipo sono soprattutto Deleuze, Bateson, Barthes, De Certeau, Jullien.

Research paper thumbnail of Cosa scrivere da antropologo, come scrivere sull'Alzheimer

In questo saggio pongo deliberatamente in essere un modo non convenzionale di scrivere al fine di... more In questo saggio pongo deliberatamente in essere un modo non convenzionale di scrivere al fine di mettere a fuoco sulle operazioni mnestiche di un soggetto: me stesso in trasferta sofferta. Faccio un elogio della memoria: della sua capacità di renderci umani, della sua forza instauratrice di interazioni. Mi trasformo in narratore che si lascia narrare (Derrida) per affondare nel mistero del vivere che rasenta l’ovvio e pur tuttavia è magico. Interrogo il mio passato – sotto forma di saggi scritti – e mi concedo alle ibridazioni concettuali, procedendo allo stesso tempo per gradi bathomologici (Barthes). Non oppongo resistenza al lavorio del tempo: lasciando che disincantate sensazioni impregnino nudi pensieri in corsa; lasciando che il ricordo, simile a raggi di sole, indichi – nello scorrere della vita – ciò che è di primo acchito poco visibile. Il “tempo per [i Nuer] è una relazione tra le attività” (Evans-Pritchard). E così è per me: intreccio relazioni tra attività disseminate nel passato, nel presente, riconvertite, tradotte in testo. Scrivo per non pensare alla memoria che si azzera: all’Alzheimer, alla memoria dimentica di se stessa, alla cancellazione delle radici, alla revoca progressiva dell’identità, all’oblio di sé, d’altri. E io scrivo: per tenere a bada i pensieri che corrono all’Alzheimer e alla memoria intaccata di mia madre priva della sua identità d’un tempo. Scrivo sull’Alzheimer e mi disorienta perché sono posto di fronte all’essenza del tempo, alla vulnerabilità rispetto al suo essere scorta verso il morire. Non c’è possibilità di scelta per l’individuo ammalato di Alzheimer, non c’è possibile oscillazione tra (recupero del) passato e (proiezione nel) futuro: non c’è il piacere di risiedere nel presente e di goderselo con la coscienza di chi può dondolare ancora nel futuro o nel passato. E io scrivo: sul ricordo in quanto traccia d’assenza che implica una effettiva mancanza, nonché sgretolamento del senso dell’essere persona. Scrivo per cominciare ad azzerare – doveva succedere – il mio conto con la memoria, con il passato, mettendo a fuoco su una persona cara, nel disagio della malattia, facendomene carico da antropologo: per averne consapevolezza. Non è forse questo il senso dell’antropologia? Produrre consapevolezza. Passo allora in rassegna la memoria che avevo di alcuni miei saggi valutando – ripensando ai – vantaggi e svantaggi prodotti dallo scegliere un tema piuttosto che un altro. Pensandoci, mi lascio andare al ‘gioco linguistico’ di una più consapevole scrittura automatica che consente una maggiore libertà rispetto alle costrizioni imposte da una coscienza pianificatrice. In quale modo adempiere meglio a questo presupposto se non attraverso l’uso del verbo al condizionale che consente al contempo di mettere in prospettiva un atto realizzandolo già, in qualche modo, nel processo stesso dettato dalla condizione? Quale migliore espediente per volgere un intero testo – nonché la persona che lo scrive e forse pure il lettore che lo legge – nella direzione dell’oscillazione, del dondolio liberatore?

Research paper thumbnail of I corpi nel testo e l'indeterminazione della cultura. Un romanzo fiume di Manganelli come campo

Stefano Montes, “I corpi nel testo e l’indeterminazione della cultura. Un romanzo fiume di Mangan... more Stefano Montes, “I corpi nel testo e l’indeterminazione della cultura. Un romanzo fiume di Manganelli come campo”, in Daniele Monticelli e Licia Taverna, a cura di, Testo e metodo. Prospettive teoriche sulla letteratura italiana, Tallinn University Press, Tallinn, 2011, 281-344

Piuttosto che arrestare l’attenzione su un testo e commentarne gli sviluppi interpretativi da un solo punto di vista (interno al solo soggetto indagatore), mi concentro su un breve romanzo fiume di Manganelli al fine di esternare il triplice nodo che s’intreccia nell’analisi: i. lo sguardo del soggetto; ii. il metodo utilizzato; iii. la cultura di riferimento.

Discutere la pertinenza dell’antropologia – come disciplina atta all’analisi del testo – in relazione al singolo che se ne serve e alla regolazione che offre la cultura, rappresenta per me, in questo saggio, un’occasione per ‘differire’ verso temi strettamente connessi:

a. il posizionamento spazio-temporale del soggetto (che desidera insinuarsi con consapevolezza nelle pieghe barocche del testo) e l’inarrestabile comunicazione differita del processo;

b. il tentativo di recupero del divenire (attraverso l’inscrizione del corpo) e la sua messa in scena enunciativa;

c. la difficoltà dell’inizio e il piacere aspettualizzato del non-concludere;

d. le metafore della ‘superficie’ e dello ‘scavo’ intese come costrutti culturali e strumenti di analisi;

e. il dinamismo simmetrico dei concetti di ‘estrazione’ e ‘situazione’.

La questione centrale è: fino a che punto si può, da antropologi, differire verso altro e fino a che punto la pregnanza del testo scritto costituisce un ostacolo – o un sostegno – all’assenza/presenza del soggetto indagatore colto nel differire? All’epoca in cui ho scritto il saggio leggevo e rileggevo – allo stesso tempo e costantemente – Derrida e Lévi-Strauss. E questo ha lasciato tracce e disseminazioni che continuano, stranamente, a sedimentare nella mia scrittura odierna.

Research paper thumbnail of Les logiques de la persuasion entre anthropologie et rhétorique

Dans ce colloque nous entendons étudier les logiques de la persuasion dans une perspective anthro... more Dans ce colloque nous entendons étudier les logiques de la persuasion dans une perspective anthropologique et rhétorique, en échangeant savoirs et points de vue. Bien que la rhétorique et l’anthropologie soient définies historiquement de manières multiples, elles partagent de fait un présupposé commun à partir duquel on peut entamer une discussion fructueuse : atteindre les individus en utilisant des messages efficaces et persuasifs. Quelle est, aujourd’hui, la valeur particulière de ces messages et de quelles manières sont-ils pris en compte en rhétorique et/ou en anthropologie, ainsi que dans les autres sciences sociales ? Plus spécifiquement, de quelles manières l’anthropologie, ainsi que les autres sciences sociales, se servent de procédures rhétoriques afin d’être plus efficaces ? Et de quelle manière la rhétorique vient à être – ou pourrait être – conçue dans une optique interculturelle ? Qu’est-ce qu’on entend, enfin, par rhétorique efficace ? Est-il possible, somme toute, de faire une anthropologie de la rhétorique et/ou une rhétorique de l’anthropologie ? À ce but, nous avons repéré, à titre purement indicatif, quatre sections où les intervenant(e)s pourraient interagir en échangeant perspectives et interrogations.

Research paper thumbnail of The logics of persuasion. Between anthropology and rhetoric

In this conference, we'll study the logics of persuasion according to anthropological and rhetori... more In this conference, we'll study the logics of persuasion according to anthropological and rhetorical perspectives, exchanging insights and viewpoints. Even though anthropology and rhetoric are historically defined in multiple ways, as a matter of fact they share a common presupposition opening a potentially rich dialogue between disciplines: an effort to reach individuals and groups through effective and persuasive messages. What is the particular value of these messages nowadays and how are they taken into account by rhetoric, anthropology and other social sciences? More specifically, in what ways do anthropology and other social sciences make use of rhetorical procedures in order to be more effective? Furthermore, how can rhetoric be conceived in an intercultural world? And what do we mean by effective rhetorical strategy? Finally, is it possible to do an anthropology of rhetoric and/or a rhetoric of anthropology? To this end, we propose four sections from which social scientists and rhetoricians can freely draw to exchange viewpoints and interrogations.

Research paper thumbnail of Call for papers Le logiche della persuasione tra antropologia e retorica

Research paper thumbnail of Call for papers Le logiche della persuasione tra antropologia e retorica

In questo convegno studieremo le logiche della persuasione in chiave antropologica e retorica, sc... more In questo convegno studieremo le logiche della persuasione in chiave antropologica e retorica, scambiando saperi e prospettive. Nonostante siano storicamente definite in modo molteplice, infatti, la retorica e l’antropologia condividono almeno un presupposto comune a partire dal quale potere avviare discussioni: tentare di arrivare all’altro usando messaggi efficaci e persuasivi. Qual è la valenza particolare di questi messaggi oggigiorno e in che modo essi sono presi in conto in retorica e/o in antropologia, nonché nelle altre scienze sociali? In che modo, più specificamente, l’antropologia, così come pure le altre scienze sociali, si avvalgono di procedure retoriche al fine di essere più efficaci? E in che modo la retorica, da parte sua, viene a essere – o potrebbe essere – concepita in ambito interculturale? È possibile, in sostanza, fare un’antropologia della retorica e/o una retorica dell’antropologia, eventualmente rintracciando le tracce dell’una nell’altra? Cosa si intende per strategia retorica efficace? A questo fine, a titolo puramente propositivo, abbiamo individuato quattro sezioni in cui studiosi di retorica e scienze sociali possono interagire, scambiandosi punti di vista e interrogazioni.

Research paper thumbnail of L'anthropologie des reponses de Kourouma

Montes Stefano, “L’anthropologie des réponses de Kourouma. L’altérité, la langue, le dire, la quê... more Montes Stefano, “L’anthropologie des réponses de Kourouma. L’altérité, la langue, le dire, la quête”, in Un donsomana pour Kourouma, Pierre Kadi Sossou et Bernadette Kassi-Krécoum (sous la dir. de), Wissenschaftlicher Verlag, Berlin, 2007, 99-122.

Quel rapport y a-t-il entre la littérature d’Ahmadou Kourouma et l’anthropologie, entre un écrivain et une discipline qui s’occupe de la culture dans son ampleur ? Tout en étant un écrivain qui sait jouer sur les registres multiples de la créativité, Kourouma conçoit la littérature comme un vrai combat discursif, comme une réponse à la mauvaise conscience de l’Occident : une réponse à l’incapacité de l’Occident à saisir une altérité. Selon l’écrivain ivoirien, la littérature n’est pas un questionnement uniquement métaphysique ou intérieur, mais aussi un défi (lancé contre les clichés et contre les malentendus sur l’Afrique) et un dialogue ininterrompu (entre l’Occident et l’Afrique). A partir de ces positions de Kourouma et de l’analyse de l’un de ces textes les plus connus (d’Allah n’est pas obligé), je propose des chemins théoriques qui établissent de liens entre littérature (francophone) et anthropologie culturelle et existentielle. Une voie, possible et riche, consiste à adopter une critique post-colonialiste afin de mettre à nu (et de combattre) la construction des codes coloniaux, leur caractère tyrannique et mono-logique, leur nature de contrainte non révélée : une critique post-colonialiste peut sans doute privilégier l’explicitation de l’énonciation individuelle et collective (Jean-Marc Moura, Littératures francophones et théorie postcoloniale), mais on peut aussi bien rechercher, plus sémiotiquement, les formes de mise en intrigue différentes de ces énonciations et de ces énoncés corrélés (Paul Ricœur, Temps et récit). Une troisième option, plus anthropologique, consiste à rendre compte des formes que prennent les dialogues interculturels dans les divers auteurs de la littérature francophone : il ne s’agit donc pas de réduire un roman francophone à une sorte d’essai d’anthropologie camouflé en littérature de surface, mais de révéler la prégnance que prennent les définitions (narratives et descriptives) des frontières identitaires, la conception de l’Autre, les regroupements des multiples ‘nous’ et ‘eux’ qu’on retrouve dans les fictions utilisées. Ces trois voies d’analyse (la mise en relief de l’ancrage énonciatif, l’étude de la mise en intrigue et l’explicitation des formes de dialogue interculturel) ne sont pas forcément séparées ou exclusives l’une de l’autre : le plus souvent elles se superposent et se renvoient réciproquement aussi bien d’un point théorique que d’un point de vue de l’application spécifique. De ma part, j’ai analysé un roman (et une préface de Kourouma) comme s’il s’agissait de problèmes anthropologiques condensés, des problèmes qui sollicitent un questionnement conjoint du métalangage utilisé et de l’objet culturel visé : l’inégalité de la parole des actants, l’asymétrie du dialogue interculturel, la définition sans cesse renouvelée de la notion de littérature imposée par la francophonie, la modélisation sémiotique de la production et de la réception, la dissonance entre les langues et les cultures francophones.

Research paper thumbnail of Aspettare e aspettualizzare. Uno sguardo semioantropologico su esistenza e fieldwork

Perché studiare l’attesa? Perché l’attesa la fa da padrona nella maggior parte del tempo, nei mom... more Perché studiare l’attesa? Perché l’attesa la fa da padrona nella maggior parte del tempo, nei momenti più ordinari e meno ordinari dell’esistenza, attraverso le forme aspettualizzate del vissuto (il compiuto e l’incompiuto, il perfettivo e l’imperfettivo, etc.): di fatto, aspettiamo al panificio e dal dottore, al supermercato e dal meccanico, al pronto soccorso e in parrocchia, davanti un ascensore e dietro un semaforo, al cospetto di un tizio e alle spalle di un altro, al botteghino di un teatro e aspettano pure, molte volte, i migranti dopo lo sbarco, infreddoliti, scampati alla traversata in mare aperto. Aspettiamo noi, aspettano gli altri. La domanda che rivolgo a me stesso e al lettore, allora, è la seguente: che vuol dire, oggigiorno, in un’epoca pensata da molti studiosi come estremamente mobile, indugiare nell’attesa e nell’ascolto? Prendendo piede da questa osservazione, a partire da un vissuto in parte autoetnografico, prendo in conto congiuntamente la nozione di attesa e di aspettualizzazione al fine di mostrarne una valenza talvolta inaspettatamente positiva, comunque fondativa dal punto di vista antropologico. Parlo dunque concretamente dell’attesa e dell’aspettualizzazione della temporalità mettendole in scena nell’intreccio prodotto con l’intersecarsi di alcuni miei spaccati di vita (al bar, dopo un convegno; nella sala d’attesa di un medico) e ricorrendo al contempo ad alcuni usi dell’attesa praticati da parte di due antropologi: Malinowski e Clifford. Se per Malinowski la ricerca sul campo si svolge all’insegna del perfettivo, del concluso e puntuale che annulla il valore positivo dell’attesa, per Clifford al contrario la ricerca è dell’ordine dell’imperfettivo e del non concluso, durativo e iterativo; se per Malinowski la ricerca è aspettualizzata dall’ordine della programmazione che annulla il valore del caso e dall’ostentazione dell’azione che offuscherebbe il valore dell’attesa, per Clifford la ricerca è aspettualizzata dal caso e dai processi polifonici in atto. Su questa base comparativa, il mio saggio è volutamente costruito in modo da tenere il lettore – man mano che vengono esposti alcuni principi di base dell’attesa e dell’aspettualizzazione – sul filo della narrazione e dell’attendere. Alcune strategie retoriche da me utilizzate allo scopo sono la digressione e l’intercalare dell’enunciazione, l’indugiare e l’esitazione, il ‘pensiero che si pensa’ (Lotman) e il ‘pensiero al di fuori di sé’ (Foucault): in questo modo, l’attesa è introdotta praticamente nel meccanismo stesso di produzione e ricezione del saggio che il lettore legge. Per quanto riguarda l’attesa stessa intesa dal punto di vista esistenziale, propongo di assaporarne il valore di ‘azione in sé che tende a risolversi in un suo compimento che indugia invece nel suo stesso darsi’. A questo fine, vengono da me discussi alcuni studiosi dell’attesa che ne prospettano definizioni ‘politiche’ e ‘retoriche’: Greimas (l’attesa come fondamento della sintassi emotiva), Barthes (l’attesa come scenografia del luogo in cui si attende l’amato), Bourdieu (l’attesa come forma di imposizione del proprio potere sull’altro), Van Gennep (l’attesa come componente fondamentale dell’agire nella sua forma ritualizzata), Crapanzano (l’attesa come forma di anticipazione cristallizzata dalla speranza). Infine, proponendo il neologismo concettuale di ‘aspettatività’, indico alcune vie da perseguire al fine di meglio cogliere la dimensione temporale e agentiva implicita nell’agire e non-agire umano. L’essere umano, per gradi diversi, è infatti dotato di aspettatività: cioè di una qualche competenza ad aspettare che ingloba il sapere sull’azione. Di conseguenza, nella mia ipotesi, l’attesa va pensata in potenza e in atto: come un preliminare pratico del grado di agentività individuale e sociale. Questo affondo teorico mi serve, inoltre, a mettere a fronte una nozione di vita intesa linearmente e una nozione di vita più magmatica – quella che io prediligo – in cui si mostra tutto il valore della torsione zigzagante del tempo e del caso. Ma non è tutto. Oltre che per riflettere sul valore dell’attesa in antropologia e nell’esistenza, ho scritto questo saggio con un altro intento meno evidente: fare riferimento a quelle citazioni d’altri autori che, in passato, nei miei scritti, avevo già utilizzato per meglio spiegare il mio pensiero. Questo mio espediente mi apparenta al modo di concepire la scrittura da parte dei membri dell’Oulipo i quali si imponevano di redigere i loro testi a partire da una o più costrizioni testuali e letterarie. Nel mio caso, la costrizione a cui ho fatto capo è la citazione d’altri autori già da me stesso utilizzati in altri miei scritti. A che può valere in antropologia, ci si può chiedere, questo espediente apparentemente letterario? Direi che le costrizioni testuali sono sovente anche costrizioni d’ordine cognitivo. Redigere un testo a partire da ‘invarianti legate’ obbliga, infatti, a pensare/pensarsi per decentramenti. Dal mio punto di vista, questo principio è essenziale: la forza dell’antropologia risiede proprio nella capacità di continuo decentramento teorico ed esistenziale. E, concettualmente e operativamente, recuperare il valore dell’attesa negli studi antropologici significa rivedere innovativamente, nel bene e nel male, il modo in cui la dimensione cognitiva si intreccia con quella agentiva ed emotiva nel mondo odierno.

Research paper thumbnail of La Sicile de Maupassant, la sémio-anthropologie des incipit et le nomadisme de la pensée

A reflection on a travel to Sicily by Maupassant becomes an occasion to discuss the category cont... more A reflection on a travel to Sicily by Maupassant becomes an occasion to discuss the category continuous/discontinuous and the symmetric notion of beginning. The starting question is: how can we define a beginning? To answer this question, I adopt a double strategy: on the one side, I resort to some specialists in this field (Lotman, Said, Aragon and Gracq) who allow me – by deferring to some other concepts, authors and theories – to focus on the notion of existence itself and on the nomadism of thinking developed by Deleuze; on the other hand, I concentrate more analytically on a beginning by Maupassant and on a beginning by Malinowski in order to underline the importance of interdisciplinary comparison for an epistemology of literary and ethnographic genres. A basic goal of my essay lies in the displacement of the notion of beginning as a written text towards its larger existential dimension. A complementary goal can also be found in the emphasis given to the semantic deferral of concepts such as travel, literature, culture, translation, existence. From this point of view, references to various authors (Augé, Balandier, Bateson, Clifford, Lévi-Strauss, Van Gennep) prove useful to show the significance of a reflection on the beginning.
Keywords: beginning, travel, nomadism, Maupassant, Malinowski, Deleuze

Une réflexion sur le voyage de Maupassant en Sicile devient l’occasion pour discuter en parallèle la catégorie continu/discontinu et la notion symétrique d’incipit. La question de départ est : de quelle manière peut-on concevoir l’incipit ? Pour répondre à cette question, j’adopte une double démarche sémio-anthropologique. D’une part, j’ai recours à des spécialistes du domaine de l’incipit (Lotman, Said, Aragon et Gracq) qui me permettent – par le renvoi à d’autres concepts, auteurs et théories – de focaliser sur l’existence elle-même et le nomadisme de la pensée dont parle Deleuze. D’autre part, je me concentre, de manière plus analytique, sur un incipit de Maupassant et sur un incipit de Malinowski afin de souligner l’importance de la comparaison interdisciplinaire pour une épistémologie des genres littéraires et ethnographiques. Une finalité de l’essai réside dans le déplacement de la notion d’incipit en tant que texte écrit vers sa dimension plus largement existentielle. Une finalité complémentaire réside dans la mise en relief d’une démarche basée sur le renvoi sémantique de concepts tels que voyage, littérature, culture, traduction, existence. Dans cette perspective, se justifient les références à des spécialistes tels qu’Augé, Balandier, Bateson, Clifford, Lévi-Strauss, Van Gennep.
Mots clés : incipit, voyage, nomadisme, Maupassant, Malinowski, Deleuze

Research paper thumbnail of Existence as Fieldwork organized by Stefano Montes and Albert Piette

Research paper thumbnail of In contrattempo, per stereotipi e incidenti. Antropologia di un frammento di esistenza

È un saggio forse un po’ sperimentale, un po’ troppo deleuziano: con riferimenti dissimulati ad a... more È un saggio forse un po’ sperimentale, un po’ troppo deleuziano: con riferimenti dissimulati ad antropologi del presente e del passato, nonostante la forma narrativa sia pervadente. Mostra troppe linee di fuga, è vero. Ma se dovessi riscriverlo lo scriverei nello stesso modo, nel corso degli anni, usandolo proprio come ancora di riflessione e di interrogazione epistemologica. Questo saggio non è infatti il risultato di una trascrizione di qualche idea del momento trasposta immediatamente in testo. Tutto il contrario: sono tornato, nel tempo, a lavorare su questo breve saggio (iniziato a scrivere sotto forma di appunto di campo circa dieci anni fa, a Tallinn, in seguito a un fatto effettivamente accadutomi) allo scopo di affinare la riflessione antropologica e meglio cogliere i nessi posti tra pianificazione degli eventi e loro sgretolamento dovuto agli incidenti ordinari o straordinari. A una prima lettura, questo saggio potrebbe parere incentrato essenzialmente su due questioni: i. l’ordine narrativo che assume un appunto etnografico dilatato nel tempo della scrittura; ii. gli incastri possibili tra stereotipi temporali e forme del contrattempo. E in parte è così. In realtà, però, il nesso che mi ha letteralmente ossessionato – in tutti quei momenti in cui sono tornato a ricomporre l’appunto etnografico, negli anni, in luoghi diversi – riguarda soprattutto l’articolazione in divenire tra i modi della riflessione di un antropologo su un incidente (a cui è scampato per caso) e i modi di ‘prendere piega in esteso’ di un frammento di esistenza (che non vuol saperne di cristallizzarsi in testo scritto). Di che si tratta in sostanza? Diversi anni fa, a Tallinn, mentre attraverso distrattamente una strada, stavo per essere investito. Sono scampato all’incidente e mi sono chiesto, in prima persona, cosa significhi essere parte di un evento senza averne avuto l’intenzione e i tratti caratteristici minimi di agentività regolarmente appartenenti a un individuo. Così, quasi senza volerlo inizialmente, questo incidente è stato l’occasione, nel corso degli anni, per rivolgere l’attenzione alle forme di discontinuità – la coincidenza, il contrattempo, il fortuito, etc. – che si producono, volenti o nolenti, nel quotidiano. Le difficoltà con cui mi sono scontrato sono state diverse e lascio al lettore il piacere di scoprirle. Sottolineo soltanto il fatto che un incidente non è facile da definire antropologicamente perché, interrompendo il flusso degli eventi e la loro pianificazione coerente, introduce elementi di disordine e di caos a cui cerchiamo di sottrarci. Di fatto, un incidente tende a sganciarsi – a sganciarci – dal quotidiano e dai suoi automatismi correnti. Nostro malgrado. Detto questo, per le ragioni già esposte, un’antropologia dell’incidente sarebbe opportuna proprio per meglio definire la dimensione temporale della nostra esistenza e i rapporti posti tra i flussi di continuità e di discontinuità, tra pianificazioni di vita e elementi di casualità.

Research paper thumbnail of Il sistema dei media. Le forme della persuasione organizzato da M. C. Addis e A. Prato.pdf

Research paper thumbnail of Sommaire

Research paper thumbnail of Montes Introduction La transversalité des seuils comme enjeu anti-disciplinaire.pdf

Il s’agit de l’introduction que j’ai écrite pour un volume, d’auteurs basés en Estonie, qui tourn... more Il s’agit de l’introduction que j’ai écrite pour un volume, d’auteurs basés en Estonie, qui tourne autour de la question débattue des incipit et explicit. L’idée plus générale consiste à focaliser l’attention sur ces ‘lieux stratégiques’ que sont les incipit et explicit en les considérant, de plus, comme des formes mobiles de continuité et discontinuité pouvant se situer à l’intérieur et à l’extérieur d’un texte (ou bien dans des textes précédents du même auteur ou d’autres auteurs) et entretenir ainsi des relations sémantiques complexes – non linéaires, pas seulement fixées au début et à la fin des textes – avec d’autres noyaux sémantiques moins manifestes, proches et lointains. Si on essaye de mettre en relief leurs prérogatives plus sémiotiques et anthropologiques, philologiques et rédactionnelles, et si on ne les ancre pas d’une manière fixe et stable à une partie initiale ou finale du texte, la définition de ce qu’on doit entendre par incipit et explicit devient plus ardue et floue. C’est justement le défi que les différents auteurs participant à ce volume ont essayé de relever : déplacer une définition restreinte d’incipit et d’explicit – les reliant au début et à la fin d’un texte écrit – vers une définition qui se donne surtout grâce aux réseaux de concepts autour desquels le ‘commencer’ et le ‘finir’ se constituent par renvoi et superposition, par dissémination et contraction.

Montes S., « Introduction : La transversalité des seuils comme enjeu anti-disciplinaire », in L’incipit et l’explicit. Perspectives interdisciplinaires, Synergies Pays Riverains de la Baltique, numéro coordonné par S. Montes, D. Monticelli, n. 11, année 2017, 7-16

Research paper thumbnail of TRADUIRE L'AUTRE PRATIQUES INTERLINGUISTIQUES ET ÉCRITURES ETHNOGRAPHIQUES Colloque international organisé par Antonio Lavieri et Danielle Londei

Stefano Montes Traduire les Kaloulis et les Samoans. Pratiques interlinguistiques ou intersémio... more Stefano Montes

Traduire les Kaloulis et les Samoans. Pratiques interlinguistiques ou intersémiotiques ?

Dans ma communication, il s’agira de réfléchir à des exemples tirés de textes ethnographiques afin de montrer la diversité des pratiques interlinguistiques. Plutôt que d’en parler de manière abstraite, je vais me référer surtout à deux ethnographies exemplaires : celle de Feld (chez les Kaloulis) et celle de Duranti (chez les Samoans). Le cas de Feld est exemplaire puisqu’il fait son terrain en Nouvelle-Guinée, publie son ethnographie en anglais et la retraduit avec ses informateurs indigènes, afin de vérifier la valence effective de son écriture dans la langue native ; particulièrement intéressante, entre autres, c’est la manière de concevoir le « traduire » chez les Kaloulis. Le cas de Duranti est également intéressant parce qu’il se concentre sur la manière des Samoans de traduire la promesse qui paraît, naïvement, avoir la portée d’un sémantisme universel et qui est au contraire un concept relatif et culturellement donné. La littérature ethnographique est très riche en exemples montrant la diversité des cultures et des manières de pratiquer la traduction (Darnell 2001). Si je prends en compte deux anthropologues spécifiques, c’est pour mieux montrer en outre ce va-et-vient qui s’instaure entre les pratiques interlinguistiques du traduire et les théories qui les accompagnent (chez Duranti l’ethnopragmatique et la question des intentions ; chez Feld l’anthropologie dialogique et la question du son). Cette question fera partie intégrante de ma communication ainsi que la problématisation des oppositions « interlinguistique » vs « intersémiotique », « pratique » vs « théorique ». Ma communication pourrait bien s’inscrire dans l’axe 2 ou l’axe 3.

Bibliographie essentielle
Darnell R., “Translation”, in Key Terms in Language and Culture, sous la direction de A. Duranti, Blackwell, Malden, 2001, 248-251
Duranti A., Etnografia del parlare quotidiano, NIS, Roma, 1992
Duranti A., The Anthropology of Intentions. Language in a World of Others, Cambridge University Press, Cambridge, 2015
Feld S., Sound and Sentiment: Birds, Weeping, Poetics and Song in Kaluli Expression, University of Pennsylvania Press, Philadelphia, 1982
Feld S., “Dialogic Editing: Interpreting How Kaluli Read Sound and Sentiment”, Cultural Anthropology, 2:2, 1987, 190-210
Feld S., Brenneis D., “Doing Anthropology in Sound”, American Ethnologist, 31, 2005, 461-474

Research paper thumbnail of Wittgenstein come etnografo del pensare.pdf

Wittgenstein è stato giustamente considerato un grande filosofo, annoverato tra quegli studiosi d... more Wittgenstein è stato giustamente considerato un grande filosofo, annoverato tra quegli studiosi del Novecento che hanno prodotto un pensiero innovativo nel campo del linguaggio. Nel mio saggio, proprio per meglio mettere in evidenza la forza agentiva del suo pensiero ‘in atto e situato’, prendo le distanze da un’impostazione disciplinare univoca, concentrandomi soprattutto sulle Ricerche Filosofiche in quanto testo risultante da un modo di ‘pensare autoriale’ non lineare, non generalizzato, non essenzialistico: un pensare, quello di Wittgenstein, messo dunque concretamente in forma attraverso strategie operative, sistemi figurativi e insiemi combinati di metafore concettuali, da mettere opportunamente in risalto analiticamente per una comprensione più antropologica, a tutto tondo, del suo lavoro. Dopo una breve introduzione, in cui metto l’accento sulle difficoltà insite nel processo di ricezione di Wittgenstein (dovuto proprio alla sua opera ‘in divenire’, quasi mai concepita come un punto fermo della sua attività di pensiero), mi concentro sul suo modo di pensare-scrivere in quanto modalità non lineare, costituiva del suo essere autore, realizzata attraverso il frammento e l’annotazione, molto vicina alla prassi etnografica. Nel produrre questo spostamento di attenzione (da un pensiero generalizzato al pensare per flussi e frammenti come strategia di scrittura del pensare), mi ispiro alla nozione di funzione-autore formulata da Foucault. Per meglio prendere in conto Wittgenstein nelle sue molteplici funzioni, insisto sulle seguenti questioni: 1. sull’autore Wittgenstein come testo e effetto di ricezione della sua produzione (non solo filosofica, ma anche artistica e antropologica); 2. sullo spostamento prodotto da Wittgenstein, in termini di aspettualizzazione, dal pensiero come ‘forma rappresentativa e risultativa’ al pensare come ‘attività in situazione e processuale’.

Research paper thumbnail of Flash mobs and Guerrilla gigs. Is there a narrative tradition?

In my presentation, I'll take into account two phenomena: flash mobs and guerrilla gigs. I'll ana... more In my presentation, I'll take into account two phenomena: flash mobs and guerrilla gigs. I'll analyze them in a comparative perspective stressing differences and similarities in their conceptions and practices. Flash mobs can be considered as a new phenomenon including both dance and street music. Organized through internet communication, performances pop up in public spaces and are unexpected, short and temporary with a potential political or demonstrative aim and an underlying aesthetic aspect. What is crucial in flash mobs is that, even though they are based on dance and music, they have important social consequences such as the rearrangement of urban spaces and the interference with the stream of people passing by. Similar to flash mobs, guerrilla gigs are concerts taking place in unforeseen sites by bands performing for a short time, without the usual announcements characterizing regular concerts. Places to perform guerrilla gigs are also subway stations, building roofs or parking lots. In short, guerrilla gigs are based on an absence of typical publicity and on the quickness of preparation. In both flash mobs and guerrilla gigs, 'music' and 'streets' are basic elements but other factors, social and cultural, contribute to make these phenomena important nowadays. To discuss meanings and practices concerning flash mobs and guerrilla gigs, I will refer to linguistic anthropology, supporting my analysis on interviews and ethnographic experience. An objective of my presentation is to show how, even in a subverted manner, some kind of narrative tradition is anyway produced in the street through flash mobs and guerrilla gigs.

Research paper thumbnail of S P A C T I O N L A B 2 0 1 7 Enrico Comba Religioni native

Research paper thumbnail of S P A C T I O N L A B 2 0 1 7 Flavia Schiavo Born to run

Research paper thumbnail of Paura reverenza terrore

Primo appuntamento del 2016 di un ciclo d’incontri seminariali di eccellenza. Dopo Jacques Lévy, ... more Primo appuntamento del 2016 di un ciclo d’incontri seminariali di eccellenza. Dopo Jacques Lévy, Matteo Nucci, Paolo Fabbri e Albert Piette, è la volta dello storico di fama internazionale Carlo Ginzburg, che dialogherà con Matteo Meschiari, Stefano Montes e il pubblico di docenti e studenti intorno al suo ultimo libro Paura reverenza terrore (Adelphi nel 2015).

Research paper thumbnail of Call for Papers Cinema and the City: Interdisciplinary Perspectives International Conference

The conference aims to explore the relationships established between cinema and urban areas. We w... more The conference aims to explore the relationships established between cinema and urban areas. We want to stress the connections woven between cities and cinema, films, fiction and documentaries-important unconventional sources for the understanding of social and cultural contexts. We intend to focus on the modalities used in films to tell stories-through images and speech-concerning cities, territories, and places, residents' lives in relation to spaces, to buildings, to landscapes, as well as to its urban culture as a whole. The perspective we have chosen for this conference is interdisciplinary and cinema will be considered as a medium to be understood and interpreted in several, possibly comparative, ways. Actually, cinema, as a specific cultural artefact, expresses both individual and collective viewpoints mirroring cultures and hybridizations that can be explored by various disciplines and comparative perspectives. This complexity, possible reflection of the contemporary world, is perhaps more tangible in cinema than in other expressive forms, making it accessible to many people and at the same time a medium in which several genres and contents meet and can be analysed and compared. We are particularly interested in comparative perspectives and interdisciplinary viewpoints. As a result, the conference aims to engage researchers from different countries and various fields of study in order to explore the multiple ways through which cinema is able to contain and manifest crucial aspects of cities and urban spaces. Anthropologists, architects, urban planners, geographers, sociologists, film critics, semioticians, scholars of aesthetics, of images, of cultural studies, as well as film directors, documentary film makers and designers are invited to share their experiences and their ideas. We intend to collect the articles and publish them in a collective volume.

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In this interdisciplinary conference we aim to study different peoples and cultures of the world ... more In this interdisciplinary conference we aim to study different peoples and cultures of the world by taking into account the various ways peoples and cultures define themselves and others, thus shaping their identities. The organising committee (including anthropologists, geographers, semioticians and urban planners) is open to all disciplines and invites contributions from these and other fields of study. We aim to explore the complex relationships being established between cultural dynamics and identities in their spatial and/or chronological dimensions. In our modern world, how can we still talk of homogeneous, spatially defined cultures? In what terms, nowadays, can we conceive a people and a culture stressing their various aspects, as they are stressed in the culture itself? Or, on the contrary, should we resort to other concepts and theories to define peoples by differences and by comparison? In its turn, how does globalization contribute to the delineating, crystallizing or altering of identities? How can we look more effectively at cultural differences through the lens of social sciences? And, most of all, what is the role played by natives and ethnic minorities in our modern world? We are interested in discussing these questions and many others freely posed by speakers in this context.

Research paper thumbnail of Giornata di studi Tra vita e storia.pdf

Secondo quali modi specifici cinema e teatro si fanno carico di una funzione politica? Attraverso... more Secondo quali modi specifici cinema e teatro si fanno carico di una funzione politica? Attraverso quali strategie particolari riescono, cinema e teatro, ad avere un efficace ruolo politico? Per rispondere a queste e altre domande si terrà all’Università di Palermo, il 25 ottobre, una giornata di studi con diversi interventi sul tema. In particolare, io affronterò la questione del potere al cinema mettendo in evidenza, in chiave più antropologica, le relazioni poste tra cultura e linguaggi.

Research paper thumbnail of Call for papers Popoli e culture del mondo

In questo convegno intendiamo riflettere sui popoli e sulle culture del mondo, su definizioni, as... more In questo convegno intendiamo riflettere sui popoli e sulle culture del mondo, su definizioni, aspetti critici e formazioni identitarie che li riguardano in pratica e/o in teoria. Ci interessano, più specificamente, le diverse culture del mondo nella loro varietà – anche in chiave comparativa o differenziale – ma ci interessa pure discutere le politiche di controllo esercitate dall’alto o dall’esterno e le forme di resistenza messe in atto per sfuggire a prospettive egemoniche. Sollecitiamo interventi che prendano in conto ‘singole culture’ (gruppi etnici, comunità identitarie, minoranze indigene, etc.) e ne discutano specificità e differenze tenendo conto, se possibile, delle teorizzazioni che accompagnano i processi collettivi di costruzione/decostruzione identitaria.

Research paper thumbnail of Giornata di Studi

On October 3, 2918, the day before the Sabir Festival in Catania, Cetty Rizzo, Alessandro Lutri a... more On October 3, 2918, the day before the Sabir Festival in Catania, Cetty Rizzo, Alessandro Lutri and other colleagues from Catania (Italy) organize a very interesting conference on migration. I am honoured to participate with a talk on a wonderful Iranian writer, living nowadays in the Netherlands, whose name is Kader Abdolah and who tells his specific experience of migration in his books. My more general topic turns around the concept and practice of frontier in languages and cultures.

Research paper thumbnail of Presentazione Immaginare forme di vita 8 maggio 2018

Research paper thumbnail of Anthropologies of the United States of America. Views from near and from afar

This conference is an interdisciplinary research project intended for scholars from various field... more This conference is an interdisciplinary research project intended for scholars from various fields. The aim is to discuss a historically, anthropologically and politically central country: the United States. Is it possible to see the United States as a country to be examined from multiple points of view – both from near and from afar – with particular interest in the current " anthropological " culture, while also paying attention to history and making predictions about the future? Specialists and enthusiasts from various backgrounds are invited to respond from specific perspectives, in order to compare and contrast different interpretations of the " American galaxy ". To this end, both studies of a theoretical nature and case studies are encouraged. The view from near and from afar, obviously a reference to Lévi-Strauss, alludes to a modus operandi anthropologically based on comparing and contrasting different perspectives. Anthropologists are directly concerned here, because it was in the United States that the much-discussed anthropological Postmodernism recently emerged, and because it was also in the United States that the Sapir-Whorf hypothesis, based on studies of Native Americans, was conceived. The reference to " anthropologies " should therefore be viewed literally (anthropologists specializing in the United States in largely ethnographic terms) and with a culturally wider meaning (linguists, comparatists, geographers, semiologists, historians, etc., who observe American culture from their respective epistemological perspectives). The reference to the interdisciplinary nature of the conference, aside from being a theoretical inclination shared by the organizers, is a happy necessity for those who study a multicultural country like the United States, with its difficult past of coexistence between colonizers and natives, as well as between the different cultures of which it is composed today.

Research paper thumbnail of Program Peoples and Cultures con logo.doc

In this interdisciplinary conference we aim to study different peoples and cultures of the world ... more In this interdisciplinary conference we aim to study different peoples and cultures of the world by taking into account the various ways peoples and cultures define themselves and others, thus shaping their identities. The organising committee (including anthropologists, geographers, semioticians and urban planners) is open to all disciplines and invites contributions from these and other fields of study. We aim to explore the complex relationships being established between cultural dynamics and identities in their spatial and/or chronological dimensions. In our modern world, how can we still talk of homogeneous, spatially defined cultures? In what terms, nowadays, can we conceive a people and a culture stressing their various aspects, as they are stressed in the culture itself? Or, on the contrary, should we resort to other concepts and theories to define peoples by differences and by comparison? In its turn, how does globalization contribute to the delineating, crystallizing or altering of identities? How can we look more effectively at cultural differences through the lens of social sciences? And, most of all, what is the role played by natives and ethnic minorities in our modern world? We are interested in discussing these questions and many others freely posed by speakers in this context.

Research paper thumbnail of Call for papers

In this interdisciplinary conference we aim to study different peoples and cultures of the world ... more In this interdisciplinary conference we aim to study different peoples and cultures of the world by taking into account the various ways peoples and cultures define themselves and others, thus shaping their identities. We aim to explore the complex relationships being established between cultural dynamics and identities in their spatial and/or chronological dimensions. More particularly, we would like to focus on the variety of cultures in the world, on their diversity comparatively studied, but we are also specially inclined to discuss top-down or externally imposed politics and the types of resistance used by natives to escape these hegemonic strategies.

Research paper thumbnail of Seminario Wittgenstein Giovedì 4 ottobre.doc

Wittgenstein has always been an inspiration for many scholars and disciplines. We are going to di... more Wittgenstein has always been an inspiration for many scholars and disciplines. We are going to discuss his role more specifically in anthropology and semiotics in Catania, on October 4th, 2018. The main reference to be discussed in the seminar is the collective volume edited by Alessandro Lutri whose title is Imagining forms of life. Readings around and beyond Wittgenstein’s method (Immaginare forme di vita. Letture intorno e oltre il metodo di Ludwig Wittgenstein, Villaggio Maori Edizioni, Catania, 2017). Emanuele Fadda, Alessandro Lutri, Marco Mazzone, Stefano Montes will participate.

Research paper thumbnail of Health and Wellbeing: Innovations in Practice

David Napier organizes in Ascona, Switzerland, August 13-15, 2018, the 4th European Forum on Cult... more David Napier organizes in Ascona, Switzerland, August 13-15, 2018, the 4th European Forum on Culture, Rights, and Health. I am honored to be part of the group of anthropologists that he succeeded to put together to discuss important matters concerning medical and existential anthropology

Research paper thumbnail of Ricerca dell'altrove. Film e migrazione.pdf

Michael Taussig sarà a Palermo, il 21 giugno, nell’ambito di una giornata di studi organizzata da... more Michael Taussig sarà a Palermo, il 21 giugno, nell’ambito di una giornata di studi organizzata da Corinne Fortier (EHESS) e Caterina Pasqualino (EHESS) al Museo delle marionette su Film e Migrazione. Si affronterà un tema complesso come la migrazione, si rifletterà sulla telecamera come strumento di indagine antropologico, con tanti oratori interessanti e la presenza di Taussig incredibile antropologo che gode di fama mondiale e scrive in modo felicemente trasgressivo rompendo convenzioni e regole stereotipate.

Research paper thumbnail of Ciclo di Seminari "Orizzonti dell'immaginario"

Research paper thumbnail of Presentazione Immaginare forme di vita 8 maggio

Research paper thumbnail of The logics of persuasion. Between anthropology and rhetoric

Research paper thumbnail of ProgrammaUsa2017.doc