Turin Research Papers - Academia.edu (original) (raw)

From 1815 to 1831 the sabaudian court spent longer and longer periods in Genoa. Subsequently, Genoa became a sort of second State capital, and the Genoese aristocracy began to frequent the court: during the ancient Republic this... more

From 1815 to 1831 the sabaudian court spent longer and longer periods in Genoa. Subsequently, Genoa became a sort of second State capital, and the Genoese aristocracy began to frequent the court: during the ancient Republic this representativeness did not exist. Only some families, however, were admitted to court. These few families were skilled to use the court to secure careers both in the army and in diplomacy. In mid 19th century these families were perfectly inserted in the service of the Sabaudian crown.

O artigo analisa a participação do Pará na Exposição Internacional da Indústria e do Trabalho em Turim, realizada em 1911. A mostra paraense reuniu, sobretudo, produtos oriundos do extrativismo e pode ser caracterizada pelo discurso... more

O artigo analisa a participação do Pará na Exposição Internacional da Indústria e do Trabalho em Turim, realizada em 1911. A mostra paraense reuniu, sobretudo, produtos oriundos do extrativismo e pode ser caracterizada pelo discurso científico, materializado, principalmente, pela presença de um renomado cientista na comissão organizadora, o botânico suíço Jacques Huber (1867-1914), à época diretor do Museu Goeldi, em Belém. As razões do destaque dado à ciência na exposição paraense de Turim e do envolvimento de um cientista em um certame comercial são estudadas a partir de três questões: as estratégias
diplomáticas em jogo; o papel atribuído à ciência na organização da mostra; e as forças dissonantes na representação do país, perceptíveis na dificuldade de elaborar um discurso nacional e na distância entre uma sociedade profundamente desigual e a imagem que se construiu dessa mesma sociedade (a Parte 1 deste artigo foi publicada na Varia Historia, vol. 31, n. 57, setembro-dezembro 2015).

Nonostante l’avanzare costante dell’estensione della superficie urbanizzata che, sin dalla scelta di Torino come capitale sabauda, è contraddistinta da un sacrificio delle aree destinate ai coltivi a favore di quelle urbane, il sistema... more

Nonostante l’avanzare costante dell’estensione della superficie urbanizzata che, sin dalla scelta di Torino come capitale sabauda, è contraddistinta da un sacrificio delle aree destinate ai coltivi a favore di quelle urbane, il sistema produttivo agrario della cosiddetta «parte piana», per distinguerla da quella «collinare», secondo la dizione invalsa nei piani regolatori sin dall’inizio del XX secolo (capitale quello del 1906-08), lascia vistose tracce della propria presenza e organizzazione. Ancora oggi, facendo i conti con i processi di rigenerazione urbana, la città scopre di avere lacerti consistenti non solo di singoli complessi rurali (talvolta annegati nella compatta rilettura di estese aree cittadine, ma in altri casi ben visibili ed emergenti in modo quasi incongruo in contesti peraltro ormai alieni), ma di un intero sistema. Una rete che comporta la presenza superstite di «vie vicinali», come appaiono indicate nella cartografia storica, di bealere ossia canalizzazioni artificiali a scopo irriguo derivate dai principali corsi d’acqua che naturalmente caratterizzano l’area, financo tracce di perimetrazioni di proprietà e di vecchi sistemi di demarcazione dei confini, dai cippi alle edicole votive. Se le singole emergenze sono abbastanza ben documentate, è proprio questo sistema territoriale sotteso che va evidenziato, assieme al suo rapporto – talvolta rafforzato, seppure magari in parte inconsapevolmente, più sovente negato, sottaciuto e apertamente violato – con la pianificazione urbanistica; una programmazione costante, continua e sempre in qualche misura coerente con se stessa, che caratterizza una città non a caso, per suo ruolo di capitale, riconosciuta come “ipernormata” e connotata da una ingente espansione tra la seconda metà del XIX secolo e i primi anni ottanta del XX, per poi assistere invece a fenomeni di contrazione e ridisegno.
Appoggiandosi alla cartografia storica, ai dati d’archivio (in particolare quelli conservati presso l’Archivio Storico della Città di Torino), ma anche alla lettura tipologica dei complessi agricoli, si cercherà di offrire una “visione d’insieme”, sistemica, del processo di perdita della caratterizzazione rurale della sezione piana della città, ricomponendo i lacerti – ancora oggi ben visibili – di un sistema che è stato determinante, con lunga continuità, anche per i rapporti tra la capitale e il suo immediato orizzonte territoriale.

Da sempre la storiografia antonelliana ha posto al centro della propria attenzione la Mole. Meno indagati, tuttavia, sono i processi decisionali e le ragioni che portarono il Municipio di Torino a sostenerne la costruzione quando... more

Da sempre la storiografia antonelliana ha posto al centro della propria attenzione la Mole. Meno indagati, tuttavia, sono i processi decisionali e le ragioni che portarono il Municipio di Torino a sostenerne la costruzione quando l’edificio ancora apparteneva alla comunità israelitica e successivamente, dopo il 1877, quando la Città ne pervenne infine in possesso.
La costruzione della Mole Antonelliana costituisce infatti un momento fondamentale nel processo di definizione dei caratteri identitari della città contemporanea e della sua immagine, ma anche un banco di prova straordinariamente impegnativo, dove viene concretamente vagliata la cultura della convivenza e della tolleranza nella città postunitaria.

The identification of an early Eighteenth century palace in Turin, Palazzo d'Arcour, is the starting point for a discussion of its urban configuration by "grossazione" , i.e. by the fusion of pre-existing late medieval structures on the... more

The identification of an early Eighteenth century palace in Turin, Palazzo d'Arcour, is the starting point for a discussion of its urban configuration by "grossazione" , i.e. by the fusion of pre-existing late medieval structures on the same site.

Prendendo spunto dall'osservazione che “lo spazio [urbano] origina dal corpo” (Lefebvre, 1991, p. 242) questo capitolo affronta alcune delle conseguenze delle trasformazioni sociali e spaziali che hanno cambiato Torino negli ultimi due... more

Prendendo spunto dall'osservazione che “lo spazio [urbano] origina dal corpo” (Lefebvre, 1991, p. 242) questo capitolo affronta alcune delle conseguenze delle trasformazioni sociali e spaziali che hanno cambiato Torino negli ultimi due decenni attraverso un punto di vista parziale, situato ed etnografico. Questo sguardo privilegia i punti di vista e le esperienze di alcuni giovani tracciatori (praticanti di parkour), e della loro ambivalente relazione con la città e con uno dei simboli di una Torino rigenerata e post-industriale: l'area di Parco Dora. Attraverso le pratiche e le esperienze dei giovani protagonisti di questo capitolo, tutti giovani uomini tra i 17 e i 21 anni di età, per varie ragioni collocati ai margini spaziali e sociali della città e molti dei quali post-migranti, questo studio intende avanzare alcune considerazioni sui paradossi e le conseguenze di una città che ha cercato di (ri)costruire la sua identità post-industriale su una molteplice e per certi versi “meno-che-coerente” (McQuirk e Dowling, 2009) immagine di multiculturalismo, dinamicità, innovazione tecnologica ed inclusione. In particolare questo capitolo cercherà di affrontate il rapporto tra i suoi protagonisti e la città di Torino e di come le loro pratiche urbane e informali abbiano allo stesso tempo contribuito e sfidato le rappresentazioni dominanti di una città “rigenerata”. L'osservazione della pratica del parkour da parte dei partecipanti negli spazi urbani e in quelli di Parco Dora permette da una parte di discutere un possibile, emergente governo della differenza messo in atto negli spazi cittadini attraverso una “conduzione di condotte” (Rose, 2000), dei movimenti e delle pratiche urbane giustificato da parole chiave come “comunità”, “partecipazione” e “coesione”. In aggiunta, nel considerare alcuni degli effetti delle trasformazioni sociali, spaziali e morali della “Detroit italiana” (Pizzolato, 2008), l'ambivalente rapporto tra i giovani tracciatori e l'area di Parco Dora servirà infine per suggerire come l'idea di eterotopia possa rappresentare un concetto utile nell'analizzare i paradossi di una città che allo stesso tempo celebra e si sente minacciata dalle differenze che animano le proprie strade.

In calling his pedagogical experience the 'preventive system', Don Bosco, a ninteenth century educator, clearly wished to be in line with the progressive humanistic response to the rampant juvenile delinquency of his time, while also... more

In calling his pedagogical experience the 'preventive system', Don Bosco, a ninteenth century educator, clearly wished to be in line with the progressive humanistic response to the rampant juvenile delinquency of his time, while also manifesting his abhorrence for the 'repressive' method of discipline. The article pushes further and asks whether Don Bosco's 'preventive' metaphor adequately encapsulates the wealth of his unique educational intuition and experience. After surveying the related literature, it proposes that a complementary metaphor - 'expression' - may just be the key to fresh thinking and researching on the Salesian pedagogical discourse for our communication age.

Il contributo studia il sistema onomastico in uso nelle "ruote" dei diversi enti preposti all'assistenza ai trovatelli (o "esposti") nella Torino fra la metà del XVIII secolo e il 1927, sulla base della documentazione custodita... more

Il contributo studia il sistema onomastico in uso nelle "ruote" dei diversi enti preposti all'assistenza ai trovatelli (o "esposti") nella Torino fra la metà del XVIII secolo e il 1927, sulla base della documentazione custodita all'Archivio di Stato del capoluogo piemontese.

The «Doppio Quintetto di Torino» was founded at the end of 1920 by a group of musicians led by the violinist Maurizio Vico. It was strongly encouraged by the music critic Andrea Della Corte and financially supported by some music... more

The «Doppio Quintetto di Torino» was founded at the end of
1920 by a group of musicians led by the violinist Maurizio
Vico. It was strongly encouraged by the music critic Andrea Della
Corte and financially supported by some music lovers belonging
to the well-off middle class of Turin. Its aim was to renew the
stagnant post-war concert life of the town with a less usual
repertoire of chamber music for mixed ensembles, also open to
the modern European production. Like the Double quintet of
Paris - which was its model - the ensemble was composed of a
string and a wind quintet, with the occasional addition of a harp
and piano. All the players were eminent members of the orchestra
of the Teatro Regio or teachers of the Liceo musicale. Among
these were Ercole Giaccone, who in 1923 replaced Vico as first
violin, the clarinettist L. Savina, the double bass player
F. A. Cuneo, the harpist Clelia Aldrovandi and the pianist and
composer Luigi Perrachio, who in 1922 became the artistic
director of the group.
The inaugural concert was held on 26 December 1920
within the season of concerts promoted by the FIP (Italian
manufacturer of pianos) and directed by Guido M. Gatti. From
1921, however, the Doppio Quintetto organized every year its
own season of concerts in Turin consisting in four or five
appointments and a tour in various cities of Northern and Central
Italy. Significant concerts were also held out of season, such as
the soirée offered to the participants in the First International Music Congress, held in Turin in October 1921, and the concert
with the harpsichordist Wanda Landowska for the association
Pro Cultura Femminile, in March 1923.
The repertoire of the Doppio Quintetto carefully mixed
classical with modern. Alongside pieces by Mozart, Beethoven,
Schubert, Mendelssohn, Brahms, and the revival of ancient
music (Bach, Handel, Pergolesi, Viotti, mostly arranged for
chamber ensemble), an important part was devoted to
contemporary works, many of which were performed for the
first time in Italy. The modern repertoire was especially
concerned with French composers, such as Debussy, Ravel,
Roussel, Roger-Ducasse, Pierné, but also included Stravinsky,
Hindemith, Bax, Busoni, Casella and a number of works
specifically commissioned by or dedicated to the Doppio Quintetto
(by Sinigaglia, Bossi, Cuneo, Perrachio, Davico, Desderi
and others). In 1921, the Doppio Quintetto in collaboration
with the Circolo degli Artisti of Turin advertised an international
composition contest for chamber ensemble, which saw the
participation of sixty-eighth candidates from all over Europe
and was won by Giorgio Federico Ghedini.
Despite the favourable critical reception, which praised
the high quality of its performances, the Doppio Quintetto
ceased its activity in 1925. The opening in the very same year
of R. Gualino’s «Teatro di Torino», with similar modern interests
and its own orchestra of solo players, may have been one of the
reasons for its dissolution.

The publication of Aldo Rossi's L’architettura della città in 1966 marked the conclusion of several years of research and writing on architecture and urbanism. Rossi wrote the book as a treatise for a science of urbanism in an attempt to... more

The publication of Aldo Rossi's L’architettura della città in 1966 marked the conclusion of several years of research and writing on architecture and urbanism. Rossi wrote the book as a treatise for a science of urbanism in an attempt to establish the principles and terms for analyzing existing urban conditions. His thesis responded to a polemical debate within Italian architecture of the early 1960s over the future form of the city brought about, in part, by unprecedented transformations in the postwar city. In this essay, I chronicle the cultural context of the debate over urbanism in Italy that motivated Rossi to establish objective principles for a new urban theory, distinguishing between “the architecture of the city,” autonomy, and the concept of la nuova dimensione.

In 1911 Turin hosted the Esposizione Internazionale, an International Exhibition of Work and Industry, to commemorate the fifty-year anniversary of the nation's unity. In a wagnerian - at that time - town like Turin, Giuseppe Depanis... more

In 1911 Turin hosted the Esposizione Internazionale, an International Exhibition of Work and Industry, to commemorate the fifty-year anniversary of the nation's unity. In a wagnerian - at that time - town like Turin, Giuseppe Depanis arranged an orchestral season of modern music and brought to Turin the most famous batons of that time: Safonov, Mengleberg, Kajanus, Elgar and Claude Debussy as well. The article recreates the preparations for the concert, an event destined to remain in Turin and italian music history, because it influenced young composers and critics who attend it, among them Guido M. Gatti (then influential music promoter and artistic director), Ettore Desderi (then composer), Andrea Della Corte (then reporter). Two letters by Debussy now in Archivio Storico del Teatro Regio di Torino are published here for the first time. These letters have no recipient, but perhaps it was Depanis himself or Federigo Bufaletti, a piano teacher in Turin who is said to have been a pupil of Debussy and who was one of the first to spread the music by 'Claude de France' in Turin, although a rather traditionalist one. Debussy's letters throw light on the selection of the program: Chabrier, Roger-Ducasse, Dukas and “Iberia”, the “Prélude à l'après-midi d'un Faune” e “Children's Corner” (orchestration A. Caplet) by Debussy himself. The paper retraces the days Debussy went by in Turin, starting with his arrival at Porta Nuova station, welcomed by the young Vittorio Gui, Depanis and composer Leone Sinigaglia, besides his unsatisfaction about italian orchestra in the rehearsals, which finally were conducted by Vittorio Gui. The latter would give up the baton to the composer only the day of the concert, June 26th. In the following september Toscanini would conduct – again in the Exhibition's concerts – the entire “La Mer”, with success, inciting Debussy to write a letter of thanks (here transcribed, but the original is lost) to Sinigaglia. The paper also adds substance to Debussy's reception in the press in Turin, one of the most precocious in Italy, in personalities like – among others – Leone Sinigaglia, Enrico Thovez, etc.

A cura di Luca Emilio Brancati. Testi di Stefania Ratto, Luisella Pejrani Baricco, Armando Baietto, Cristina Volpi, Marina Locandieri e Michelangelo Varetto, Francesca Bosman, Rosalba Stura, Andreas Kipar. Prefazioni di Piero Fassino,... more

A cura di Luca Emilio Brancati. Testi di Stefania Ratto, Luisella Pejrani Baricco, Armando Baietto, Cristina Volpi, Marina Locandieri e Michelangelo Varetto, Francesca Bosman, Rosalba Stura, Andreas Kipar. Prefazioni di Piero Fassino, Antonella Parigi, Egle Micheletto, Luca Remmert. Seconda edizione, giugno 2015. Ed. Consorzio San Luca per la cultura, l'arte ed il restauro, Torino

Nota introduttiva: metodologia e consultazione Il formarsi di una identità culturale avviene attraverso l'interazione tra le varie parti sociali e politiche che compongono una società, e, nell'ambito della cultura, attraverso il reciproco... more

Nota introduttiva: metodologia e consultazione Il formarsi di una identità culturale avviene attraverso l'interazione tra le varie parti sociali e politiche che compongono una società, e, nell'ambito della cultura, attraverso il reciproco condizionarsi delle discipline artistiche: l'arte, il teatro, la musica, il cinema, la letteratura. Questa cronologia copre l'arco di tempo indagato dal volume ed è chiamata a descrivere, attraverso la restituzione dei fatti, il susseguirsi delle esposizioni organizzate nel decennio da istituzioni pubbliche, gallerie private, associazioni culturali, ma anche a rendere conto delle relazioni tra i vari settori della cultura torinese.

“Seminare molto e bene”1, così si legge sui manifesti propagandistici promossi dal Ministero dell’Agricoltura e della Foresta nel 1941. La politica autarchica e le necessità alimentari in tempo di guerra, non solo hanno cambiato le... more

“Seminare molto e bene”1, così si legge sui manifesti propagandistici promossi dal Ministero dell’Agricoltura e della Foresta nel 1941. La politica autarchica e le necessità alimentari in tempo di guerra, non solo hanno cambiato le esigenze della città, ma ne hanno influenzato la trasformazione. I luoghi simbolo di Torino, così come i balconi e i giardini privati, perdono la loro funzione tradizionale per giocare un ruolo fondamentale nel sostentamento della città: nascono gli “orti di guerra”.
Tutti i terreni di proprietà comunale, dal parco del Valentino a piazza Statuto, vengono coltivati a patate, girasoli e cavoli per rispondere all’imperativo del duce “non un lembo di terreno incolto” 2. Flora cede il posto a Cerere3 che trasforma l’immagine dell’antica capitale sabauda. Lo studio di questi luoghi potrebbe aiutare a ricostruire un momento della storia della città, di cui oggi forse si sta perdendo traccia, ma la cui memoria iconografica e documentale è conservata presso l’Archivio Storico della Città di Torino4.

Benché finora non trattato approfonditamente da alcuno, il tema del rapporto tra Gozzano e la musica non manca di materiale, sia per quanto riguarda la biografia del letterato, sia per via dei riferimenti alla musica nelle sue opere. Nel... more

Benché finora non trattato approfonditamente da alcuno, il tema del rapporto tra Gozzano e la musica non manca di materiale, sia per quanto riguarda la biografia del letterato, sia per via dei riferimenti alla musica nelle sue opere. Nel presente saggio si ricostruiscono due episodi di collaborazione tra Gozzano e i musicisti. Nel primo caso il concerto ‘Echi di musiche antiche’ che le sorelle Alina e Silvia Zanardini tennero al Liceo Musicale (oggi Conservatorio) di Torino il 18 novembre 1914, in cui venne letta la poesia di Gozzano 'Prologo', espressamente scritta per quell’occasione, e vennero eseguite - ricreando con la scenografia ambientazioni d’epoca - arie di Giovanni Battista Mazzaferrata, Francesco Cavalli, Alessandro Scarlatti, Tommaso Traetta, Felice Blangini ('La vieille': «C’est une misère, que nos jeunes gens»), André Grétry, Pierre Gaveau, Nicolas Dalayrac e Madame de Gail, vale a dire Edmeé Sophie Gail nata Garre: si tratta di pagine d’album con tutta probabilità tratte dalle 'Arie antiche' antologizzate da Alessandro Parisotti e dagli 'Échos de France', selezionate con un gusto che ben si addiceva alla poetica di Gozzano, tesa a ‘far rivivere’ le opere d’arte del passato. Anzi, solamente la musica fa vivere nuovamente le cose passate e questo colpisce profondamente il pensiero del poeta.
Se al tempo in Italia si stava formando una imperfetta coscienza musicologica, ben più moderna pare paradossalmente essere l’operazione delle Zanardini e di Gozzano, che mirava ad allestire l’obsoleto in maniera apertamente programmatica.
La serata fu recensita da Guido M. Gatti su “La Riforma Musicale”: fu molto probabilmente l’occasione che lo portò a conoscere Gozzano e a suggerire alle Zanardini il nome del giovane Giorgio Federico Ghedini come compositore di una musica originale per il poemetto 'Carolina di Savoia', che il poeta scrisse sempre per le Zanardini. Viene esaminata la musica di 'Carolina di Savoja' di Ghedini, per voce e quartetto d’archi, conservata manoscritta presso la Biblioteca del Conservatorio di Musica di Milano: nella prima parte il componimento di Gozzano è il testo che la voce recitante legge accompagnata da un quartetto d’archi (melologo); nella seconda parte la voce intona la melodia popolare 'La bela Madamin' (già raccolta da Costantino Nigra). Vengono dati due esempi musicali in trascrizione. Influenzato dal formalismo della musica tedesca tardoromantica, Ghedini è senza dubbio anche condizionato da un poeta tanto metrico e strofico: ne sorge quindi un procedimento compositivo modulare, cui Ghedini ricorrerà anche in opere della maturità. 'Carolina di Savoja' ebbe la sua prima esecuzione a Treviso il 3 marzo 1915 (il 6 maggio successivo la replica a Palazzo Chiablese a Torino). In chiusura alcune considerazioni su qualche aspetto di analogia di 'Ibant magi', composto da Ghedini poco tempo dopo, con 'Carolina di Savoja'.

Da sempre nella storiografia critica le figure degli architetti Giuseppe Battista Piacenza (1735-1818) e Carlo Randoni (1755-1831) sono associate; ne è causa un'impresa che è rimasta una pietra miliare nelle vicende dell'aggiornamento del... more

Da sempre nella storiografia critica le figure degli architetti Giuseppe Battista Piacenza (1735-1818) e Carlo Randoni (1755-1831) sono associate; ne è causa un'impresa che è rimasta una pietra miliare nelle vicende dell'aggiornamento del gusto in Piemonte: l'allestimento, nel Palazzo Reale di Torino e in altre residenze di corte, degli appartamenti per i duchi d'Aosta nel 1788-1789. L'opera degli architetti Piacenza e Randoni ha coperto, tra il 1773 e il 1831, un ampio spettro di incarichi e attività in luoghi diversi dello Stato sabaudo, al servizio di più committenti: i Savoia prima e dopo l'interludio napoleonico, il governo francese tra il 1798 e il 1814. L'esame della loro attività, svolta singolarmente o in coppia, illustra un lungo capitolo delle vicende architettoniche e decorative promosse dalla corte, che si chiude con la scomparsa di Carlo Felice e il passaggio a Carlo Alberto, principe di Savoia-Carignano: dall'esordio di Piacenza nel castello di Chambery, ai lavori nelle residenze di Torino, Moncalieri, Venaria Reale, Rivoli (a tardo Settecento), all'attività nei palazzi piemontesi divenuti "imperiali" in epoca napoleonica e in area parmense, al riallestimento di appartamenti in Torino dopo la Restaurazione. In questo secondo periodo si colloca l'opera più importante di Randoni, la riprogettazione di palazzo Tursi in Genova come nuova reggia sabauda, per Vittorio Emanuele I; fatto poi oscurato dai successivi orientamenti di Carlo Felice. La particolare congiuntura, in coda a un Ancien Régime in cui tanto era stato costruito, indirizza spesso l'attività dei due architetti al progetto degli interni, molti ancora visibili, altri documentati attraverso l'analisi dei cantieri e la presenza dei disegni conservati negli archivi.

I Savoia, prima di tutto, sono una dinastia. L'affermazione può apparire ovvia, ma non lo è. Spesso, infatti, la storia delle dinastie viene confusa con quella dei loro Stati. Certo, la storia di una dinastia si dispiega (e si spiega)... more

I Savoia, prima di tutto, sono una dinastia. L'affermazione può apparire ovvia, ma non lo è. Spesso, infatti, la storia delle dinastie viene confusa con quella dei loro Stati. Certo, la storia di una dinastia si dispiega (e si spiega) anche attraverso quella dei domini che resse nei secoli in cui fu sovrana. Ma non si riduce a essa. Basti pensare al fatto, anch'esso abbastanza ovvio, che quando dinastie e Stati si separano, continuano entrambi a esistere. Anzi. Una dinastia non cessa di essere tale quando non esercita più sovranità, mentre può succedere il contrario: la storia d'Europa presenta diversi casi di Stati che, cessate o passate su altri troni le dinastie che li reggevano, hanno finito d'esistere.

nell'educazione del gentiluomo. Il caso sabaudo (sec. XVI-XVIII) Giovanni BARBERI SQUAROTTI 39 La caccia nella letteratura della corte sabauda Pietro PASSERIN D'ENTRÈVES 63 Trattati sulla caccia nel Piemonte sabaudo Caccia, corte e... more

nell'educazione del gentiluomo. Il caso sabaudo (sec. XVI-XVIII) Giovanni BARBERI SQUAROTTI 39 La caccia nella letteratura della corte sabauda Pietro PASSERIN D'ENTRÈVES 63 Trattati sulla caccia nel Piemonte sabaudo Caccia, corte e cavalli Andrea MERLOTTI 79 Il gran cacciatore di Savoia nel XVIII secolo Paolo CORNAGLIA 97 Architetture equestri: la Cavallerizza di Palazzo Reale e le scuderie di Venaria Mario GENNERO 113 La rimonta nella scuderia sabauda del Sei-Settecento Blythe Alice RAVIOLA 121 «A caval donato…». Regali e scambi di destrieri fra le corti di Torino, Mantova e Vienna (secc. XVI-XVII) Caccia, feste e cerimonie Franca VARALLO 131 Il tema della caccia nelle feste sabaude nei secoli XVI e XVII Francesco BLANCHETTI 149 Scene di caccia nel teatro in musica alla corte sabauda tra Sei e Settecento Giorgio MARINELLO 177 Territorio di caccia: tra rituali di chasse à courre e vénerie royale Caccia e arte Clelia ARNALDI DI BALME 193 Jan Miel e la serie delle Cacce per la Reggia di Venaria Danilo COMINO 203 I ritratti equestri della Sala di Diana alla Reggia di Venaria Reale 223 Indice dei nomi

Thomas Wilke: Piemont – Grenzregion zwischen Frankreich und Italien, in: Heussler, Carla (Hrsg.): Sehnsucht Italien – Die schönsten Kunstlandschaften von Piemont bis Sizilien. Darmstadt 2010, S. 13-24. / Piedmont – borderland between... more

The article describes the stigmatisation of Vallette, a public estate inaugurated in Turin (Italy) in 1961. The study analyses the media coverage of this new residential community, in newspapers such as "La Stampa", "Gazzetta del Popolo"... more

The article describes the stigmatisation of Vallette, a public estate inaugurated in Turin (Italy) in 1961. The study analyses the media coverage of this new residential community, in newspapers such as "La Stampa", "Gazzetta del Popolo" and "L'Unita" (local edition), between 1961-1964.

econdo titolo della stagione di Carnevale 1760 del Teatro Regio di Torino, Enea nel Lazio costituisce l'espressione e il prodotto di una volontà precisa, di intenti programmatici ben determinati. Alle esigenze dell'una e ai principî degli... more

econdo titolo della stagione di Carnevale 1760 del Teatro Regio di Torino, Enea nel Lazio costituisce l'espressione e il prodotto di una volontà precisa, di intenti programmatici ben determinati. Alle esigenze dell'una e ai principî degli altri rispondono la scelta, l'organizzazione, l'impiego di persone, elementi artistici e spettacolari, mezzi tecnici: funzione dell'opera è veicolare un complesso di valori, messaggi e simboli -quelli della Corte, tesi a sancirne l'autorità e giustificarne il potere -in una realtà e per un pubblico particolari: quelli della capitale, la città di Torino. S Una potenza militare Negli anni immediatamente successivi alla metà del Settecento, il Regno di Sardegna e la dinastia sabauda godono di un prestigio guadagnato e consolidato sul campo di battaglia, nelle imprese militari. Determinante era stata la partecipazione alla guerra di successione spagnola (1701-1714; ma l'intervento sabaudo si esaurisce tra il 1702 e il 1713), combattuta dapprima a fianco dei Regni di Francia e Castiglia e dell'Elettorato di Baviera; e poi, con una manovra spregiudicata quanto fruttuosa, nello schieramento opposto, accanto ai Regni di Gran Bretagna, Portogallo, Danimarca, alle Province Unite e al Sacro Romano Impero. Le vicende del conflitto avevano consentito al Ducato di Savoia, guidato da Vittorio Amedeo II, di collocarsi nel novero delle grandi potenze europee e qui stabilire rapporti diplomatici e commerciali, di espandere i propri confini e acquisire la corona regia: in seguito alla pace di Utrecht, del 1713, la Casa sabauda ottiene il Regno di Sicilia, che nel 1720 commuta con quello di Sardegna per ottemperare al Trattato di Londra del 1718. 1 L'esaltazione del Regno di Sardegna come potenza militare trova eco nella netta ripartizione di Torino in spazi civili e militari, attuata in seno al riordino della città che il re affida a Filippo Juvarra tra il 1716 e il 1719. 2 In ciò si evidenzia un primo segnale di quella ALFIERI, VITTORIO,

Intersecting culinary and retail geographies, this paper brings to centre stage food in retail gentrification. Theoretically, it suggests that food, together with its spatialities, can produce a “displacement atmosphere” throughout... more

Intersecting culinary and retail geographies, this paper brings to centre stage food in retail gentrification. Theoretically, it suggests that food, together with its spatialities, can produce a “displacement atmosphere” throughout retailscape by enabling privileged consumers to achieve distinction. Empirically, it draws from Porta Palazzo, Turin’s historical neighbourhood and marketplace, where the opening of a branded food hall reveals food’s role in the area’s early-stage retail gentrification. Attending to both the food hall and smaller emerging spatialities, the “work of foodification” is analyzed through three constitutive elements: discourse, materialities, practices. Within the city’s wider geographies and ongoing transformations, the synergy of these elements reveals that the work of foodification is the convert of Porta Palazzo into a device that, first, fixes a displacement atmosphere onto the local retailscape and, then, allows for the gentrification frontier to proceed. The paper responds to calls for re-conceptualizing displacement, contributing to emergent research on marketplaces as gentrification’s frontier spaces.

In Turin, after the Restoration, the town administration gradually moves the attention toward east, beyond the Po. The river assumed a new meaning for the city: from being a physical barrier to being a natural connection between the urban... more

In Turin, after the Restoration, the town administration gradually moves the attention toward east, beyond the Po. The river assumed a new meaning for the city: from being a physical barrier to being a natural connection between the urban pattern and the hilly landscape. From the center of the city, piazza Castello, crossing the strada di Po, the square built according to the laws of the first years of the Restoration can be reached. The hill was absorbed as quarter forehead: the city welcomed the suburban greenery as natural scenography. In the 1850s the aim of the municipally, with regard to the boundary between city and nature, was only one: to establish an systematic parceling plan which must include and take into account the historical monuments (Santa Maria al Monte dei Cappuccini, villa della Regina e the Gran Madre di Dio church) and the scattered architectural pattern. The streets network held the delicate position of link and comparison between these elements, guaranteeing the privileged perspectives offered by the suburb along the river. The traces of the debate between politicians and professionals are preserved in the Archivio Storico della Città di Torino, their analysis can help to understand the events of an urban district characterized by the green landscape of the hill.

Sulla biblioteca dell'Istituto di Storia dell'arte negli anni in cui Lionello Venturi fu direttore. Successivamente la biblioteca confluì nella Biblioteca del Dipartimento di Discipline Artistiche, Musicali e dello Spettacolo.... more

Sulla biblioteca dell'Istituto di Storia dell'arte negli anni in cui Lionello Venturi fu direttore. Successivamente la biblioteca confluì nella Biblioteca del Dipartimento di Discipline Artistiche, Musicali e dello Spettacolo. Nell'articolo è compresa una tabella (pp. 283-331) in cui sono elencati i libri che compaiono nell'Inventario dell'Istituto di Storia dell'Arte e la loro attuale posizione in biblioteca: la tabella è a cura di Stefano Baldi e Chiara Sandretto.