DantParXVI (original) (raw)

'Dante vivo', 1997-2022 � Julia Bolton Holloway, Carlo Poli, Societ� Dantesca Italiana, Federico Bardazzi, Ensemble San Felice

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Marte

DANTE ALIGHIERI

COMMEDIA. PARADISO XVI

poca nostra nobilt� di sangue,
se glor�ar di te la gente fai
qua gi� dove l'affetto nostro langue,

4 mirabil cosa non mi sar� mai:
ch� l� dove appetito non si torce,
dico nel cielo, io me ne gloriai.

7 Ben se' tu manto che tosto raccorce:
s� che, se non s'appon di d� in die,
lo tempo va dintorno con le force.

10 Dal `voi' che prima a Roma s'offerie,
in che la sua famiglia men persevra,
ricominciaron le parole mie;

13 onde Beatrice, ch'era un poco scevra,
ridendo, parve quella che tossio
al primo fallo scritto di Ginevra.

16 Io cominciai: �Voi siete il padre mio;
voi mi date a parlar tutta baldezza;
voi mi levate s�, ch'i' son pi� ch'io.

19 Per tanti rivi s'empie d'allegrezza
la mente mia, che di s� fa letizia
perch� pu� sostener che non si spezza.

22 Ditemi dunque, cara mia primizia,
quai fuor li vostri antichi e quai fuor li anni
che si segnaro in vostra p�erizia;

25 ditemi de l'ovil di San Giovanni
quanto era allora, e chi eran le genti
tra esso degne di pi� alti scanni�.

28 Come s'avviva a lo spirar d'i venti
carbone in fiamma, cos� vid' io quella
luce risplendere a' miei blandimenti;

31 e come a li occhi miei si f� pi� bella,
cos� con voce pi� dolce e soave,
ma non con questa moderna favella,

34 dissemi: �Da quel d� che fu detto `Ave'
al parto in che mia madre, ch'� or santa,
s'allev�� di me ond' era grave,

37 al suo Leon cinquecento cinquanta
e trenta fiate venne questo foco
a rinfiammarsi sotto la sua pianta.

40 Li antichi miei e io nacqui nel loco
dove si truova pria l'ultimo sesto
da quei che corre il vostro ann�al gioco.

43 Basti d'i miei maggiori udirne questo:
chi ei si fosser e onde venner quivi,
pi� � tacer che ragionare onesto.

46 Tutti color ch'a quel tempo eran ivi
da poter arme tra Marte e 'l Batista,
eran il quinto di quei ch'or son vivi.

49 Ma la cittadinanza, ch'� or mista
di Campi, di Certaldo e di Fegghine,
pura vediesi ne l'ultimo artista.

52 Oh quanto fora meglio esser vicine
quelle genti ch'io dico, e al Galluzzo
e a Trespiano aver vostro confine,

55 che averle dentro e sostener lo puzzo
del villan d'Aguglion, di quel da Signa,
che gi� per barattare ha l'occhio aguzzo!

58 Se la gente ch'al mondo pi� traligna
non fosse stata a Cesare noverca,
ma come madre a suo figlio benigna,

61 tal fatto � fiorentino e cambia e merca,
che si sarebbe v�lto a Simifonti,
l� dove andava l'avolo a la cerca;

64 sariesi Montemurlo ancor de' Conti;
sarieno i Cerchi nel piovier d'Acone,
e forse in Valdigrieve i Buondelmonti.

67 Sempre la confusion de le persone
principio fu del mal de la cittade,
come del vostro il cibo che s'appone;

70 e cieco toro pi� avaccio cade
che cieco agnello; e molte volte taglia
pi� e meglio una che le cinque spade.

73 Se tu riguardi Luni e Orbisaglia
come sono ite, e come se ne vanno
di retro ad esse Chiusi e Sinigaglia,

76 udir come le schiatte si disfanno
non ti parr� nova cosa n� forte,
poscia che le cittadi termine hanno.

79 Le vostre cose tutte hanno lor morte,
s� come voi; ma celasi in alcuna
che dura molto, e le vite son corte.

82 E come 'l volger del ciel de la luna
cuopre e discuopre i liti sanza posa,
cos� fa di Fiorenza la Fortuna:

85 per che non dee parer mirabil cosa
ci� ch'io dir� de li alti Fiorentini
onde � la fama nel tempo nascosa.

88 Io vidi li Ughi e vidi i Catellini,
Filippi, Greci, Ormanni e Alberichi,
gi� nel calare, illustri cittadini;

91 e vidi cos� grandi come antichi,
con quel de la Sannella, quel de l'Arca,
e Soldanieri e Ardinghi e Bostichi.

94 Sovra la porta ch'al presente � carca
di nova fellonia di tanto peso
che tosto fia iattura de la barca,

97 erano i Ravignani, ond' � disceso
il conte Guido e qualunque del nome
de l'alto Bellincione ha poscia preso.

100 Quel de la Pressa sapeva gi� come
regger si vuole, e avea Galigaio
dorata in casa sua gi� l'elsa e 'l pome.

103 Grand' era gi� la colonna del Vaio,
Sacchetti, Giuochi, Fifanti e Barucci
e Galli e quei ch'arrossan per lo staio.

106 Lo ceppo di che nacquero i Calfucci
era gi� grande, e gi� eran tratti
a le curule Sizii e Arrigucci.

109 Oh quali io vidi quei che son disfatti
per lor superbia! e le palle de l'oro
fiorian Fiorenza in tutt' i suoi gran fatti.

112 Cos� facieno i padri di coloro
che, sempre che la vostra chiesa vaca,
si fanno grassi stando a consistoro.

115 L'oltracotata schiatta che s'indraca
dietro a chi fugge, e a chi mostra 'l dente
o ver la borsa, com' agnel si placa,

118 gi� ven�a s�, ma di picciola gente;
s� che non piacque ad Ubertin Donato
che po� il suocero il f� lor parente.

121 Gi� era 'l Caponsacco nel mercato
disceso gi� da Fiesole, e gi� era
buon cittadino Giuda e Infangato.

124 Io dir� cosa incredibile e vera:
nel picciol cerchio s'entrava per porta
che si nomava da quei de la Pera.

127 Ciascun che de la bella insegna porta
del gran barone il cui nome e 'l cui pregio
la festa di Tommaso riconforta,

130 da esso ebbe milizia e privilegio;
avvegna che con popol si rauni
oggi colui che la fascia col fregio.

133 Gi� eran Gualterotti e Importuni;
e ancor saria Borgo pi� qu�eto,
se di novi vicin fosser digiuni.

136 La casa di che nacque il vostro fleto,
per lo giusto disdegno che v'ha morti
e puose fine al vostro viver lieto,

139 era onorata, essa e suoi consorti:
o Buondelmonte, quanto mal fuggisti
le nozze s�e per li altrui conforti!

142 Molti sarebber lieti, che son tristi,
se Dio t'avesse conceduto ad Ema
la prima volta ch'a citt� venisti.

145 Ma conveniesi a quella pietra scema
che guarda 'l ponte, che Fiorenza fesse
vittima ne la sua pace postrema.

148 Con queste genti, e con altre con esse,
vid' io Fiorenza in s� fatto riposo,
che non avea cagione onde piangesse.151 Con queste genti vid'io glor�oso
e giusto il popol suo, tanto che 'l giglio
non era ad asta mai posto a ritroso,

154 n� per divis�on fatto vermiglio�.

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